Storie originali > Romantico
Ricorda la storia  |      
Autore: Hubris    03/02/2013    0 recensioni
Poi divenne freddo, divenne assente. E lei tutte le sere si guardava allo specchio lanciandosi amari sorrisi di incoraggiamento. E così lo perse, e miss mondo lo vinse. Adesso strappava il grano e lo stringeva nei pugni, si mordeva le labbra per strozzare le urla che le partivano dal più profondo del suo essere.
Genere: Drammatico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Una ragazza sbagliata


Davanti alla finestra si ritrovò a fissare la nebbia che scendeva. Compatta, silenziosa, irrefrenabile. Poi improvvisamente, l’alone che si formò sul vetro assunse una forma drammaticamente comica e con il dito ne tracciò il contorno, il contorno di un piccolo cuore trasparente. Qualche secondo dopo ne restò solo il segno tracciato e la ragazza sbuffò. Sbuffò anche lacrime, ma quelle erano così amare da affrontare che alla fine precipitarono sul davanzale come gocce di pioggia rapide e meschine, quelle gocce che a lei parevano semplicemente sangue che lento sgocciola da una lama affilata, e dalla ferita sgorgava la più potente cascata d’amore, il dolore elevato all’ennesima potenza: il rimpianto. Spostò la tenda scolorita, prima o poi si sarebbe decisa a cambiarla ma sotto sotto, le infondeva un senso di triste serenità. Un brivido di freddo percorse la schiena scoperta, si raccolse nelle spalle e si strinse in un tiepido abbraccio materno, inventato e improvvisato, rimedio che si era dovuta costruire per nascondere il più possibile quanto fosse sola. A nessuno piace essere soli, pensava. A nessuno. Soprattutto quando non vorresti fare altro che scambiare due parole di conforto, vorresti che qualcuno ti ricordasse cosa significhi essere donna. Si spostò respirando adagio verso l’unica stanza che ancora le ricordava un po’ di vita, di serenità, di affetto. La cucina era calda, accogliente quanto bastava e perfettamente ordinata. Si guardò intorno, capendo quanto odiasse quella cucina, così ancora viva e contrastante con il resto della casa ormai abbandonata a se stessa. D’altra parte il più delle volte restava inutilizzata, inesorabilmente al buio. Lei non aveva tempo per prepararsi da cucinare e se aveva tempo non ne aveva l’umore giusto, così i pasti della giornata si limitavano ad uno sgranocchiare veloce e irritante davanti al computer. Aprì il frigorifero, prese del succo d’arancia e richiuse lo sportello. E con i suoi passi trascinati,lenti e sofferti si lasciò cadere sul divano nero nella stanca affianco. I gesti si erano ridotti ad un qualcosa di meccanico, ripetitivo, malsano e in alcuni punti perfino maniacale. E i giorni le parevano ripetersi all’infinito come una nenia continua e ad un certo punto priva di senso, senza più un inizio o una fine. Infine chiuse gli occhi, lasciando che l’aria gelida trafiggesse la sua pelle nuda. Il sole era ormai sceso da ore, le sigarette iniziavano a scarseggiare e la puzza di fumo e solitudine si era inghiottita tutto l’ossigeno. Adesso aspettava la luna, per stringerla a sé come un cuscino caldo e per ripeterle basta, che ormai aveva pagato il caro prezzo, che questo essere lugubre e squallido non poteva essere che odiato, e per implorarla di renderla fredda e apatica davanti a tutti i suoi errori, incurante davanti ai suoi scheletri nell’armadio, di far sì che anche quella notte non si innamorasse ancora un po’. Ma può esserci un limite a tutto questo amore? Sorrise a mala pena, ancora con gli occhi chiusi, e si passò una mano tra i capelli arruffati. La luna arrivò imminente, sovrana dell’oscurità tanto rispettata. E in solenne silenzio, come ad incorniciare una preghiera tacita, le si mostrò arrogante e orgogliosa, mentre lei, alzatasi pacatamente, uscì e si accese una sigaretta. Ma dove sbagliava? Cosa aveva lei di diverso dagli altri? Si era sempre ritenuta strana, forse anche assurda, ma era pur sempre una ragazza. Perché gli altri ragazzi non lo capivano mai? Arrivò un altro mattino ad ammazzare sogni ingenui e sul viso della ragazza apparve una smorfia di dolore. Come al solito, si era addormentata sul divano, comodo come una cassapanca in legno antico e le faceva malissimo la schiena, come se avesse dormito con un macigno sulle spalle. E mentre pensava ad immaginarsi questa stupida metafora dal bagno piccolo e freddo passò alla camera da letto dove si lasciò precipitare come un peso morto sul letto. Probabilmente le lenzuola erano da lavare e il cuscino tanto più, ma la vita era troppo breve e occupata per tener d’occhio anche la casa. Quando mai aveva scelto di andare a vivere da sola, poi. Allungò il più possibile il braccio e aprì un cassetto del comodino. Ne saltarono fuori come coriandoli e stelle filanti un migliaio di fotografie sorridenti seppur ricoperte da strati memorabili di polvere. Ne prese quante più poteva e con la mano spazzò via un po’ di polvere. Aveva solo vent’anni, pur pensando che alla fine non c’era più nient’altro da scoprire, che la vita, quella viva, aveva già fatto il suo corso e che non si sarebbe tornati indietro neanche per allacciarsi le scarpe. Ma lei tornava spesso indietro, ripercorreva il filo d’argento dei ricordi sfiorando il volto impeccabile impresso su quelle foto, così sorridente, così felice. Passarono ore e la ragazza scrutava avidamente ogni immagine, ne osservava le espressioni, i passanti finiti casualmente sull’obiettivo e il colore del cielo. Chissà quanto è grande il cielo, si domandò. Poi Morfeo l’abbracciò delicatamente. La luce scarseggiava come la sua voglia di restare in piedi e si limitò ad aprire le finestre, facendo cambiare almeno l’aria, così secca e decisamente rarefatta. Cambiare. Sarebbe stato bello poter cambiare continuamente. Lasciare che gli orrori le scivolassero via mentre magari guardava la tv. Lei neanche ce l’aveva un televisore e non ne sentiva la mancanza. Mancava solamente una persona. Le mancava come l’anima. Lui se l’era portata via in un attimo, in un “addio” sbiascicato nel bel mezzo del traffico incazzato delle sei. Tutto era diventato buio o sbiadito, inutile. L’aveva conosciuto in un bar, il più squallido della zona e quella notte, improvvisamente, quel ragazzo abbattuto aveva trascinato con sé il paradiso. Incrociò il suo sguardo imbarazzato e in quel momento, si sentì scrutata nel profondo. L’aveva senz'altro resa una codarda romantica e peggio ancora, innamorata. Successe tutto in un secondo e un’ora dopo condividevano lo stesso letto. Guardava quel letto adesso, sarebbe potuto diventare il biglietto di sola andata per una vita felice, eppure le concesse solamente uno scomodo rifugio nelle notti più amare. L’amava, l’amava, Dio quanto l’amava. Lo aveva sempre saputo e lo aveva sempre nascosto. Dannato orgoglio. E dannati anche i suoi occhi verdissimi, così verdi che quell’inverno divenne primavera tutto ad un tratto. Ma la neve arrivò a posarsi anche sui loro cuori. Un ragazzo bellissimo. Di quella bellezza che non trovi neanche nei giornali, nei film hollywoodiani o ai grandi gala. I suoi capelli erano nerissimi, non troppo corti e morbidi. Profumavano di bosco. Quante sere si era persa in quell'odore così acre e fresco. Poche. Pochissime. Come la meraviglia accecante dopo l’esplosione di un fantastico fuoco d’artificio era finito tutto troppo in fretta. Finito almeno per lui. Mentre si spazzolava i capelli con tanta rabbia si ripeteva che alcune volte, ne era certa, quando il suo amore baciava quella ragazza così bella, un po’ ripensava a lei. Poi avrebbero fatto l’amore, e allora in quel momento sì, lei sarebbe sparita immediatamente dalla sua testa. Si vestì alla meglio, mise il telefono quasi scarico in tasca e uscì. Senza una vera meta iniziò a camminare rapidamente. Sempre più veloce. La camminata divenne corsa e il respiro le si fece ancora più affannoso, le mancava l’aria, le esplodevano i polmoni. E senza sapere che ore fossero, senza avere la più pallida idea di dove si trovasse realmente, si gettò sulla terra umida e fredda. Intorno a lei si snodavano sentieri bui, si estendevano campi incolti. La nebbia era più debole e il cielo assunse una sfumatura grigiastra talmente triste che le si bagnarono gli occhi. Il vento ne provò quasi compassione e spazzò via le lacrime insieme alle foglie già morte. Su questo pianeta siamo troppi. Troppi ad essere confusi e persi. E da soli, quando torni a casa e dimenticandoti di comprare la cena, non si può sopravvivere. Continuava a pensarlo, a pensare che lei aveva trovato la persona giusta, la persona che adorava accarezzare la notte quando si addormentava con la testa poggiata sul suo seno. Dicono che siamo come i libri, allora perché non siamo in grado di voltare pagina? Perché non possiamo semplicemente mettere il punto ad un capitolo e iniziarne un altro? E che storia triste e malinconica doveva essere lei.. Non era mai stata un granché, lo sapeva meglio di chiunque altro, non era brava a cucinare, si mangiava le parole, era troppo empatica e non sapeva come comportarsi con gli altri il più delle volte, sorrideva troppo spesso, era stonata, si vestiva male, non era bella e sicuramente non ci sapeva neanche fare con i ragazzi. Cosa poteva aspettarsi? Infatti aveva imparato a sue spese a non avere mai aspettative, a chiudersi in se stessa, a farsi sempre sottovalutare. Chi poteva realmente provare qualcosa per una così? Eppure lui le era parso dolce, incredibilmente innamorato. Innamorato lo era, ma non di lei. E non ne fu sorpresa più di tanto. Fu soltanto l’ennesima delusione, un altro colpo al cuore che la ridusse ad un corpo stanco e stufo di ogni cosa. Ma quella ragazza era splendida. Era scontato che il suo amore se ne innamorasse perdutamente. Aveva lunghissimi capelli biondi, gli occhi azzurri come il mare quando in estate ci si ferma ad ammirarlo ipnotizzati, era alta, era perfetta. Quella sera aveva occhi solo per quella donna, mentre lei gli parlava sottovoce, abbassando lo sguardo e cercando di convincersi che forse, era solo un po’ annoiato. Poi divenne freddo, divenne assente. E lei tutte le sere si guardava allo specchio lanciandosi amari sorrisi di incoraggiamento. E così lo perse, e miss mondo lo vinse. Adesso strappava il grano e lo stringeva nei pugni, si mordeva le labbra per strozzare le urla che le partivano dal più profondo del suo essere. Una ragazza totalmente sbagliata. Dalla testa ai piedi. Ma la cosa che più la faceva stare male era vederlo abbraccio e sorridente ogni mattina a quella bionda mozzafiato, mentre la sera prima aveva accidentalmente intravisto la bionda baciarsi un ragazzone col giubbotto in pelle. Evidentemente, avrà altri pregi, pensò. E quando calò il buio, tornò a casa. 
   
 
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Hubris