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Autore: Nunki    04/02/2013    0 recensioni
Roberto è un piccolo naturalista che nel corso di questo breve racconto, tra piccole avventure e grandi scoperte, si renderà conto di quanto profondamente ami la natura e la sua magia.
Tre capitoli scritti in uno stile semplice, pensati per essere letti da un bambino (in età o anche solo nel cuore) appassionato di avventure nella natura.
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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3.

 

 

La settimana successiva arrivò il padre e con lui Meo il quale, dopo aver perlustrato casa da cima a fondo, decise che il più comodo giaciglio che potesse scegliere fosse proprio la lettiera nuova. Fu un’ingente fatica convincerlo della poca igiene della sua scelta ma ogni sforzo fu vano e alla fine dovettero spostare il suo bagno privato nel coperchio di una scatola vuota.

Tra le diverse cassette piene di provviste portate dalla città, Roberto individuò un oggetto lungo e sottile ben impacchettato in una carta marrone poco appariscente. Lo tastò per tutta la lunghezza ma la consistenza restava invariata, non fornendogli alcun indizio utile circa il contenuto del pacco misterioso. Solo ad un’estremità poteva sentire che qualcosa di simile ad una corda sottile avvolgeva l’oggetto.

“Puoi anche smettere di provare ad indovinare e aprirlo. Tanto è per te” sopraggiunse suo padre, ammiccando con un mezzo sorriso.

Roberto non esitò minimamente. Strappò via la carta con crescente eccitazione fino a scoprire un retino portatile nuovo di zecca. Lo guardò sorpreso per qualche secondo prima che, con un balzo, saltasse al collo di suo padre per abbracciarlo.

“E non è finita qui” aggiunse lui, affacciandosi in un’altra scatola e prendendo un nuovo pacchetto.

La forma di questo rendeva più facile la deduzione del contenuto ma non per questo Roberto sprecò del tempo ad indovinare: con uno strappo deciso mise in mostra la copertina di un libro che si rivelò poi essere una guida al riconoscimento delle farfalle.

Dispensò ringraziamenti in ogni dove mentre con occhi illuminati dalla gioia non smetteva di osservare i suoi nuovi possedimenti. Charlie sembrò incuriosito dall’agitazione di Roberto e si concesse una breve sbirciatina nella stanza. Notando però che la generale euforia non aveva nulla a che fare né con cibo e né con nuovi oggetti potenzialmente ottimi da mordicchiare, ritenne opportuno ritirarsi di nuovo nel suo angolino.

Roberto decise che la mattina seguente si sarebbe svegliato di buon ora e sarebbe andato a caccia di farfalle. Gli amici del WWF con i quali aveva fatto amicizia quella settimana, gli avevano detto che non sembrava essere prevista alcuna schiusa in quelle sere e quindi poteva permettersi di saltare una veglia notturna ai nidi. Quando comunicò la sua decisione ai genitori, il padre si premurò di elargire qualche utile avvertimento.

“Mi raccomando, quando catturi una farfalla stai attento a non ferirle le ali” disse molto calorosamente. “Una volta individuata la specie, fai in modo di capire in che periodo si riproduce e se la stagione è questa, liberala. Se invece è passata da parecchio puoi prenderla per la tua collezione di insetti. È molto importante che tu segua questo consiglio, sarebbe un peccato togliere alla natura qualche raro esemplare di farfalla”

Roberto fece un solo, deciso accenno con la testa e come se gli fosse appena stato dato un consiglio di vitale importanza, con espressione serissima affermò un forte “Capito!”

Andò a letto presto, subito dopo aver consumato un’abbondante cena in compagnia della famiglia di Stefano durante la quale si garantì l’entusiasta compagnia del suo amico per l’escursione in programma. Ma nonostante i buoni propositi, il sonno tardò ad arrivare e gran parte della serata la passò a leggere e rileggere le caratteristiche principali delle specie di lepidottero che avrebbe potuto incontrare il giorno successivo.

La sveglia suonò alle sei in punto e, a dispetto degli occhi assonnati, Roberto la spense con grande energia e in poco tempo fu già pronto con il suo berretto, il taccuino in una tasca ed il retino in spalla. Sulla tavola in cucina trovò uno zaino con accanto un biglietto sul quale c’era scritto: All’interno trovi tutto il necessario per la sopravvivenza. Buona avventura. Ti voglio bene. Lo voltò e ricambiò il gesto d’affetto scrivendo anche lui qualche dolce parola per sua madre. Fece poi scivolare la guida al riconoscimento delle farfalle nello zaino, la caricò sulle spalle e corse via.

Stefano era già fuori ad aspettarlo: seduto di fianco alla porta di casa, stringeva tra le braccia uno zainetto rigonfio e sopra questo poggiava la sua faccia buffamente distorta e ronfante.

“Psss! Sveglia… andiamo!” lo richiamò in un sussurro, non volendo disturbare troppo il denso silenzio che regnava tutto intorno.

Stefano si risvegliò con un sobbalzo ma fu veloce a rimettersi in piedi e a raggiungerlo. Con passo deciso si avviarono verso la loro meta.

Il paese nel quale si trovavano non era molto grande e tutto intorno, esclusa la costa sulla quale batteva il mare, era circondato da una moltitudine di campi coltivati. Attraverso questi si snodava una strada che conduceva verso sentieri pietrosi tra la bassa montagna sui quali gli allevatori del posto lasciavano pascolare il proprio bestiame. Per una di quelle stradine, Roberto aveva camminato a lungo negli anni precedenti con suo padre e sapeva che alla fine, dopo una dura salita, avrebbe trovato ad aspettarli una grossa fontana che riversava copiose ondate d’acqua fredda in una vasca di pietra. Nell’acquitrino che si veniva a creare, diverse libellule deponevano le loro uova e non era raro trovare qualche muta svuotata e ottima per la sua collezione.

Si incamminarono su per quel sentiero conosciuto e ben presto iniziarono ad intravedere le prime farfalle. Su di una pianta dai fiori violacei, una cavolaia dalle ali bianche punteggiate simmetricamente di nero sostava ferma, intenta a nutrirsi. Era una specie molto comune e spesso l’aveva vista volare anche nel cortile di casa in città. Con una gomitata reciproca, Roberto e Stefano attirarono l’attenzione dell’altro, indicando la farfalla e avvicinandosi piano. Lentamente e in completo silenzio Roberto accostò il retino e quando pensò di essere ad una buona distanza, con un movimento di polso lo ruotò e zac! se la fece scappare.

Scoprirono presto che usare in modo adeguato il retino non era affatto semplice come avevano immaginato. Ad ogni farfalla scappata si alternavano alla gestione di quell’oggetto infernale correndo, saltando e spesso ruzzolando sul terreno mentre l’altro si lasciava andare ad una sonora risata.

Due ore dopo, sudati e totalmente coperti di polvere, si accasciarono su di una roccia all’ombra di un olivo con la conta delle farfalle catturate ancora ferma a zero.

“Almeno qualcuna l’abbiamo riconosciuta” disse Stefano per rincuorarlo, dopo qualche minuto di silenzio passato a riprendere fiato.

“Sì. Ci sono un sacco di Pieris, quella dal nome strano Polyommatus, abbiamo visto due Vanessa e diverse Melitea di diverse sottospecie” elencò Roberto, dando un’occhiata ai suoi appunti.

“E poi c’erano tutte le altre troppo lontane o troppo veloci per riuscire a guardarle”

“Già” disse desolato.

Il brontolio dei loro stomaci allontanò per un momento i pensieri di Roberto dalla deludente e disastrosa caccia alle farfalle. Si concessero una pausa, rifocillandosi con acqua fresca e panini al prosciutto e dividendosi una brioche al cioccolato. Quando furono sazi e le energie tornarono a motivarli, decisero di dare un’altra possibilità al retino e si incamminarono nuovamente verso la cima della stradina.

Mezz’ora dopo, un risonante urlo di gioia accompagnò la prima gloriosa cattura: una Pieris napi batteva rapidamente le ali tra i sottili fili di nylon. Roberto la prese per il piccolo corpo e insieme la studiarono attentamente, ammirando i neri e grandi occhi composti, le lunghe antenne e la spiritromba che di tanto in tanto si srotolava per poi tornare rapidamente ad avvolgersi su se stessa. Nonostante sapesse che il suo periodo di riproduzione era passato e che non era una farfalla rara, Roberto decise di volerla ugualmente liberare, preferendo ammirarne il volo piuttosto che la sua figura immobile appesa nella cameretta.

Più raggianti e risoluti di prima, conclusero la strada verso la fontana canticchiando allegramente e riuscendo ad afferrare un’altra farfalla ciascuno per poi liberarla dopo un’attenta osservazione. Raggiunsero la loro meta dopo una ripida salita, abbandonarono gli zaini sul terreno senza troppa accortezza e corsero a rinfrescare i volti accaldati sotto lo scroscio freddo dell’acqua che gorgogliava dalla fontana.

Ispezionarono poi la vasca, alla ricerca di larve di libellula. Con delicatezza, Roberto recuperò un guscio vuoto trovato lungo il bordo di pietra e lo lasciò scivolare in un barattolino di vetro che aveva trovato nello zaino. Lo sigillò, risistemandolo in una tasca e poi si andò a distendere sull’erba accanto all’amico, entrambi completamente distrutti.

Guardarono a lungo il cielo azzurro e le sottili nuvole che scivolavano via, portate dal vento leggero e quando una di queste offuscò brevemente il Sole, decisero che era tempo di tornare indietro. Fu mentre si davano una veloce ripulita dai fili d’erba e dalla polvere che videro l’esemplare di farfalla più maestoso di tutti: grande quando il palmo di una mano, un Macaone volava lentamente all’ombra di un masso, battendo con eleganza le ampie ali gialle ricche di venature nere e bluastre e con due macchie rosse in prossimità delle lunghe code sottili che la rendevano ancora più magnifica. L’ammirarono a lungo senza proferire parola fino a quando non volò via dalla loro visuale.

La strada del ritorno fu breve e tutta in discesa. Una corsa a perdifiato terminò la loro escursione, portandoli dritti in spiaggia dove, nonostante le proteste dei genitori, si disfecero dei vestiti e si tuffarono in costume nella fredda acqua cristallina. Le poche energie residue furono investite in chiassosi giochi d’acqua, folli corse ad inseguirsi e allegre risate in compagnia e quando tornò a casa, dopo un abbondante pranzo, Roberto pensò di non aver mai visto nulla di più accogliente del suo letto sul quale sprofondò addormentato per diverse ore.

Quella sera, la piazza del paese venne addobbata da mille luci colorate e da ogni borgo nelle vicinanze arrivarono carretti pieni delle più svariate golosità. Una musica festosa si riversava nelle vie mescolata a profumi dolci e salati che sfidavano Roberto e Stefano ad essere messi alla prova. Le tasche di entrambi erano rigonfie di caramelle e liquirizie e nella mano stringevano entrambi l’ultimo morso di un hot dog ancora fumante che avevano deciso di ricoprire con tutte le salse possibili. Avevano già diviso tra loro un secchiello di pop-corn formato gigante ed ora riflettevano sull’idea di dedicarsi ad un bastoncino fumoso di zucchero filato per completare la serata. Non persero tempo a pensarci oltre.

Degustarono il loro acquisto passeggiando allegri tra la folla e quando la musica terminò, passata la mezzanotte, raggiunsero le proprie famiglie per avvertire che sarebbero andati in spiaggia a controllare come procedeva l’incubazione delle uova, avendo saltato la visita della sera precedente.

Sfilarono le scarpe, arrotolarono le lunghe gambe dei pantaloni fino alle ginocchia e affondarono i piedi nella sabbia fredda della sera. La luna piena illuminava il loro percorso verso la spiaggia riservata alle tartarughe e il suono del mare che in piccole onde si allungava sulla riva, li accompagnò fino alla meta, coprendo il brusio lontano della gente che ancora restava in paese.

Raggiunsero le corde che delimitavano l’inizio della zona protetta e vi passarono attraverso. Nulla si muoveva nei nidi e la sabbia tutta intorno risultava intatta, segno che nessuna nascita improvvisa e nessuna deposizione notturna era avvenuta fino a quel momento.

“Almeno non abbiamo perso niente” sussurrò Roberto.

Si spostarono un po’ più giù verso riva e si distesero sulla sabbia. Le stelle risplendevano nel cielo scuro sopra di loro, leggermente smorzate dalla più imponente luminosità della luna piena. Stefano iniziò ad elencare i nomi di quei puntini brillanti e a collegarli tra di loro, dando forma a diverse costellazioni. Si conoscevano da una vita e non c’era stato giorno nel quale non fossero stati legati da amicizia, ma Roberto ancora non riusciva ad apprezzare pienamente quella determinata passione del suo amico. Stefano era un compagno d’avventure perfetto, sempre interessato a tutto ciò che gli raccontava, poneva le giuste domande e non si tirava mai indietro quando gli proponeva di effettuare qualche escursione un po’ più pericolosa, eppure non riversava il suo totale interesse nelle sue stesse passioni. Mentre lui era un appassionato di tutto ciò che stesse in basso, Stefano sembrava particolarmente attratto da tutto ciò che stava in alto, dal cielo notturno a quello del mattino e a tutti gli eventi atmosferici che vi passavano attraverso. Ne comprendeva l’attrazione ma non la condivideva. Questo però non creava alcun ostacolo al piacere della sua compagnia.

“E quella è la costellazione dell’Orsa maggiore” concluse Stefano, indicando con un dito un punto del cielo.

Rimasero in silenzio per un po’, assopendosi con il lento suono delle onde che rilassava i sensi dopo quella faticosa giornata. Stavano quasi per addormentarsi al fresco della spiaggia, quando Roberto sentì dei lenti fruscii provenire da poco lontano. Con uno scatto si rivoltò sulla pancia e puntò lo sguardo verso i nidi: una piccola ombra nera si spingeva goffamente nella sabbia, cercando di avanzare in linea retta verso il mare. Un’altra figura altrettanto scura si muoveva più avanti, agitandosi più del dovuto.

Si stavano schiudendo le uova.

Roberto si avvicinò carponi, nelle orecchie il battere nel proprio cuore copriva ogni altro rumore e solo come se fosse lontano chilometri e chilometri, percepì Stefano raggiungerlo e sistemarsi al suo fianco.

Sotto la struttura artificiale di legno a protezione del nido, si intravedevano altri movimenti camuffati dall’oscurità. Un’altra tartarughina dalle pinne movimentate scivolò lungo una collinetta di sabbia, capovolgendosi più e più volte fino ad atterrare in posizione dritta con un trionfale balzo. In poco tempo quel tratto di spiaggia si riempì di tante piccole tartarughe che con movimenti impacciati cercavano di raggiungere i riflessi lunari che risplendevano sulle calme acqua del mare. Era uno spettacolo emozionante, da togliere il fiato. Quegli esseri così piccoli che lasciavano il riparo sicuro del proprio nido per avventurarsi nella vastità del mare, alla ricerca di cibo e di acque calde. Chissà fin dove si sarebbero spinte, chissà che avventure avrebbero vissuto.

E mentre la luna illuminava le orme dell’ultima tartaruga che lentamente scivolava in un’onda, Roberto comprese che nulla al mondo avrebbe mai potuto eguagliare quel momento e che non avrebbe mai amato nient’altro più di quanto amasse quella magia che era la natura.

 

Piccola nota esplicativa: il titolo di questa storia si riferisce ai passi delle piccole tartarughe nella sabbia ma anche al percorso circolare che costruì Charles Darwin sul retro della propria abitazione per passeggiare tra ombra e zone assolate, pensando alla natura e alle proprie teorie e che chiamò proprio Sand Walk.

Spero vi sia piaciuta tanto quanto è piaciuto a me scriverla! :)

Nunki

   
 
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