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Autore: TheOnlyWay    04/02/2013    12 recensioni
«Ora possiamo parlare?»
«Lo sai, vero, che non puoi saltarmi addosso ogni volta che non voglio ascoltarti?»
«Mi diverto con poco, che vuoi che ti dica? E poi saltarti addosso non mi dispiace.»
Sei arrabbiata con lui, ricordatelo, si ripeté June mentalmente. Eppure, per quanto avrebbe voluto prendere Harry a schiaffi e urlargli di andare al diavolo, non riuscì a non sorridere debolmente.
«Comincio a pensare che tu abbia qualche problema con la coerenza, Harry. Sbaglio o poco fa hai detto che non c’era niente di cui parlare?» gli ricordò, un po’ mestamente.
Harry alzò gli occhi al cielo e le liberò i polsi. Tuttavia, non accennò ad alzarsi.
«Mi fai così incazzare, June, che non ne hai idea.»
«Io? Oh, questa è bella.»
«Ci sto provando, okay?» Harry sbuffò, poi si lasciò cadere di lato e si mise a pancia in su. Fissava il soffitto, ma con la mente era altrove.
June lo osservò per un attimo, cercando di capire cosa gli stesse passando per la testa. Non che fosse facile, perché Harry aveva una mentalità particolarmente contorta, oltre che una testa bacata.
«Voglio che tu ti fidi di me.»
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Chapter 2.

 




La mattina dopo, June si svegliò sperando che il giorno prima fosse stato solamente un incubo. Molto vivo, certo, ma pur sempre un sogno.
La realtà le precipitò addosso non appena mise piede in salotto: suo padre era tutto intento a montare un numero imprecisato di grandi scatoloni da imballaggio. Sul tavolo, June notò due pennarelli indelebili. Era tutto vero, allora. Se ne stavano andando. Si adombrò parecchio e rispose al saluto di Sam con un mugugno incomprensibile. Sam la lasciò perdere, sapendo che a June occorreva sempre un po’ di tempo per metabolizzare le novità. Soprattutto quelle grosse come un trasferimento.
«Come ti è sembrato, Louis?» le chiese, mentre le versava nella tazza una quantità spropositata di caffè appena fatto.
June fece spallucce. Come le era sembrato? Niente male, se doveva essere sincera. Louis era simpatico, gentile e carino e probabilmente non le avrebbe creato nessun problema. E poi le aveva preso la mano, inconsapevole di essere a rischio di amputazione. Quindi era anche coraggioso.
«Normale.» rispose, secca. Non aveva tanta voglia di parlare, quella mattina. Soprattutto con suo padre, che la stava costringendo a fare una cosa che non le andava particolarmente.
Sapeva che era sbagliato prendersela con lui, ma dopotutto aveva appena diciotto anni ed aveva sempre vissuto con la convinzione che tutto sarebbe rimasto stabile: sarebbero sempre stati lei e papà, soli contro il mondo. Al tempo stesso era consapevole che il suo egoismo non era affatto salutare, né per lei, né per Sam. Che senso aveva costringerlo a stare da solo? Quando lei fosse stata più grande, sarebbe andata via di casa per vivere la sua vita, e suo padre sarebbe rimasto solo, senza nessuno. Quindi perché impedirgli di essere felice?
«Posso chiamare un attimo Jay? Voglio chiederle una cosa.» disse, mentre voltava le spalle al padre e iniziava a lavare le tazze usate per la colazione.
«Certo. Prendi pure il mio telefono.» mormorò Sam, a metà tra il sorpreso e il preoccupato. June si affrettò a tranquillizzarlo.
«Tranquillo, pà. Nessuna scenata.»
Sam sembrò parecchio sollevato, così lasciò il telefono sul tavolo, e tornò in cucina, chiudendosi la porta alle spalle. June asciugò le mani con lo strofinaccio, poi afferrò il telefono e cercò il numero di Jay nella rubrica.
«Pronto?» ci mise un po’, prima di ricollegare la voce che aveva risposto a quella di Louis.
«Louis? Ciao, sono June.» disse, un po’ nervosa. Louis, dall’altro capo del telefono, appariva perfettamente tranquillo.
«Be’, si, a meno che tuo padre non abbia una voce da femmina, direi che c’ero arrivato anche io.» June si concesse una risatina divertita: era simpatico, Louis.
«Che genio. Dì un po’, Jay è lì? Volevo chiederle una cosa.»
«Stà preparando la tua stanza. Aspetta un momento, vado a portarle il telefono.» June annuì, mentre Louis saliva le scale canticchiando una canzone che lei non aveva mai sentito. Aveva una bella voce, piacevole da ascoltare ed era anche intonato.
«Mi hai messo in attesa, per caso?» domandò, incapace di trattenersi. Non capiva perché le venisse spontaneo parlare con lui, come se davvero lo conoscesse da più di qualche ora. E dire che, normalmente, faticava parecchio a prendere confidenza.
Louis ridacchiò. «Scherzi? Questo è un concerto, June. La musica d’attesa è così noiosa.»
«Sei bravo, comunque.» si complimentò, sincera.
«Lo dicono anche le mie fan.»
«Wow, modesto.»
Risero insieme, poi June sentì Louis dire qualcosa e in un momento la sua voce fu sostituita da quella più delicata di Jay, decisamente stupefatta.
«June? Và tutto bene?» le chiese, suo malgrado preoccupata.
«Si. Avevo bisogno di chiederti una cosa, Jay.»
«Dimmi pure.»
«Ecco…» June tentennò un po’, prima di prendere un respiro profondo e parlare tutto d’un fiato. «Per te è un problema se porto tutti i libri di mamma? È che ci sono molto affezionata e…» farfugliò, mentre gli occhi le si facevano lucidi e la consapevolezza che stava davvero lasciando casa sua si faceva strada in maniera quasi dolorosa.
«Non devi neanche chiederlo, tesoro. Anzi, ora ti mando Louis, così ti aiuta a trasportare gli scatoloni. Va bene?» propose Jay, un po’ commossa. Aveva dato per scontato – sbagliando – che June avrebbe portato quello che voleva, senza preoccuparsi di niente e di nessuno. Lei si sarebbe comportata così, nella sua situazione. Ed era stupefacente il modo in cui quella ragazzina stesse accogliendo l’evolversi della situazione.
Guardò suo figlio, che aveva aspettato la fine della telefonata sulla soglia della camera. Era appoggiato allo stipite della porta, con le braccia incrociate ed un’espressione serena.
«Vado.» disse, tranquillo, prima di lasciare un bacio sulla guancia di Jay.
Nel frattempo, June aveva detto a suo padre che si chiudeva nello studio ad inscatolare i libri e le cose della mamma. Sam aveva annuito, un po’ mesto, ma non le aveva detto niente. Dopotutto, era giusto che June portasse con sé le cose di Elizabeth: andare avanti non significava dimenticare ciò che era stato prima.
Louis parcheggiò nel vialetto di casa Goodman un quarto d’ora dopo. Salutò velocemente Sam, poi, sotto sua indicazione, raggiunse lo studio e bussò alla porta.
June aprì e sorrise debolmente. Louis si sporse per lasciarle un bacio sulla guancia, entrò e chiuse di nuovo la porta.
«Dimmi che devo fare.» si rimboccò le maniche e attese che June gli dicesse da dove cominciare.
June non si sentiva propriamente lucida: tutto ciò a cui riusciva a pensare era che stava completamente sradicando tutta la fatica di Elizabeth. Lei non se lo ricordava, ma suo padre le raccontava spesso, quando era piccola, di quanto amore Elizabeth ci avesse messo per organizzare quella piccola libreria. Ed ora lei stava distruggendo tutto.
Non era sua intenzione scoppiare a piangere, soprattutto davanti a Louis, ma non riuscì a trattenersi. Si sentiva un mostro.
«È che va tutto così in fretta.» singhiozzò, cercando di giustificare quell’attacco di pianto apparentemente incomprensibile. Era vero, però: due giorni prima aveva la certezza di una casa e di una vita monotona, ma rassicurante. Ora, invece, non sapeva più niente.
Louis ci mise poco, a capire quale fosse il vero problema. Perciò si limitò ad avvicinarsi a June e ad abbracciarla con delicatezza. Gli sembrava così fragile, quella ragazza con i capelli di fiamma. Le passò una mano sulla schiena, gentile, e attese che il peggio passasse. Non ci volle molto, in fin dei conti. June non amava mostrarsi debole. Era capitato in quel momento, probabilmente non sarebbe successo più.
«Scusa, ora mi passa.» disse, strofinando i pugni sotto gli occhi e rimuovendo ogni traccia di lacrime. Prese un respiro profondo e rilassò le spalle: andava decisamente meglio. Louis si separò da lei con tranquillità, senza dire nemmeno una parola. In parte la capiva: non era semplice nemmeno per lui accettare lo svolgersi delle cose, ma c’era qualche differenza tra le loro situazioni: suo padre se n’era andato parecchi anni prima, ed ora viveva in Svizzera insieme ad una donna che lui non aveva mai visto, mentre la madre di June era morta. Lui aveva ancora la sua casa, le sue cose e fondamentalmente non sarebbe cambiato nulla, nella sua vita. Per June, era tutto nuovo.
«Sai, dovrebbe starci questa libreria, nella camera. Possiamo portarla, se ti và.» propose, osservando con attenzione il mobile. Era semplice, in legno chiaro ed era evidente che chi l’avesse comprato ne avesse avuto una gran cura. Non c’era nemmeno un filo di polvere e Louis sospettava che June ci passasse un bel po’ di tempo, in quella stanza.
«Dici davvero?»
«Certo. Dai, iniziamo a togliere i libri, poi pensiamo a come trasportare il mobile.»
June lo guardò, senza nemmeno riuscire ad esprimere tutta la gratitudine che provava in quel momento.
«Ma perché non ci hanno fatto conoscere prima?» borbottò, quasi commossa. E, incredibilmente, lo pensava sul serio. Louis le piaceva davvero. Conoscendolo, aveva provato più o meno la stessa sensazione di quando si era scontrata con Niall per la prima volta.
 
Erano in un bar in centro a Doncaster ed entrambi volevano la stessa brioche. Niall era in coda prima di lei e aveva sentito chiaramente il suo sbuffo quando aveva ordinato l’ultima pasta alla crema. June l’aveva osservato sedersi al tavolo, con un sorriso soddisfatto e una tazza di cioccolata grande come un vaso da notte. Aveva ordinato il suo caffè, un po’ seccata, continuando a rivolgere occhiatacce risentite al maledetto biondino che le aveva soffiato la brioche.
«Ehi!» June non sapeva perché, ma sentiva che quell’ehi era rivolto a lei. Così si era girata e il biondino aveva sventolato la mano, facendole cenno di avvicinarsi.
L’aveva raggiunto, cauta, reggendo tra le mani il piattino e la tazzina col caffè. Lui aveva continuato a sorridere, con gli occhi azzurri  scintillanti di divertimento e, forse, di simpatia.
«Dividiamo?» le aveva chiesto, indicando la brioche con la punta del dito. June aveva spalancato gli occhi, incredula. Si era ritrovata ad annuire e, qualche minuto dopo, lei e Niall erano diventati amici. Erano trascorsi quasi due anni, da quel giorno, e June aveva finalmente trovato qualcuno che si interessasse a lei sul serio, qualcuno che c’era sempre quando aveva bisogno, anche solo per una passeggiata, o per fare la spesa. E non le importava, che Niall mangiasse come un maiale. Lo adorava.
 
«Non lo so.» ridacchiò Louis, scompigliandole la frangetta con affetto. Aveva quasi dell’incredibile la simpatia che quella ragazza gli suscitava. E poi, sotto quella scorza da dura, era sicuro che aveva un cuore tenero. E gliel’aveva appena dimostrato piangendo davanti a lui senza alcuna vergogna.
Si rigirò tra le mani una raccolta di poesie, e la ripose con cura nel primo scatolone. Guardandoli, anche lui capiva quanto quei libri fossero importanti: c’erano cartoline, segnalibri, foto, segni che Elizabeth c’era stata e che aveva amato profondamente sia la figlia che il marito.
June cercava di trattenere le lacrime, mentre avvolgeva con attenzione il libro preferito di sua madre, Sogno di una notte di mezza estate, in un panno azzurro, per evitare che si rovinasse durante il trasporto. Louis la osservò con la coda dell’occhio, continuando a togliere i libri dagli scaffali. Ce n’erano quasi un’infinità.
Rimasero in silenzio per una decina di minuti, poi qualcuno bussò alla porta, con delicatezza. June era più che convinta che si trattasse di suo padre, perciò rimase assolutamente basita, quando Niall fece capolino dalla porta, con un sorriso sereno stampato in volto.
«Niall!» si precipitò tra le braccia dell’amico, che rise e la strinse forte, prima di accorgersi di Louis, che si era appoggiato alla scrivania con un sorriso tranquillo. June godette a pieno dell’abbraccio di Niall, nonostante l’avesse visto il giorno prima. Con tutte le cose che le stavano succedendo, sembrava passato molto più tempo.
«Stai bene, June?» Niall poteva pure sembrare un ingenuo, ma certo non gli erano sfuggiti gli occhi rossi dell’amica, né tantomeno il trucco colato. E poi, se anche non ci fosse stato quello, la sua espressione era più che comprensibile, non ci voleva certo un genio per capire che il suo umore era decisamente a terra.
«Si, credo.» mormorò June, rivolgendo un breve sorriso sia a Louis che a Niall.
«Lui è Louis, il figlio di Jay. Mi sta aiutando con gli scatoloni.» spiegò poi, notando che i due ragazzi si squadravano con aria piuttosto curiosa.
«Tomlinson?» chiese improvvisamente Niall, con la testa inclinata da un lato e un espressione che vagava a metà tra l’incredulo e il sospettoso.
Louis annuì, mentre sul suo volto si apriva un sorriso divertito. «Abiti in fondo alla mia stessa strada.» rise.
«Ecco perché ti avevo già visto! Ehi, June! Siamo quasi vicini di casa!» esclamò Niall, stringendola di nuovo in un abbraccio decisamente entusiasta.
June annuì, frastornata, confusa, e suo malgrado felice. Sapere di avere Niall a distanza di pochi passi la faceva sentire decisamente più tranquilla.
«Un momento…» mormorò, subito dopo. Si affacciò alla porta.
«Papà!» urlo, facendo accorrere Sam, che sembrava parecchio allarmato. «Cos’è successo? Stai bene?» chiese, preoccupato.
«Tu sapevi che Louis e Niall abitavano vicini e non me l’hai mai detto?» lo accusò June, portando le mani sui fianchi, con aria minacciosa. Sam deglutì, poi guardò i due ragazzi, in cerca di aiuto.
«Volevamo farti una sorpresa.» ridacchiò Niall, prima di tirarle un leggero pugno sulla spalla. June si voltò, e gli rivolse uno sguardo a metà tra il furioso e il divertito. Niall scoppiò a ridere, per niente intimorito e fin troppo abituato alle occhiatacce di June per restarne colpito.
«Che sorpresa del cazzo.» sbuffò, senza nemmeno rendersi conto che esattamente trenta secondi prima Niall aveva riconosciuto Louis con un po’ di difficoltà.
Sam sorrise, prima di congedarsi e lasciare i ragazzi da soli, alle prese con i libri.
June alzò gli occhi al cielo, per poi ricominciare a inscatolare. Niall e Louis si misero ad aiutarla, in completo silenzio. Entrambi le lanciavano qualche occhiata di tanto in tanto, forse preoccupati che da un momento all’altro June potesse scoppiare a piangere una seconda volta. Ma non sarebbe successo più, si ripromise June: niente pianti.
«Quindi già vi conoscete?» chiese, poco dopo, mentre chiudeva l’ultimo scatolone con una lunga striscia di nastro adesivo. Afferrò l’indelebile e scrisse “libri mamma” con una calligrafia tonda e perfettamente leggibile.
«Di vista. Non ci siamo mai frequentati.» rispose Niall, sollevando il primo scatolone e appoggiandolo sulla scrivania.
 «Forse da piccolo sei venuto ad una mia festa di compleanno.» ricordò Louis, passandosi una mano sotto il mento con aria pensierosa. Niall fece lo stesso, probabilmente cercando di ricordare.
«È vero! Mamma mi aveva costretto ad andarci, mi sembra. Sono andato via dopo mezz’ora…»
«E io mi sono offeso da morire. Poi non ti ho più invitato.»
June interruppe il loro racconto con una risata divertita: era esilarante sentirli parlare, facevano davvero tenerezza. Vent’anni l’uno, diciotto l’altro, e ancora parlavano come bambini dell’asilo.
«Che ne dite di fare merenda?» propose, uscendo dallo studio e dirigendosi verso la cucina.
«Mi hai letto nel pensiero. Sto morendo di fame.» si lamentò Niall, seguendola un istante dopo.
«E quando mai.» borbottò, senza riuscire a trattenere un sorriso.
«Guarda che ti sento!»    
«Non volevo mica tenerlo per me.»
«Sei davvero antipatica.»
«E tu sei un ingordo.»
«Mi stai offendendo, sappilo.»
«Dico solo la verità! Mangi sempre!» lo accusò June, ridendo divertita.
Si sedettero tutti insieme al tavolo della cucina, con un pacco gigante di patatine e uno di biscotti. Niall e Louis si buttarono senza indugi sulle patatine, contendendosi quella più grossa – proprio come due bambini – mentre June si limitò a sgranocchiare un paio di biscotti.
Si sentiva molto più tranquilla, rispetto a quella mattina: Louis aveva promesso che avrebbe portato anche la libreria e Niall era il suo nuovo vicino di casa.
Forse era il caso di smetterla di pensare negativo; non era detto che le cose dovessero andare male a tutti i costi. Perciò sorrise serenamente a Sam, che si era affacciato per controllare. Voleva fargli capire che andava tutto bene.  
 
 
 
 
***
 

 
 
Ciao, fanciulle!
Oggi non ho molto da dire, visto che vado parecchio di fretta. Stavo anche per dimenticarmi di aggiornare, ma ora che ho cinque minuti lo faccio.
Mi amate, vero?
Comunque niente, spero che il capitolo vi sia piaciuto e vi ringrazio per le recensioni al capitolo precedente!
Vi adoro.
 
P.s. Se voleste essere avvisate ogni volta che aggiorno, ditemelo pure qui, o su Twitter. Sono @FTheOnlyWay
   
 
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