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Autore: Nihal    04/02/2013    0 recensioni
[Shiritsu Bakaleya Koukou]
«Ragazzi non è che potreste fare silenzio?» li sgridò, cercando di immettere un po’ di autorità nella voce. Cosa che non gli riuscì molto bene, tra l’altro, ma nessuno avrebbe potuto biasimarlo. Il più debole dei ragazzi di fronte a lui avrebbe potuto stenderlo senza problemi e non gli sembrava il caso di terminare la sua giovinezza ammazzato di botte da uno dei suoi allievi.
«Sì, ha ragione il professore, state zitti, stiamo ascoltando la storia di Noguchi!» gli fece eco Tatsuya.
Il professore sospirò e torno alle sue equazioni. Non era proprio quello che voleva dire lui, ma non si poteva avere tutto dalla vita, giusto?
«Ok, continua!» concesse Tatsuya, una volta ristabilito il silenzio.
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Baka(da?)
The student and the cat



Sebbene dall’arrivo delle ragazze della Cattleya Gakuen i rappresentanti maschili – ovvero tutti – della Bakada avessero iniziato a civilizzarsi, il livello sonoro raggiunto dalla classe tipo della suddetta scuola era pari – per non dire superiore – a quello raggiunto da un aeroporto nelle sue ore di punta. Insomma, nel palazzo di fronte si sentivano chiaramente gli insulti e non che i civilizzati studenti si lanciavano senza dover neanche prestare una particolare attenzione.
Forse era per quello che quando Satoshi Noguchi aprì la porta con foga e fece il suo ingresso trionfale nell’aula nessuno si accorse di lui all’inizio. Il lato femminile della classe non gli avrebbe prestato attenzione a prescindere e quello maschile era intento a discutere se e come ammazzare di botte quelli della Kuroda che avevano osato ridere di Shohei san chiamandolo codardo. Imperdonabile. Era pur vero che ogniqualvolta ci fosse una rissa – spesso ad onor del vero – il suddetto ragazzo era sempre presto da stimoli fisiologici impellenti, ma era pur sempre un membro della loro scuola e non avrebbero lasciato correre gli insulti. Ne andava del loro onore.
C’era però da dire che quando si parlava di risse la loro attenzione veniva catturata facilmente, così il viso ricoperto di graffi di Noguchi non aveva impiegato molto a diventare l’argomento centrale della mattinata.
«Ehi, Noguchi, cos’hai fatto alla faccia? Hai fatto a botte?»
«Come, ti prendi tutto il divertimento senza invitarci nella mischia?»
«Tra poco non ti si vede neanche più la faccia!»
«Non che senza graffi sia tanto meglio per carità!»
Ovviamente i commenti simpatici non mancavano mai.
Noguchi annuì con fare compunto, ignorando l’ultima asserzione. Quella mattinata già era iniziata male, nel senso che si era dovuto svegliare prima di mezzogiorno, e poi era finita anche peggio quando prima di arrivare a scuola si era trovato invischiato in una discussione che lo aveva visto soccombere dopo i primi cinque minuti. Tutto solo contro il pericolo, senza poter chiamare nessuno, aveva cercato di farsi valere, ma si sa che contro certi nemici la sconfitta è assicurata. Comunque non poteva far sapere ai suoi compagni ciò che era successo, quindi la strategia migliore per il momento era di assecondare tutte le loro ipotesi, sperando che non fossero contrastanti tra di loro. Dopotutto una specie di rissa c’era stata, il resto era poco importante.
«Non immaginate cosa mi è successo!» iniziò con teatralità, immergendosi nel ruolo.
Suo malgrado anche la componente femminile si voltò verso il ragazzo che ora era al centro della classe, con gli occhi di tutti puntati addosso.
L’unica a continuare a seguire la lezione era Fumie. Perché, sì, il professore era dentro la classe, da molto prima che Noguchi entrasse e attirasse l’attenzione generale, ma quello era un dettaglio di poco conto. Tanto la metà di loro – sì, sempre quella maschile – non avrebbe capito niente comunque, quindi tanto valeva fare qualcosa di costruttivo.
«Dai, racconta!» «Cosa?» Ai cori di richieste Noguchi riprese a parlare, tentando di tirare fuori qualcosa di convincente. Bisognava solo modificare un po’ i fatti reali, tutto lì.
«L’ho incontrato a metà strada tra casa mia e la scuola. Io mi stavo facendo i fatti miei, eh. Non che rifiuti una bella rissa quando ne vedo l’occasione, ma ci deve essere un motivo e io sono una persona nobile…»
«Datti una mossa!» sbottò Maya, abituato alla prolissità dell’amico.
«Sì, insomma, io l’ho chiamato così per salutarlo» continuò.
«Ma lo conoscevi?»
«Ti sei fatto pestare da un tuo amico?» lo interruppero.
Il professor Nakagawa, che fino a quel momento aveva fatto finta di niente, decise di intervenire.
«Ragazzi non è che potreste fare silenzio?» li sgridò, cercando di immettere un po’ di autorità nella voce. Cosa che non gli riuscì molto bene, tra l’altro, ma nessuno avrebbe potuto biasimarlo. Il più debole dei ragazzi di fronte a lui avrebbe potuto stenderlo senza problemi e non gli sembrava il caso di terminare la sua giovinezza ammazzato di botte da uno dei suoi allievi.
«Sì, ha ragione il professore, state zitti, stiamo ascoltando la storia di Noguchi!» gli fece eco Tatsuya.
Il professore sospirò e torno alle sue equazioni. Non era proprio quello che voleva dire lui, ma non si poteva avere tutto dalla vita, giusto?
«Ok, continua!» concesse Tatsuya, una volta ristabilito il silenzio.
«Comunque» riprese «dopo che l’ho chiamato quello mi è saltato addosso e abbiamo iniziato a scazzottarci! In realtà non è che sia stato proprio lui a ridurmi così, è che mentre cercavo di portarmelo a scuola sono inciampato in una lattina e…»
Il silenzio instaurato da Tatsuya si ruppe proprio a causa di quest’ultimo che si era stupito dalla piega che aveva preso la conversazione. Per riassumere il tutto: Noguchi si era scazzottato con qualcuno, aveva avuto la meglio ma era inciampato in una lattina o più probabilmente nella sua idiozia e aveva rapito il suo aggressore portandoselo a scuola. Una giornata interessante, non c’era che dire.
«Lo hai portato qui?» Tatsuya e il professor Nakagawa parlarono all’unisono, anche se il tono del primo sembrava più che altro divertito, mentre quello del secondo era venato di isteria non repressa molto bene. Noguchi sbiancò. Quello non doveva dirlo. Ecco, lui lo sapeva che non era il suo forte inventarsi le cose. Forse avrebbe dovuto direttamente evitare di presentarsi a scuola, così avrebbe evitato di dover dare delle spiegazioni.
«Lo hai portato qui?» la voce calma di Fumie fece eco a quella degli altri due, ma per qualche strano motivo il suo tono neutro fece correre un brivido su per la schiena di Tatsuya. E anche del professore che ora oltre ad aver paura dei suoi allievi iniziava a provare un remoto terrore anche nei confronti della loro controparte femminile.
«Ovvio!» sbottò infine Noguchi. Cos’altro avrebbe potuto fare dopotutto?
«… che non lo ha fatto» terminò Tetsuya, con un’occhiata più che eloquente al compagno che sembrò non cogliere la nota di avvertimento.
«Massì che l’ho portato! L’ho chiuso nella nostra stanz…» iniziò, mandando alle ortiche il buon proposito di non farsi scoprire. Tanto alla fine non era nulla di così importante, si disse.
«Noguchi, tu non lo hai fatto, chiaro?»
A quel punto si intromise Fumie, che ormai aveva preso il posto del professore che era uscito dalla classe biascicando un “vado a dare le mie dimissioni, dovevo ascoltare i miei genitori quando mi avevano detto di fare l’uomo d’ufficio. Forse manderò il mio curriculum all’asilo. Lì nessuno mi farà del male!”.
A quel punto un po’ per le occhiate di Tetsuya, un po’ per la ritirata strategica del professore, un po’ perché forse l’idiozia non l’aveva pervaso del tutto, Noguchi si rese conto che dire di averlo portato con sé e averlo rinchiuso nel loro rifugio forse non era il massimo dell’intelligenza. Soprattutto pensando a cosa stessero immaginando i suoi compagni dopo la sua storia.

«Adesso lo sistemiamo noi questo tizio!»
Tetsuya, nel tentativo di salvare il salvabile aveva trascinato Noguchi fuori dalla classe, sotto gli occhi sconvolti di Fumie e delle altre ragazze. Poi non aveva capito bene come avevano finito per dirigersi nel loro nascondiglio né perché Tatsuya si fosse accodato a loro con l’intento di fare a botte con il loro ostaggio.
Tetsuya rabbrividì impercettibilmente. Certe volte quei ragazzi non conoscevano il limite fino al quale era lecito arrivare.
«Tatsuya, davvero, non mi sembra il caso. Mandiamolo via e basta prima che la cosa si ingrandisca ulteriormente» bisbigliò Tetsuya, nel tentativo di riportare l’amico alla ragione. Non sapeva neanche perché stava bisbigliando, ma l’atmosfera complottista con cui erano sgusciati fuori dalla classe sembrava essersi impossessata di lui.
«Ma guarda come ha ridotto Noguchi! Sembra che gli sia saltato addosso un animale! Dobbiamo vendicarlo» sentenziò l’interpellato, con tanto di sopracciglio sollevato. Tetsuya non ebbe il coraggio di replicare.
Dietro di loro Noguchi ridacchiò per qualche imprecisato motivo, ma adesso c’erano cose ben più importanti del presunto trauma cranico che probabilmente aveva rimbambito ulteriormente il loro imbecille amico.
Attraversarono il cortile in pochi secondi per poi dirigersi nel loro luogo di ritrovo, ora adibito a prigione temporanea a quanto pareva.
«Ragazzi, ora che aprite la porta state attenti, potrebbe saltarvi addosso!» ridacchiò Noguchi cercando di fare dell'umorismo e tenendosi comunque ben distante dall’uscio.
«Sì può sapere con chi cavolo hai fatto a botte?» domandò Tatsuya con fare disinvolto.
«Aspetta e vedrai» fece Noguchi con un pessimo tentativo di fare il misterioso.
Tetsuya cercò di mantenere la sua espressione neutra. I commenti di Noguchi, uniti ai rumori che si sentivano ad intervalli alterni dall’altro lato erano tutto tranne che rassicuranti.
«Uno della Kuroda?» Tatsuya non sembrava per nulla intimorito dai rumorini sinistri che fuoriuscivano dalla porta.
«No.»
Ad un certo punto a Tetsuya era sembrato che qualcuno avesse vomitato sul pavimento.
«Uno della Shirokada?»
Adesso sentiva inquietanti graffi contro la porta. L’avversario di Noguchi si stava scarnificando le mani nel tentativo di fuggire?
«No.»
«Uno della Kuroda?»
«No!»
«Sicuro che non sia uno della Kuroda? Sai avremmo un conto in sospeso con loro…»
A quel punto Tatsuya fece per aprire la porta con la sua solita sicurezza, ma non appena infilò la chiave nella toppa un lamento prolungato gli fece fare un salto indietro.
«Noguchi, esattamente cosa c’è lì dentro?» domandò, tentando di mantenere il suo tono disinvolto.
«Il mio avversario!» commentò lui con leggerezza, ma senza accennare ad avvicinarsi.
«Beh… se è il tuo avversario allora tocca a te entrare dentro no? È scritto nel codice d’onore della Bakada!» Tatsuya sembrava aver perso tutta la sua baldanzosità, soprattutto dopo il secondo lamento.
«Non esiste una roba del genere!» ribatté di rimandò Noguchi, facendo cenno a Tatsuya di procedere dalla sua posizione sicura a ben due metri dalla porta.
«Tetsuya, vuoi fare tu gli onori di casa?»
«No, grazie.»
«Puah. Conigli. Bene allora entro io.»
«D’accordo.»
Tatsuya non accennava a muoversi.
«Sto per aprire la porta!»
Con lentezza esasperante Tatsuya girò la chiave nella toppa e poi abbassò la maniglia, per poi mettersi subito in posizione di combattimento in modo da neutralizzare il nemico nel momento in cui l’avesse attaccato.
Tetsuya si disse che i rumori che provenivano dalla porta sembravano più quelli di un procione morente che quelli di un assassino pronto ad ucciderli tutti, ma non poteva negare di aver fatto un passo indietro lui stesso, quindi non disse niente.
Quando si resero conto che sebbene la porta fosse aperta nessuno si era ancora buttato su di loro pronto ad ucciderli si avvicinarono di qualche passo.
Tatsuya sporse la testa all’interno della stanza, per poi ritirarla con un’espressione interrogativa.
«Qui dentro non c’è niente» affermò, a metà tra il deluso e il sollevato.
«Ma l’hai davvero rinchiuso qui?»
Noguchi annuì e fece segno a Tatsuya e Tetsuya di guardare sotto il tavolo.
I due puntarono lo sguardo nella direzione indicata, per poi trovarsi di fronte il tanto temuto aggressore.
«Nya!»
Un gatto rosso grande più o meno come i tre ragazzi messi insieme li occhieggiava con sguardo ostile da sotto il tavolo, il pelo rizzato pronto a saltargli addosso.
«Il tuo avversario era un gatto.» Quella di Tetsuya non era neanche un a domanda.
Era troppo sbalordito dall’idiozia del compagno per potersi esprimere ulteriormente. Ma la cosa non era finita lì. No, perché anche Tatsuya, che di solito sembrava comportarsi con una parvenza di logica, sembrava aver perso la testa.
«Un gattino!» disse, avvicinandosi a quello che era un gattino così come Tetsuya era l’imperatore del Giappone.
«Tatsuya, quello al massimo è trenta gattini messi insieme» tentò di riportarlo alla ragione Tetsuya.
Ma l’idiozia dilagava. Tatsuya si avvicinò al gattino che percepito il pericolo si ritirò ancora di più nel suo nascondiglio – il tavolo – e iniziò a soffiare con fare minaccioso.
«Guardate, inarca le sopracciglia come me!» fece Tatsuya cercando di avvicinarlo.
«I gatti non hanno le sopracciglia.»
Ma ormai Tastuya non lo ascoltava più. Si era praticamente steso sotto il tavolino, intento a grattare le orecchie al gatto che stranamente sembrava apprezzare le attenzioni dell’amico. Evidentemente l’unico verso cui aveva riversato il suo odio era stato Noguchi, che in quel momento era appoggiato allo stipite della porta con un’espressione che forse doveva sembrare innocente.
«Noguchi, perché ti sei portato qui il gatto?» chiese Tetsuya, che ormai si era rassegnato a dover essere il sano di mente della situazione.
«Mi dispiaceva lasciarlo lì per strada» si giustificò lui.
Tetsuya intuì che doveva esserci qualcosa sotto, ma non riusciva a capire cosa. Stentava a credere che a Noguchi fosse dispiaciuto per il felino che gli aveva graffiato mezza faccia e non solo.
«Non potevi portartelo a casa?» chiese, cercando di non guardare la degradante scena in cui Tatsuya rispondeva al miagolio del gatto. E poi lui doveva essere lo studente più terrificante dell’intero vicinato? Sperò con tutto il cuore che nessuno della Shirokada irrompesse nel loro ritrovo proprio in quel momento com’era successo solo pochi giorni prima.
«Mia madre è allergica» spiegò lui candidamente.
Noguchi nascondeva qualcosa, era chiaro. A lui gli animali non piacevano neanche. Quando Maya gli aveva chiesto se poteva tenergli il suo, di gatto, lui non ci aveva messo neanche mezzo secondo a rifiutare adducendo come causa il fatto che non sopportasse quei cosi pelosi. Insomma, non era affatto il tipo da provare pena per un gatto randagio. Senza contare che il gatto a cui in quel momento Tatsuya stava facendo il solletico sotto la pancia sembrava tutto tranne che randagio. Probabilmente il suo grasso gli avrebbe concesso un autonomia di circa vent’anni senza nutrirsi in caso di fine del mondo.
«Ma non possiamo tenerlo qui» continuò Tetsuya, con un tono il più logico possibile.
Davvero non gli sembrava il caso di trasformare il loro covo in un rifugio per grassi gatti randagi. Soprattutto vedendo l’effetto che questi felini sembravano sortire sull’amico.
«Non preoccuparti, oggi pomeriggio lo porto via!» affermò, forse un po’ troppo velocemente, ma poiché il problema a quel punto sembrava risolto Tetsuya decise di non indagare oltre.
Quell’episodio sarebbe stato sepolto nel dimenticatoio e lui avrebbe fatto in modo che Tatsuya non si trovasse mai più vicino ad un gatto se nel raggio di qualche chilometro fosse stato possibile trovare qualcuno dei loro avversari.
In quel momento Tatsuya uscì da sotto il tavolino e si portò vicino a loro due, cercando di ricomporsi. Il gatto guardò Tetsuya e Noguchi con astio, come se gli avessero rubato il suo nuovo migliore amico.
«Io direi che potremmo anche andarcene» propose Tetsuya.
Ovviamente nessuno gli prestò attenzione. Quando si parlava di tornare a lezione l’attenzione generale veniva sempre meno.
«Comunque, se nessuno può prenderlo, posso portarlo a casa mia, il gatto» iniziò Tatsuya con nonchalance, tentando di mantenere il suo tono da duro. Ovviamente non aveva ascoltato neanche una parola di quello che si erano detti fino a qualche minuto prima.
«No, me lo prendo io!» affermò Noguchi, un po’ troppo in fretta.
Tetsuya sollevò un sopracciglio. Prima nessuno lo voleva e adesso tutti che volevano accaparrarsi l’adorabile animale?
«Non puoi, tua madre è allergica» ribatté Tatsuya.
Allora quello che gli interessava lo sentiva.
«È guarita!»
«Non si guarisce dalle allergie!»
Tetsuya sospirò. Poi trasalì. Non si era accorto che il gatto si era avvicinato silenziosamente a loro e aveva iniziato a strusciarsi contro le sue gambe.
Quando Noguchi spostò lo sguardo su di loro il felino si appiattì contro il terreno e iniziò a soffiare con ostilità. Era chiaro che doveva provare davvero un’avversione molto forte per il ragazzo.
«Vedi? Ti odia. Lo prendo io!»
«Non mi odia! Vero gattino?» e così dicendo avvicinò una mano al gattino che si buttò con slancio non solo verso la mano ma verso tutto il braccio, probabilmente con l’intento di staccarglielo a morsi e farne altro cibo per il suo grasso.
Fortunatamente Noguchi ritirò il suo arto già martoriato appena in tempo. Il gatto miagolò con disappunto e riprese a strusciarsi contro le gambe di Tetsuya.
Tatsuya lanciò uno sguardo a Noguchi che voleva dire all’incirca: vedi? Non ti sopporta!
«Comunque quel coso è mio, quindi me lo porto indietro!» chiarì Noguchi, con una punta di nervosismo nella voce.
«Vogliamo risolverla da uomini?» propose Tatsuya, avvicinando il volto a quello del compagno, gli occhi spalancati in un’espressione assatanata.
Però qualcosa non quadrava. Perché Noguchi doveva riportarselo indietro? Non l’aveva trovato per strada?
«Bene!» esclamò Noguchi, pronto a lottare.
I due iniziarono a spintonarsi in direzione di Tetsuya, con l’unico risultato di far cadere a terra il ragazzo che aveva l’unica colpa di trovarsi nelle vicinanze della loro rissa improvvisata.
Il gatto si allontanò infastidito dal rumore.
«Ragazzi, non mi sembra il caso» si lamentò Tetsuya, tirandosi su.
Ma i due lo ignoravano, presi com’erano a guardarsi in cagnesco. C’era da dire che il Tatsuya pronto alla lotta era sempre meglio del Tatsuya che miagolava al felino, ma sarebbe stato meglio se non avessero deciso così, arbitrariamente, di uccidersi di botte nel loro rifugio.
«Noguchi, il gatto è il tuo vero?» chiese Tetsuya a bruciapelo, cercando di evitare una rissa inutile.
«No, di mia nonna» rispose lui velocemente, non distogliendo lo sguardo dal volto di Tatsuya.
Poi trasalì. Forse gli era sfuggito qualcosa.
Anche Tatsuya uscì dalla modalità rissa.
«Di tua nonna?»
Noguchi sospirò nello stesso momento di Tetsuya, ma il sospiro del primo era un sospiro di sconfitta, quello del secondo era un’espressione di sollievo per essere riuscito ad evitare una rissa.
«Sì, va bene?»
La fase di attacco che seguiva quella di shock dopo essere stato scoperto.
«Perché ti sei portato il gatto di tua nonna a scuola?» domandò Tatsuya, adesso cercando di non ridacchiare. Tetsuya si disse che doveva essere una risatina isterica repressa per aver realizzato che non poteva portarsi il gatto sovrappeso a casa.
«Ha detto che voleva andare a giocare a go con non so quale sua amica non so in quale paese qui vicino e non voleva lasciarlo da solo!» si giustificò.
Le risatine di Tatsuya aumentarono.
«E non potevi dirle di no?»
«Gliel’ho detto! Ma guarda che non è facile dire di no alla vecchia. Quando picchia fa male!»
Tatsuya si rabbuiò.
«Porta rispetto agli anziani.»
Poi ricominciò a ridacchiare all’idea di Noguchi che si faceva prendere a botte da un’anziana signora. C’era anche da dire che se aveva la taglia del felino, forse i suoi colpi sarebbero potuti davvero essere dolorosi.
Era chiaro che entrambi avevano qualche problema. Noguchi che aveva ingigantito quella storia senza motivo e Tatsuya che ridacchiava senza un motivo. Tetsuya era solo sconvolto, ma lo nascondeva bene. Lui nascondeva sempre tutto bene. «Poi non potevo portarmela in classe, avrei fatto ridere i polli!» continuò, tentando di giustificarsi.
A vedere la reazione dell’amico, Tetsuya non riuscì a dargli torto.
Tatsuya, dopo essersi ripreso, diede una grattatina distratta al gatto.
«Va bene, puoi tenertelo» concesse.
Poi invece di uscire e finire lì quella storia tornò vicino al felino.
«Voglio salutarlo» spiegò.
Tetsuya avrebbe voluto dirgli che un saluto era di per sé corto e che non contemplava grattatine e utilizzo di dubbio linguaggio dei gatti, ma si disse che se era solo per quel pomeriggio poteva anche lasciare che la dignità di Tatsuya si nascondesse in un cassetto. Noguchi se n’era andato, non vedendo l’utilità di osservare l’amico che giocava con l’odioso gatto e anche Tetsuya era sul punto di seguirlo.
La sua compagnia non sembrava necessaria, pensò vagamente offeso.
«Micio micio!»
Appunto.
Si avviò verso la porta ma prima che potesse fare qualsiasi cosa quella si aprì verso l’interno, facendolo cadere per la seconda volta nella giornata.
Mezza dozzina di ragazzi – che l’uniforme identificava come studenti della Shirokada – fecero irruzione, mazze alla mano e sguardo inquietante.
«Dov’è il vostro capo?» Tetsuya sospirò. Il loro capo. Quello che era di nuovo sdraiato sotto il tavolo a giocare con il gatto.
Altro che l’arrivo delle ragazze della Cattleya. La rovina della Bakada si stava consumando in quell’esatto momento.
«Nya!»


Sì, insomma, lo ammetto è quello che è. Un esperimento poco riuscito di una persona che ormai sono mesi (o anni?XD) che non riesce più a scrivere una cippa! Solitamente scrivo sul fandom di Naruto, ma mi sa che la mia crisi mistica viene anche dal fatto che non riesco più a scriverci neanche due righe, quindi tanto vale sperimentare!XD Sono la prima ad avere seri dubbi sul fatto che l'esperimento sia riuscito, ma va beh! Detto ciò mi sembra d'obbligo ringraziare Hi Ban, la mia tenera sorellina, che mi ha praticamente fornito l'idea su un piatto d'argento, quindi direi che metà della colpa per questa cosa è anche sua!:)
Dimenticavo!XD Il titolo sarebbe il nome della scuola, però staccando 'baka' e 'da' può anche voler dire 'sei scemo?'. Fine delle precisazioni idiote!:) Detto ciò, fuggo, che domani ho un esame per cui ovviamente non ho studiato perciò mi sembra d'obbligo passare la serata a deprimermi sul fatto che non lo passerò!:)

  
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