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Autore: 1rebeccam    04/02/2013    19 recensioni
'Ripeteva le stesse parole in un sussurro, continuando ad accarezzarlo e ad asciugargli le lacrime che gli scendevano dagli occhi serrati. Il respiro era sempre più affannato, mentre continuava a ripetere la sua cantilena disperata'
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Rick Castle
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
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Mmhhh… uh… no… no per favore… mmhhh… no…
Si era svegliata di soprassalto.
Era attaccata con la schiena al suo petto, lui la circondava con un braccio tenendole la mano attorcigliata alla sua, mentre con l’altra mano le stringeva la parte superiore del braccio. La stringeva fortissimo ormai da un paio di minuti, tanto da farle male e mugugnava qualcosa con la faccia sprofondata nei suoi capelli.
Aveva cercato di muoversi, di girarsi per capire cosa gli stesse succedendo, ma più lui aumentava i lamenti sillabati, più la immobilizzava con la sua stretta.
Quei lamenti strozzati la stavano spaventando, era sicura che avesse difficoltà anche a respirare, sentiva il suo fiato corto sul collo. Si staccò da lui con forza, a costo di fargli male, non le importava, doveva guardarlo in faccia, doveva capire cosa lo tormentasse, perché era palese che non era un male fisico il suo… stava sognando.
Si sollevò sul gomito e con la mano lo accarezzò con dolcezza, avvicinando le labbra al suo orecchio per cercare di calmarlo senza fare l’errore di svegliarlo d’improvviso.
-E’ tutto a posto Castle, calmati… va tutto bene… sei a casa… tranquillo…-
Ripeteva le stesse parole in un sussurro, continuando ad accarezzarlo e ad asciugargli le lacrime che gli scendevano dagli occhi serrati. Il respiro era sempre più affannato, mentre continuava a ripetere la sua cantilena disperata: no… ti prego no… per favore… 
Dormivano insieme da mesi ormai.
Dopo i primi tempi, in cui qualche sera a settimana ognuno tornava a casa propria per delimitare ancora gli spazi personali e capire meglio dove realmente questa relazione li stava portando, avevano smesso di chiedersi se avrebbero passato la notte insieme.
Uscivano dal distretto, si prendevano per mano lontano da occhi indiscreti e, senza mettersi d’accordo, si dirigevano a casa dell’una o dell’altro. In silenzio. Sorridendosi a vicenda, consapevoli che l’unica cosa importante era stare insieme, abbracciati, ad aspettare l’arrivo del nuovo giorno che li avrebbe sorpresi ancora con qualche novità su quella storia, che poteva non avere senso sulla carta, ma che li rendeva felici, che rendeva felice lei, serena, come non lo era da tanto.
Continuava ad avere delle perplessità, le sue paure ogni tanto bussavano alla porta del cervello, ma aveva imparato a fingere di non essere in casa e a non aprire ogni volta, lasciandole sul pianerottolo. Per lui. Con lui.
Aveva perfino smesso di svegliarsi più volte nel cuore della notte, aveva smesso di ritrovarsi improvvisamente in un vicolo buio a guardare inorridita gli occhi semi aperti di sua madre, ormai privi di vita.
Gli era successo un paio di volte dormendo sul suo petto, ma lui l’aveva cullata, lasciandole piccoli baci sui capelli, accarezzandole la schiena, senza dire una sola parola. Non era necessario. E piano piano, senza rendersene conto, aveva allontanato i fantasmi del passato,  riuscendo perfino a sognare qualcosa di bello. Succedeva che il più delle volte al risveglio non riuscisse a ricordare, ma non le importava, perché la leggerezza che sentiva nel cuore e anche nel corpo, le dava la sicurezza di aver sognato giornate piene di sole, perchè tutto era possibile vicino a lui, tutto era possibile se lui le sorrideva e la stringeva tra le sue braccia.
Tutto era possibile, glielo aveva insegnato lui, con tanta pazienza.
Ma in quel momento era lui ad essere imprigionato. Sembrava chiuso dentro ad un incubo che lo stava risucchiando nel buio, digrignava i denti e, dopo che lei si era voltata liberandosi dal suo abbraccio disperato, aveva stretto le mani alle lenzuola, come per aggrapparsi ad una qualche salvezza che non riusciva a vedere in fondo al tunnel in cui si trovava.
Erano passati soltanto un paio di minuti, ma lei sentiva il peso di quei lamenti e quella disperazione come se fossero passate ore. Sapeva cosa stava provando, conosceva quella sensazione di smarrimento inconscio e le si spezzava il cuore a quella sofferenza che, apparentemente, non aveva nessun motivo.
Quando i pugni si aprirono, lasciando le lenzuola stropicciate e le parole insignificanti che mormorava lasciarono il posto al silenzio, Kate capì che era riuscito ad uscire dal tunnel e che, come era successo a lei decine di volte, stava risalendo dall’apnea e riprendendo aria. Continuava ad accarezzarlo, gli asciugava il sudore e lo baciava sulla fronte.
Senza svegliarsi si era girato istintivamente verso di lei e si era accucciato nell’incavo del suo collo, lamentandosi ancora qualche secondo, come un bambino che ha smesso di piangere e cerca coccole e protezione dalla mamma.
Le aveva messo il braccio intorno alla vita, ma adesso, il suo, era un abbraccio morbido, rilassato.
Era passato dal buio alle braccia di Morfeo. Stava dormendo tranquillo, anche se l’espressione era ancora corrucciata.
Lui stava di nuovo dormendo, ma lei non era riuscita più a prendere sonno. Lo guardava preoccupata. Non aveva mai avuto incubi da quando stavano insieme, ma nell’ultima settimana aveva avuto un sonno agitato, si girava e rigirava nel letto come se non trovasse pace e al mattino sembrava più stanco della sera precedente e questa sua agitazione, quella notte, lo aveva portato nel baratro.  Non era abituata a questo.
Il suo modo di addormentarsi la rasserenava. Guardarlo dormire, tranquillo, con quella sua aria tenera e l’espressione da bambino, la faceva sentire al sicuro.
Quello che era successo a lui quella notte era più di un incubo: era paura, era disperazione, era angoscia. Un’angoscia che lei non riusciva a capire, non era successo niente che potesse giustificare ‘la cosa’ orribile che aveva sognato, almeno per quello che ne sapeva lei.
Lo aveva tenuto stretto sul suo petto fino alle prime luci dell’alba, quando finalmente anche lei, rilassando il suo abbraccio, era riuscita a riprendere sonno.
 
-Ehi…-
La voce di lei gli arriva alle spalle e Castle si volta di scatto. E’ seduto a terra, con le spalle appoggiate al divano, una tazza di caffè tra le mani e un’espressione smarrita, che le fa capire che era perso nei suoi pensieri.
-Ehi…-
Le risponde sorridendo, distogliendo immediatamente lo sguardo per riportarlo sul liquido nero che riempiva la tazza e gli scaldava le mani.
-Come mai ti sei alzato così presto? Mancano ancora 40 minuti al suono della sveglia!-
Gli si siede di fronte sul tavolino basso davanti al divano e appoggia i gomiti sulle gambe, sporgendo le mani verso di lui, che però non la guarda, ma solleva solo le spalle.
-Mi sono svegliato e non ho più ripreso sonno, così ho preparato il caffè, è ancora caldo, te ne prendo un po’?!-
Fa per alzarsi, ma lei lo ferma mettendogli la mano sul braccio.
-Lo prendo da sola… Castle stai bene?-
Solo allora lui alza lo sguardo sui suoi occhi, ha il viso stanco e le occhiaie.
-Ho l’aria di non stare bene?-
Le chiede confuso e lei annuisce preoccupata.
-Hai avuto un sonno agitato stanotte, ti sei rigirato parecchio.-
Gli risponde, sperando che fosse lui a raccontarle dell’incubo.
-Davvero? Mi spiace, non ho fatto riposare nemmeno te allora!-
Riporta gli occhi stanchi sulla tazza, ma non accenna a bere, il caffè è ancora intatto.
-Forse sto covando l’influenza, mi sento strano… stanco…-
Kate gli mette una mano sul viso e lui alza gli occhi e li incatena ai suoi.
-Credo che tu abbia avuto un brutto incubo Castle, ti sei lamentato per vari minuti, devi aver sognato qualcosa di davvero terribile.-
Lui corruccia la fronte e guarda oltre lei, come se cercasse di fare mente locale.
-Davvero? Io… io non riesco a ricordare… dovessi giurare, direi che ho dormito tutta la notte e tranquillamente…-
Sembra davvero smarrito e lei riesce a capirlo. Si è svegliata tante volte stanca, spossata, senza voglia di nulla, consapevole di avere caricato il suo organismo di un qualche sforzo, senza però riuscire a ricordare.
Si inginocchia a terra davanti a lui e inclina la testa di lato.
-Perché non resti a casa oggi?-
Gli accarezza i capelli sorridendo e, per la prima volta in quella mattina, anche Rick le sorride.
-Che c’è detective, sei già stanca di me?-
Scuote la testa seria, pensierosa.
-Mhh… vediamo… un po’… forse…-
Ride al suo sguardo offeso e continua ad accarezzarlo.
-Pensavo solo che potresti riposarti ancora un po’, rilassarti ed oziare tutta la mattina, magari hai solo bisogno di staccare un attimo dal tran tran quotidiano!-
Lui beve finalmente un sorso di caffè, solleva gli occhi su di lei e annuisce.
-Forse hai ragione… magari in tarda mattinata faccio anche una bella passeggiata e vengo a prenderti al distretto, se non hai da fare, ci imbacucchiamo per bene e mangiamo qualcosa di veloce al Central Park.-
-Perfetto!-
Risponde lei sorridendo per poi baciarlo.
-Mmhhh… che buono questo bacio al caffè…-
Sorridono labbra sulle labbra.
-Va a farti la doccia, io preparo la colazione… che preferisci stamattina?-
-Caffè e frutta fresca andranno bene, che dici mangione, ci teniamo leggeri?-
-Non sono un mangione,  la colazione è il pasto più importante della giornata… solo frutta Kate? Alle 11.00 sarai tanto affamata che vorrai mangiarti anche il pennarello con cui scrivi sulla lavagna… con tutta la lavagna!-
Sbuffa lui alzandosi e facendola ridere di gusto.
-Non preoccuparti per la mia lavagna, porta la frutta in tavola, torno subito.-
Sorride scuotendo la testa, mentre la guarda allontanarsi verso la camera da letto, muovendosi con fare sexy dentro quella che, una volta era la sua maglietta e adesso invece è il suo pigiama.
Accende la tv per ascoltare il primo notiziario del mattino e apre il frigorifero.
Sistema diverse varietà di frutta sul tavolo, mentre il giornalista parla dell’economia, prende una margherita da un mazzetto di fiori dentro al vaso sul bancone della cucina e la poggia vicino al piatto di Kate, sorride ancora compiaciuto mentre lo fa e si dirige alla caffettiera a prendere il bricco del caffè.
…Questa sera alle 21, sarà ospite nei nostri studi il senatore William Bracken, che ci parlerà della prossima apertura del centro giovanile nel Bronx…
Si volta di scatto lasciando cadere il bricco a terra. La bocca dello speaker è in movimento, ma lui non riesce più a sentire alcun suono, guarda la foto in diretta tv del senatore Bracken e  l’unica cosa che gli rimbomba nelle orecchie è il suono di uno sparo.
E’ chino sul corpo di Kate con le mani sporche di sangue.
L’incubo torna prepotente nella sua mente, lo ha ricordato all’improvviso e, all’improvviso, sente il fiato corto e un peso sul petto.
Trema, senza rendersene conto.
Se ne accorge invece lei, che uscendo dalla doccia ha sentito rumore di vetri rotti ed è corsa a vedere cosa fosse successo.
Rick è bloccato accanto alla cucina a guardare la tv, imbambolato davanti alla pubblicità che ha preso il posto del notiziario, con i pugni stretti e le labbra serrate. Ha la stessa espressione della notte appena trascorsa, ha la stessa espressione di quando era dentro il tunnel buio del suo incubo, solo che adesso ha gli occhi sbarrati.
E’ ancora perso nel suo incubo ad occhi aperti quando lei gli mette la mano sulla spalla.
-Castle… che succede?-
Lui sussulta e si guarda attorno spaesato, come se avesse dimenticato di essere nella sua casa. Guarda Kate e poi abbassa gli occhi sul caffè sparso tra i cocci del bricco rotto.
-Mi… mi è caduto il caffè…-
Lei spegne la tv, lo prende per mano e gli fa segno di sedersi sul divano.
-Guardavi la tv come se ti facesse paura, che ti succede?-
Lui scuote la testa e la guarda con gli occhi sbarrati, finalmente sospira e appoggia la testa all’indietro sulla spalliera del divano.
-Non succede niente, mi è scivolato il bricco dalle mani e sono rimasto come uno scemo… che c’entra la tv?-
Cerca di sdrammatizzare e Kate stringe le labbra in segno di dissenso.
-Nell’ultima settimana non hai dormito bene, sei nervoso, distratto e anche silenzioso, troppo silenzioso!-
-E questo è inquietante detective?-
Risponde lui sorridendo nervosamente e lei sospira.
-Smettila di fingere e di scherzare, perché non vuoi dirmi cosa ti preoccupa?-
Lui si alza di scatto dal divano e allarga le braccia.
-Davvero Kate, non capisco che intendi dire, non so che cosa vuoi da me, cosa credi che dovrei dirti? Sto bene, sono solo stato imbranato col caffè e non è nemmeno la prima volta… che c’è di tanto terribile?!-
Lei resta seduta e si appoggia pesantemente allo schienale, sbuffando.
-Aveva ragione Meredith allora…-
Si zittisce di colpo, si rende conto che avrebbe dovuto mordersi la lingua quando si accorge del suo sguardo accigliato.
-Cosa c’entra Meredith adesso? Su cosa aveva ragione?-
La sua espressione si è trasformata da stupita ad arrabbiata, ma ormai la frittata è fatta e forse è meglio così. Si alza anche lei per guardarlo negli occhi.
-Sul fatto che tu sei bravo a fare parlare gli altri, a trovare la storia che si nasconde dietro la vita di chi ti sta accanto, ma non sei altrettanto bravo a raccontare la tua di storia.-
Gli dice alzando la voce.
-Cosa diavolo vuoi dire con questo…  e da quando quello che dice Meredith è vangelo per te?-
Anche lui ha alzato la voce, il modo rabbioso con cui ha pronunciato il nome della sua ex moglie avrebbe dovuto farla desistere, ma lei continua.
-Stanotte hai avuto un incubo terrificante, mi hai insegnato tu che l’unico modo di sconfiggere i fantasmi è affrontarli, parlandone, tirandoli fuori dal loro nascondiglio, ma questo non vale anche per te, vero? Tu non parli mai di te… io non so niente di te...-
Finisce la frase in sussurro.
-Non sai niente di me? Sono io Kate, Castle, lo scrittore che ti ha scombussolato la vita, irritandoti ogni giorno!-
-Appunto, questa è l’unica cosa che dovrei sapere di te?-
-Io davvero non so di che diavolo parli, Kate?-
Le urla in faccia prendendola per le braccia e lei si divincola con una smorfia di dolore, voltandogli le spalle e tenendosi il braccio con la mano.
-Che cos’hai?-
Le chiede avvicinandosi immediatamente, preoccupato di averla stretta troppo.
-Niente…-
-Come niente… ti ho fatto male, fammi vedere!-
Le scosta l’accappatoio e spalanca gli occhi quando vede l’enorme livido sul suo braccio, proprio all’altezza del muscolo, un livido troppo violaceo e pronunciato per averglielo provocato in quel momento.
-Ma cosa ti è successo?-
Lei abbassa la testa, sistemandosi l’accappatoio sulla spalla.
-Devo essermi fatta male ieri al lavoro.-
-Ieri sera non lo avevi e poi siamo stati chiusi al distretto tutto il giorno, non puoi esserti fatta male al lav…-
Si blocca come colpito da un flash!
Respirava a fatica, cercava di urlare ma non ci riusciva e si stringeva forte a qualcosa per salvarsi dal buio…
-Sono stato io?!-
Sussurra più a se stesso che a lei. Kate si volta a guardarlo e le si spezza il cuore a vedere il dolore nei suoi occhi.
-Non lo hai fatto apposta, eri disperato nel tuo incubo e mi hai stretta troppo e se sai che sei stato tu, significa che ricordi cosa ti ha spaventato tanto. Castle non m’importa niente del livido, io…-
-Importa a me! Ho fatto una cosa terribile!-
La interrompe bruscamente lui, per poi tornare a sussurrare.
-Mi dispiace… scusa!-
Lei gli prende il viso tra le mani.
-Non m’importa del livido, non voglio che mi chiedi scusa, voglio sapere perché sei spaventato Castle… che ti succede?-
-Non mi succede niente Kate, sto bene!-
Lei gli toglie le mani dalla faccia con un gesto di stizza e gli volta ancora le spalle.
-Al diavolo Castle!-
Lui serra per l’ennesima volta le mascelle.
-Si, al diavolo… sarà meglio che vai, o farai tardi…-
Si dirige nel suo studio a grandi passi, chiudendosi dentro e sbattendo la porta.
Lei sussulta a quel rumore, sospira, si guarda intorno e non riesce a capire come abbiano cominciato a litigare. Raccoglie i cocci del bricco rotto, asciuga il caffè sul pavimento e va in camera a vestirsi.
Dopo qualche minuto torna giù, di lui nemmeno l’ombra. Prende il cappotto e la borsa e con il cuore gonfio, mette la mano sulla maniglia della porta per uscire, quando sente il suo sguardo addosso e si gira a guardarlo. Ha l’espressione di un bambino che si è comportato male, gli occhi ancora più stanchi e tristi del momento del risveglio, che abbassa su un astuccio che tiene in mano, per poi tornare a guardarla.
-E’ una pomata per i lividi, è molto efficace, attenua il dolore e li fa sbiadire presto.-
Lei gli si avvicina e guarda l’astuccio.
-Non mi serve una pomata per il livido, mi serve sapere che posso aiutarti. Quando ancora non stavamo insieme hai fatto di tutto per farmi capire che volevi fare parte, a tutti i costi, della mia vita. Ora ne fai parte Castle, in tutto e per tutto, anche se per me a volte è ancora difficile pensare per due e non solo per me, ma ci sto provando con tutta me stessa… per te!-
Lui continua a guardare lo scatolino che ha in mano e deglutisce vistosamente.
-Ci sono poche cose che non sai ancora di me, mi conosci, sai chi ero e sai chi sono adesso e se ho degli incubi, se ho paura, tu sai sempre il perché… io invece non so che ti succede perché tu non me lo dici… sorridi, fai una battuta e tutto finisce… io non faccio ancora parte della tua vita, nonostante tu finga che sia così!-
Solleva lo sguardo su di lui, la sua rabbia è svanita, è solo stanco e dispiaciuto e forse non si rende conto realmente di quello che lei vorrebbe da lui.
-Tu mi conosci Kate, sono quello che vedi… non c’è niente che non va, davvero… perché non vuoi credermi?-
Le mette il tubetto di pomata dentro la borsa e le prende la mano.
-Ho solo bisogno di riposare. Resto a casa come avevamo deciso e poi ti raggiungo, d’accordo?!-
Lei lo guarda dritto negli occhi.
-Sei abbastanza grande da decidere cosa devi o non devi fare, senza che te lo dica io Castle, se ti va ci vediamo dopo.-
Gli lascia le mani e senza dire altro va via.
Rimasto solo si guarda intorno, sente gli occhi bruciargli e un mattone sul petto. Quello stesso mattone che tempo addietro, ha sentito per tre lunghi ed interminabili mesi  e che adesso è tornato a tormentarlo.
A passi lenti si lascia andare di peso sul divano, appoggia i gomiti sulle gambe e si passa le mani tra i capelli, sospira, ma non riesce comunque a ricacciare indietro le lacrime che bruciano più di prima. Nasconde il viso tra le mani e i singhiozzi lo travolgono, senza che lui possa fare niente per combatterli.
Cosa dovrei dirti Kate? Come posso spiegarti… come posso dirti quanto male mi hai fatto?


Angolo di Rebecca:
Ciao!!!
Sono tornata un attimino, con un Riccardone un po' acciaccato... ma che avrà che lo rode?
Non preoccupatevi, resto poco, solo qualche capitoletto, niente di long :p
Baci <3
  
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