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Autore: FCq    05/02/2013    0 recensioni
Ho provato a scrivere una mia versione della saga di twilight. Ci saranno nuovi personaggi e altre particolarità che influiranno sulle vicende. Spero di rivivere con voi il primo libro, ora che la trosposizione cinematografica sta per giungere al termine.
Dal primo capitolo:
Sarebbe stato folle immaginare la serie di eventi che avrebbe reso una qualsiasi ragazza la ragione di contese mitologiche e altrettanto lo sarebbe stato sospettare ciò che si celava nel cuore di quell’improbabile umida cittadina. Il mondo era una grande dimostrazione della teoria causa effetto. Ogni scelta aveva portato a ciò che sarebbe avvenuto l’indomani, ma tutto il resto era ancora da scrivere.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan, Nuovo personaggio | Coppie: Bella/Edward, Charlie/Renèe
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Twilight
Capitoli:
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Buon pomeriggio! A chi segue la storia chiedo scusa per il ritardo. Vorrei ringraziare tutte le persone che hanno aggiuto la storia tra le seguite e le ricordate e, considerando che manca poco alla fine, mi piacerebbe sentire qualcuno dei vostri pareri. Grazie mille anticipatamente, spero che il cap vi piaccia, a presto:)

6 Ferita mortale

La difficoltà non sta nel credere nelle nuove idee, ma nel fuggire dalle vecchie.
John Maynard Keynes

Ragione: facoltà, propria dell'uomo, di pensare e collegare fra loro concetti e idee secondo rapporti logici.

La ragione crollava.

Pensare.

Pensare era vitale ma doloroso.

Il mondo cadeva e si frantumava.

La tempesta imperversava all’interno delle mura di casa Swan. La pioggia rendeva impraticabile il terreno e cadere era invitabile, la bruma non annebbiava la mente ma offuscava l’orizzonte. Alcune certezze tormentavano la ragazza rannicchiata sul letto, con le ginocchia strette al petto, benché non conducessero a un traguardo. Le luci che avrebbero dovuto illuminare la stanza le erano precluse. La ragione e la razionalità avevano accompagnato la breve vita di Isabella Swan, ogni scelta era ponderata, ogni priorità ordinata e tutti i concetti affermati e concretizzati.

Impazziva.

Violentava la propria mente e accettava l’esistenza di creature mitologiche, poiché quella verità era più comoda di quanto desiderasse ammettere. Se i va... - era così difficile pronunciare quel termine – non fossero esistiti, lei non avrebbe conosciuto Edward. Pronunciare il suo nome era come pensare: vitale ma doloroso.

La sua mente rifiutava di credere che il tempo potesse essere infinito. Come ogni altro essere umano aveva dovuto fare i conti con la consapevolezza che la vita è effimera. Non esiste una ragione che spiega la vita umana. Chi troverebbe un senso in qualcosa che inizia per finire? Allora ci si crea spiegazioni a proprio uso e consumo. Il senso della vita: viverla come meglio si crede, rispettando, senza limitare la propria libertà, quella altrui.

Dato certo: la vita è breve.

Dato certo: il tempo è malvagio. Questo, almeno, non era cambiato.

Perché non c’era ragione per odiare il trascorrere del tempo, se questo era il suo effettivo operato, finché non si fosse frapposto tra noi e ciò che desideriamo. Un dato certo? Bella desiderava Edward Cullen con tutte le proprie misere forze.

Semmai Edward l’avesse ricambiata, cosa la separava dall’immortalità?

Sembra che i Cullen siano stati sulle nostre terre, molti anni fa. Sessanta, settanta? I miei antenati li hanno sorpresi a cacciare: pare si nutrono del sangue di animali. Da allora non sono mai cambiati, solo il numero dei membri della famiglia Cullen è aumentato. Naturalmente, questo è quanto racconta mio padre. Al vecchio piace farneticare, aveva detto Jacob Black.

Ma lui non era stato salvato magicamente da un furgoncino in corsa e non aveva osservato Edward, i Cullen e ogni loro più piccolo particolare in ogni istante della giornata. L’immortalità era una prospettiva elettrizzante e agghiacciante. L’esistenza era talmente vasta da vivere, vedere e scoprire – anche in senso negativo - e la possibilità di farlo era una meravigliosa utopia, ma il passato non portava con sé soltanto cose spiacevoli. La vita di Isabella era stata innegabilmente dura e, come una bagnarola smarrita da una tempesta in mezzo al mare, lei si era lasciata a lungo trascinare. L’unico sostegno che l’avesse sorretta, protetta e le avesse indicato la via era stato suo fratello. Come avrebbe potuto abbandonarlo? Il solo pensiero di perderlo la uccideva, come avrebbe potuto infliggergli una pena simile? Avrebbe lasciato la mano che la sorreggeva, per cadere? Come avrebbe potuto lasciare sua madre a se stessa e seguire Edward? L’immortalità precludeva molte possibilità, diventare madre, ad esempio. Perché gli immortali non potevano procreare, altrimenti Carlisle avrebbe avuto dei figli: era certa che nessuno dei Cullen fosse realmente imparentato. Era stata Reneé a trasmetterle quell’amore infinito per i bambini e ora era una parte di lei. Un pensiero squarciò lo spazio della sua mente come un fulmine tra la pioggia: Edward era l’unico uomo che immaginasse al proprio fianco. L’unico che potesse essere il padre dei suoi figli. Senza di lui, tutto il resto non avrebbe avuto alcun senso. Ma troppe cose la legavano al passato, troppe persone. Non avrebbe potuto abbandonarle. Non era pronta a lasciarle; non perché non le premesse realizzare il desiderio di stare con Edward. Responsabilità, paura e amore la legavano a quella vita che aveva maledetto più di quanto ricordasse.

Edward era il suo desiderio irrealizzabile e gli sarebbe stata lontana.

Il suono di un clacson la riscosse, conducendola nuovamente nella propria camera, le gambe indolenzite ancora strette al petto. Abbandonò la propria postazione, avvicinandosi cautamente alla finestra semiaperta. Riconobbe l’auto di Angela e ricordò l’impegno che aveva con la ragazza: accompagnarla per negozi. Ben le aveva chiesto di uscire e lei aveva accettato, naturalmente. Purtroppo, neanche il guardaroba di Angela era fornito di abiti consoni a un’occasione del genere e teneva molto a fare bella figura. Perciò, Port Angeles le attendeva. Se il mondo fosse stato ciò che fingeva di essere, forse anche tra lei e Edward le cose sarebbero andate in quel modo. Un sorriso le curvò le labbra: non avrebbe potuto desiderare una realtà diversa, benché minacciasse di ucciderla, poiché non gli avrebbe regalato Edward e forse, il suo amore non sarebbe stato tanto grande e totalizzante. Preferiva aver amato, piuttosto che trascorrere la vita senza assaggiare le sensazioni che la tormentavano dolcemente. Quando si richiuse la portiera dell’auto alle spalle, sperava di aver lasciato nella propria stanza ogni remora. Non immaginava che, sfuggire a se stessi è molto più difficile che fuggire dagli altri. Avrebbe imparato che il primo nemico, in amore, è il proprio cuore. 

*******   

Realizzò, soltanto quando l’auto superò il grande cartello con la scritta: “Welcome to Port Angeles”, di essere fuggita da Forks. Era la prima città che visitava dal momento in cui aveva mosso il primo passo sul suolo Americano. Con tutto ciò che era successo dal momento in cui era scesa dall’aereo, il trasferimento e il desiderio di viaggiare ed esplorare erano passati in secondo piano. Ah, l’America...

≪Sembra che tu non abbia mai camminato per strada, Bella≫, ironizzò Angela.

La ragazza la guardò dubbiosa, chiedendosi cosa avesse fatto di sbagliato.

≪Ti giri intorno e fissi a occhi sgranati tutto ciò che vedi. E’ bello saperti così entusiasta≫, chiarì Angela.

≪Non mi ero accorta di farlo. So che potrà sembrare ridicolo, ma persino Port Angeles è un traguardo per me≫.

≪Immagino come lo sarebbe per me, se dovessi fare shopping in Via Condotti≫, rispose Angela ed entrambe sorrisero.

≪Hai già un’idea di cosa comprare?≫, chiese Bella.

Angela si accostò al suo braccio, sussurrando con fare cospiratorio. ≪Qualcosa di raffinato ma semplice≫.

≪Soltanto un capo? E per le altre uscite?≫.

Angela arrossì fino alla radice dei capelli e mugugnò:≪Non è detto che ci sia un altro appuntamento≫.

Bella sorrise e alzò gli occhi al cielo. ≪Ho visto come ti guarda Ben. Credimi Angela, pensa a qualcos’altro. Perché ci saranno molti altri appuntamenti≫.

Bella aveva conosciuto molte persone con le quali cercare di instaurare un rapporto di amicizia, ma dopo un po’ finiva tutto. Trovava in loro difetti che non tollerava e l’affetto non era tanto da soprassedere. Aveva pensato di non essere in grado di provare affetto per gli estranei, con i quali non riusciva a essere sincera e alle quali doveva dire tutto ciò che desideravano sentire: incapace di ferire anche i più insopportabili esponenti della specie. Angela era il primo essere umano, effettivamente, con il quale sentiva di avere reali affinità, benché fosse la figlia di un pastore. Non le aveva mai sentito menzionare la religione e non aveva fatto una grinza quando aveva saputo, casualmente, che fosse atea. Bella detestava comprare abiti, avrebbe desiderato che si materializzassero nel suo armadio, ma, non essendo lei la cavia da vestire e svestire, si rivelò un’esperienza divertente, complice la compagnia.

≪Cosa mi racconti di... Edward?≫, chiese Angela, da dietro le tende del camerino dell’ennesima boutique.

Bella s’irrigidì. ≪Non c’è molto da dire, siamo amici≫.

≪Anch’io vedo come ti guarda Edward, Bella. Penso che lo vedano tutti≫.

Bella sospirò.

La testa di Angela spuntò dal camerino e le rivolse uno sguardo dolce e comprensivo.

≪In ogni caso, sono felice che non sia più solo. I suoi fratelli sono fidanzati, mentre Edward non ha qualcuno di esterno alla famiglia. Amici o altro, sono felice per voi≫, chiarì, ritornando a nascondersi nel camerino.

Bella decise di essere sincera.

≪Con lui è... complicato. Lo sento così vicino, eppure tra noi c’è un abisso di distanza. Raggiungerlo è come tentare di saltare il Gran Canyon≫, sussurrò.

≪Tu hai paura di saltare?≫, chiese Angela.

≪Non è il salto a preoccuparmi, né quello che potrei trovare; piuttosto lasciare qualcosa di fondamentale dall’altra parte e perderla≫.

≪Che cosa temi di perdere?≫.

Bella capì di essersi lasciata sfuggire troppi dettagli e tentò di rimediare. ≪Non lo so con esattezza. Molto: tutte le certezze che mi hanno sostenuto e accompagnata fin ora≫.

≪Bé, stiamo parlando del  passato, giusto? Dovresti scegliere come vuoi vivere d’ora in poi e cosa desideri per te stessa. Sembra un banale discorso di fine anno... ma è la verità. Non si può vivere per sempre nello stesso modo. Si cresce, Bella e cambiano le necessità≫, rispose Angela.

Ha ragione, fu il primo pensiero.

Angela non sa tutto, fu il secondo.  

La vocina che sussurrò quelle parole nella sua mente le ricordò che ciò che aveva raccontato alla ragazza era la superficie. E l’apparenza è solo un’illusione. Le sue necessità erano cambiate, evolvendosi, ma ciò non significava che non avrebbe avuto bisogno delle certezze che avevano costituito il suo passato. Un rapporto profondo e indivisibile la legava a Rian e un vincolante senso di responsabilità e un amore filiale unicamente concentrato a sua madre. Non sapeva cosa significasse pensare a se stessi. Un po’ perché non lo aveva mai fatto e in parte perché lei, Rian e Reneé erano stati un’unica cosa per molto tempo, nella lotta contro il mondo. Charlie era un punto interrogativo. Non sapeva cosa avrebbe provato – se lo avesse fatto – in caso di definitiva separazione.

Era quello il motivo che spingeva Edward e tenerla all’oscuro della sua natura? La consapevolezza dell’impossibilità della loro unione?

Le ragazze, buste alle mani, si lasciarono la boutique alle spalle, progettando di raggiungere un noto ristorante Italiano. Bella era ancora troppo legata alla sua terra, per sperimentare cibi esotici. Il suono di un clacson le fece voltare. Angela sgranò gli occhi e assunse una colorazione porpora, Bella sorrise. Ben scese dall’auto, che per la fretta aveva lasciato in doppia fila e le salutò con il solito largo sorriso. I suoi occhi erano per la ragazza imbarazzata e silenziosa. Bella ricambiò il saluto caloroso di Ben, dando un leggero pizzicotto sul fianco alla ragazza che si destò dallo stato di !@#$%^&* dovuto all’inaspettata sorpresa.

≪Angela, vorrei vedere quella libreria di cui ti parlavo, se non ti dispiace. Dal momento che Ben è qui, potrebbe farti compagnia al ristorante della Bella Italia. Potete iniziare a ordinare, non impiegherò molto. Sei dei nostri, Ben?≫, chiese Bella.

Angela le rivolse uno sguardo prima dubbioso, poi esterrefatto. Il sorriso di Ben si allargò e sussurrò un timido: “Certo, con molto piacere”.

≪Mi ringrazierai≫, mormorò Bella, ≪le sorprese inattese sono le più belle. Non importa cosa indossi, a Ben piaci≫, e la sospinse verso la sua auto.

≪Tu cosa farai?≫, chiese Angela.

≪Cercherò qualche libreria e dopo un po’ vi raggiungerò, non preoccuparti≫, le disse.

“Grazie”, mimò Angela, avvicinandosi alla vettura del ragazzo.

Li osservò sparire dietro l’angolo, dopodiché si guardò intorno. Avrebbe dovuto occupare un bel po’ di tempo; desiderava lasciare ai due ragazzi più intimità possibile. Però, dovette ammettere di essere piuttosto in gamba come cupido.

********       

Edward sospirò, accostandosi alla grande vetrata del salotto. La caccia era stata entusiasmante, ma non appena varcato il confine di Forks, aveva lasciato la guida della sua Volvo ad Alice e aveva raggiunto casa Swan, ansioso di rivederla. La stanza di Bella era vuota, ma i pensieri di sua madre gli avevano rivelato l’uscita pomeridiana con Angela. L’attesa era estenuante. Avrebbe potuto approfittare di quel tempo per confessare a Carlisle le sue intenzioni; ormai la scelta era presa e non sarebbe tornato indietro, ma temeva che suo padre non approvasse.

Si aggirava irrequieto, come un leone in gabbia: un’angoscia soffocante lo opprimeva. La distanza da Bella lo inquietava illogicamente; timoroso dei pericoli nei quali sarebbe potuta incorrere. Jasper gli lanciò un’occhiata eloquente, sollevando un sopracciglio biondo: il suo umore si ripercuoteva su di lui. Edward cessò di agitarsi, muovendosi velocemente per occupare un posto sul divano bianco di Esme. Tutti i presenti smisero di guardarlo con la coda dell’occhio, mentre fingevano di interessarsi ad altre occupazione, fissando lo sguardo sul movimento incessante della sua gamba. I vampiri tendevano all’immobilità, quando qualcosa li turbava; tutti, tranne Edward. Alice si alzò dalle ginocchia di Jasper, sedendosi accanto ad Edward e arrestando il movimento frenetico del suo arto inferiore. Prima ancora che potesse pronunciare una sola parola di rassicurazione, la sua mente creò una scena futura e prossima. Le immagini crude e terrificanti di quanto sarebbe successo la immobilizzarono per infiniti secondi. Non avrebbe avuto il tempo di celare quello spettacolo alla vista del fratello minore, costretto a vedere la miseria di quell’orrore. Soltanto quando i fotogrammi cessarono, sollevò il capo e fissò lo sguardo su Edward, sussurrando un soffocato:≪Corri≫.

Una folata di vento le sferzò il volto e le scompigliò i capelli, mentre cadeva in ginocchio.   

*********

Edward si chiese, mentre imboccava la statale che lo avrebbe condotto a Port Angeles, infrangendo tutti i limiti di velocità imposti, cosa fosse il sentimento che lo divorava. Accertato che Follia era ben rinchiusa nella sua prigione di specchi, rimaneva poco di simile da accostare al suo tormento. Il riverbero del crepuscolo, che tingeva il cielo di rosso con sporadiche sfumature rosa e giallo ocra, cedeva il passo alla notte. Edward gli andava incontro, ignorando o mancando di percepire il suono dei clacson impazziti alle sue spalle e superando auto più o meno veloci con manovre sconsiderate. Scorreva sulla strada come acqua corrente: un’onda impetuosa e tormentata. Fissava lo sguardo freddo e calcolatore sul parabrezza. I suoi sensi supplementari annullati, per concedere maggiore intensità ai poteri che gli occorrevano. Sarebbe passato alla storia come il primo vampiro multato, se non fosse stato per l’incapacità di scorgere qualsiasi altra cosa non fosse la strada di fronte ai suoi occhi e sotto le ruote della sua Volvo. Non osò volgere i propri pensieri sulle immagini viste nella mente di Alice e che aveva sepolto in fondo a una cripta che non avrebbe mai aperto volontariamente. Rifiutava di concepire la visione di sua sorella come una possibilità del futuro prossimo e correva. Ma la sua mente era spaziosa, come un pozzo senza fondo in cui avrebbe potuto gettare qualsiasi cosa all’infinito, e non gli negò la tortura di scorgerle ugualmente. Allora associò un nome al sentimento che lo tormentava: disperazione. Se avesse immaginato che quello era solo un assaggio dell’afflizione che avrebbe provato in più di un’occasione, probabilmente avrebbe sterzato, cercando una morte che non sarebbe mai potuta arrivare. La disperazione sarebbe diventata una sua inseparabile compagna e un giorno, per quanto la disprezzasse, l’avrebbe invocata...

L’auto sfrecciò oltre il cartello di benvenuto nella città di Port Angeles e contemporaneamente, prima che Edward potesse formulare un pensiero sulla direzione imboccata da Isabella, che l’avrebbe condotta tra le braccia del pericolo, il cellulare nella sua tasca vibrò. Edward estrasse il mezzo di comunicazione dalla tasca e lo portò all’orecchio destro, premendo il tasto di riposta. Benché fosse costretto a guidare senza l’ausilio di una mano, l’auto non virò di un solo centimetro, mantenendo una velocità folle ma costante. ≪Dove?≫, chiese, indovinando chi fosse il suo interlocutore.

≪Vedo una strada buia, lastricata di bottiglie rotte, una moto nera abbandonata sul fianco di un palazzo in costruzione. Sembra... un cantiere. Edward, la zona edile≫, esclamò.

Il vampiro abbandonò il telefono sul sedile anteriore e spinse al limite sull’acceleratore. La zona edile di Port Angel era vasta e caotica, ma gli sarebbe bastato avvicinarsi per udire i pensieri rivoltanti dei criminali che avrebbe eliminato. Non provava lo stesso dolore che lo aveva sconvolto al tempo di Rosalie, perché era diverso il legame che lo legava a Bella: viscerale, indissolubile, simbiotico. Non avrebbe commesso l’errore di lasciare in vita quegli uomini. In prossimità dei cantieri rallentò la corsa della vettura, acuendo il proprio udito supplementare a cogliere qualsiasi indizio lo conducesse a Bella. I minuti passavano, scorrendo sull’orologio digitale della Volvo, aumentando la sua frustrazione.

Un pensiero qualsiasi lo attirò, per la poca lucidità che lo avvolgeva. Un ragazzo sbronzo poggiava la schiena a una parete fredda e grigia, la vista e il giudizio limitati da un fastidioso malessere. Edward era lì, lì per uscire dalla sua mente, quando una sagoma in lontananza attirò la sua attenzione e quella del ragazzo. Qualcuno al suo fianco gli diede una gomitata, indicandogli la sagoma annebbiata. Edward cambiò visuale, spostando la propria attenzione sull’altro più sobrio e riconobbe, attraverso un manto di lussuria e adrenalina, la giovane che avanzava ignara di essere stata accerchiata.

*********       

Bella si guardò intorno, divorata dal dubbio. Avrebbe dovuto svoltare a destra. Benché non avesse una direzione da seguire continuava a camminare, intimorita dalle ombre della sera che si allungavano sui palazzi e da ogni singolo e insignificante rumore che le giungeva alle orecchie: fruscii e cigolii. I suoi sensi amplificati dalla situazione spinosa in cui verteva le annunciarono la presenza di qualcuno alle sue spalle. Udì chiaramente i passi sul terreno, ma oltre ad un guizzo con la coda dell’occhio non riuscì a voltare il capo per accertarsene, piuttosto aumentò il passo. La direzione dei suoi pensieri la stupì: Edward Cullen. Nonostante ogni buon proposito e la precedente assurda scoperta sulla sua natura, in quegli attimi il suo desiderio proibito tornò a tormentarla. Lo chiamò, strenuamente. Immaginò che il suo angelo - paradossale sperare in quell’eventualità, considerando le sue idee in merito – apparisse al suo fianco e la serrasse tra le proprie braccia o quantomeno le stringesse una mano tremante tra le sue. Il paradiso non era una condizione necessaria per gli angeli. Quel ragazzo dallo sguardo penetrante lo era senz’altro, eppure respirava la stessa aria degli altri uomini. Era l’angelo che aveva vegliato su di lei, salvando la sua vita fisicamente e moralmente devastata. Era il vampiro che aveva optato per il meglio, contando esclusivamente sulle proprie forze e la propria volontà, senza appellarsi ad alcuna divinità e senza aspettarsi in cambio un posto di riguardo nell’aldilà. Altrettanto semplice era aggiudicarsi l’appellativo di uomo, senza ridicole ed esibizioniste dimostrazioni di virilità. Edward era un uomo. 

L’uomo che amava.

Lo ammise a se stessa e desiderò urlarlo all’oscurità quando da essa emersero cinque sagome traballanti e minacciose. Stringevano tra le mani bottiglie di birra. Uno di loro, aveva lunghi capelli scuri, aspirò un ultimo assaggio di nicotina e gettò la sigaretta ai propri piedi, senza smettere di avanzare.

Lo sussurrò al proprio cuore inquieto, assicurandogli una certezza cui aggrapparsi, quando lo stesso uomo le rivolse la parola con una voce profonda e oscura quanto la notte, le sopracciglia curve sugli occhi e uno sguardo penetrante. La luce che illuminò le sue pupille le fece correre un brivido lungo la schiena.

Chiunque con un po’ di buon senso avrebbe cercato di fuggire, ma era chiaro che non le avessero lasciato alcuna via di fuga. Ricordò ciò che Rian le aveva insegnato sull’autodifesa, ma giunse rapidamente alla conclusione che non avrebbe avuto neanche l’opportunità di ferirli, immobilizzarli o disorientarli. Eppure Isabella non era mai stata una persona chiunque e benché avesse concretizzato la propria inferiorità, nei suoi occhi lampeggiò una luce uguale e opposta a quella del suo aggressore. I suoi occhi non lasciarono quelli dell’uomo dai capelli scuri, stringendosi nella giacca in cerca di conforto e fulminandolo con imprudente determinazione. Aveva perso la propria voce, neanche in quel momento di pericolo riuscì a ritrovarla, ma non avrebbe rinunciato a difendersi con tutta la forza che aveva in corpo.

≪Bambolina≫, sghignazzò qualcuno alle sue spalle, ebbro dal tono della voce. Il vento portò alle sue narici l’odore dell’alcool. La sensazione olfattiva le fornì ulteriore prova della tremenda realtà che la circondava, ma non destò la sua attenzione dall’uomo che sollevò le sopracciglia e un angolo delle labbra.

≪Bart, contegno. Un po’ di rispetto per la signorina. Milady≫, esordì con la sua voce roca, mimando un inchino con il capo.

≪Stai lontano da me≫, sibilò Bella.

L’uomo, invece, si avvicinò, chinando il capo sul volto della ragazza, più bassa di una testa dal suo aggressore e le afferrò il mento tra le dita. La giovane si divincolò, sentendo scorrere l’adrenalina a fiotti nel proprio corpo.

≪Un volto bellissimo≫, sussurrò, alitando sulla sua guancia, ≪una pesca proficua≫.

≪Non sono un banale pezzo di carne. Lasciami≫, sibilò Bella.

La risata sottile dell’uomo le carezzò la pelle, inorridendola. Lo scambio di sguardi tra i due era talmente intenso da cancellare qualsiasi altra cosa, ma il suono di un motore e lo stridere di gomme sull’asfalto riportò il gruppo alla realtà. Bella approfittò della momentanea distrazione dell’uomo per sottrarsi alla sua presa e correre, ma non riuscì a percorrere che un paio di metri prima di sentirsi afferrare il polso. Strattonò la presa che la serrava e graffiò, affondando le unghie nell’epidermide del suo braccio tanto da farlo urlare per il dolore; voltandosi e riprendendo la propria corsa. Un angolo della sua mente si chiese perché gli altri non la inseguissero; la sua risposta fu la vista improvvisa di una Volvo color argento. Il suo cuore esplose per la gioia e il sollievo prima ancora di vederlo. Si stagliava al bagliore della luna, la pelle diafana, i capelli scompigliati da un alito gelido di vento e gli occhi neri come la pece. Non avrebbe saputo dire se indossasse un maglione blu o nero, sopra i jeans scuri ma quei colori nella notte gli conferivano un aspetto tenebroso. Lei stessa fu percorsa da un brivido lungo la spina dorsale, consapevole della furia omicida che brillava nel suo sguardo, mille volte più minaccioso di quello dell’uomo che l’avrebbe aggredita. Colse la minaccia nel suo corpo immobile e, benché le gambe le tremassero e riuscisse a stento a rimanere in piedi, si mosse lentamente nella sua direzione, mutando il fermo immagine di quel momento. Tutto rimase uguale, i suoi aggressori erano inconsapevolmente annullati dal terrore per quella figura solitaria e Edward continuava a rimanere immobile, ma lei avanzava per inerzia nella sua direzione. Quando gli giunse di fronte, il vampiro non le rivolse lo sguardo, fisso alle sue spalle. La sua figura sprigionava una tale potenza, poteva sentir vibrare i suoi muscoli contratti sotto gli abiti e lo sforzo titanico nel serrare la mascella e le labbra rosse come il sangue. Il pericolo era reale, benché non fosse del tutto certa di aver capito cosa sarebbe successo se avesse rilassato la posa, ma non lo avrebbe permesso. Lei non lo temeva. La sua presenza era benefica, oltre che indispensabile. Bella sollevò le mani, cui impose di non tremare e le avvicinò al suo volto, posandole intorno alle sue guancie. Gli occhi di Edward scattarono sulla sua figura. Bella non avrebbe saputo che, persino quel semplice gesto, rischiava di distruggere il controllo che si era imposto.

Edward non avrebbe potuto attuare il suo piano di sterminio. Lo aveva capito nel momento in cui l’aveva vista aggredire il verme che l’aveva intrappolata. Non c’era onore nel cadere allo stesso livello di quegli uomini, se tali si potevano definire. Lui voleva essere migliore. Lo aveva desiderato per se stesso, secoli orsono e lo agognava per lei, ora. Come poteva sperare nel suo amore, con le mai macchiate del sangue di altri uomini? Pensare di compiere un crimine non era grave come portarlo a termine. Soltanto i veri uomini riescono a riconoscere la differenza tra giusto e sbagliato e optare per la prima scelta. Non avrebbe permesso che il giusto, d’altronde, lasciasse in libertà simili vigliacchi. Avrebbe delegato Carlisle al compito di denunciargli. Ora, urgeva fuggire.

Bella sussultò quando le dita di Edward sfiorarono la sua mano sinistra, ancora adagiata sulla guancia. Percorse un tragitto di ghiaccio e fuoco lungo il suo dorso, afferrandole il polso con delicatezza, a dispetto dello sguardo furente che piantò d’improvviso nei suoi occhi lucidi. Alla vista del suo volto, l’incendio che divampava al loro interno si placò. Con la lentezza di una scena a rallentatore, le mani della ragazza abbandonarono il volto del vampiro e Edward si parò quasi interamente davanti al suo corpo, sospingendola verso l’auto.

≪Se li sfiorassi, li ucciderei≫, le sussurrò all’orecchio. Dopodiché il rumore della portiera riecheggiò nel silenzio.

Edward camminò lentamente, sfiorando i fari dell’auto con il denim e si accostò alla portiera del mezzo. Un attimo di esitazione, ma il suono frenetico del cuore di Isabella lo fece desistere definitivamente. Lanciò un ultimo penetrante sguardo agli aguzzini, prede del loro stesso gioco e si lasciò alle spalle quello spiazzo asettico. La sua corsa in auto non durò a lungo, non perché avesse premuto tanto l’acceleratore da aver già oltrepassato il confine della città, piuttosto per il silenzio angusto che regnava nell’abitacolo.

Bella non batté ciglio quando l’auto frenò improvvisamente. Il buio e il silenzio di quel luogo, terribilmente simile a quello cui era appena fuggita, non le pesavano quanto l’immediato bisogno d’ossigeno. La ragazza si lanciò fuori dall’auto con veemenza, sbattendo la portiera alle proprie spalle e abbandonando il peso del corpo all’auto. Chinò il capo e puntò gli occhi sulla strada, permettendosi di concretizzare quanto fosse stata vicina all’irreparabile. Un paio di scarpe firmate comparve nella sua visuale; alzò lentamente lo sguardo, percorrendo il sentiero degli arti inferiori e poi il busto del vampiro che l’aveva salvata, ancora. Non ebbe alcuna difficoltà nel riferirsi al ragazzo con tale appellativo, d’altronde, se non fosse già stato ovvio che Edward nascondeva qualcosa di strano, quell’ultimo salvataggio miracoloso e casuale avrebbe cancellato ogni dubbio sulla sua natura. Inoltre, il tete-a-tete con il gruppo degli aggressori aveva consolidato le sue certezze: non importa la specie (o la razza) d’appartenenza ma le scelte individuali degli uomini che vi appartengono. Altrettanto naturale le parvero il gelo e la durezza del suo petto, quando si fiondò tra le braccia di Edward che non esitarono a stringerla. Nessuno dei due parlò per parecchio tempo, la notte incombeva e i minuti passavano ma ogni cosa svaniva di fronte alla consapevolezza di essere ancora insieme. Perché, eccetto la paura di soccombere in modo così cruento, Isabella aveva temuto di perdere Edward e aveva realizzato, forse a causa dell’adrenalina, forse era semplice pazzia, che non avrebbe sprecato l’occasione di vivere quel momento. Nonostante, ben presto, avrebbe dovuto pagare le conseguenze della propria scelta.

≪Grazie≫, sussurrò Bella, ≪di nuovo≫.

≪Mi dispiace≫, replicò Edward, ed entrambi sapevano che non si riferiva al proprio rammarico per quell’avvenimento.

≪Angela ti aspetta≫, sussurrò il vampiro, gonfiando i suoi capelli con il proprio respiro.

Bella sollevò il capo, abbandonando il paradisiaco rifugio delle sue braccia, e puntò i suoi occhi, ancora scuri ma sereni, senza chiedere come conoscesse quel particolare, piuttosto indagando il senso della sua frase. Era impossibile che Edward si fosse lasciato sfuggire un dettaglio così importante della sua copertura, che avesse deciso di essere sincero? La ragazza si limitò ad annuire, emozionata da quella prospettiva. Lasciò che le aprisse la portiera e riprendesse la guida dell’auto, sussurrando appena il nome del ristorante italiano in cui avrebbe dovuto cenare.

******

L’interno del locale era caldo e accogliente grazie al colore delle pareti, alla luce accecante appesa al soffitto e al borbottio sommesso delle voci, o almeno, questo era ciò che avrebbe voluto trasmettere ai suoi ospiti. In realtà, dopo aver conosciuto il rifugio delle braccia di Edward, qualsiasi altro luogo le sarebbe parso inospitale, perciò, era di parte. L’improvviso innalzamento della temperatura le riscaldò le guance o forse erano i suoi stessi pensieri a imbarazzarla o la rabbia che accompagnò la gelosia per gli sguardi insistenti della maitres. Cercò Angela nella sala affollata e la riconobbe presto a un tavolo per tre accanto alla finestra, un cipiglio di preoccupazione sul volto, stava dicendo qualcosa a Ben. Bella afferrò Edward per il polso, senza pensare eccessivamente, trascinandolo al tavolo prima che la maitres li raggiungesse. Se il vampiro non fosse stato ancora sconvolto per gli avvenimenti che si erano susseguiti in quella serata, probabilmente avrebbe riso. Il brivido che gli accarezzò la spina dorsale e il calore che gli accese le pupille erano un chiaro segno di apprezzamento per la possessività che Bella dimostrava nei suoi confronti.

≪Bella?≫, Angela scattò dalla sedia e sul suo volto si susseguì una serie di espressioni: sorpresa, conforto, sgomento e imbarazzo, quando registrò la presenza di Edward.  Ben sussultò.

≪Ero preoccupata. Non pensavo che avessi incontrato... Edward≫, sussurrò il suo nome con deferenza.

≪Incontrarlo a Port Angeles è stata una sorpresa, ci siamo messi a parlare e il tempo è... volato≫, rispose Bella imbarazzata. Lei e Angela si scambiarono strani sguardi. Edward afferrò qualche frammento della loro conversazione, ma ben presto i pensieri della ragazza cambiarono direzione, vertendo su Ben e la cena appena conclusa.

≪Mentre ti aspettavamo abbiamo mangiato, spero non ti dispiaccia≫, disse Ben.

≪Non è un problema, davvero≫, si affrettò a replicare Bella.

Edward si schiarì la gola, attirando l’attenzione dei commensali e della fanciulla.

≪Possiamo cenare insieme, se lo desideri. Ti riporterei io a casa≫, affermò Edward, seducendola con la sua voce profonda e roca, stringendo la presa intorno alla sua mano.

Bella non aveva ancora notato che le loro mani si erano automaticamente congiunte. Le sue labbra si curvarono in un sorriso estremamente dolce e innocente e annuì con il capo. Edward si aprì nel suo mezzo sorriso che la fece capitolare definitivamente e annunciò la loro decisione ad Angela e Ben che avevano assistito e si scambiavano sguardi eloquenti.

≪Naturalmente ti riaccompagno io≫, aggiunse Ben rivolto ad Angela, che annuì arrossendo.

≪Ci vediamo domani≫, sussurrarono entrambe contemporaneamente, a voler sottolineare che avrebbero avuto molte cose da chiarire l’indomani.

≪Posso aiutarvi?≫, cinguettò una voce stridula alle loro spalle, interrompendo l’idillio del momento.

≪Sì. Desideriamo un tavolo per due≫, rispose Edward, intrecciando le dita intorno alla mano di Isabella che si parò per metà di fronte al corpo del ragazzo, sottolineando la propria mal celata irritazione.  

*********

La maitres li scortò al tavolo che avevano richiesto, distante dalla zona più affollata del locale. I suoi occhi brillarono d’irritazione quando Edward scostò la sedia di Bella, con un gesto galante e intimo. Quando la ragazza si allontanò sconfitta, Isabella esordì:≪Saresti sincero se ti ponessi alcune domande?≫.

≪Credo che a questo punto mentire vorrebbe dire offendere la tu intelligenza e non è mia intenzione farlo≫, replicò lui attentamente.

≪Come facevi a sapere dove trovarmi? E perché sapevi di Angela?≫.

≪La mia mente è in grado di... percepire i pensieri altrui. Quelli di quegli... uomini mi hanno portato a te≫, chiarì, attendendo la sua reazione.

Diversamente da quanto immaginava, i suoi occhi brillarono di aspettativa e il suo voltò s’illuminò all’inverosimile.

≪Tu leggi... nel pensiero? Leggi anche la mia mente?≫, chiese, arrossendo.

≪Leggo nel pensiero, ma non nel tuo. Mio padre ha fatto diversi esperimenti sulle mie capacità telepatiche e ne abbiamo dedotto una spiegazione scientifica, ma non è mai successo che non potessi leggere una mente≫, spiegò.

≪Sei il mio tallone d’Achille e adesso permetti che sia io a porti una domanda? Di cosa hai discusso con Angela?≫.

≪Cosa hai sentito, di preciso?≫, chiese lei.

≪Quello che ho sentito non ha importanza. Devi dirmi... cosa ti preoccupa? Cosa temi? Che cosa sai, Bella? Perché sono certo che ci fosse molto di più≫.

≪A La Push, ho incontrato un ragazzo. Un tale Jacob Black. Mi ha raccontato vecchie leggende e non è stato difficile mettere insieme i pezzi. So cosa sei; perché non mangi né bevi niente, perché non esci alla luce del sole e i tuoi occhi cambiano colore. So come mi hai salvato dall’incidente con il furgone e perché la tua pelle è fredda come il ghiaccio. So perché i tuoi gesti ricordano un’epoca diversa, passata e in cosa consista la tua dieta “vegetariana?”. E sai perché non ho remore a sedere qui con te? Perché tutto ciò non mi ha sconvolto, ha soltanto fatto chiarezza sui miei dubbi≫, concluse.

I minuti passavano senza che Edward dicesse alcunché, la cameriera tornò al tavolo con l’unica ordinazione e si allontanò nuovamente, prima che il ragazzo aprisse bocca.

≪Conosci davvero tutte le implicazioni della mia natura? Il rischio che corri a starmi accanto? La facilità con la quale potrei ucciderti? La sete di sangue che mi divora e alla quale potrei soccombere e l’effetto che ha su di me l’odore del tuo sangue? Saresti stata così fiduciosa se avessi ucciso quegli uomini davanti ai tuoi occhi? Hai idea del sangue che ho versato in passato e di quello che avrei voluto versare in quella prima ora di biologia? Non ti sconvolge il tocco della mia pelle? Hai una vaga idea di cosa comporti ciò che io provo per te?≫, sibilò, senza che il corpo di Bella mostrasse alcun segno di timore. Le sue mani si mossero lentamente sulla superficie del tavolo, sfiorando delicatamente quelle del vampiro, che non ebbe la forza di sottrarsi al suo tocco. Il cuore di Bella batteva freneticamente.

≪Non conosco il tuo passato, ma è certo che non ti temo. Mi importa soltanto dell’uomo che ho conosciuto. Lo stesso che mi ha salvato infinite volte dalla morte e prima di tutti da se stesso. Mi importa dell’uomo che non perderebbe mai il controllo di se stesso, non perché abbia anni e anni di allenamento alle spalle ma per la bontà del suo carattere. Mi importa dell’uomo che riesce a rassicurarmi con un tocco e capirmi con uno sguardo, anche se vorrei conoscere di lui ogni sfaccettatura, anche passata. Perché la accetterei, forse per i nostri sentimenti... comuni≫, terminò la ragazza e le sue guance si colorarono di rosso, mentre Edward le sfiorava la pelle delle gote con il dito indice.

≪Mangia e andiamo via di qui≫, rispose semplicemente, liberando una mano dalla sua morsa per permetterle di afferrare la forchetta, ma senza rinunciare al tocco dell’altra.

***********

≪Anche Carlisle è un vampiro≫, sussurrò Bella, quando furono all’interno dell’auto, come se lo realizzasse solo in quel momento.

≪Ogni membro della mia famiglia lo è≫, concordò Edward.

≪Carlisle è così... umano, normale≫.

≪E’ il più anziano; la colonna portante della nostra famiglia, insieme a Esme. Oltre alla sua veneranda età, il lavoro di medico l’ho costretto per tutti questi anni a stretto contatto con gli umani e ora riesce a confondersi perfettamente con loro, con voi≫, chiarì.

≪Mi svelerai mai la tua reale età?≫, chiese Bella, ≪mi divertirei a prenderti in giro, parli di Carlisle ma sono certa che sei una cariatide≫.

≪Ho solo centoundici anni≫, ribadì lui, fingendo un’occhiataccia. Bella esplose in una risata argentina e musicale, affascinando incondizionatamente il povero predatore che diventava preda.

≪Sei nato nel... millenovecentouno? Non avrei mai sperato di avere una testimonianza diretta della storia del ventesimo secolo≫, esordì, con lo sguardo acceso di aspettativa.

Edward rise sonoramente. ≪Prometto che ti racconterò ogni cosa≫.

≪Se avevi realmente diciassette anni quando sei diventato un vampiro, è successo nel millenovecentodiciotto, nell’ultimo anno della grande guerra, sbaglio?≫, chiese Bella.

Edward annuì. ≪Avevo diciassette anni quando Carlisle mi ha trasformato≫.

≪Come... com’è successo?≫.

≪Erano gli ultimi giorni di maggio del millenovecentodiciotto, stavo morendo a causa della grande influenza. La febbre spagnola colpì tutta la mia famiglia. Uccise mio padre e mia madre e prima che potesse fare lo stesso con me, Carlisle, medico nell’ospedale di Chicago, decise di trasformarmi. Fui il primo a unirmi alla famiglia≫, spiegò.

La ragazza non aggiunse altro, si limitò a stringere la mano di Edward adagiata sul cambio.

≪Ho sempre amato Chicago≫, sussurrò Bella, ≪mi piacerebbe andarci un giorno≫.

La conversazione verté sulla città dell’Illinois fin quando Edward non arrestò l’auto davanti a casa Swan.

≪Siamo già arrivati≫, sussurrò Bella.

≪Che cosa è cambiato?≫, chiese Edward, fissando gli occhi sul parabrezza, ma senza guardare realmente davanti a sé.

≪Perché credi che sia necessariamente cambiato qualcosa?≫, replicò Bella, ammirando il suo profilo e studiando la sua mascella contratta.

≪Conosci la verità. E la verità implica sempre dei cambiamenti. Eppure tu sei ancora qui e la terra gira intorno al sole. Allora te lo chiedo nuovamente Bella – disse, volgendosi nella sua direzione con uno sguardo tormentato – cosa è cambiato?≫.

La ragazza sorrise bonariamente. ≪A volte, Edward, ti sembrerà strano, ma l’unico cambiamento che comporta la verità è la sua stessa conoscenza. Personalmente sapevo fin dall’inizio che in te c’era qualcosa di diverso e ti ripeto, scoprire di cosa si trattasse non mi ha sorpreso come credi. E poi, ho avuto due giorni di tempo per metabolizzare la cosa≫.

≪Ti sembrano sufficiente?≫, ghignò Edward, scuotendo il capo.

≪Per me lo sono stati. Ancora amici?≫, sussurrò, trattenendo il fiato in gola.

Edward si limitò a fissarla per un tempo che le parve infinito, in fondo, se avesse risposto di sì alla sua domanda, avrebbe soltanto ritardato di qualche tempo l’inevitabile. Entrambi erano consapevoli in cosa sarebbe dovuto consistere il cambiamento di cui aveva parlato il vampiro. Edward aveva rivelato, nell’impeto della confessione, la realtà nota dei suoi sentimenti per la fanciulla e questa aveva ricambiato con implicita confessione dichiarazione dei propri. Eppure, quelle parole sussurrate non avevano sbloccato la situazione tra di loro. Adesso che non c’era più un segreto abissale a distanziarli, Edward si chiedeva cosa ancora li tenesse lontani.

≪Amici≫, costatò, ≪in fondo, non è cambiato nulla≫.

Bella sorrise tristemente nella sua direzione, forzando il proprio corpo ad accettare la distanza tra le loro epidermidi e aprì la portiera dell’auto.

≪Ah, Edward? In ogni caso, ho vinto io≫.

Edward la guardò interrogativamente.

≪Ho scoperto i tuoi i tuoi segreti prima che tu riuscissi a scoprire i miei≫, disse, chiudendo la portiera e lasciandosi alle spalle il sorriso a trentadue denti di un vampiro innamorato.

*******

Il giorno seguente la vita proseguì esattamente come se nulla fosse cambiato. Le uniche differenze giacevano in fondo agli sguardi dei Cullen e di Isabella. Esme Cullen era insieme felice e mortalmente preoccupata per il minore dei suoi figli, Carlisle era ansioso e orgoglioso per il controllo dimostrato da Edwad e la maturità che lo aveva spinto a chiedere il suo aiuto per punire gli ignari aggressori della ragazza. Trasudava soddisfazione anche mentre varcava la soglia di una squallida bettola e incastrava i malviventi. I giovani Cullen avevano la loro dose di preoccupazioni, per il fratello e il segreto svelato all’umana, tranne qualche mente sempre spensierata. Edward fluttuava a qualche metro da terra, riportato bruscamente alla realtà da pensieri angosciosi. Era stato a un passo dal rivelare a Isabella il suo amore e lei aveva accennato a qualcosa di simile. Oppure aveva travisato le sue parole? Non era cambiato nulla nel loro rapporto, la ragazza non lo temeva né lo ripugnava, allora cosa lo infastidiva tanto? Avrebbe desiderato una reazione diversa da parte sua, davanti alla sua pseudo confessione? Isabella attendeva. Non conosceva le modalità, ma sapeva che qualcosa avrebbe frantumato il fragile equilibrio che si era creato tra lei ed Edward.

La campanella che annunciava la pausa pranzo trillò presto. Tra le varie chiacchiere con Angela le lezioni del mattino trascorsero in fretta. Edward la rapì dal caos della sala mensa e la trascinò sulla panchina all’aperto. Il vampiro si distese sulla panca di legno, poggiando il capo al muro alle sue spalle e invitò la ragazza, che si adagiò naturalmente tra le sue braccia, a imitarlo. I minuti trascorrevano senza che nessuno dei due sentisse il bisogno di dire alcunché, Bella gustava il proprio trancio di pizza e Edward le carezzava dolcemente i capelli.

≪Hai detto ad Angela che temi di perdere qualcosa di fondamentale, chi è?≫, esordì Edward, non trattenendo più le parole che mordevano per uscire.

Bella si sollevò dal suo petto, guardandolo con scetticismo.

≪Non dovresti leggere la sua mente, è scorretto da parte tua cercare di raccogliere i cocci delle nostre conversazioni≫, lo redarguì.

≪Non lo faccio di proposito, a volte le capita di ripesarci≫, si difese.

≪E’ tu ne approfitti≫, rispose.

≪Certo≫, ghignò Edward, ≪ma tu non hai risposto alla mia domanda≫.

≪Se non volessi farlo?≫.

≪Ne deduco di avere ragione≫.

≪No, non hai prove certe≫.

Edward sbottò. ≪Andiamo Bella. Ti ho messo a parte di ciò che provo e ho lasciato che facessi finta di nulla per tutto il tempo, ma non posso continuare questa menzogna. Scopri le carte; non ho voglia di giocare. Ho sentito quello che mi ha risposto, ricordi? – chiese, picchiettandosi la tempia con il dito - vampiro≫.

La ragazza si sollevò dalla panca, seguita da un movimento aggraziato del suddetto vampiro. ≪Pensi che io giochi?≫, chiese lei.

≪Vorrei che confessassi le tue paure. Hai ammesso di non temermi, allora spiegami cosa c’è con va. Io sono qui, perché non riesci a vederlo? Perché non ti importa?≫, sibilò.

≪Perché c’è un uomo più importante≫, urlò Isabella.

Una lama s’infranse tra le scapole del vampiro, come un colpo improvviso alle spalle, oltrepassando la stoffa e la pelle. E, a dispetto della sua natura quale creatura eterna, fu una ferita mortale.   

  
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