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Autore: Black_Rose93    05/02/2013    2 recensioni
Sarà una lezione difficile quella di Alex. Che posto gli spetta nel mondo? La sua natura di Creatura della Notte gli permetterà di avvicinare la dolce e tormentata (ma soprattutto umana) Elizabeth?
“Non puoi”.
“Perché?”
“Perché non c’è futuro”.
Genere: Dark, Sentimentale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Eccomi qua con una One shot dopo un miliardo di tempo.
Questa l'ho pescata da alcuni vecchi file sul computer e oggi l'ho sconvolta decisamente.
Spero vi piaccia, potrebbe anche non avere senso, ma è un piccolo esperimento per non lasciare in un binario morto una storia a cui tenevo molto.
Vedremo i commenti.
un bacio! :)
                                  Francy

Ps: a presto l'Epilogo di Troppo Vicino ;)


Lezioni di Immortalità

Alexander                                                     


Non mi sono mai abituato alla routine della vita. Soprattutto quella degli umani. Così fragili e prevedibili. Una specie così semplice e poco interessante.
Ogni persona pensa di essere diversa dall’altra. Io vi vedo per come siete: tutti uguali. Con un occhio esperto di decenni, non vi ho mai visti cambiare. Sempre pateticamente ignari di tutto ciò che vi circonda. Incoscienti della nostra presenza.
Siamo tantissimi tra di voi, non immaginate neanche quanto sia monotona la vostra vita per noi o perlomeno per uno come me.
Vi ho osservati per molto e vi ho visto cambiare il mondo, quello che vi sta attorno, ma mai voi stessi, avete rovinato tutto ciò che vi circonda infettando con la vostra presenza la splendida natura che ci ha fatto nascere. Vi odio, ma altrettanto vi rispetto, perché malgrado questo, la vostra vita è speciale, unica: nascete, crescete, vi consumate tra i vostri sogni, le vostre gioie e soprattutto potete morire ed essere ricordati dalle persone che vi amano o che vi odiano. 
Ero convinto che per me non sarebbe mai stato così ed infatti è impossibile.
Il mio nome è Alexander e sono una Creatura della notte, detto molto elegantemente.
Nacqui nella vecchia Roma nella metà del 1600 circa. Non ricordo né la mia trasformazione, né la mia vita prima di diventare ciò che sono. So solo che divenni qualcosa di più.
Qualcosa di oscuro.
Periodo e posto insolito per essere attaccati da un vampiro, eppure accadde.
Fu solo pochi anni fa che incontrai lei
Ormai avevo perso ogni interesse nella mia vita, avevo rinunciato a scoprire qualcosa su i miei veri 25 anni di età. Era il presente a cui dovevo stare aggrappato o mi sarei consumato nel mio stesso orrore.
Il XXI secolo era una specie di inferno per me, ogni cosa era uguale all’altra, nulla di nuovo ed eccitante. Una specie di purgatorio? No, tutto somigliava più all’inferno.
La mia vita sociale era quasi inesistente, sia per via della mia natura, ma anche per mia sola colpa. Non avevo mai avuto intenzione di stringere amicizia con qualcuno, perché l’idea di perderla nel giro di qualche decennio mi spaventava terribilmente, ma tutto ciò, in quei tempi, non lo avrei mai ammesso.
Per questo osservavo gli umani da un punto di vista critico e abbastanza cinico. Le uniche forme di compagnia che avevo erano Maria ed Edoardo, compagni di vita eterna, incontrati mentre giravo per il mondo, in cerca, appunto, di qualcuno come me.
Mi fecero capire da subito che, nonostante fossimo uguali, questo non bastava ad unirci e che la rivalità tra di noi era inevitabile anche se immotivata.
Tuttavia durante la mia esistenza, non li ho mai visti come una minaccia, anzi, erano come una specie di famiglia per me, una famiglia che mi aiutava sempre più a capire me stesso.
Maria era la più giovane, 100 anni portati da diciannovenne, dall’aspetto dolce e gentile: capelli biondo dorato, alta e snella, occhi verdi come prati immacolati.
Una musa per qualunque uomo in cerca di ispirazione.
Un destino segnato dalla morte per chiunque incrociasse il suo cammino.
Edoardo invece è come me. È il più vecchio del clan e sia io che Maria proviamo un grande rispetto per lui. Non siamo a conoscenza della sua età e nemmeno della sua provenienza, ma ogni sua parola, ogni sua lezione di vita, ci insegna di volta in volta a sopravvivere a questa miserabile esistenza.
Di fatti, in quei tempi, avevo l’abitudine di sparire per interi giorni per riflettere su ciò che mi aspettava nel mio apatico futuro,  per riflettere su cos’ero.
Non ho mai smesso di meravigliarmi di come io riesca a percepire il mondo con queste nuove doti amplificate.
Tutto è più interessante.
Tutto tranne l’uomo, che restavo a guardare cercando di percepire qualche cambiamento, qualcosa di migliore.
Quelgiorno ne parlai con Edoardo.
“L’uomo, che creatura ignorante”.
“Invece ti sbagli” mi rispose calmo, “Loro sono molto interessanti, se li sai osservare: provano sentimenti molto profondi l’uno verso l’altro. Provano odio, gelosia, amore, speranza… Hai mai provato ad osservarli senza quel tuo velo di cinismo?” mi chiese pacato.
“Non ci riesco”.
“Non essere così ottuso, so che non lo sei. Dovresti osservare i loro sentimenti, cercare di capire”.
“Non serve a nulla”.
“Vuoi dire che non c’è posto per i sentimenti nel nostro mondo?”.
“No, non c’è. Non siamo fatti per provare sentimenti e soprattutto per instaurare rapporti così profondi”.
“Questo pessimismo ti ucciderà”.
“Vorrei potesse farlo davvero”.
“Tu cerca comunque, osserva, e quando avrai trovato qualcosa, torna da me”.
Fu quello il motivo per cui mi addentrai nella città in cerca della vera umanità.
 
 
L’amore. L’odio. Sentimenti.
Che assurdità, erano tutte assurdità. Non ero in grado di vedere e quindi non aveva senso cercare, eppure rimasi a pensare.
Mi guardai intorno, cercando tra i pensieri delle persone quei sentori di emozioni di cui Edoardo mi aveva parlato.
Trovai solo pensieri vuoti, frasi sconnesse, emozioni futili.
Oggi sto proprio male! Perché sono andata a lavoro? Potevo…
…Veramente un’idiota non lo sopporto! Oggi non mi ha degnata di uno sguardo è assurdo come può fare un cosa del genere a me la più…
…Perché non gli chiedo un aumento così potrei comprare la macchina che…
…Ma quanto traffico, spero di non arrivare tardi, anche perché se no…
Chiedere il numero a quella ragazza, è lì tutta sola, è il momento devo…
…Che senso ha essere vivi  se non riesco più a vivere? Sono sola. Questo nuovo lavoro non mi sta aiutando a distrarmi. Sto soffocando… Che senso ha vivere così?
Mi bloccai.
Quella voce  apparteneva ad una donna, proveniva da dietro le mie spalle, così mi voltai e vidi una ragazza seduta a un tavolino fuori da un locale.
Sola.
Capelli mossi e castani, con occhi scuri come onice. Poco appariscente, ma affascinante.
Continuai ad ascoltare la sua mente.
Era strana.
Ovviamente i suoi pensieri non erano leggeri come quelli di tutti: avevano una nota grave, molto grave.
…La strada è piena di gente eppure la vedo vuota, tutte queste persone che camminano in realtà non vanno da nessuna parte. È tutto inutile, volete capirlo? Niente va come ti aspetti…
Vidi delle piccole lacrime scendere da quegli occhi grandi e scuri, strappandomi per la prima volta nella mia esistenza qualcosa nel petto.
Perché a me tutto questo? Non doveva andare così…
Con molta forza d’animo la vidi riprendersi subito da quel piccolo affluire.
La mia curiosità era pari a quella di un bambino.
Si asciugò le lacrime e si alzò dal tavolino, incamminandosi per la strada.
La seguii, come un predatore a caccia. Cercai di leggerle la mente, ma cominciavo a sentirmi debole.
Ma soprattutto non avevo fatto caso al suo odore prima.
Era buono come lo erano pochi e mi stuzzicava la sete e cominciai a sentirmi affamato.
‘Proprio adesso’, pensai esasperato.
 Dovevo sapere. Non so ancora spiegarmi il motivo, ma avevo bisogno di scoprire cosa potesse sconvolgere così tanto la vita di una donna umana.
Mentre camminava, avvertivo la sua consapevolezza nell’essere seguita e, prima che si voltasse per accertarsene, mi nascosi in un angolo della strada.
Ritrovai le forze per sentire un piccolo pensiero.
Ti ho visto idiota… che vuole adesso questo? Meglio mi muova…
  ‘Mi ha visto’, mi agitai. ‘Ha visto che la sto seguendo, adesso? Dovrei andarmene, ma…’.
Quando uscii dal nascondiglio lei era sparita, sentii il suo odore poco più avanti e ne seguii la scia. Era molto veloce, forse spaventata. Quando la scia si fece più densa, cominciai a rallentare e la vidi aprire il portone dell’edificio in cui probabilmente abitava. Sembrava di fretta, come se non volesse perdere tempo, come se avesse paura.
‘Ha paura di me’.
Continuai a seguirla con lo sguardo. Intanto si stava facendo buio.
Saliva le scale velocemente, al decimo scalino quasi cadde inciampando nei suoi piedi. Non sapevo cosa fare anche perché era da circa 500 anni che non interagivo con un umano, ma in quel momento, riflettendo sulla sua paura, mi venne un pensiero cattivo.
Con passo lento e deciso cominciai a salire le scale. La sentii bloccarsi, poi riprendere a salire più veloce di prima.
Mi sentii perdere il controllo. Spensi tutte le luci delle scale del comprensorio. Sentii la sua paura crescere e bloccarla, ferma, con un piede su uno scalino. Mi avvicinai a lei in silenzio, nel buio completo.
Io potevo vedere tutto.
Lei non poteva vedere niente.
La mia mano disegnò il contorno del suo corpo senza fare alcun rumore e sentii il suo respiro ridotto a un tremito.
 “Hai paura? Cos’è la paura?” chiesi a voce bassa.
La mia sete la desiderava, il battito del suo cuore era fortissimo e il sangue le pulsava veloce nelle vene.
 “Puoi uccidermi se vuoi. Non ho nessuna paura di morire”.
La sua voce era decisa e nascondeva il terrore puro, il mio umore cambiò di nuovo, sentii una voglia immensa di consolare questa sconosciuta così triste.
“Perché?” chiesi curioso, ma trattenendomi dal sembrarle troppo interessato.
“La vita mi ha deluso” disse e sentii il debole suono delle lacrime sulla sua pelle.
Le spostai i capelli dal collo e lo sfiorai con le labbra, provando una forte contrazione alla mascella.
“Ma che stai facendo?” mi chiese con una traccia di terrore nella voce.
“Come ti chiami?” chiesi cupo.
“Elizabeth” disse quasi senza voce, poi sentii il campanello d’allarme risuonare nella consapevolezza.
“Elizabeth"ripetei quasi in un sussurro.
E me ne andai.
 
Elizabeth, Elizabeth, Elizabeth.
Nel mio cervello era forte la voglia di tornare indietro e prendere il suo sangue, ma era troppo interessante.
Sapevo il suo nome, ora avrei saputo come trovarla in qualsiasi momento.
Elizabeth. Decisi di osservarla, di capirla, ma di non avvicinarla.
Mai più. Troppo pericoloso.
Che futile tentativo.
La voglia di farla mia in quel momento era a dir poco dolorosa e tornando a casa, due volte pensai di tornare e prenderla.
Prendere il suo sangue.
Quella ragazza in poche ore diventò il mio pensiero fisso, un ossessione dolce e penetrante e al ricordo di quello che stavo per fare, mi arrabbiai con me stesso.
Se fossi stato debole l’avrei già uccisa’, pensai.
Le sue parole mi rimbombavano in testa “Uccidimi se vuoi. Non ho nessuna paura di morire”.
 Dopo aver conosciuto Elizabeth, niente fu più come prima.
Il giorno dopo la cercai come un pazzo e la ritrovai nello stesso tavolino del bar del giorno precedente e feci la cosa più stupida che avrei potuto fare.

 
 

 Elizabeth

“Mi scusi, posso sedermi?” disse la voce. Quella voce l’avrei riconosciuta tra mille. Mi spaventai e sentii il cuore accelerare i suoi battiti di colpo.
 Voltai il capo e lo guardai in viso.
Capelli castano scuro, carnagione molto pallida,  occhi chiari, di un azzurro trasparente, naso dritto e labbra sottili.
Non avevo mai visto un uomo così bello.
Poteva avere 22 o 24 anni, ma aveva l’aria di essere molto maturo per la sua età, o forse mi sbagliavo.
“Come scusi?” biascicai sconvolta.
“Posso sedermi, se permette?” ribadì con gentilezza quell’uomo magnifico.
“Lei ieri mi ha seguita”, mi uscii di bocca, così.
Era lui ne ero certa. Non poteva darmela a bere. La sua voce inconfondibile lo tradiva. Eppure invece di avere paura mi sentii più sicura di me stessa.
“Si sta sbagliando, mi ha scambiato per qualcun altro”.
“Forse ha ragione” gli risposi sostenendo il suo sguardo. ‘Lo so che sei tu. La tua voce è inconfondibile’.
“Be’ ora devo andare, quindi il posto è tutto suo" dissi girandomi.
“No, aspetti!” mi disse a mezza voce e mi prese la mano, che lasciò subito andare. Era così freddo…
“Sì?” chiesi guardandolo tra lo scioccato e il sorpreso. La mia mente si azzerò completamente e mi sfuggì un pensiero: ‘Com’è bello’.
“Le posso offrire qualcosa?” la proposta che mi spiazzò fu accompagnata da un sorriso mozzafiato.
“No grazie, sono in ritardo, io…” tutti e due restammo zitti un attimo a fissarci.
“Mi scusi, la sto trattenendo, sono davvero un maleducato” disse d’un tratto lui con aria frustrata.
“Non si preoccupi, è stato un piacere” gli sorrisi e subito mi voltai.
No! Non potevo andarmene così. Ero sicurissima che fosse lui.
Non avevo dubbi, sin dal primo momento in cui avevo solamente udito la sua voce, ero stata sicura.
Quella voce, per me inconfondibile, aveva inspirato la mia musica per tutta la notte. Per quella voce non avevo chiuso occhio.
Avevo suonato ossessivamente il violino per l’intera nottata finché stremata dalla stanchezza mi ero dovuta per forza coricare a letto.
Ed ora era lì. E io me ne stavo andando.
Mi girai di scatto e questa volta fui io ad afferrargli la mano ignorando il freddo glaciale della sua liscissima pelle, ma lui, invece di sfuggire al mio tocco, rimase immobile.
Strinsi con più decisione le sua dita fredde.
Era uno sconosciuto, non avevo nessunissima ragione di sentirmi in fibrillazione, eppure il mio cuore batteva, come voglioso di uscire dal petto.
Non esiste aggettivo al mondo per descrivere la sensazioni che mi pervasero completamente, un misto di paura assurdamente ovvia e una maledetta curiosità verso quel fantastico, ma affascinante uomo che, forse, il giorno prima mi aveva davvero seguita, terrorizzandomi.
“Non mi prendere in giro” dissi con voce bassa e tremante “Sei tu”.
“Come scusi?” disse con voce roca e assurdamente attraente.
 “Sei tu quello di ieri” dissi con voce più ferma.
Mi fissò con distacco per alcuni minuti, istanti in cui mi soffermai sulla bellezza del suo viso. Le sue labbra, il naso, soprattutto gli occhi, che, anche con quello sguardo tagliente, erano meravigliosamente stupendi. Non avevo mai visto occhi così, come specchi dell’anima nel vero senso della parola, mi ci potevo specchiare.
Quando ritrovai la mia espressione in quegli occhi, notai che avevo il viso corrucciato, concentrato e proprio in quel momento anche la suo cambiò. Da freddo e tagliente, il suo sguardo si fece più caldo, ma stranamente più scuro.
Per quale motivo era triste? E perché mi fissava in quel modo maledettamente addolorato?
Con un movimento lentissimo portai la mia mano al suo viso, carezzandogli la guancia, gesto che, se fossi stata nelle mie piene facoltà mentali, non avrei mai compiuto.
Infatti dopo aver realizzato, allontanai la mano sorpresa.

 

 Alexander

Non capivo perché mi sentivo così triste, forse perché non avrei mai potuto conoscerla davvero.
Mi stava carezzando la guancia come se mi conoscesse da una vita e mi stesse consolando.
Quel gesto mi sorprese non poco, forse mi sconvolse. Ma quando la vidi che ritraeva la mano colpita da un lampo di lucidità, la fermai. Le afferrai la mano con estrema delicatezza e le dissi:
“Come ho potuto dubitare della tua intelligenza, Elizabeth” non capivo, non capivo le mie parole, quello che stavo dicendo e soprattutto quello che stavo provando, stavo per rovinare una vita intera di segreti.
“Io…” mormorò, ma la zittii subito.
“Sh…” le sussurrai e feci qualcosa inaspettatamente folle e pericoloso.
Mi avvicinai a lei quel tanto che bastava a sconvolgerle i pensieri, ma quel tanto che bastò a sconvolgere la mia sete di sangue.
Subito mi allontanai da lei e, senza nemmeno una parola, sparì tra la gente senza degnarla di un ultimo sguardo.
 
Corsi via da tutte quelle sensazioni sconvolgenti, nuove, mai provate. Non ero pronto, non avevo la forza di domarle. Ero debole, lo ero sempre stato, e l’avrei solo messa nei guai. Dovevo solo riflettere un attimo.
Non potevo metterla in pericolo in questo modo, aveva una vita e io di certo l’avrei sconvolta completamente. Non ci era permesso avvicinare così gli umani.
Eppure volevo.
Lei era diversa, c’era come una specie di attrazione che non aveva niente a che fare con il sangue, ma nemmeno con il fisico. La mia natura la richiedeva, certo, ma era una rinuncia che ero pronto ad accogliere. Ma il suo sangue mi attirava ancora molto, come la prima volta.
Troppo difficile avvicinarla di nuovo. Sapevo come sarebbe andata.
Ma qualcos’altro mi legava a lei ormai e questo mi spaventava.
Arrivai a casa e trovai Edoardo in salotto, che leggeva, la sua ossessione, il suo hobby preferito. Era seduto, molto tranquillo, quasi non fece caso a me, ma i miei movimenti nervosi e i miei ringhi bassi lo incuriosirono.
Gli bastò una sguardo, chiuse il libro di colpo e mi rivolse la parola.
 “E’ successo qualcosa” non era una domanda.
 “Io… lei, non capisco” dissi lasciandomi sprofondare nel divano.
 “Lei, chi?”
 “Elizabeth” dissi sospirando.
 “Lei…” sospirò lui e mi girai a osservarlo. Aveva lo sguardo perso, forse nei ricordi, qualcosa che andava aldilà di tutta quella situazione, “Una mortale” disse tranquillo volgendo lo sguardo verso di me.
Lo fissai a lungo senza rispondere poi conclusi “E’… Diversa”
“Non puoi”.
Quell’affermazione dura mi colpì come una tormenta.
“Perché?” chiesi piuttosto scontroso.
“Perché non c’è futuro”.
Non c’è futuro.
Sapevo benissimo cosa intendeva, ma scelsi di essere ottuso ancora una volta.
“Posso crearlo”, ma Edoardo scosse la testa.
“Ti avevo detto di osservare ed osservare significa rimanere al confine di ciò che scruti”.
Non risposi.
“Non puoi” ripeté duro.
Corsi via anche da lui, via da tutto, via da ogni cosa.
Mi incamminai per la città, le auto e la gente, che a quell’ora passavano per le strade, non mi disturbavano, anzi, mi tranquillizzavano: quello che era successo mi sembrava lontano un miliardo di anni luce.
Non volevo pensare.
Sgombrai la mente e mi sdraiai su una panchina in un parco, ascoltando semplicemente i rumori che mi circondavano e notai il suono di uno strumento in lontananza.
Un violino.
Quella melodia era a dir poco struggente, qualcosa di profondamente triste.
La concezione del tempo con la musica cambia. Molti di noi immortali stringevano un rapporto profondo con la musica, con uno strumento. Un brano poteva durare più di due o tre ore, qualcosa che per gli umani sarebbe sembrato infinito. Come lo era la nostra vita.
Quel violino aveva qualche nota  familiare, come se rispecchiasse qualcuno che conoscevo e seguì la melodia ritrovandomi inaspettatamente sotto il palazzo in cui avevo seguito Elizabeth e realizzai ciò che davvero provavo in quel momento.
Mi spostai veloce nel silenzio della notte, arrivando alla porta della giovane donna triste.
“Non puoi”.
“Perché?”
“Perché non c’è futuro”.
Aprii piano la porta principale, silenzioso come un gatto, lei non avvertì la mia presenza, e continuò a suonare con dolcezza.
“Posso crearlo”.
“Ti avevo detto di osservare ed osservare significa rimanere al confine di ciò che scruti”.
 “Non puoi”.
Mi avvicinai a lei con passo felpato e, arrivato alle sue spalle, la sentì bloccarsi.
“Sei venuto a prendermi” affermò con voce roca.
“Sì”.
“Non ho paura”.
E il violino cadde a terra.
 
“Tu cerca comunque, osserva, e quando avrai trovato qualcosa, torna da me”.
 
Avevo imparato la lezione.



 

   
 
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