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Autore: Hale29Hale    05/02/2013    1 recensioni
Un palazzo veneziano di giorno, una casa di persone che riprendono vita di notte. E cosa succede se per caso, sfortunatamente, accidentalmente, un'umana vi rimane bloccata? E se poi si innamora di un... fantasma?
Genere: Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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E come ogni notte di luna piena, mi appresto ad uscire dal mio giaciglio, l’affresco in cui sono stato incastrato, e girovagando tra le stanze canticchio le note che mi hanno ucciso. O colpa! O me disgraziato che ho permesso a me stesso di sfidare il più bravo degli dei in musica! Che lui, con la sua lira aveva vinto, ma non soddisfatto m’aveva fatto scorticare. Costretto ad una pena eterna, nei giorni d’inverno, quando la luna è l’unica in cielo a scaldare, che sia piena o uno spicchio, son solito andare nella stanza del palazzo che più mi colpisce. È vuota di tutto, ripulita da mani umane, decorati il soffitto e un po’ le pareti, con una cupola in alto, da cui entra una luce divina. E penzola nel mezzo un’aquila che tiene con gli artigli un uomo. Suona il silenzio, odo battere di tamburi.

E tu smarrita non trovi la via d’uscita, sei costretta a cedere difronte alla tua paura, odi il suono leggero dei miei passi che s’avvicinano, percepisci una presenza maligna che s’aggira nel palazzo. Ti colgo che stai per terra, seduta, le ginocchia attaccate al petto e le braccia che le stringono come se temessi che qualcuno possa portartele via. Il viso nascosto, pensi che così nessuno si possa accorgere di te.

«Ginger.» ti dico. 

Ecco, ho profanato la tua intimità, con il nome che solo chi ti ama può usare, con il nome a tutti segreto, ma non agli dei o ai morti, capaci di leggere nel cuore degli uomini. Sentito quel nome alzi il viso, incerta; una lacrima silenziosa ti ha rigato la guancia. Solo un fascio di luce che t’illumina, luce di luna, piccolo, misero, insignificante. Ma tu non puoi vedere il mio corpo, all’ombra, né il colore degli occhi miei, tanto meno capire se sono chi tu speri che io sia. Di me senti solo la voce, e questa ti basta, perché cadi nell’inganno.

«Hale.» dici.

Sembra una sorta di domanda, ma non ha bisogno di una risposta, non sarei capace a mentire. Attendo che le Nuvole sacre coprano il fascio di luce, per poi avvicinarmi a te e profanare di nuovo la tua intimità. Ti concedi come fosse normale; ti fidi, di me. Stolta! Dovresti fuggirmi! Invece ti scogli, liberi il cuore dalla paura, lasci che i pensieri confusi corrano via, sgombra la mente. Tremi al tocco della mia mano, gemi, seguendo il ritmo della melodia che ancora canticchio. Violo la tua innocenza, ti rendo la moglie del diavolo. Il mio veleno ti ricopre il corpo tra i baci. Non t’accorgi che ormai la luna è tornata a brillare, ora ti potrebbe essere chiara la mia identità; ma i tuoi occhi son chiusi, tu cedi al piacere e lasci che ti conquisti. Se non ci fosse l’amore, tu saresti già nel terrore. E io stesso ora temo di svelarmi, di mostrarti la mia identità. Il fascio di Luna è coperto di nuovo, tu baci il mio collo ma senti qualcosa che ti spaventa. Sanguino. Se quelle volte che esco dal mio affresco vengo di qui alla luce della luna, è solo per vedere in faccia la mia stessa colpa, per constatare che il mio corpo è infatti distrutto. E tu te ne accorgi, apri gli occhi spostandomi da te, mi accarezzi e mi sfiori cercando risposte. Senti il gracido urlo del sangue che sgorga, ti accorgi dell’assenza dei battiti del mio cuore. Accosti la mano al mio naso e capisci che non c’è neppure un respiro. Luna maledetta, se proprio adesso ti devi svelare, lasciandomi nudo difronte a un’umana, la cui verginità è appena stata profanata da me. Mostro che sono, di cuore e di corpo. Scorgi alla fievole luce le strisce di sangue che percorrono il mio corpo ed hanno infettato il tuo come fossero veleno. Sei immobile che fissi il mio petto, nel punto in cui c’è il cuore, il mio, ora spento. Non t’azzardi a guardarmi negli occhi, sai d’essere in trappola. Scorgi pure un sorriso che invade il mio volto, un sogghigno, una voce da bestia. T’accarezzo i capelli, una volta e due volte. La terza comincio a tirare, quasi con rabbia, perché voglio sfogare su di te la sofferenza che ho subito. Sopra le nostre teste volteggia la statua dell’aquila e l’uomo. Io so ch’essa è viva in sé, che può volare veramente. Infatti comincia con uno sbattere d’ali. Tu ti spaventi, quasi cerchi in me il riparo, ancora non credi che sia io il mostro. L’aquila gracida, girando intorno, mentre senti strilli di uomo. Sai, un’ora di notte in cui a palazzo Grimani tutto prende vita. Ciò che è stato, ora è. Senti l’orsa che ringhia; è di Callisto il verso, fanciulla violata da Giove e mutata in bestia da Giunone. E l’urlo è del figlio, ignora che l’orsa è la madre. E la statua, che prima in fondo taceva, di Laocoonte, si colma di urli e grida e le bisce trovano altre vittime. Ne senti una che s’avventura trai corridoi, eccitata dall’odore del mio sangue. Mi alzo e tu ti dimeni, non vuoi ch’io me ne vada. Cerchi i miei occhi, senza senso né significato. Cerchi d’immaginare il battito del mio cuore, ma non esiste. Mi libero dalla tua stretta e mi siedo in un angolo a guardare. Sembri la nuda di Giorgione, anch’essa è nel palazzo, solo che a causa del tempo s’è rovinata. Tu invece non hai che macchie del mio stesso sangue. Vediamo insieme il serpente che entra con circospezione nella sala. Da quanto non vede una figura umana e vivente. Ti accarezza le gambe, salendo su per il tuo corpo, facendoti tremare e vibrare. Mi guardi e io ti sorrido. La biscia passa tra le tue gambe, sale la schiena, ti sfiora il collo. Un po’ ti bacia ovunque, per quanto possa un serpente. Tu non dici parole, ti limiti ad aspettare in piedi che finisca il terrore. Ma nessuno sembra volerti lasciar andare in fretta, siamo onorati dalla tua presenza. Ti sei persa nel palazzo, sei rimasta chiusa dentro e ora paghi la tua distrazione. Qui tutti siamo reduci da distrazioni.

  
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