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Autore: Cracked Actress    06/02/2013    7 recensioni
"John può immaginare il volto concentrato di Sherlock mentre suona le ultime note, le sue sopracciglia aggrottate e le labbra strette, l'ha visto talmente tante volte. Probabilmente la presa sul violino si è rafforzata e quando smetterà di suonare la pelle bianca e immacolata del collo sarà arrossata laddove batte lo strumento. Niente di nuovo. Eppure quella mattina c'è qualcosa di diverso in quel suono acuto."
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 “...nam simul te,

Lesbia, aspexi, nihil est super mi

lingua sed torpet, tenuis sub artus

flamma demanat, sonitu suopte

tintinant aures, gemina teguntur

lumina nocte.”

(Catullo, carme 51)


 

La prima volta che il dottor John Watson si accorge di essere sessualmente attratto dal consulente detective Sherlock Holmes, è quasi l'alba di un ordinario, freddo giorno di novembre. Il primo debole raggio di sole è filtrato da poco dalla finestra e si è posato timido sulle dita eleganti di una mano che impugna l'archetto di un violino. Il suo proprietario è completamente assorbito dalla musica, tanto che pare non notare l'ingresso nella stanza di un uomo piuttosto basso e decisamente assonnato che indossa un pigiama grigio ed un paio di pantofole marroni.
“Grazie, Sherlock, non ho nemmeno avuto bisogno della sveglia.” borbotta sarcasticamente John mentre si siede sulla poltrona intenzionato a gustarsi almeno la consueta tazza di tè, visto il risveglio piuttosto turbolento.
Sherlock lo ignora completamente. John sbuffa e sorseggiando dalla tazza osserva la figura snella del suo migliore amico. Non indossa la solita vestaglia azzurra, oggi si è messo quella bordeaux – a John piace di più, quella bordeaux – e le sue spalle si muovono lentamente al ritmo dell'andante che sta suonando con rara intensità. Bach? No, forse Mendelssohn. Il collo di Sherlock è leggermente piegato a sinistra e teso, ad ogni movimento della testa i riccioli neri della nuca ondeggiano elastici. Per Dio, suona davvero bene stamattina, più del solito. Il tè caldo gli solletica la gola: ci vuole in una mattinata fredda come questa. Come al solito Sherlock è a piedi nudi, ma non conta: le persone normali con una temperatura del genere si avvolgerebbero in maglioni di lana e coperte.

La melodia accelera lievemente e i movimenti del gomito destro di Sherlock diventano più rapidi e meno ampi. Il brano si avvia verso la conclusione: John può immaginare il volto concentrato di Sherlock mentre suona le ultime note, le sue sopracciglia aggrottate e le labbra strette, l'ha visto talmente tante volte. Probabilmente la presa sul violino si è rafforzata e quando smetterà di suonare la pelle bianca e immacolata del collo sarà arrossata laddove batte lo strumento. Niente di nuovo. Eppure quella mattina c'è qualcosa di diverso in quel suono acuto.
Inaspettatamente, come una fulminea illuminazione, avverte un brivido caldo che dalla nuca scende lungo la spina dorsale e lo investe interamente come una scossa elettrica. I polpastrelli delle dita della mano sinistra, distrattamente appoggiati sulla coscia, diventano come piombo, scavano nel quadricipite improvvisamente teso. La mano che sostiene la tazza trema e una generosa goccia di tè salta fuori dal bicchiere e atterra sul bracciolo della poltrona. John sussulta e ingoia la poca saliva che umettava ancora le pareti della sua bocca: la salivazione è azzerata completamente e la lingua gratta contro il palato ormai secco. Una nota più alta del violino e un calore intenso avvolge il suo ventre, facendolo boccheggiare. Le pupille dilatate saettano e si posano irrequiete sulla pelle bianca del collo piegato di Sherlock e la sua temperatura continua ad aumentare, confluendo ancora più in basso. A John occorre tutto l'autocontrollo che possiede per impedire a se stesso di alzarsi in quel preciso istante, percorrere in un baleno la distanza che lo separa dall'uomo e in punta di piedi posare le labbra su quel dannato lembo di pelle. Intanto potrebbe semplicemente accarezzare le spalle ossute, sentire sotto le dita il morbido tessuto della vestaglia, infilare le braccia sotto quelle di Sherlock alzate per sorreggere il violino e l'archetto, mettergli le mani sul petto ed infine stringerlo forte a sé mentre ascolta le note finali di quel meraviglioso brano.
Un forte rossore si impadronisce delle guance di John quando si accorge che al pensiero i boxer che indossa si sono fatti estremamente più stretti. Non può essere vero. Stargli vicino, tentare di proteggerlo, preoccuparsi per le sue stranezze: tutto ciò è normale, è quello che gli amici fanno. Avere un'erezione mentre lo osservi suonare e immagini di cingergli la vita con le tua braccia: questo non è affatto normale. John tenta di inspirare profondamente e di sgombrare la mente mentre progetta la sua immediata fuga dalla stanza in direzione del bagno. Probabilmente Sherlock non si ricorda nemmeno della sua presenza, non sarà così difficile.
Posa la tazza ancora piena sull'unica piccola parte del tavolino a sinistra della poltrona non occupato dai libri e si alza in fretta.
Improvvisamente, la casa si fa silenziosa: in quel preciso istante, Sherlock ha smesso di suonare e si volta di scatto, posando su John il suo sguardo imperscrutabile. Le sopracciglia finalmente rilassate si aggrottano di nuovo quando lo colgono paralizzato davanti alla poltrona con aria colpevole.
La macchia color porpora sulle guance di John si espande fino a lambire l'attaccatura dei capelli e a colorare le orecchie, e per un solo, irragionevole, dannato attimo si dimentica di essere esposto alla vista di un uomo che anche con un numero considerevolmente inferiore di indizi riesce ad arrivare alla giusta conclusione. John avrebbe voglia di urlare mentre vede Sherlock che lo indaga, e si chiede perché non sia già scappato invece di rimanere stupidamente immobile come uno stoccafisso.

Tazza posata sul tavolino ancora piena, rossore diffuso, sguardo imbambolato, labbra semichiuse, respiro accelerato, mani strette a pugno, evidente rigonfiamento nella zona pubica. 


John osserva impotente gli occhi di Sherlock dilatarsi increduli mentre giunge alla soluzione del facilissimo enigma. La bocca del detective si apre appena mentre sussurra uno strozzato “John?” e appoggia lentamente prima il violino e poi l'archetto sulla scrivania alla sua destra, senza distogliere nemmeno per un secondo lo sguardo da lui.
Decide di giocare la carta dell'indifferenza.
“Buongiorno Sherlock!” esclama con voce più acuta del normale, e come se niente fosse successo recupera la tazza e si avvia verso la cucina a passo svelto, curandosi di dare le spalle il prima possibile all'amico. Avverte distintamente dei passi felpati dietro di sé ma fa finta di non curarsene e prende posto al tavolo da pranzo. Appena si siede, accavalla le gambe con assoluta nonchalance e comincia a sorseggiare il suo tè.
Sherlock è in piedi sulla porta e continua a guardarlo con quelle dannate sopracciglia aggrottate. Quando ripete di nuovo il suo nome con il solito sgradevole tono inquisitorio John non fa una piega e continua a bere un po' più velocemente del normale. Appena ha vuotato la tazza, si alza fingendo di non avere nulla in mezzo alle gambe e annuncia stupidamente con un'innaturale voce stridula: “Vado a farmi una doccia.” Ringrazia il cielo e sospira sollevato quando Sherlock rimane a guardarlo immobile e in silenzio mentre gli passa accanto e lo supera.
Con sommo sgomento, si ricrede all'improvviso quando sente le mani dell'altro afferrarlo con decisione e spingerlo fino ad inchiodarlo con le spalle contro le stipite della porta. Il viso di Sherlock è a circa venti centimetri dal suo e dalla sua bocca esce di nuovo il suo nome.

“No,” mormora John.

“No cosa?”

“Questo.”

“Questo cosa?”

“No” ripete, cercando di sottrarsi alla presa.

“Guardami,” gli ordina il detective mettendogli le mani sul collo e John non può fare a meno di obbedire.
Le gambe diventano improvvisamente molli quando sente le labbra carnose di Sherlock posarsi sulle sue in un imbarazzato bacio a stampo che dura pochi secondi. Quando si staccano, la sua temperatura corporea ha raggiunto livelli impensabili e non può fare a meno di ansimare.

“Cosa stai facendo?” chiede a Sherlock con un filo di voce.

“Un esperimento.”

“Un esp...” boccheggia John, “un esperimento...” ripete con gli occhi persi nel vuoto.

“John.”

“No.”

“Smettila di dire no."

“No.”

“Sei sessualmente attratto da me?”

Eccola, una maledetta domanda fin troppo diretta ed indelicata, in pieno stile Sherlock Holmes.

“Cosa? No!” mente con poca convinzione.

“Non è vero.”

“Come lo sai?”

“L'ho dedotto.” risponde Sherlock, guardandolo con le sopracciglia alzate come quando durante un caso gli chiede qualcosa di estremamente sciocco e scontato.

“E l'esperimento?” chiede John con voce strozzata.

“Volevo verificare la mia teoria.”

“Allora?”

“La frequenza dei tuoi battiti è aumentata considerevolmente mentre ti baciavo e ancora adesso è molto alta. Puoi sentirlo tu stesso, sei un dottore” afferma Sherlock afferrando la mano di John e portandola alla giugulare, laddove un attimo prima c'erano le sue mani: il cuore sta pompando a ritmo vertiginoso e non accenna a diminuire. Non può farlo di certo con il viso di Sherlock così vicino da sentire il suo caldo respiro sulla pelle, con la sua mano stretta attorno al polso.
John solleva di poco la testa per riuscire a guardarlo negli occhi, sicuro che Sherlock lo stia guardando con la solita aria insopportabilmente saccente. Quando invece coglie un'espressione insolita, quasi spaventata, sul volto dell'amico, capisce.
Non ci vuole un'intelligenza superiore alla media, una buona conoscenza dell'anatomia o del linguaggio del corpo, né tanto meno ottime capacità deduttive per intuire ciò che adesso è cristallino. Le loro bocche si avvicinano impercettibilmente, coprendo la distanza che le separa con una lentezza estenuante, fermandosi quando le labbra tremanti si sfiorano appena.

“Ragazzi, vi ho portato la colazione!”

La voce di Mrs Hudson rimbomba per le scale del 221b di Baker Street e i suoi passi si fanno a poco a poco minacciosamente più vicini.
John ringrazia dentro di sé l'anca malconcia della loro padrona di casa e il vassoio strapieno di uova strapazzate e bacon che probabilmente ha in mano per permettere a lui e a Sherlock di separarsi appena in tempo. Quando la donna entra nella stanza, i due sono in piedi al centro del salotto e le riservano un'accoglienza fin troppo calorosa.

“Buongiorno Mrs Hudson!” tuona Sherlock.

“Che pensiero gentile, grazie!” gli fa eco John.

“Non ho fame, vado a vestirmi. Lestrade mi ha chiamato.”
Sherlock sembra tornare pienamente in sé. È altamente probabile che si sia reso conto dell'enorme stronzata che stavano per fare e abbia deciso di seppellire quei minuti assurdi nei meandri più remoti del suo palazzo mentale.
“Continueremo l'esperimento più tardi, John!” esclama invece all'improvviso senza degnarlo di uno sguardo, sparendo teatralmente su per le scale con uno svolazzo della vestaglia.

John rimane stordito come se fosse stato appena colpito da un poderoso ceffone e agli strilli di Mrs Hudson che ha notato la sua erezione e ha lasciato cadere a terra il vassoio spargendo uova strapazzate dappertutto, non può fare a meno di rispondere con un ampio sorriso da idiota.

   
 
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