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Autore: Lady1990    07/02/2013    9 recensioni
Archibald è un ragazzino di quindici anni quando compie la scelta che gli cambierà la vita. Col passare del tempo, accanto al suo maestro, il signor Fires, scoprirà su cosa si fondano i concetti di Bene e Male, metterà in dubbio le proprie certezze, cercherà di trovare la risposta alle sue domande e indagherà a fondo sul valore dell'anima umana. Tramite il lavoro di assistente del Diavolo, riscuoterà anime e farà firmare contratti, sperimenterà sulla propria pelle il potere delle tenebre e rinnegherà tutto ciò in cui crede.
Però, forse è impossibile odiare il Bene e l'unico modo per sconfiggerlo è amarlo. Proprio quando gli sembrerà di aver toccato il fondo, la Luce farà la sua mossa per riprenderselo, ma starà ad Archibald decidere da che parte stare. Se poi si somma un profondo sentimento per il misterioso e affascinante signor Fires, le cose non si prospettano affatto semplici.
[Revisionata]
Genere: Dark, Horror, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Non passa molto tempo, prima che una domestica mi venga ad aprire. Ha il volto tirato, l’incarnato pallido e provato dalla stanchezza, forse dalle esigue ore di sonno che le sono concesse, e profonde rughe le solcano la fronte, invecchiandola di dieci anni.
“Desidera?” mi chiede in tono piatto.
“Buonasera. Vorrei vedere il signor Phelps, per cortesia.” sorrido educatamente.
“Il padrone è impegnato.”
“No, non lo è.” ribatto sicuro.
Uno dei vantaggi dell’essere diventato assistente del Diavolo è che sono in grado ormai di percepire la menzogna nelle parole delle persone, come se suonassero una sequela di note stonate nel bel mezzo di una sublime sinfonia.
“Vorrei incontrarlo, se non le dispiace.” insisto pacato.
“Le ho detto che-”
“Signora,” la interrompo, “sappiamo entrambi che il signor Phelps sta fumando tranquillamente il suo sigaro tra le mura dello studio. Le avrà ordinato di non disturbarlo, immagino, ma credo che anche lui aspetti una mia visita.”
“Io… non…” balbetta smarrita, stringendo con la mano scheletrica la stoffa della divisa, all'altezza del cuore.
Questa donna è innocente, lo percepisco. Non ha mai commesso peccati, tuttavia il candore della sua anima è attenuato dal fatto che si è involontariamente resa complice di qualcosa di grave. Non so quale potrà essere il verdetto per lei, ma se la Legge Suprema la dichiarerà comunque colpevole, non potrò oppormi alla sua condanna. La Legge è uguale per tutti, non ammette eccezioni, ed io sono il suo emissario.
“Coraggio.” la esorto con gentilezza e quella si fa da parte per lasciarmi passare.
È fatta. La porta si richiude da sola dietro di me con un sonoro tonfo e la domestica lancia un grido di sorpresa. 
Mi giro a fissarla e ghigno: “Sarà stato il vento, non abbia paura.”
Lei, bianca come un fantasma, mi scruta intimorita e deglutisce, per poi gettare una rapida occhiata fuori dalla finestra: non soffia nemmeno un refolo di vento. 
Io l’abbandono lì, attraverso l’ingresso a passo cadenzato e mi dirigo alla scalinata di legno ricoperta da un soffice tappeto color prugna, intenzionato a recarmi immediatamente al secondo piano, là dove so per certo trovarsi il mio contraente. Percorro un corridoio pieno di quadri impressionistici - riconosco un Turner e due Constable - e sfilo davanti ad uno specchio dalla superficie opaca, senza dubbio un cimelio d’antiquariato a giudicare dagli intarsi e decorazioni pompose tipiche del periodo barocco. Questo mi rimanda il riflesso di un giovane uomo con mossi capelli castani, lunghi fino alle spalle e legati in una coda bassa, e un paio di occhi dalla sfumatura violetta, incastonati come gemme dalla lucentezza sinistra in un viso ovale e perfetto. La carnagione chiara risalta sul completo nero che indosso e non posso fare a meno di notare quanto il mio aspetto sia cambiato, quanto sia divenuto… surreale, etereo quasi. Anche quando ero un adolescente ero bello, ne ero consapevole, ma adesso v’è una scintilla demoniaca nel mio sguardo, che, ricordo, in principio mi fece accapponare la pelle. Adesso mi sono abituato. Benché talvolta il desiderio di sfigurarmi torni ad assalirmi a tradimento, il pensiero che il signor Fires mi trovi attraente, come spesso mi ha ribadito, mi frena sempre dal commettere azioni avventate.
Giungo allo studio del signor Phelps e busso con discrezione, attendendo il suo permesso di entrare, il manico della valigetta ben stretto nel palmo.
“Chi è? Laura?”
Una voce arrochita dal fumo e dal peccato mi perfora le orecchie con un gracidio stridulo. Digrigno i denti infastidito. Difatti, durante il mio apprendistato, ho scoperto che il timbro vocale può essere influenzato da varie cause, tra le quali l’età, l’alimentazione, la posizione della faringe e della laringe, l’altezza del palato, l’allineamento dei denti, il fumo, l’alcool, ma in particolare per il contributo di un elemento da molti sottovalutato: il peccato. Più un individuo commette crimini, più la sua voce ne risente, senza che se ne accorga. O meglio, coloro che possono vantarsi di essere innocenti, di avere l’anima immacolata, sono gli unici capaci di avvertire le onde e le frequenze sgradevoli emesse dagli altri. Oltre ai demoni, ovviamente, e a quelli come me, umani a cui è stata conferita tale facoltà per motivi di ‘lavoro’ e per la misericordia di Satana. Il signor Phelps è evidentemente una persona meschina, crudele ed egoista, nonché depravata. 
Degli invisibili tentacoli mi avviluppano il corpo e per un attimo mi pietrifico terrorizzato. Poi rammento gli insegnamenti e le raccomandazioni del signor Fires e mi tranquillizzo, realizzando che quell’opprimente sensazione è dovuta al fatto che il contratto sta reagendo positivamente alla presenza del bersaglio. In breve, brama la sua anima nera.
“Signor Phelps, buonasera.”
Spalanco la porta senza bussare ed entro con decisione nella stanza finemente arredata e ammantata dal tanfo di sigaro, mentre il potere del contratto mi soffoca impaziente. Quell'odore rievoca in me il ricordo di mio padre, che fumava quella stessa marca. Immagini veloci e dolorose mi trafiggono il cervello e scorrono innanzi ai miei occhi come fotogrammi di una vecchia pellicola. Rabbrividisco, ma mi costringo a scacciarlo, non è il momento di rivangare il passato. 
Un uomo un po’ attempato e grassoccio, seduto su una poltrona imbottita dietro una scrivania in noce con intarsi floreali, scatta in piedi, il sigaro ben saldo fra le dita tozze e l’espressione confusa, sgomenta, incredula.
“Cosa vuole? Chi l’ha fatta entrare?” domanda, studiandomi dalla testa ai piedi con crescente nervosismo.
“Posso accomodarmi?” chiedo di rimando e, senza attendere risposta, mi siedo su una delle due poltrone di pelle rossa davanti al camino acceso, “Prego, prenda posto anche lei.” lo invito con un gesto elegante del polso e un sorriso gelido.
“Ma chi è lei?!” sbraita collerico e il peso dei suoi peccati si riversa su di me come un fiume di densa e fetida melma, mozzandomi il respiro in gola.
I tentacoli rinforzano la presa.
“Non dovrai esternare emozioni, Archie. Per te sarà difficile, lo comprendo, perché sei umano, ma è molto importante non lasciar trapelare neanche il più insignificante turbamento. Devono capire chi comanda, chi detiene l’autorità, e non devi assolutamente fornire loro l’occasione per avere la meglio su un servo di Sua Eccellenza Oscura.”
Le parole del maestro mi cullano, hanno sempre l’effetto della camomilla sulla mia fragile mente.
“Stia calmo, signor Phelps.” stiro le labbra in una smorfia e pongo la valigetta sulle ginocchia, aprendola e accingendomi a rovistarvi all’interno.
In realtà, il contratto è proprio di fronte ai miei occhi, è rovente e sibila rabbioso nel mio cervello, ma preferisco tergiversare e tendere i nervi dell’uomo fino al limite estremo, come una corda di violino. In tal modo la sofferenza sarà più grande, poiché avrà accumulato emozioni negative in eccesso, esattamente ciò di cui l’Inferno si nutre.
“Lei, in una parte recondita di sé, sa perfettamente chi sono o chi rappresento, non è vero?”
Il signor Phelps impallidisce vistosamente, ma poi scuote il capo con veemenza.
“La smetta di scherzare o chiamo la polizia!”
Ghigno serafico ed estraggo dalla valigetta un anello d’oro con un rubino incastonato al centro. Glielo mostro, un gioiello sospeso fra noi come una campana che suona a morto.
“Se lo ricorda? Questo è il simbolo del patto che stipulò tredici anni or sono.”
Dall’anello si irradiano improvvisamente spire venefiche, che si protendono spasmodiche verso il suo proprietario, e un tanfo mefitico si appiccica ai miei abiti firmati. Egli arretra sconvolto, una mano a coprirsi la bocca. Il sigaro cade sul pavimento e la cenere si sparge sul tappeto persiano.
“C-cosa…?”
“Il tempo è scaduto. È ora di pagare.” sussurro, depositando il contratto sul treppiedi a fianco alla poltrona.
Le informazioni riguardo al desiderio espresso dal mio cliente mi travolgono in rapidissimi flash, passano dietro la mia retina e si imprimono nella mia memoria come marchi di fuoco. 
Jeremy Phelps ha barattato la sua anima in cambio della guarigione dal cancro allo stomaco, malattia che tredici anni fa lo stava conducendo alla fossa. Tuttavia, durante la sua vita, si è reso protagonista di azioni turpi come lo stupro, l’incesto e l’omicidio. Un cocktail prelibato.
“Ebbene,” continuo, “si sieda e definiamo i termini dell’accordo. Se vuole, non finirà stanotte.”
È sicuramente il lato che detesto di più, ma è la prassi offrire al peccatore un’alternativa. L’uomo obbedisce e si accomoda sulla seconda poltrona. Le fiamme del camino scoppiettano minacciose, la presenza del Male è palpabile nell’aria e mi dona forza e lucidità.
“Non è finita?”
“Esiste una scappatoia, che le regalerà altri tredici anni.” spiego in tono professionale, intrecciando le dita in grembo e accavallando le gambe.
“In cosa consiste?” domanda ansioso, la faccia imperlata di sudore e segnata dalla malvagità.
Sorrido e chiudo gli occhi. In questo istante, qualcuno bussa alla porta e una voce femminile attutita chiama con apprensione il mio contraente.
“Papà? Tutto bene? Ti ho sentito urlare.”
Spalanco di nuovo le palpebre e fisso in maniera eloquente ed impietosa il signor Phelps, che si è irrigidito come una statua.
“Occorre pagare un pegno. Il patto deve essere saldato stanotte.” 
“Papà? Papà!”
I colpi si fanno più insistenti.
Il signor Phelps corruga le sopracciglia, allibito: “Mia figlia?”
Annuisco. La sua preziosa progenie, con cui intrattiene una relazione innaturale da dieci anni. La piccola, ora, ne ha sedici. Povera creatura, plagiata dalle oscenità e dalle inclinazioni deviate del padre, incapace di comprendere a quale ignominiosa nefandezza il genitore la sottopone all’insaputa di tutti. D’altronde, costui la tiene segregata in casa con la scusa della salute cagionevole e persino le visite degli altri membri della famiglia sono rare e sporadiche. La moglie del signor Phelps è morta in un incidente quando la figlia aveva solo quattro anni, così l’uomo si è preso cura della bambina e infine ha commesso indisturbato i suoi peccati. 
L'anello, abbandonato sul tavolino, rifulge di una luce sinistra e il fuoco si riflette sulla superficie liscia e dorata come su uno specchio.
“No, lei è quanto di più caro ho al mondo! Per favore, la lasci fuori da questa faccenda.” protesta accorato.
Inarco un sopracciglio e lo osservo severo: “Quindi ha intenzione di pagare lei stesso?”
Lo vedo esitare. 
“Non c’è un’altra soluzione?”
“No. O lei o sua figlia. Scelga.” mi impongo.
“Papà! Mi senti?”
Le lingue di fuoco nel camino guizzano feroci alle mie parole, come un monito. Dentro di me, però, prego affinché risparmi la figlia e si assuma le proprie responsabilità. 
Durante il mio “tirocinio” sotto il signor Fires, mi è capitato di assistere a scene melodrammatiche, persone che non indugiavano neppure un secondo nel sacrificare famiglia o amici per salvarsi dalla dannazione eterna, perciò non mi meraviglierei se anche il signor Phelps cedesse alla tentazione. Ma in fondo al cuore non posso esimermi dallo sperare che non succeda. Per quale motivo, poi? Ho perso la fiducia nell’umanità da anni e a causa del mio ruolo mi troverò sempre a contatto con individui ignobili e vili, la feccia peggiore che esista. Allora cosa mi spinge ogni volta a supplicare in segreto che il peccatore si redima? Credevo di essermi disilluso, di essermi arreso di fronte all'evidente natura disgustosa dell'uomo. È così ostico pronunciare la frase “mi pento e mi dolgo delle mie azioni”? Incontrerò mai qualcuno in grado di sfuggire veramente al contratto grazie alla rinnovata purezza della sua anima?
“Accetto.”
Vengo distolto dai miei pensieri e osservo perplesso il mio interlocutore: “Come, prego?”
“Accetto. Prenda mia figlia.”
Come se un fulmine si fosse appena abbattuto su questa casa, l’atmosfera si ghiaccia immediatamente ed un silenzio di tomba cala su di noi. Assottiglio le palpebre, riducendo gli occhi a fessure.
“Ne è sicuro?”
“Sì, sono sicuro.”
“La faccia entrare.”
Il mio cliente esegue e va ad aprire. 
Una ragazza in vestaglia irrompe violentemente nello studio e scandaglia l’ambiente con attenzione. Presto il suo cipiglio indagatore si ferma sulla mia figura e mi analizza in ogni dettaglio.
“Papà, chi è lui?”
Il padre non le risponde e le circonda le spalle con un braccio, portandola al mio cospetto come un agnello sacrificale da sgozzare sull’altare. È molto carina: ha lunghi capelli neri e ricci, due occhi scuri simili ad opali, il viso è tondo e le labbra carnose e piccole. Pare una bambolina. Serro le labbra in una linea retta e me le inumidisco con la lingua.
“Ciao, Laura. Piacere di conoscerti.” le sorrido dolcemente e le faccio cenno di sedersi là dove prima stava il suo deprecabile genitore, “Signor Phelps, lei può andare. La proroga verrà trasposta sul contratto appena avrò finito e sarà valida da mezzanotte, non si preoccupi.”
“Ma… forse è meglio che rimanga…”
“Ho detto che può andare.” scandisco in tono perentorio.
“Papà? Dove vai?” chiede allarmata la giovane, aggrappandosi alla veste da camera dell’uomo.
“Andrà tutto bene, tesoro. Sta’ tranquilla.” la blandisce e si divincola agitato e colpevole, senza avere il coraggio di guardarla in faccia. 
Poi corre fuori dalla stanza, senza voltarsi o dirle addio. Pervertito e codardo.
“Laura, adesso ti spiegherò perché sei qui, anche se, a conti fatti, è superfluo.” esordisco gentile.
“Cosa vuole farmi?” mi interroga, arretrando verso il muro.
Trema, l’agnellino, e la compatisco, ma il suo destino purtroppo è deciso.
“Morirai, cara. Tuo padre ha appena scambiato la sua vita con la tua.”
“Non… non è vero! Non le credo!”
Sospiro e domando: “Tu gli vuoi bene?”
“Sì, è mio padre.” mormora confusa.
“E sei cosciente che ciò che ti fa dall’età di sei anni non è normale?”
“Mh? A cosa si riferisce?”
“Non fare la tonta. È un grave crimine, un atto vergognoso che va contro la legge naturale e quella umana. Ma tu, pura come un tenero fiore, hai vissuto in una gabbia dorata e sei ignorante in materia di diritti e condanne. Io sono venuto dal signor Phelps per prenderlo in custodia, se mi passi l’espressione. Tredici anni or sono stipulò un patto col Diavolo. Sai chi è il Diavolo, vero?”
“C-certo… ma se si aspetta che crederò alle sue menzogne, si sbaglia! Papà mi ama! Il Diavolo non esiste! E... e anche se esistesse, Dio mi proteggerebbe...”
Il volto di porcellana viene deformato dalla paura e dall’angoscia, tutti i suoi castelli di carta vengono distrutti pian piano dalla verità che rotola fuori dalla mia bocca.
“Non sto mentendo e tu lo percepisci, dico bene?”
Ammutolisce, dopodiché pigola: “Cosa mi accadrà?”
“Verrai gettata nelle viscere dell’Inferno al posto di tuo padre, che verrà a tenerti compagnia fra altri tredici anni.”
“No!” sbotta isterica, fuggendo verso la porta.
La strattona, ma non sa che in questo momento ci troviamo in una dimensione diversa. Lo studio si è ormai trasformato nell’anticamera degli Inferi, un ingresso all’Antro Maledetto da cui è impossibile scappare, una sorta di limbo sospeso nello spazio e nel tempo, una prigione pervasa da effluvi maligni. Riesce ad aprirla, tuttavia ciò che le si para innanzi è soltanto il vuoto. Cade in ginocchio e gattona all’indietro spaventata, gridando e gemendo in lacrime.
“No, la prego! La prego! ”
“Mi dispiace davvero, Laura, ma devo riscuotere.” 
Le lancio l’anello e lei, di riflesso, lo afferra. Subito il suo esile corpo viene invaso dalle fiamme, che le bruciano i capelli, gli abiti, la pelle, penetrano nel sangue, negli organi e le divorano l’anima. Le sue urla strazianti riempiono la stanza e mi feriscono il cuore, eppure la guardo con indifferenza, mentre il suo intero essere si carbonizza e lo spirito si separa dalle spoglie mortali sottoforma di nube grigiastra. Invoca suo padre, me, Dio, però le sue preghiere rimarranno inascoltate. Ella sfreccia impazzita per lo studio, in ogni direzione, e alla fine viene risucchiata dal fuoco che arde nel camino, una voragine incandescente che la inghiotte e la precipita nel girone infernale che spettava al genitore. 
Appena sparisce alla mia vista e ai miei sensi, mi alzo e raccolgo l’anello, che normalmente dovrebbe disintegrarsi quando il peccatore paga il suo debito. Però, poiché l’effettivo contraente è ancora vivo e vegeto, esso è rimasto intatto, in attesa del suo padrone. Lo depongo nella valigetta e mi rassetto i vestiti, all’improvviso esausto e consapevole di aver portato a termine con successo il mio primo incarico. Il signor Fires ne sarà orgoglioso e ciò mi rende soddisfatto del mio operato. So che forse tra tredici anni dovrò tornare in questa casa e recitare il medesimo copione, ma adesso voglio solo godermi i complimenti del mio maestro. 
Scocco un'ultima occhiata al cadavere di Laura, riverso sul pavimento, integro e senza alcuna traccia di ustioni. La causa della morte che rivelerà l'autopsia sarà arresto cardiaco, come sempre. L'età della vittima è indifferente.
Chiudo la porta e la riapro, scoprendo il signor Phelps giusto al di là della soglia. Ghigno freddo e lo sorpasso senza proferire parola, salutando con una strizzatina d’occhio la domestica immobile in fondo alle scale. Dopo quella che mi sembra un’eternità, esco in strada. Piccadilly Circus pullula di gente, turisti e giovani allegri e rumorosi. L’orologio del Big Ben rintocca la mezzanotte. 
La limousine nera mi aspetta a pochi passi di distanza e, sorridendo, salgo a bordo. Il signor Fires ha un'espressione fiera e dolce. Solo lui riesce a trasmettermi serenità e pace, cosa lievemente assurda per un demone del suo calibro. Si sposta con un movimento fluido, si siede accanto a me e mi solleva il mento, facendo incontrare i nostri occhi, viola nel carminio.
“Sei stato bravo.” mi sussurra suadente a un paio di centimetri dalle labbra, per poi sfiorarle con le sue in un bacio casto, “Meriti un premio.”
“Quale?” domando emozionato, accostandomi al suo corpo solido e prestante.
“Cinque varietà di torta della più rinomata pasticceria della città.”
Sospiro estasiato e ridacchio compiaciuto: “Ho già l’acquolina!”
“Ti piace proprio peccare di gola, eh?”
“Sono goloso di dolci, non dipende da me, è il mio organismo.” puntualizzo imbronciato.
Si sporge verso di me e strofina il naso sulla mia guancia, provocandomi una nuova e al contempo familiare cascata di brividi di eccitazione. Mi bacia ancora e affonda la lingua nella mia bocca, mentre il desiderio si ridesta in ogni cellula del mio corpo insieme al languore che precede ogni sua carezza. Sono suo, gli appartengo, anche se lui non ha mai dichiarato di volermi tutto per sé. Quello che sento non è amore, non credo, non sono più in grado di provare quel candido sentimento. Però di certo è qualcosa che gli si avvicina. Devozione? Venerazione? Gratitudine?
Ogni pensiero si azzera nell’attimo in cui mi abbraccia possessivo.
La macchina si mette in moto priva di autista e ci lasciamo la dimora dei Phelps alle spalle.










 
  
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