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Autore: JamD    28/08/2007    1 recensioni
Baldorias S. Fangini, il n 8 di Kronos, è conosciuto come "il distruttore di città" ma nessuno sa cosa sia stato il ragazzo e l'uomo prima dell'incontro con Train e gli Apostoli delle Stelle a Stalk Town. Saranno i ricordi del suo fedele partner, il n. 4 Kranz Murdock, a rivelare che dietro al giustizziere c'è un uomo.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Savage Stallion

 

 

 

 

 

Era una fredda mattinata di primavera, quando giunsi di fronte ai cancelli dell’Accademia degli Eraser di Kronos. Tutto ciò che mi fu detto era che in quel luogo si sarebbe concretizzato il mio scopo di vita.

L’auto nera che mi aveva accompagnato ripartì subito dopo aver scaricato i pochi bagagli che avevo. Con quella macchina se ne andavano nove anni di vita che non avrei più ricordato; ancora prima che imparassi a parlare mi venne detto che “da grande” avrei fatto l’assassino per un’organizzazione governativa…certo mai avrei pensato che alla fine sarei stato perfino orgoglioso di quell’appellativo…all’epoca ero molto dubbioso sulla scelta della mia famiglia.

Ma ora le persone, prime fra tutte i miei genitori, i luoghi e le esperienze legate a quei primi nove anni di vita non sono altro che un’ombra nella memoria.

Non conservo più alcun ricordo precedente all’ingresso all’Accademia…e in ogni caso sono dettagli irrilevanti.

La mia vita ora è quella di assassino professionista agli ordini di Kronos.

Gli anni trascorsi all’Accademia furono davvero intensi; qui imparai l’arte della guerra, le strategie e lo spirito marziale…ma soprattutto imparai a vivere da uomo e da soldato.

A quattordici anni, cinque dopo il mio ingresso all’Accademia e quando diventai ufficialmente un eraser, io ero già un adulto.

All’ufficio del direttore mi vennero consegnate la divisa e le prime istruzioni, prima fra tutte la mia nuova sistemazione: camera n.8.

Mi inoltrai così in quella maestosa scuola neoclassica, dalle ampie finestre e i corridoi lastricati di marmo bianco, che rifletteva la mia immagine come uno specchio…e mi persi.

Eh sì…non avevo minimamente idea di dove fosse la mia nuova camera e mi dimenticai di chiederlo, così vagabondai per quei grandi ambienti alla ricerca della mia stanza.

Chiesi a diverse persone la strada ma tutte loro, per la maggioranza studenti più grandi, mi guardavano con aria preoccupata e nessuno era apparentemente in grado di aiutarmi. Alla fine incontrai un ragazzo del secondo anno che mi spiegò la strada; preoccupato disse però che dovevo stare attento perché il ragazzo che già occupava la camera n.8 non godeva di buona reputazione.

Scoperto anche il motivo per cui nessuno là dentro volva avere a che fare con la “famigerata camera n.8”, raggiunsi finalmente il mio nuovo alloggio.

Bussai e da dentro una voce mi accordò l’entrata.

Entrai così in un’ampia e luminosa stanza dal mobilio antico, ampie tende alle grandi finestre spalancate che ondulavano al vento e cornici di stucco alle pareti.

-Salve…-

Eccolo lì, il temuto ospitante della stanza 8…lunghi capelli ramati scomposti che ricadevano sul viso e due schegge di cielo che brillavano dalla curiosità.

Questo fu il nostro primo incontro…io impacchettato in un completo nero, scaricato davanti ai cancelli con le valige e l’aspettativa di diventare un assassino, e tu con logori jeans strappati e la camicia della divisa svogliatamente sbottonata, che mi davi il benvenuto in quella che per cinque anni sarebbe stata la mia nuova vita.

Ti presentasti come avrebbe fatto un qualunque altro studente di una normale scuola, dimenticando che quella era la fucina di giustizieri e non di menti scientifiche.

-Io sono Baldorias Saber Fangini…chiamami pure Baldor-

Fangini…rampollo della dinastia di militari più longeva e famosa del mondo; tra i suoi avi si contano grandi condottieri e geniali generali…cose che venivano perfino studiate!…ma dopo tanti successi, la dinastia Fangini aveva visto minacciati il proprio nome e la propria fama da un discendente troppo irruente per poter essere inserito in un esercito normale. L’unica soluzione possibile era Kronos, organizzazione planetaria che reclutava ragazzi per farne soldati sotto i propri ordini.

Ma tu eri un puledro selvaggio che sì, era stato catturato e venduto al miglior offerente…ma non ti eri lasciato domare…e quegli occhi da falco che mi scrutavano dall’alto in basso, compresi, erano ben distanti dal doversi abbassare all’altrui volontà.

“Io sono Kranz Murdock” dissi, e le nostre mani si strinsero sigillando così quel contratto che ci lega ancora oggi, diciassette anni dopo.

Così iniziò la mia vita all’Accademia degli Eraser e, mentre tutti gli altri cadetti si stupivano del fatto che non mi avessi ancora picchiato e che io stoicamente resistevo nella tana del leone, ebbe anche inizio la lunga convivenza con l’erede dei Fangini.

Fu una convivenza strana sotto molti punti di vista…la differenza tra noi era talmente palese da essere ridicola. Eppure quella stanza n.8 divenne il mio rifugio e il regno che dividevamo.

-Questa camera da oggi sarà per te come una casa…ed io sarò la tua famiglia, come tu la mia, fino alla fine degli studi-

Ricordo ancora chiaramente queste tue parole. Mai nulla sarebbe stato più esatto…

Tempo dopo venni a sapere il motivo per cui, sebbene più grande di un anno, frequentavi il mio stesso corso di addestramento; inizialmente credevo fosse per una carenza in qualche disciplina, ma in realtà era stato solo un patetico tentativo degli istruttori di cercare di mettere il morso e la sella da una bestia decisamente fuori dal loro controllo.

Passavano i mesi e la vita all’Accademia era sempre più impegnativa: lezioni teoriche ed estenuanti allenamenti fisici erano il nostro pane quotidiano.

Alla sera ero talmente stanco che faticavo ad arrivare alla nostra camera. In quei momenti ti invidiavo da morire…non eri mai stanco, nessuna prova fisica era troppo impegnativa per le tue inesauribili energie.

Allora mi dicevo che era “solo” perché eri molto più alto e più robusto…oggi so che era l’inestinguibile fuoco che ti brucia dentro e che esplodeva nelle esercitazioni di lotta, nella corsa e negli esercizi di palestra.

Ma contrariamente ad ogni aspettativa, quando rimettevi piede a “casa” ti tramutavi…non ho mai conosciuto nessuno più disordinato, svogliato e casinista di te.

La camera n.8 non era nemmeno contemplata nei piani delle ispezioni regolari che gli istruttori facevano negli alloggi…ed io non ricordo quale miracolo mi abbia salvato dal disperarmi di fronte al quotidiano spargimento di abiti, libri, scarpe e di qualunque altra cosa ci fosse nel tuo armadio.

-Dopo rimetto a posto!-

Era la tua frase preferita…e tanto sapevamo entrambi che, esasperato dalla confusione che regnava imperturbata nella camera, mi sarei messo io a rimettere le tue cose a posto, consapevole che il giorno dopo sarebbe stato tutto come prima.

E del resto, se inizialmente ero convinto di non dover fare molti sforzi per raggiungere una posizione di preferenza presso gli istruttori, alla tua conoscenza dovetti ricredermi…la nostra scheda personale era piena di note negative…”Fangini e Murdock provocano un esplosione nell’aula di scienze”, “Fangini e Murdock hanno sfasciato la cattedra”, “Fangini e Murdock hanno bruciato con un lanciafiamme mezza aula”…almeno il tuo nome era prima del mio.

Passammo in questo modo cinque anni, un periodo in cui si fece strada anche la concreta possibilità di accedere al grado di eraser ufficiali e che per me rappresentava il raggiungimento della meta…per te solo una tappa verso la scalata finale.

Lo dicevano tutti…”Fangini diventerà un Numbers…ha le qualità per diventarlo”, “Kronos ha bisogno di gente come lui…”.

A te però non importava.

Entrambi eravamo entrati al servizio di Kronos per esplicita volontà delle nostre famiglie; ma mentre io tenevo fede alla richiesta che mi era stata fatta, in nome dello spirito accondiscendente che ancora oggi mi caratterizza, tu seguivi le tue inclinazioni naturali.

Io sono diventato un assassino…tu lo sei nato.

Per questo il tuo futuro come Numbers non è stato mai messo in discussione…la guerra è il tuo mestiere e la tua vocazione.

Ma in quel futuro io non esistevo…non ci stavo.

Negli anni all’Accademia, il nostro rapporto si è evoluto da quello di dipendenza cadetto-novizio, a quello paritario di compagni di stanza ed amici…

Ormai non concepivo più un ritorno ad una stanza vuota (ed ordinata)…quel luogo era speciale perché c’eri tu.

Il nostro destino però era diverso.

Dopo cinque lunghi ed intensi anni di addestramento ricevemmo il diploma di eraser: io per merito, tu per rassegnazione degli istruttori.

Ricordo ancora che nelle pause durante il discorso del direttore, l’unico rumore che si sentiva era la tua incessante masticazione di gomme…non credo che alcuno si sia mai permesso tanto, ma la gioia degli istruttori per la fine del “Ciclone Baldorias” era tale, che nessuno vietò quell’irrispettoso atto di insubordinazione.

Sì…perché oltre ad essere irruente e selvaggio, eri anche pericolosamente insofferente agli ordini e alle autorità. Vivevi come più ti aggradava (cosa che fai tutt’ora) e mai hai permesso ad alcuno di avere la soddisfazione di un tuo compito “sì, signore”.

Per questo eri temuto dai compagni…per questo eri malvisto dagli istruttori…e per questo ti ammiravo.

Al termine della cerimonia di diploma i nostri destini si divisero.

Venni trasferito in una lontana località a sud, dove iniziare la mia attiva formazione da eraser; persi le tue notizie un’ora dopo la cerimonia, quando salisti su un’auto nera che, si vociferava, ti avrebbe condotto direttamente al Quartier Generale di Kronos per l’investitura a Numbers.

I due anni da eraser furono i più tristi che ricordi…

Uccidevo senza pensare, perché me lo ordinavano, e dopo le missioni mi rinchiudevo in un appartamento buio e terribilmente silenzioso. Così, molte volte, mi trovai a rimpiangere i giorni dell’Accademia, quando la mia camera aveva costantemente l’aria di essere stata appena svaligiata, quando venivo ripreso ingiustamente alle lezioni di teoria, perché non riuscivo a mettere un freno al fiume di cavolate che mi veniva riversato addosso dal mio vicino di banco dai capelli ramati, e quando perdevo il sonno per un continuo blaterare insensato.

In quel periodo imparai a vivere da solo e mi preparai per trascorrervi tutta la vita.

Completamente inattesa fu quindi la convocazione ufficiale al centro di comando di Kronos.

Avevo fatto colpo, si diceva…ed ormai tutti gli eraser della zona mi consideravano già un superiore, nonostante i miei appena sedici anni.

Era piena estate quando fui ricevuto dal Consiglio e mi venne annunciato che, in merito alle mie eccellenti doti e alle fortunate missioni che avevo portato a termine, sarei diventato uno dei dirigenti…un Numbers.

Era già tutto deciso e non potei dire di no…

Mi tatuarono il n.4 (primo posto disponibile nella numerazione dei Numbers) sul fianco destro e mi consegnarono la divisa e la mia nuova arma: un pugnale a vibrazione, dalla lama argentea e l’elsa intarsiata.

Quel coltello si chiamava “Mars” e, ero convinto, sarebbe diventato il mio solo compagno.

Numbers o eraser, la mia situazione era pressoché immutata; e più di un mese dopo dal mio trasferimento nel nuovo appartamento, nei pressi del Quartier Generale, gli scatoloni con le mie cose erano ancora tra i piedi.

Inconsciamente sapevo che non era finita lì…

Dopo un paio di missioni solitarie, venni chiamato dal Consiglio per un incarico più grosso e che necessitava di due professionisti; per quel lavoro avrei così avuto un partner.

Certo non pensavo di ritrovarti proprio in quella circostanza…

Entrai nell’ufficio del vice-comandante Berze Rochefor senza curarmi troppo di chi (lo avevo visto attraverso i vetri smerigliati della porta) era già in attesa all’interno della stanza.

-Salve…-

Solita formula…solito saluto…e la sorpresa per quel rincontro venne presto sostituita dalla muta felicità.

In quei due anni di distacco, la differenza di altezza tra noi si era notevolmente ridotta, entrambi eravamo avviati verso la maturità fisica…ma quei due frammenti azzurri continuavano a riportarmi indietro negli anni perché, immutati e potenti, rappresentavano per me la concretizzazione di tanti desideri.

-Ce l’hai fatta pure tu, eh?-

Non dicesti altro, quasi ci fossimo separati solo per qualche ora, ed io scorsi il tuo tatuaggio dell’8 (seppi in seguito, numero che avevi personalmente richiesto), nella parte posteriore del collo…

in quel momento capì che non avevi mai dimenticato gli anni dell’Accademia…e con essi, avevi ricordato che me.

Ci venne affidata la missione ed entrambi partimmo per compiere il nostro dovere. A sera eravamo già rientrati per missione conclusa.

Quella sera stessa decidemmo di andare a “festeggiare” la nostra riunione; dopo una cena al ristorante, andammo a bere qualcosa in un locale.

Non hai mai ratto l’alcool, e lo sapevi bene, e forse per quello esagerasti e dovetti portarti a casa mia di peso.

Era tutta un’abile mossa…non so però se per intercessione dell’alcool o per tua precisa volontà.

Ti sdraiai sul divano, lo ricordo come fosse stato ieri, ed immancabilmente continuavi i tuoi monologhi insensati. Nel mezzo di essi però, quando ti dissi che per quella notte potevi restare a dormire da me, dicesti “non voglio più essere solo”.

Poi ti addormentasti profondamente, ignaro del fatto che quelle poche, apparentemente insensate parole, mi avevano tenuto sveglio fino a mattina.

La mattina dopo facemmo colazione per la prima volta insieme…ebbi il privilegio di poterti vedere senza l’aura formale di Numbers e per la prima volta mi accorsi di quando potevi essere umano.

Probabilmente interessati dalla nostra efficienza in coppia, il Consiglio ci affidò molti altri incarichi da svolgere insieme; i giorni in cui non avevamo missioni li trascorrevamo ad allenarci alle training rooms.

La guerra era diventato il nostro lavoro e lo svolgevamo bene.

Per ricambiare di una notte trascorsa sul mio divano, mi invitasti una domenica mattina a casa tua.

Quell’appartamento era la versione ampliata ed amplificata della nostra stanza dell’Accademia…vi regnava un disordine inumano e tutto faceva pensare che venisse usata più come enorme ripostiglio che come abitazione.

Il mio buon intuito non sbagliò nemmeno quella volta, quando decisi di presentarmi con gli ingredienti per preparare un pasto modesto ma decente; nel frigo deserto c’erano solo delle bibite e nella credenza solo schifezze grondanti di zucchero.

Come avevo previsto dovetti arrangiarmi a fare tutto…se dovessi indicare la caratteristiche di un imbranato mi basterebbe fare il tuo nome.

Ovviamente anche le mie capacità erano limitate e il riso risultò un po’ troppo cotto mentre le polpette di carne erano carenti di sale; questi errori però non ti impedirono di divorare tutto e di farmi pure i complimenti per il pasto.

Così, alla tua esclamazione distratta “Magari avessi qui uno come te, che cucina e sistema la casa!”, fu assolutamente naturale la mia immediata risposta “va bene…”.

Quella sera stessa, quando rientrai al mio anonimo appartamento, rifeci quel poco di bagagli che avevo disfatto in quei mesi.

Il giorno dopo mi trasferì nel tuo enorme attico disordinato.

Quella casa, all’ultimo piano di un grande condominio, divenne per noi la stessa cosa che rappresentò la camera n.8 negli anni dell’Accademia: un regno personale, un territorio recintato dove entrambi potevamo essere ciò che volevamo.

In questo luogo non avevamo regole e non avevamo limiti…era il nostro eden.

E questo dorato isolamento perdura tutt’ora e mai nessuno ha provato a spodestarci dai nostri troni.

Io ovviamente ero l’addetto alla cucina (anche se erano più i pasti fatti fuori di quelli in casa) e al mantenimento di un decoroso ordine.

Il mio potere decisionale era pressoché illimitato e potevo decidere sia come disporre i mobili sia come gestire entrambi i nostri stipendi…poi però dovevo rispettare le assurde usanze che da sempre ti hanno contraddistinto; tutte le porte, sebbene munite di specifica chiave, dovevano essere sempre aperte in qualsiasi situazione, per ubbidire al quel tuo principio di non trovarti mai una porta chiusa, e i pasti veloci che consumavamo a casa si sarebbero tenuti sul divano davanti alla televisione, in uno spartano modus vivendi di cui sei il sommo adoratore.

Sono convinto che chiunque sarebbe a dir poco impazzito con un convivente rumoroso ed ingombrante come te…io però non consideravo nemmeno l’idea di lasciare quel luogo.

Se mi si chiede cos’è una casa, io rispondo che è quell’attico.

Nessuno dei due aveva più avuto contatti con la propria famiglia; entrambi avevamo volutamente dimenticato ed entrambi eravamo stati dimenticati.

Ma per ciò che mi riguarda, la mia famiglia è composta da solo due persone…e nessun’altro avrei voluto dentro.

Il nostro isolamento privato si tradusse anche in un isolamento volutamente ricercato anche presso gli altri Numbers.

Come all’Accademia, tu non piacevi a loro e loro non piacevano a te; hai portato avanti con testardaggine quel tuo spirito selvaggio e a poco servivano i rimproveri del Consiglio per migliorare una condotta inesistente.

Ben presto dovettero rendersi conto che un marchio non era bastato.

Ma a Kronos non serviva controllarti…bastava scatenarti.

E così nacque la fama di “distruttore di città” che rappresenta il tuo vanto e il tuo epiteto.

La cosa, non serve dirlo, coinvolse anche me e così ci trovammo entrambi impiegati per le missioni più distruttive e meno diplomatiche.

Ti diverti sempre molto, forte di una superiorità sui nemici sempre schiacciante. La tua guerra è rumorosa, polverosa e dinamica; non ci sono appostamenti, niente tattiche o piani…solo l’azione pura e semplice.

La tua guerra ti ha sempre assomigliato così tanto…

I nostri ripetuti successi ci garantirono discreto successo anche presso gli altri Numbers; ma il tuo carattere ti impone di crearti una maschera di boria e presunzione spesso fastidiosa, che però non mi tocca mai, nemmeno in pubblico...la nostra vita va ben oltre quella facciata che dispensiamo.

Credo che nessuno mi crederebbe se dicessi quando può essere comica la tua immagine al risveglio, mentre arranchi assonnato dalla camera alla cucina, con i capelli di rame sparati in tutte le direzioni possibili.

Nessuno crederebbe che la tua lingua possa formulare anche complimenti o lodi, verso chi è in grado di fare cose per le quali riconosci senza problemi la tua incapacità.

Chi infine potrebbe credermi se giurassi che le notti di pioggia diventi pure silenzioso e malinconico, quando guardi piangere un cielo scuro mentre nel cielo dei tuoi occhi risplende sempre il sole.

Quel cielo che ho sempre rincorso, che ho sempre cercato e che so essere ancora là, solo per me, anche se non posso più ammirarlo.

Vidi troppo tardi la scheggia di metallo venirmi addosso…mi scansai in tempo perché non mi si conficcasse in testa, ma non abbastanza per impedire che mi portasse via la vista.

Da quel giorno la vita è diventata nera…e le porte di quel cielo, che per anni avevo ammirato attraverso le finestre dei tuoi occhi, si sono chiuse.

Dall’istante in cui ripresi coscienza all’ospedale al momento del ritorno a casa e all’inizio di una nuova vita, tu eri là.

Non so se ti era stato dato un periodo di pausa per assistermi o se lo avevi richiesto apposta…ma l’unica cosa che riuscivo sempre a percepire era la tua presenza.

Mi sei rimasto accanto fino a quando non sono riuscito a ritornare quello di un tempo; non mi hai mai lasciato.

Per mesi ti sei incolpato della mia disgrazia: mi chiedevi di perdonarti…ma io non avevo nulla di cui incolparti; mi chiedevi di provarti un po’ di rancore per non essere stato in grado di evitarlo…ma io riuscivo soltanto a volerti più bene; ed infine mi dicevi che avresti preferito essere tu al mio posto…mentre io ringraziavo Dio per non aver calato le tenebre sull’unico cielo che amavo.

Quando finalmente potei tornare a casa, impiegai diverso tempo ad imparare a muovermi senza vedere, anche in quel luogo di cui conoscevo ogni minimo particolare. I primi tempi, quando ancora qualche volta inciampavo nei tappeti o nei mobili, accorrevi preoccupato, quasi fossi stato un bambino che muoveva i suoi primi passi…mi chiedevi mille volte se stavo bene, se mi ero fatto male da qualche parte; ed io ridevo di quella tua inusuale ansia materna nei miei confronti…

Sei sempre stato una persona meravigliosa.

In quel periodo ti sottoponesti a ritmi folli, diviso tra le missioni che ti venivano affidate e il mio recupero di una perfetta condizione fisica, di cui ti sei interamente fatto carico.

Volevo continuare a combattere, volevo essere ancora un Numbers…o più semplicemente volevo rientrare in una fetta della tua giornata che da invalido mi sarebbe stata preclusa.

Man mano che passavano i mesi, gli altri sensi si affinarono e gradualmente riuscì a riprendere gli allenamenti e le missioni.

Prima del mio effettivo ritorno come Numbers, dopo una lunga convalescenza trascorsa sempre tra casa e palestra, mi venne recapitato un casco speciale, che amplificava i suoni e mi permetteva di coprire gli occhi ormai inutilizzabili.

In quel modo nascondevo anche la cicatrice che mi attraversava entrambe le palpebre e il naso…

Quel casco è diventato la mia corazza.

Pochi giorni dopo la consegna di quell’elmo, installasti una doppia porta blindata all’ingresso di casa. Il nostro castello ora è una fortezza inespugnabile…ancora più riservata e più personale.

-Quella cicatrice…è solo mia-

Dopo l’incidente sei diventato ancora più geloso…di me, della nostra casa e di tutto ciò che insieme abbiamo condiviso.

Ho fatto una promessa, mai togliere il casco in presenza di altri, che rispetto come un voto religioso.

Il liberarmi della mia armatura solo in tua presenza è diventato un principio di vita più importante di quello di eliminare i nemici di Kronos.

Grazie ad un addestramento specifico riuscì nel girò di due anni a riprendere il ruolo di n.4; in questo modo sono riuscito a stare al tuo passo e camminarti a fianco.

Ti persi anni fa…non avevo intenzione di farlo nuovamente.

Entrambi abbiamo vissuto anni di solitudine e abbiamo fatto di tutto per farvi fronte, cercando in vane distrazioni di morte la soluzione per sfuggire dalla morsa che minacciava di ucciderci con il suo grigiore e il suo silenzio.

La medicina l’abbiamo trovata solo sommando le nostre individualità e creando qualcosa di completamente nuovo, concretizzata con una convivenza strana e movimentata, fatta di incolmabili differenze.

Come incolmabile è ormai la differenza tra i tuoi due volti…se non ti conoscessi così bene, direi che diventi un altro…

Baldor, il n.8 di Kronos, distruttore di città, impassibile giustiziere e maniaco della guerra; e Baldor, il MIO Baldor, svogliato, pigro, distratto e curioso come un cucciolo…

Il Numbers prepotente, arrogante e presuntuoso, impietoso e crudele assassino che uccide a comando; e il ragazzo spensierato, energico, vivace e dominato da un fuoco di vita inesauribile, che trascorre le domeniche a ciondolare, camminando per casa e piedi nudi e masticando gomme.

E ciò che più mi rende felice è che sono stato scelto proprio io, unico che ti abbia dato una possibilità di riscatto in un mondo che ti aveva fatto nascere per stroncare vite, a poter godere di questa tua prospettiva umana; la vita per te si divide in due categorie: gli altri, a cui dare al massimo indifferenza…ed io, destinatario privilegiato sul cui riversare la tue manifestazioni emotive.

Tra noi non ci sono parole precise, non ci sono chiarimenti sulla nostra comune condizione; tutto ciò che proviamo filtra silenzioso tra le banali conversazioni a tavola, serpeggia tra gli sguardi e danza tra i non-detti.

Cosa io sia per te, non lo hai mai detto a parole…ma puntuale, ogni mattina, arriva silenzioso quel lieve bacio sul collo…tuo modo tutto personale per dirmi che sei sveglio, che ora connetti e che mi ringrazi per averti lasciato dormire mentre io mi alzavo per preparare la colazione.

Tutto questo al sicuro, protetti dalle quattro mura che abbiamo eretto come barriera contro le intemperie esterne e contro il giudizio del mondo intero.

Quindi si esce e si va ad allenarsi o si prepara una nuova missione.

È questa la nostra vita…e ne andiamo fieri.

E alla fine, eccoli là, gli Apostoli delle Stelle, nome pretenzioso il loro, che vorrebbero attuare una rivoluzione ed abbattere Kronos…Kronos, che ha già schierato i suoi Numbers per combatterli e che ha dovuto pateticamente ritirarsi lasciando sul campo uno dei veterani, il n.11, Beluga J. Heard, del Trio Cerbero.

-Sembra che ci siano degli Apostoli in fuga a Stalk Town-

Lo so ciò che vuoi dirmi, con questa frase apparentemente disinteressata; so che fremi dal desiderio di combattere…lo so, lo sento.

Non ho più bisogno di occhi per capire le tue intenzioni; le sensazioni che provi, me le sento dentro, chiare e vibranti.

“Va bene” dico ogni volta, come se mi volessi dire di andare ma non ne avessi il coraggio per rispetto verso la mia opinione, e necessitassi di una rassicurazione che va tutto bene e che sono d’accordo con te…ma in realtà dovrei dire piuttosto “vai dove vuoi, io ti seguirò sempre”.

Così ora siamo in viaggio verso Stalk Town con un piccolo manipolo di eraser minori. Non siamo inviati da ordini, ma solo dalla nostra volontà.

Sono dieci anni che le nostre guerre sono SOLO nostre…

È il nostro, privato, strano, modo per sentirci vivi…è la nostra regola di vita.

Questa, è la regola di vita di uno stallone selvaggio di nome Baldorias Saber Fangini.

 

 

 

 

  
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