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Autore: valentinamiky    07/02/2013    2 recensioni
Shot partecipante al contest "Cara catastrofe" indetto da Dominil B sul forum.
Ezequiel era uno dei Grigori, gli angeli scesi con intenti pacifici su Atlantide. Ma i suoi compagni si sono macchiati di un peccato orrendo, innamorandosi delle umane: hanno dato vita ai Nephilim. Tutto ciò che può fare il giovane angelo caduto, è assistere impotente alla distruzione della loro terra e cercare di salvare quei bambini innocenti, frutto di un'unione proibita... Ce la farà?
Genere: Avventura, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Nephilim - Spin off!'
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Questa fiction partecipa al contest "Cara Catastrofe", indetto da Dominil B.
I prompt sono stati assegnati attraverso dei pacchetti dal contenuto segreto, quindi li renderò noti a contest concluso XD

Ringrazio il piccolo Sunshine di EnnyInWanderwall che mi ha ispirata per il titolo. Che mondo sarebbe, senza Sunshine?! v.v
Questa Originale è una sorta di prequel per un'altra fiction che sto progettando, quindi era uno "studio" e allo stesso tempo mi ha consentito di creare le basi per il futuro svolgimento del plot. Spero di non aver concentrato troppi nomi in sole otto pagine! La maggior parte di essi sono ripresi dalla mitologia, dalla demonologia e dall'angelologia. 
Abila era la Colonna d'Ercole meridionale. Qualcuno pensa che sia situata sul monte Hacho (attuale Ceuta), altri ritengono sia il Jebel Musa (in Marocco). La Colonna settentrionale invece è Calpe (attuale Rocca di Gibilterra). Per la fiction ho optato per "Abyla" perchè mi sembrava più carino ^^

Il viaggio verso Abyla
 -Everybody’s on the run-


-Nubes!-
Ezequiel tremò appena, il gracile corpo angelico scosso dalla paura. Intorno a lui il caos regnava sovrano, in uno scenario apocalittico. Si trattava di una punizione divina e nel rendersene conto fu colto da un malore che si irradiava dal centro dello stomaco e si propagava in tutto il corpo, fino a riversarsi sul terreno crepato e morente sotto di lui.
Così rannicchiato a carponi in terra poteva avvertire chiaramente, attraverso i suoi poteri, che ogni cosa stava per essere distrutta. Sarebbe accaduto presto, forse entro una manciata di minuti; Atlantide stava per scomparire.
I suoi compagni Grigori, angeli scesi con lui sul suolo terrestre, erano stati trucidati e le loro consorti umane barbaramente uccise. Le superstiti gridavano, scappando qua e là in cerca di una salvezza che non avrebbero ottenuto. La squadra punitiva pareva inarrestabile e spietata: il sangue ricopriva ormai ogni cosa e i prossimi a cadere sarebbero stati i bambini. La vera ragione di quello scempio era punire quelle anime innocenti, il cui solo peccato consisteva nell'essere venuti al mondo. Perché quei piccini dalla pelle candida, gli occhi chiarissimi e capelli nivei erano Nephilim. Erano un abominio, il frutto del peggior peccato di cui un angelo potesse macchiarsi: l'unione proibita con gli umani.
-Nubes!- continuò a gridare, con il fiato raggelato dal panico. Poteva sopportare tutto, ma non l'idea che accadesse qualcosa di brutto a lui.
Le lacrime si affacciarono agli occhi color miele solitamente vispi, sognanti e spesso volti al cielo in attesa che le nuvole che lo solcavano gli parlassero. Ezequiel, l’angelo maestro nell'arte della meteorologia, si specchiava in un cielo tempestoso, colmo di nuvole nere; la sola che avrebbe voluto scorgere non si trovava da nessuna parte, per quanto si sforzasse di chiamarla. Nubes, uno dei numerosi figli di Lelanthos, Titano dell'aria, sembrava scomparso. L'amico di vapore  aveva sempre risposto al primo richiamo del meteorologo e se ora non si presentava al suo cospetto, era probabile che gli fosse accaduto qualcosa di brutto. Forse era stato catturato. Forse era stato polverizzato! Alcuni angeli speciali avevano il potere di distruggere anche le nuvole!
Un sibilo sfrecciò pericolosamente vicino al suo orecchio: una freccia. Doveva reagire, alzarsi e scappare prima che uno di quegli affari gli trapassasse una qualunque parte del corpo riducendolo a un colabrodo sanguinante. Eppure una forza invisibile, forse un incantesimo, lo tratteneva inchiodato col sedere a terra, con la leggera tunica di lino e edera imbrattata di fango e del sangue di un compagno che era morto tra le sue braccia.
Avvertì delle piccole scosse dalla terra, sotto le dita sporche di terriccio. Non bastavano gli angeli con le armi, ora perfino il terremoto. Si rannicchiò su se stesso, augurandosi che la scossa passasse in fretta e che non aprisse una voragine sul suolo di Atlantide.
-Che cos'abbiamo fatto?- un sussurro fioco e smorzato dal pianto, che abbandonò le sue labbra piene e ansanti.
 
Una figura nera si stagliò alle spalle del Grigorio, pronto a colpire l'ignaro e inerme angelo paralizzato da quelle prepotenti emozioni e dalla sensazione d'impotenza. La sua arma pronta a librare il colpo mortale.
 
-Non lo toccherei se fossi in te- 
Una voce cupa e sicura costrinse il guerriero a voltarsi repentino: era certo che alle sue spalle si fosse palesato un avversario, ma la sua lama sferzò unicamente aria. Dubbioso, tornò a concentrarsi sull'ultimo Grigorio rimasto. Gli ordini erano chiari, nessun superstite; Ezequiel non aveva mostrato interesse per le donne umane ma nemmeno aveva fatto rapporto ai superiori riguardo il comportamento promiscuo dei compagni e questo lo marchiava automaticamente come traditore.
Tuttavia, quando le sue iridi violette si spostarono sul suo esile obiettivo, trovò un ragazzo più alto e  possente, con arruffati capelli neri a fargli da scudo. 
Gli occhi azzurri parevano grigi come un cielo in tempesta e il sorriso storto che lo scherniva apertamente.
-Levati di mezzo, uomo!- intimò l’angelo, provando a colpirlo con un pugno.
Perfino Ezequiel, spaventato com’era, ritrovò un sorriso soddisfatto davanti allo stupore dell’aggressore quando il colpo attraversò il nuovo arrivato come fosse incorporeo. Nel ritirare la mano dal viso immobile e strafottente del giovane, il nemico la trovò umida e imperlata di goccioline d’acqua.
-Nubes!-  il grido euforico dell’amico Ezequiel rischiò di renderlo sordo a vita ma la nuvola si limitò a ghignare, soddisfatto della reazione dell’avversario. Aveva cose più importanti a cui badare, ad esempio punire l’angelo malvagio che aveva osato provare a colpire il suo padroncino alle spalle.
-Non ti hanno mai detto che attaccare alle spalle è da vigliacchi e che non si colpisce un moccioso?-
-Ehi!- alla parola “moccioso” l’angioletto arrossì, indignato: Nubes si prendeva sempre gioco di lui solo perché era un po’ bassino. Ma l’altro ignorò la sua voce petulante, zittendolo con lo sguardo.
-Eze, di questo qui mi occupo io. Tu raduna i piccoli e portali il più lontano possibile dall’isola. Coprirò io il vostro passaggio.-
Poteva apparire un ordine, ma il giovane angelo conoscendo la nube sin da piccino, poteva scorgere, racchiusa in fondo a quelle parole dure e burbere, una nota ben celata di apprensione. Provò il desiderio di gridare fino a squarciarsi i polmoni, ribellarsi e battere i piedi a terra come un moccioso in vena di capricci, con l’impulso di strapparsi i lunghi capelli ribelli, del medesimo colore dei frutti di argan pur di provare il suo desiderio di restare fino alla fine al fianco di quell’imprudente del suo migliore amico. Il suo fedele servitore e sì, perfino amante.
Ma d’altro canto, sapeva di non poter abbandonare al loro destino dei bambini al loro destino; non poteva permettere che altri piccoli, innocenti Nephilim venissero uccisi. Lo doveva ai suoi amici e compagni di avventure.
-Va bene, stupido! Ma se ti fai ammazzare io…io…- boccheggiò, senza trovare una minaccia che risultasse sufficientemente spaventosa o credibile.
Nubes attendeva divertito, seguendo i suoi gesti convulsi con la coda dell’occhio.
-Oh, insomma! Vedi di tornare tutto intero!-
La nuvola sentì i passi del suo protetto allontanarsi e si rilassò un poco: senza il pensiero di doverlo difendere, riusciva a concentrarsi unicamente sullo scontro imminente. Squadrò l’avversario e si lasciò andare a un sorriso sicuro e sprezzante.
-Sembra che tu tenga parecchio a quel moccioso. Ma quando avrò finito con te, mi occuperò di lui!- minacciò il guerriero spavaldo, quasi volesse impressionarlo con il timbro di voce profondo e la nota denigrante in essa racchiusa.
Ma il sorriso di Nubes si allargò. Le iridi azzurre scrutarono i lineamenti del nemico, soffermandosi sul tatuaggio che gli incorniciava il viso, partendo dalla zona occipitale e ricadendo ai lati degli zigomi fino al mento, dove si univa in una linea sottile. Non era un decoro qualsiasi: distingueva un guerriero di alto rango, un comandante. Aveva davanti a sé un tipo tosto, un avversario a dir poco pericoloso.
-Dovete essere uno Shemhazai. Posso sapere il vostro nome?-
-Sono Berith, Signore delle Alleanze. Dovresti essere onorato di cadere per mano mia, sciocca nuvola. Quando avrò concluso, di te resterà solo la polvere!- ghignò l’angelo, sicuro si sé, almeno in apparenza.
Nubes si limitò a scrollare le spalle, sollevando un braccio attraversato da piccole scariche elettriche di un tenue violetto e dal dolce profumo*. Eppure, il frastuono sinistro lasciava intuire quanto potessero essere letali.
-Se sopravvivrete…sarete rispedito al rango più basso della milizia!-
Berith sollevò la spada, pronto a dare una lezione a quella nuvola insolente. I due avversari corsero l’uno incontro all’altro, pronti a sferzare i loro colpi migliori, consci che quel combattimento dovesse concludersi al più presto, o sarebbero scomparsi insieme ad Atlantide.
 
Ezequiel brancolava in quella coltre nebbiosa. Il respiro affannoso che si addensava in nuvolette di vapore biancastro.
Alle sue spalle echeggiavano i rumori e le urla della battaglia, al suo fianco i pochi bambini che era riuscito a radunare lo seguivano incespicanti e spauriti; davanti a loro s’increspavano le furiose onde dell’oceano che avrebbero dovuto affrontare in cerca di salvezza.
Uno dei piccoli albini gli si avvicinò; le pupille sottili come quelle di un rettile corniciate da iridi color ghiaccio, il nasino schiacciato e intirizzito, le orecchie leggermente appuntite arrossate da quel gelo innaturale.
-Ezequiel, perché quegli angeli sono cattivi?-
Il Grigorio si morse il labbro a quella domanda innocente. Avvertiva su di sé gli sguardi puri di quei piccini pallidi e atterriti.
-Ora non abbiamo tempo per le spiegazioni. Dobbiamo scappare, finchè Nubes ci copre!-
Il bambino esitò un momento di troppo e la voce di un nemico raggiunse le orecchie dei fuggiaschi.
-Laggiù! Vedo qualcosa!-
Per quanto la nebbia fosse fitta, erano pur sempre delle figure in movimento ed erano stati scoperti.
-Presto, presto!- l’unico adulto del gruppo sollevò il bambino di peso e lo sistemò rapido sulla barca. Si chiese come avrebbero affrontato il mare in tempesta con quel trabiccolo. Era terrorizzato all’idea di una traversata: non sapeva nuotare e il viaggio per le Colonne d’Ercole era lungo, interminabile e tortuoso. Come se non bastasse, aveva tutti quegli angeli agguerriti e intenzionati a ucciderli alle calcagna.
Caricò anche l’ultimo bambino sulla barca e con tutte le forze la spinse oltre la banchigia, tra le onde, con il cuore che pulsava impazzito nella cassa toracica rimbombando furioso nelle orecchie. Sembrava che volesse esplodere da un momento all’altro.
-Ezequiel! Abbiamo un solo remo!- gridò un Nephilim, con voce squillante.
-Ci raggiungono!- fece notare ai compagni una bimba, tappandosi gli occhi colmi di lacrime per non dover assistere alla scena.
-Io me la sto facendo addosso!- frignò un bambino paffuto, strofinandosi gli occhi con i pugnetti chiusi.
-Che vengano! Li aspetto!- il piccolo più coraggioso si impettì, fiero ed evidentemente sprezzante del fatto che a guerrieri forti come gli angeli, sarebbe bastato un ceffone ben assestato per farlo volare via, esile com’era.
-Bambini, fate silenzio!- il meteorologo li ammonì, remando con foga.
Si stupì di quanta forza possedesse nelle sue esili braccia, ma era certo che fosse solo una conseguenza dell’adrenalina e che presto o tardi ne avrebbe risentito con dei crampi atroci.
I nemici acquistavano terreno, solcavano le onde senza alcuna fatica e nemmeno la nebbia sembrava ostacolarli.
Senza un miracolo a soccorrerli, li avrebbero sterminati senza pietà. Ma come poteva Ezequiel credere ancora in un miracolo, quando i soli a poterlo concedere erano proprio quegli angeli che ora li inseguivano con l’unico intento di ucciderli?
 
Era pronto a rassegnarsi, quando dai neri abissi emerse una bellissima donna dalla coda di pesce, in groppa ad un cavallo marino che si accostò immediatamente alla barca dei fuggitivi. L’angelo caduto Vepar, tramutata in sirena e il suo fedele compagno Kunopegos erano accorsi per aiutarli. Erano dei reietti, proprio come loro e non avrebbero certamente negato un aiuto a degli amici in difficoltà.
Il Grigorio non poteva credere ai propri occhi; i bambini esultarono, accogliendo festosi la meravigliosa sirena, che tirò le briglie del suo destriero e si insinuò tra la barca dei Nephilim e la corazzata nemica, ricevendo insulti dagli angeli.
-Come osano due angeli caduti come voi intromettersi? Non ostacolarci, donna!-
Incurante delle minacce, la sirena si gettò in mare, sibilando parole in una lingua arcana, con il retrogusto amaro di un’antica maledizione. Il suo cavallo impennò e trottò rapido sulle onde. Raggiunti i fuggitivi, lanciò al giovane capogruppo le redini abbandonate dalla sua amazzone. Ezequiel le afferrò al volo e dalle sue labbra uscì un’esclamazione di sorpresa appena il cavallo ripartì al galoppo con un nitrito.
I nemici non ebbero il tempo di riprendere l’inseguimento: un immenso vortice acquatico li costrinse ad arretrare e ripiegare sull’isola abbandonata per non rischiare di essere travolti e risucchiati nel profondo dell’oceano. Vepar li aveva salvati.
Ezequiel tirò un sospiro di sollievo: l’avevano scampata bella, almeno per il momento. Perfino i bambini gioirono con lacrime commosse ai lati degli occhietti vispi. Un breve momento di giubilo, prima che le loro speranze morissero.
Un frastuono.
Una scossa che rischiò di far ribaltare il loro mezzo galleggiante.
Si voltarono verso la loro isola natia giusto in tempo per vederla scomparire e inabissarsi sotto la potenza inaudita di un’onda dalle dimensioni spropositate. Se non avessero assistito a quello spettacolo con i propri occhi, non avrebbero mai creduto a un racconto simile: Atlantide era sparita, inabissata. Perduta per sempre.
I Nephilim ammutolirono, il sangue raggelato nelle vene.
La speranza che qualcuno oltre loro si salvasse e riuscisse a rintracciarli svanì nel nulla.
Ezequiel abbandonò le redini sconvolto, costringendo il bambino più piccolo al suo fianco ad afferrarle per paura che il cavallo marino si allontanasse abbandonandoli nel mezzo di un oceano che ora pareva infinito.
-Nubes!- il grido del Grigorio si levò nel cielo bianco, disperdendosi in quella coltre di nebbia e aria gelida.
 
Quando giunsero in vista del promontorio di Abyla, città conosciuta come “la Colonna del Sud”, sembrava trascorso un secolo.
Sbarcarono in silenzio, gli sguardi cupi di chi aveva conosciuto e visto in faccia la morte, la paura di non riuscire a ricostruire tutto d’accapo senza che questo venisse nuovamente distrutto. La consapevolezza che da quel momento in poi, nulla sarebbe stato come prima perché ormai chiunque li avrebbe considerati dei reietti, vili, traditori o addirittura abomini da distruggere.
Non avrebbero rivisto mai più i loro cari, né la loro amata Atlantide. Innanzi ai loro occhi un cammino che appariva tortuoso, incero e oscuro come la notte. Metteva i brividi.
I Nephilim si strinsero incerti intorno a Ezequiel che se ne stava chino sulle ginocchia, schiacciato dal peso di quelle consapevolezze e dalla responsabilità che, di punto in bianco, pendeva sul suo capo. Ora lui, il più giovane e inesperto, nonché solo sopravvissuto dei Grigori, doveva tramutarsi in un condottiero per quei piccini indifesi. Ma non era ancora pronto a diventare una guida, non da solo, non senza un sostegno.
Battè più volte i pugni chiusi sulla spiaggia che li aveva accolti, rabbioso.
I Nephilim continuavano a ripetere il suo nome, preoccupati, spaventati, infreddoliti e probabilmente affamati.

I open my eyes
I try to see but I'm blinded by the white light

 Aprì gli occhi nel tentativo di guardare i volti dei bambini che lo chiamavano, ma era come se quella coltre di nebbia bianca lo accecasse, inghiottendo perfino i ricordi di quella notte. Doveva essere una bruma mistica.

I can't remember how
I can't remember why
I'm lying here tonight

Nella mente era tutto offuscato e non sapeva spiegare come fossero arrivati fino a Abyla. Non capiva perché fosse sdraiato a terra con il fiato corto. Non riusciva a frenare quella sensazione di panico che lo costringeva ad ansimare o l’adrenalina che gli scorreva in corpo facendolo tremare come una fogliolina al vento.

And I can't stand the pain
And I can't make it go away
No I can't stand the pain

Ma la cosa peggiore era il dolore.
Quel dolore che non voleva andarsene, la consapevolezza che tutti i loro compagni erano morti in quel modo orrendo, uccisi a sangue freddo o inghiottiti dagli abissi. Come avrebbe potuto cancellare quelle immagini e farle andare via? Neppure quella nebbia mistica era riuscita a spazzarle lontane.
No, non poteva sopportare il dolore.
Com’era potuto accadere proprio a lui?

How could this happen to me
I made my mistakes
I've got nowhere to run

Anche lui come i compagni aveva fatto i suoi errori, certo: aveva visto i Grigori cadere infatuati delle umane, uno dopo l’altro e non aveva fatto nulla per fermarli, peccando d’ingenuità. Ma avrebbe preferito restare con loro e subire il loro stesso destino piuttosto che riuscire a fuggire ed essere costretto a ricordare in eterno di aver perso perfino Nubes.
Ora cos’avrebbe fatto? Solo, senza un posto in cui tornare e con dei bambini da accudire…
 

-Ezequiel-
Finalmente le voci apprensive dei Nephilim lo raggiunsero, costringendo l’angelo a riscuotersi. Si rese conto di stare piangendo solo quando, alzando gli occhi si ritrovò a fare i conti con una visione appannata e liquida.
-Ezequiel, sta nevicando!-
Il Grigorio aprì la bocca, come se volesse dire qualcosa ma la richiuse subito. No, non era possibile che stesse nevicando. Abyla era famosa per essere una terra calda e afosa; perfino quella nebbia era innaturale.
Fu quando aprì il palmo della mano e un fiocco di neve si adagiò placido al centro di esso che si accorse di un’altra stranezza.
-La neve…è tiepida.-
Un fiocco si posò sulle labbra semiaperte e carnose del giovane meteorologo; altri granelli, che cadevano lievi sul paesaggio circostante cambiarono traiettoria, concentrandosi attorno all'ultimo Grigorio sopravvissuto.
I bambini gridavano, atterriti ma Ezequiel provava solo un immenso senso di pace e protezione.
Una volta ammassati insieme e concentrati in modo compatto, i fiocchi di neve presero forma umana e prima ancora che la trasformazione fosse completata, l’angelo caduto aveva riconosciuto il familiare fermento delle particelle acquose della sua nuvola, a cui andarono a sommarsi le gocce salate che cadevano copiose dai suoi occhi.
-Nubes…- bisbigliò appena, tirando su col naso come un moccioso. Poi esplose in una serie di pugni e insulti, tra cui “Brutto stupido” e “Mi hai fatto preoccupare a morte!”.
Il compagno lo fissava stupito, tra la tenerezza e il compatimento.
-Eze…Seriamente, dovresti allenarti di più. Quei pugni non scalfirebbero neppure la buccia di un’arachide!- lo prese in giro.
Ezequiel ignorò la battuta e proseguì a insultarlo per una manciata interminabile di minuti. Quando si stancò era decisamente sfinito, con le guance arrossate dal pianto e il moccio al naso.
-Brutto idiota! Non farmi mai più uno scherzo simile!- piagnucolò, permettendo al più alto di lisciargli i capelli più arruffati del solito.
Senza preavviso, Nubes sorrise beffardo e sollevò il mento dell’angelo caduto per poggiare le proprie labbra su quelle carnose del giovane, che sussultò sorpreso da quel contatto.
Le mani della nuvola scivolarono lungo la schiena del più piccolo, provocandogli delle scariche di elettricità ed eccitazione che non riuscì a trattenere; quando Nubes lo sollevò da terra, l’angioletto lo aiutò con uno slancio entusiasta.
Il bacio fu un lungo e profondo inseguimento di lingue, un duello che non avrebbe recato danno a nessuno ma che dopo le infinite tensioni di quel giorno tremendo li avrebbe certamente rincuorati.
Erano ancora vivi.
Erano insieme.
Le risate cristalline dei bambini riportarono alla realtà Ezequiel, che avvampò e lesto come una faina si sottrasse a quel bacio.
-Ma che ti salta in mente? Davanti ai bambini!-
L’altro aggrottò la fronte, scettico e gli fece notare un dettaglio non irrilevante.
-Sei tu quello che mi sta palpando il sedere, se non sbaglio.-
L’angelo caduto arrossì maggiormente; prese a dimenarsi fino a scivolare dalle forti braccia della nuvola e cadere a terra, facendo rotolare per le risate i piccoli Nephilim, mentre l’amante lo scrutava con un ghigno divertito. Quello screanzato lo aveva lasciato cadere come un sacco di patate di proposito, altroché!
 
Ottenuta la sua ricompensa per essere tornato sano e salvo, il figlio di Lelhantos diradò con un cenno della mano la coltre di nebbia e la neve da lui create. I Nephilim sgranarono gli occhi e spalancarono la bocca davanti alla meraviglia offerta dal cielo stellato di Abyla.
-Dovremmo essere al sicuro, ora. Vepar ha creato un’illusione per coprire la nostra fuga. Gli angeli sono convinti che la vostra barca sia stata risucchiata dal vortice e lo Shemhazai Berith non darà più fastidio a nessuno.-
Ezequiel lo ringraziò con un sorriso stanco.
-E ora? Ora cosa facciamo?- chiese la bimba con gli occhi più scuri.
Era una domanda che affliggeva l’intero gruppo di sopravvissuti: avevano perso tutto.
Nubes attese rispettosamente la risposta del suo signore. Era più forte di lui, questo era vero. Poteva apparire più alto e possente, ma doveva essere Ezequiel a prendere le decisioni e a lui spettava solamente il dovere di sostenerlo. La disgrazia abbattutasi su Atlantide non avrebbe cambiato le cose tra loro. Niente avrebbe cambiato il loro legame ed era questa consapevolezza a donar loro una nuova forza.
 
Sollevando gli occhi alla volta celeste, in cerca di ispirazione, l’angelo la trovò nuovamente tersa e serena. Incoraggiante, quasi. Tanto da concedergli la forza per rispondere, solenne.
 
-Ora…sopravviviamo-
  
 


*Ho assistito alla riproduzione di un fulmine e posso dire che ha un buonissimo profumo °ç° Quindi anche i fulmini di Nubes sono profumati, almeno finché non colpiscono qualcuno diffondendo odore di pollo arrosto XD
  
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