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Autore: marmelade    07/02/2013    6 recensioni
Ho paura per quello che affronterò dopo questa nascita, paura di non essere un buon padre o di non esserlo affatto, paura che Olivia mi cacci via non appena veda i miei occhi.
Ma questa volta non lascerò che il mio cuore faccia la scelta sbagliata.
Questa volta, rimarrò.
Rimarrò solo ed unicamente per quella piccola creatura che è mio figlio.
Rimarrò per quel piccolo bozzo che sta per nascere e aprire gli occhi per la prima volta, che sta per affrontare la vita.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Harry Styles
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Small Bump
 

You might be left with my hair, 
but you'll have your mother's eyes

 

Continuo a guardare l’orologio nella speranza che i minuti passino in fretta.
Niente.
Sono ancora le 10:30.
Sbuffo ancora una volta, torturandomi le mani come faccio da quando sono entrato in questa sala, cioè da tre quarti d’ora, facendo schioccare più e più volte le dita.
Alzo di nuovo lo sguardo e lo poso sull’orologio, che proprio in quel momento fa muovere la lancetta dei minuti e mi fa balzare in piedi all’improvviso.
Le 10:31.
Qualcosa dovranno pur farmi sapere, accidenti!
Guardo la porta diretta verso un corridoio che ho intravisto solo di sfuggita, sperando che qualcuno esca di lì e mi dia notizie, ma oggi hanno proprio deciso di farmi soffrire fino all’ultimo secondo.
“E’ il karma che ti sta punendo, Harry”, dice la mia coscienza con quella sua solita vocina saccente ed irritante.
«Al diavolo…» mormoro stringendo i denti, mentre la mia mano chiusa in un pugno colpisce il muro di fronte a me.
Ma con quel gesto non miglioro la situazione, anzi… peggioro il mio stato d’animo e quello della mia mano.
Stringo le labbra e assumo una smorfia di dolore, mentre da uno dei miei occhi esce qualche lacrima e la mano inizia a pulsare di rabbia e male messe insieme.
Sono proprio un coglione.
Apro gli occhi e asciugo le lacrime con il dorso della mano sana, mentre mi guardo intorno in quella sala così grigia e silenziosa.
Suo padre mi guarda in cagnesco, con le mani unite e i gomiti poggiati sulle gambe, pronto a scagliarsi contro di me per massacrarmi di botte, fino a che non mi avrà completamente lasciato privo di vita sul pavimento.
Sua madre invece, forse più ragionevole, gli circonda le spalle con un braccio e gli accarezza dolcemente la schiena, tentando di calmarlo. Alza lo sguardo e lo posa su di me, tentando di farmi un sorriso, come se stesse cercando di tranquillizzare anche me per farmi capire che suo maritò non mi ucciderà.
Cerco di sorriderle anche io, ma tutto quello che mi esce è solo una smorfia di terrore.
Niente riesce a tranquillizzarmi, in questo momento.
E poi, perché il padre di Olivia non dovrebbe uccidermi?
Dopo quello che ho fatto, sarebbe il minimo.
Ci credo che è incazzato nero con me – e non poco – e so che si domanda cosa io ci faccia lì, perché sono nervoso per una cosa che non ho voluto accettare e perché io sia tornato.
La verità è che non lo so nemmeno io e, se mi uccidesse, adesso sarei più tranquillo.
Ho combinato casini su casini, e il primo è stato quello di lasciare Olivia per paura di una cosa più grande di me.
La verità è che io sono stato un gran bastardo, e ho ancora una gran paura.
 
Olivia continua a fissarmi aspettando impaziente una mia risposta, mordendosi continuamente le labbra, quasi come se volesse staccarsele.
Sa quanto è difficile quel momento, sa quanto io sia scioccato per quella notizia, me lo legge negli occhi.
Eppure sta zitta.
Continua a stare in silenzio, facendo dei lunghi sospiri di tanto in tanto, mentre io, seduto sul divano, fisso un punto indefinito di fronte a me.
Torturo ancora una volta le mani, quasi come se volessi trattenerle dal picchiarmi selvaggiamente, perché so che vogliono farlo.
D’altronde, è quello che voglio fare io.
Sento Olivia sospirare ancora una volta, e noto con la coda dell’occhio che  non smette di tamburellare nervosamente il piede sul pavimento.
Poggio il volto nei palmi delle mani e scuoto il capo.
Perché proprio a me doveva succedere una cosa del genere?
«Hai ancora intenzione di stare zitto a fissare il vuoto, o ti decidi a rivolgermi almeno una parola?».
Alzo lo sguardo e lo punto su Olivia, che adesso ha le mani sui fianchi e sbuffa leggermente.
Le ciocche di capelli rossicci che non sono state intrappolate nel suo chignon, le ricadono lunghe e dolci intorno al viso paffuto e lentigginoso, e i suoi occhi verdi sono lucidi.
Se non la conoscessi, adesso direi che potrebbe scoppiare a piangere da un momento all’altro.
Ma la conosco, ed Olivia non piange mai.
O almeno, credo di conoscerla. Perché, in questo momento, mi sento solo ritornato bambino.
Anzi, vorrei davvero ritornare ad esserlo, per non affrontare tutto ciò.
La guardo ancora un po’ mentre si tortura il labbro inferiore, poi emetto un mugugno stupido e rumoroso, che non so nemmeno io cosa stia a significare.
So solo che non ho parole da dire, adesso.
Olivia fa una smorfia buffa dopo quel verso, ed inizia ad attorcigliare una ciocca di capelli all’indice.
«Beh, almeno è un inizio…» sbuffa dopo il mio mugugno, sedendosi sul divano accanto a me.
Fisso di nuovo il vuoto, incrociando le mani, e vedo che lei fa lo stesso.
Tiene le gambe incrociate e i capelli che le coprono il viso, mentre anche lei fissa un punto fisso dinnanzi ai suoi occhi, senza saper bene cosa fare.
In effetti, nessuno dei due sa cosa fare, in questa situazione.
«Allora?» dice con la voce che le trema leggermente, forse dalla paura, forse dal pianto, senza distogliere lo sguardo dal vuoto.
Oramai, non so nemmeno più riconoscere le emozioni delle persone, ne tanto meno le mie.
«Allora cosa?» domando, torturandomi nuovamente le mani.
Olivia sospira, quasi con tono rassegnato, e la vedo rannicchiarsi sul divano, mentre una mano sfiora dolcemente la sua pancia.
«Allora… questo…» sussurra, mentre continua a sfiorarsi il ventre.
Sospiro anche io, rassegnato dal fatto che non posso fare finta che non sia successo niente, perché quello che sta accadendo, ce l’ho praticamente sotto gli occhi.
Mi volto verso di lei, incontrando ancora i suoi occhi verdi, e stavolta posso notare la paura, il terrore dentro di essi. Ma non solo lei è in quello stato.
Anche io ho paura.
Ho paura di affrontare tutto questo, non mi sento pronto, e non sono la persona adatta per stare accanto ad Olivia in un momento del genere.
Lei continua a guardami, attendendo una mia risposta, che ancora non arriva. Non riesco a dire nulla, non riesco nemmeno a rassicurarla dicendole che andrà tutto bene, perché so che non sarà così.
Insomma, cosa può andare bene in questi momenti?
Abbiamo entrambi diciotto anni, siamo entrambi giovani ed entrambi abbiamo voglia di vivere a pieno la nostra vita.
Ma, entrambi, non sapevamo che - tra esattamente otto mesi -  avremmo avuto un bambino.
Come ci si comporta in queste situazioni? Cosa si deve dire? C’è un copione da seguire, delle parole da dire?
Perché io non ho più parole da dire, non ho più pensieri, non ho più un cuore.
Sono solo terrorizzato.
«Ti prego Harry, dimmi qualcosa…» sussurra Olivia, con la voce spezzata dal pianto.
Alza una mano e l’avvicina alla mia, l’afferra tremando e con gli occhi pieni di lacrime e di panico.
Cerco di guardarla negli occhi, ma non ci riesco. Mi sento un codardo, un coglione senza palle, un idiota.
Un perfetto idiota.
«Ho paura, Liv…» le sussurro, cercando di essere il più onesto possibile anche in quella situazione.
Olivia tira su col naso, mentre una lacrima scivola via da uno dei suoi occhi, poi mi stringe la mano che ha tra la sua, piccola e delicata.
«Anche io, Harry… tanta… ma non possiamo fare finta di nulla, oramai è successo…».
Cerco di tenere salda la presa di Liv, ma la mano mi trema e gli occhi mi bruciano.
 Non ho nemmeno la forza di piangere.
«Cosa dirai ai tuoi?» domando, cercando di evitare che le lacrime scivolino via.
Olivia sospira, stringendomi ancor più forte la mano, come se volesse che io le infonda il coraggio che le manca.
Ma se manca a me, come faccio a donarlo anche un po’ a lei, che forse ne avrebbe più bisogno di chiunque altro?!
«Gli dirò quello che è successo – dice, facendo un altro lungo sospiro -  e se non accetteranno… beh, tu ci sarai vero?».
La guardo negli occhi verdi e speranzosi, ancora pieni di lacrime e terrore, e non posso fare a meno di tremare.
Tremare di paura, ma paura di non poter affrontare tutto ciò.
Paura di non poter affrontare il fatto che io stia per diventare padre.
Stringo la sua mano, ma senza coraggio. La stringo solo perché spero che, almeno lei, riesca a darmelo.
«Certo – dico, con la voce che mi trema – rimarrò».
Ma, nel momento in cui pronuncio quelle parole, già non le sento più mie.
 
Che idiota che sono stato.
Ho fatto una promessa che sapevo non avrei potuto mantenere, perché avevo paura.
L’ho fatta in un momento di terrore, eppure io ne ho ripagato le conseguenze.
Perché, per tutti quei mesi che ho lasciato Olivia da sola, ad affrontare cose più grandi di lei, non ho smesso un secondo di pensarla.
Eppure, non sono riuscito a starle vicino.
Non c’è stato giorno in cui non ho pensato a lei, ai suoi occhi, alle sue mani piccole e al suo ventre, che portava in grembo il frutto di uno sbaglio, al quale nessuno avrebbe rinunciato.
Non c’è stato minuto in cui non ho pensato che dovevo stare insieme a lei, occuparmi della creatura che portava in grembo, che il mio posto era accanto alla persona che amavo.
E invece, sono stato un codardo patentato.
Mi sono fatto prendere dal panico, dal terrore di non farcela, dalla paura di non amarla.
Ma io la amo. Io amo Olivia.
Forse non sono nella posizione più adatta per dirlo, ma è vero.
Avevo paura di starle accanto, e lei l’ha capito subito.
Ha capito il mio stato d’animo, la mia mancanza di coraggio, e allora ha pianto.
Ha pianto facendo scivolare via tutte le lacrime possibili ed immaginabili, ha pianto davanti ai miei occhi spenti e terrorizzati, ha pianto senza paura.
Perché Olivia ha avuto coraggio. E io sapevo di non conoscerla abbastanza bene.
 
«Vattene via, Harry! – continua ad urlare, cercando di chiudere la porta – non voglio vederti mai più!»
«Olivia, ti prego!» cerco di dire, tenendo un piede incastrato nella porta, per evitare che lei la chiuda.
«Non pregarmi, idiota! Vattene, devi andare via!».
La sua presa sulla porta si fa più forte, continua a spingerla senza sosta, ma io non mi arrendo e continuo a tenere il piede fermo lì dov’è.
«Fammi almeno spiegare!» esclamo, e sento il mio piede libero da ogni peso.
Olivia ha aperto la porta, e posso vedere finalmente i suoi occhi verdi, ma completamente arrossati dalle lacrime sul suo viso pallido.
Si avvicina a me e mi molla un ceffone sul viso, talmente pieno di rabbia e odio nei miei confronti che l’unica cosa che vorrei fare, è andare via da lì.
«Che cosa vuoi spiegare, eh?! – urla – che sei un coglione? Non c’è n’è bisogno, Harry, lo so già che sei un coglione senza palle! Hai paura di affrontare ogni minimo problema che ti si presenti davanti, lasciando nella merda le persone a cui tieni! Ma si vede che a me non tieni affatto, dato che mi lasci da sola in una situazione più grande di me!»
«Olivia…»
«Avevi promesso che saresti rimasto, che non mi avresti lasciata! – continua ad urlare - E invece adesso, vieni qui, e ritiri tutto quello che hai detto! Sei un codardo, Harry, un vigliacco, uno che alla prima occasione va via così, lasciandosi tutto alle spalle perché crede che sarà meglio così!»
Rimango in silenzio e abbasso il capo, cercando di evitare i suoi occhi. Tutto quello che mi ha detto è vero, ma io non voglio accettarlo. Ho troppa paura anche per accettare le verità.
«Credevo mi amassi… - sussurra improvvisamente, con la voce spezzata dal pianto – credevo che saresti rimasto con me, che mi avresti aiutata, che avresti capito la gravità della cosa… e invece, mi hai dimostrato che devi ancora crescere, che non sei maturo… forse è meglio che tu vada via davvero, che abbandoni tutto… non voglio che mio figlio cresca tra le mani di un immaturo…».
Alzo lo sguardo dopo le sue parole, e vedo le lacrime che le rigano il volto morbido e pallido, le bagnano le lentiggini e cadono sul suo collo soffice, quello che ho sfiorato tante volte, che amo quanto lei.
«Vattene, Harry. Non farti vedere mai più da me» dice decisa, per poi chiudere la porta con un sonoro rumore, lasciandomi solo nel freddo di Novembre.
Rimango fuori la sua porta un altro po’, immobile, e sento dei singhiozzi sonori.
E’ Olivia che piange, e per colpa mia.
Mi avvicino alla porta di legno scuro, sfiorandola con i palmi delle dita, e ci appoggio su l’orecchio per sentire meglio.
Una lacrima improvvisa scivola via da uno dei miei occhi mentre li chiudo, e il mio cuore si riempie di tristezza.
«Non è vero che non ti amo…».
 
Le 10:51.
Sono ancora le 10:51.
Sono qui da più di un’ora, da quando la sorella di Olivia mi ha chiamato, dicendomi che era entrata in sala parto già da un pezzo.
Nell’istante in cui me l’ha detto, il mio cuore ha preso a battere forte, ho lasciato tutto quello che stavo facendo e sono corso qui, in ospedale.
Tutto questo per Olivia, e per il piccolo bambino che sta per nascere.
Non so se è un maschio o una femmina, non ho avuto l’onore di saperlo. Sono scappato via prima che mi rendessi conto che, quello che stava crescendo nel grembo di Olivia, era proprio mio figlio.
Quello che avrei dovuto crescere ed amare per il resto della mia vita, dall’inizio alla fine.
E invece… sono andato via. E non mi sono goduto il momento.
Non ero presente alle ecografie che mi avrebbero fatto conoscere il mio bambino, non ero presente alle nausee mattutine di Olivia, ai suoi dolori e alla gioia di sentirlo scalciare per la prima volta nel grembo di sua madre.
Non ero presente al battito del suo piccolo cuoricino, quello che avrei sentito meglio una volta tra le mie braccia.
Non ero stato presente a tutto ciò, e solo adesso mi rendo conto di quanto sia grave.
Me ne sono reso conto solo adesso, in una stupida sala d’aspetto che mi porta solo ansia.
Tamburello freneticamente un piede sul pavimento e tengo le mani unite tra loro, sospirando ogni tanto.
Ho paura.
Ho paura per quello che affronterò dopo questa nascita, paura di non essere un buon padre o di non esserlo affatto, paura che Olivia mi cacci via non appena veda i miei occhi.
Ma questa volta non lascerò che il mio cuore faccia la scelta sbagliata.
Questa volta, rimarrò.
Rimarrò solo ed unicamente per quella piccola creatura che è mio figlio.
Rimarrò per quel piccolo bozzo che sta per nascere e aprire gli occhi per la prima volta, che sta per affrontare la vita.
Sono terrorizzato, ma felice.
Ho preso la decisione di non lasciare mai le mani di mio figlio, di crescerlo per il resto della mia vita.
Ho deciso di maturare anche io.
Perché non ci sarà cosa più bella di tenerlo stretto tra le mie mani, di toccargli quei soffici capelli e di ammirare i suoi occhi.
Lo immagino tra le mie braccia, con il mio stesso colore di capelli, ma con gli occhi di Olivia, quel meraviglioso verde scuro che mi ha fatto innamorare tutte le volte in cui mi ci sono perso.
Lo immagino addormentarsi sul mio petto, mentre il suo respiro si fa sempre più tranquillo e i suoi occhi piccoli e dolci si chiudono lentamente, beandosi del sogno che farà.
Lo immagino così, che allunga le sue piccole dita e mi stringe forte il pollice, facendomi capire che non vuole che io vada via, ma vuole che rimanga lì, con lui.
Ed è questo che farò io.
Rimarrò per vederlo crescere nella sua pelle, per tenerlo stretto e sussurrargli solo la verità, per abbracciarlo e baciarlo delicatamente, perché lui sarà la cosa più preziosa del mondo per me.
Sarà un piccolo bozzo che terrò al sicuro, che crescerà e volerà libero come una farfalla dai mille e splendidi colori, che terrò tra le mie mani il più stretto possibile, e che amerò più della mia stessa vita.
Questa volta, nonostante tutto quello che accadrà, avrò coraggio.
D’un tratto, le porte della sala d’aspetto si spalancano e mi fanno alzare lo sguardo per un attimo, ma in realtà è solo la curiosità che mi spinge a farlo.
La sorella di Olivia entra trafelata nella stanza, con indosso un camice blu e una cuffietta leggermente più chiara sul capo, ma ha un sorriso enorme sul volto, e solo in quell’istante capisco.
Mi alzo di scatto mentre lei si avvicina a me, e il cuore inizia a battermi forte, quasi come se volesse scaraventarsi giù dal petto e correre da Olivia e dal bambino.
Si toglie la cuffia dalla testa e scuote leggermente i lunghi capelli castani, per poi sorridermi ancora una volta mentre mi prende le mani.
«E’ nata» sussurra, con la voce rotta dall’emozione.
Sento le mani che iniziano a tremarmi e le gambe cedere lentamente, mentre gli occhi mi si inumidiscono per la gioia della notizia che ho appena ricevuto.
Sono padre.
Non riesco a sentire più nulla di quello che mi circonda; il mondo adesso mi sembra svanito per un secondo… esisto solo io, le mie emozioni e, soprattutto, mia figlia.
Perché io sono appena diventato padre di una splendida bambina, che avrà sicuramente il colore degli occhi di Olivia.
«Nadia, che succede? C’è qualche problema?».
D’improvviso, ritorno alla realtà, sentendo la voce grossa e severa del padre di Olivia dietro le mie spalle, cosa che mi fa deglutire un secondo prima di voltarmi verso di lui.
I suoi occhi sono piccoli, scuri e chiusi in due fessure contornate da evidenti rughe e due paia di occhiaie, segno che non è riuscito a dormire, forse a causa dei primi dolori di Olivia.
Sua moglie, invece, si avvicina piano a noi, appoggia una mano sulla spalla del marito e mi sorride dolcemente, per poi voltarsi verso Nadia e sul suo volto compare un’espressione preoccupata, che fa spaventare per un secondo i suoi occhi verdi, proprio come quelli di sua figlia.
Nadia li guarda sorridente, lasciando la presa alle mie mani e si fa più vicina al padre, quasi come se volesse difendermi da un suo improvviso scatto d’ira nei miei confronti.
«Genitori, vi annuncio ufficialmente che siete diventati nonni di una splendida bambina!» esclama, alzando leggermente il tono di voce.
Vedo l’espressione del padre trasformarsi da preoccupata e severa ad una felice e gioiosa e, forse per la prima volta in vita mia, lo vedo sorridere come non ha mai fatto, e con gli occhi completamente lucidi.
La madre, invece, piange di gioia e abbraccia Nadia, che si lascia andare e piange anche lei.
Sorrido anche io davanti a tutta quella scena, mentre il cuore mi esplode dalla gioia e le lacrime cominciano a scivolare lentamente sul mio volto.
«Io non ho ancora capito cosa tu ci faccia qui…» sibila improvvisamente il padre di Olivia, puntandomi addosso quei suoi occhi scuri e severi, che mi fanno improvvisamente paura.
Prendo un respiro profondo dopo aver deglutito. Non devo avere paura di lui.
«Sono qui per Olivia… e per mia figlia» rispondo deciso, cercando di mantenere il contatto con i suoi occhi, ma questi ultimi si fanno sempre più severi ed arrabbiati. Fa un altro passo verso di me, ma la moglie gli mette nuovamente una mano sulla spalla.
«Ritorni solo adesso, quando la bambina è nata, ma dove sei stato tutti questi mesi? Dov’eri, quando Olivia aveva le nausee, quando non voleva mangiare o quando non dormiva? Dov’eri, quando ha fatto la sua prima ecografia, quando la notte piangeva perché tu non eri accanto a lei? – dice, con un tono di voce arrabbiato e fin troppo alto - E’ stato facile scappare, ma è stato altrettanto facile ritornare come se niente fosse, vero? Perché sei tornato? Cosa vuoi, adesso? Far soffrire di nuovo mia figlia, perché capirai che crescere un bambino è una grande responsabilità e tu scapperai ancora, lasciandola sola? E’ per questo che sei tornato?».
Il suo tono di voce è sempre più duro, così come la sua espressione, ma so che quello che sta insinuando sono solo un mucchio di cazzate.
«Io non me ne andrò, stavolta – ribatto, chiudendo le mani in due pugni dalla rabbia – mi sono fatto prendere dal panico e dalla paura, ma non ho smesso un secondo di amare Olivia. E avrò coraggio, rimarrò per sostenerla, e per amare la bambina che ha messo al mondo, mia figlia».
Lui si avvicina ancora di più a me, facendomi indietreggiare di poco, puntandomi sempre di più quei suoi occhi così arrabbiati nei miei, che continuano a sostenere quello sguardo.
«Dovresti andare via da qui, sparire dalla vista di Olivia, se rimarrai qui le farai solo del male. Mia figlia non merita tutto il dolore che…»
«E’ stata lei che l’ha voluto qui, papà».
Entrambi ci voltiamo verso Nadia, che non ha più l’espressione gioiosa di prima sul volto, ma sembra stanca, annoiata ed irritata da tutto quello che sta accadendo.
Il padre la guarda scettico, aggrottando le sopracciglia. «Ma cosa dici, Nadia?»
Lei sospira, ma poi ritorna a guardarlo con gli occhi socchiusi in due fessure arrabbiate.
«Dico quello che ho detto, la verità. E’ stata Olivia che l’ha voluto qui» ripete, scendendo per bene le parole «e se tu continuerai a minacciarlo e a volerlo fuori di qui, non risolverai nulla. Sarai tu, la causa del male di tua figlia».
Le parole di Nadia risultano dure anche alle mie orecchie, nonostante mi stia difendendo, ma non posso nascondere di esserle grato per tutto quello che ha fatto.
Il padre sembra stupito e colpito da quelle parole, che rimane con la bocca semiaperta, senza sapere cosa dire.
«Ma…» cerca di mormorare, ma lei lo interrompe di nuovo.
«Ma un bel niente. Ho chiamato io Harry sotto il volere di Olivia. E lei sarà più che felice di vederlo».
Nadia si avvicina a me e mi prende per mano, stringendola leggermente, come se mi volesse dare coraggio.
Fisso lo sguardo nel suo, e lei mi sorride sicura di se.
Poi si volta verso i suoi genitori, sorridendo.
«Io porto un padre a conoscere la propria figlia».
 
Sono fermo, immobile, davanti a quella porta grigia come il nulla che ho nella mente.
Le mani mi tremano, il cuore mi batte all’impazzata e non fa altro che salirmi in gola, per poi ributtarsi a capofitto nel petto, scombussolandomi.
Sto sudando freddo, e me ne accorgo dalla mia fronte completamente umida.
Nadia mi poggia una mano su una spalla, preoccupata.
«Tutto bene?» domanda incerta, e mi volto nuovamente verso di lei.
Accenno un sorriso, ma che in realtà sembra una smorfia nervosa ed irrequieta. Lei sgrana gli occhi e mi guarda scettica, aspettando che le dica la verità.
Sospiro rassegnato, perché so che non potrò mentire ad una persona come Nadia.
«Non sono mai stato così teso ed agitato in vita mia» ammetto, mentre il mio cuore sprofonda nuovamente nel petto.
Lei sorride rassicurante, e mi stringe la spalla, per poi darmi un buffetto.
«Ce la puoi fare, Harry. Se non ti fosse minimamente interessato di lei, adesso non saresti qui… e non staresti così».
Sposta la mano dalla mia spalla ed alza il pollice, come se volesse incoraggiarmi ancor di più, poi percorre lo stretto corridoio e sparisce dietro la porta da cui siamo entrati.
Volto nuovamente lo sguardo verso la porta grigia, ancora chiusa.
Devo smetterla di essere un codardo patentato, smetterla di fuggire davanti alle situazioni più complicate, smetterla di essere bambino.
Non serve a nulla fuggire, perché tutto quello che hai abbandonato, ritornerà da te sempre e comunque.  
Avvicino la mano ancora tremante alla porta, poi faccio un enorme respiro, chiudendo gli occhi.
Voglio smettere di essere un bambino.
Busso leggermente, come se non volessi disturbare nessuno lì, e quasi spero che non mi abbiano sentito, ma è inutile. Lei sa che sono io.
«Avanti» dice piano e dolcemente, facendomi mancare per un attimo il respiro.
Apro la porta, insicuro ed impacciato, senza sapere cosa dire, cosa fare, come comportarmi. Non mi sono preparato a questo, non è bastato il tempo nella sala d’attesa, non sono bastati i nove mesi senza di lei.
Non sono pronto ad incontrare i suoi occhi.
Nonostante tutto, entro lentamente e con lo sguardo basso, ma c’è qualcosa che mi costringe ad alzare il volto per guardarla.
E, non appena la vedo, il mondo intorno a me sembra fermarsi, il sole smettere di emanare luce e tutto smettere di mutare.
Per me adesso, esiste solo lei. Ed i suoi occhi.
Ha un sorriso tranquillo sul viso, le guance leggermente arrossate e i capelli ramati che le ricadono dolcemente sulle spalle. E’ stanca, lo vedo, vorrebbe dormire, eppure qualcosa glielo impedisce.
Rimango fermo e immobile ad ammirarla in silenzio, ad ammirare quegli occhi verdi e lucenti che non smettono di emanare calore ed amore, nonostante vogliano chiudersi e prendersi una lunga pausa dal mondo.
Avevo dimenticato come mi sentivo in sua presenza.
«Ciao» sussurra lei, sorridendo ancor di più.
«Ciao…» sussurro in risposta, passandomi una mano tra i ricci. E’ sempre stata lei la più coraggiosa tra i due, non c’è niente da fare.
Olivia ridacchia, forse anche per far placare quella specie di tensione che si è creata tra noi due.
«Perché sei nervoso?» domanda, cosa che mi fa alzare lo sguardo di botto.
«Che…?»
«Hai passato la mano tra i ricci – dice, prima che io possa finire la domanda – lo fai sempre quando sei nervoso» spiega dolcemente, per poi tornare a ridacchiare.
Perfino io sorrido a quella spiegazione. Nonostante tutto il tempo, sembra non aver dimenticato nulla di me.
Olivia mi guarda, poi poggia la mano su un po’ di spazio sul materasso.
«Vieni a sederti qui» m’invita, e il cuore mi inizia a battere ancor più forte.
Mi avvicino titubante al letto, ma il sorriso di Olivia mi fa avanzare verso di lei, perché non esiste niente di più bello di starle accanto.
Mi siedo sullo spazio vuoto del materasso, immergendomi nei suoi occhi verdi, innamorandomi di lei ogni secondo che passa. Mi sorride, aggiustandosi dolcemente i capelli con le mani esili e piccole.
«Allora, come…»
«Liv, mi dispiace un sacco» dico di botto, senza nemmeno rendermene conto.
E’ stato il coraggio che mi ha fatto parlare, che mi ha fatto chiedere scusa alla persona più speciale e meravigliosa che potessi incontrare in vita mia.
Olivia rimane leggermente spiazzata da tutta quell’audacia, perché sa che non l’ho mai posseduta davvero, che la mia faccia tosta era solo una copertura alla mia paura.
Mi guarda per un po’, confusa da tutto ciò, poi sorride, e una fossetta le appare accanto alle labbra.
«Lo so…» sussurra dolcemente, poi la vedo tendere una mano verso la mia, come se volesse sfiorarla, ma la ritrae subito, portandosela sulle labbra.
Sospiro, e vorrei davvero che mi avesse preso una mano. Sarebbe stato molto più semplice dirle tutto.
«Mi dispiace di averti abbandonata in un momento così difficile, di essere stato un bambino, un codardo che si è tirato indietro al primo ostacolo invece di superarlo con te. Mi dispiace di non averti detto tutto questo prima, di averti fatta soffrire e di averti fatta piangere, di non averti asciugato le lacrime con le mie stesse mani…» faccio un respiro enorme dopo aver buttato fuori tutte quelle parole, poi le prendo la mano che aveva teso verso di me, e la stringo forte, guardandola negli occhi.
«Mi dispiace di non averti mai dimostrato abbastanza l’amore che provo per te, di essermelo tenuto dentro per la paura di cacciarlo fuori, di averti persa e lasciata andare per degli stupidi errori commessi solo e soltanto da me…» faccio un altro respiro, e lei sembra essersi immersa completamente nel discorso, nelle mie parole piene d’emozione.
«Ma la verità è che io non ho smesso nemmeno un secondo di pensarti. E adesso potrai pensare che queste sono le solite frasi dei film dette dai ragazzi pentiti, che sono frasi fatte e false, ma non è vero. Perché non ho organizzato nessun discorso prima di entrare qui, non avevo nessuna parola in mente, nemmeno un misero ciao. Sono i tuoi occhi che mi stanno tirando fuori tutto quello che non ti ho mai detto, liberandomi da ogni peso, ed esprimendo ogni singola emozione che sto provando dentro di me…».
E’ come se stessi vomitando parole senza mai smettere, ed Olivia sorride, si emoziona, si stupisce, e poi inizia a versare qualche lacrima.
Stringe la mia mano come non ha mai fatto in vita sua, la tiene stretta, quasi come se non volesse farmi andare via di lì, come se volesse tenermi con se per il resto dell’eternità.
Mi avvicino un po’ di più al suo viso, e il suo dolce profumo di pelle pulita mi invade le narici.
Olivia mi posa inaspettatamente una mano fresca sulla guancia, e mi asciuga una lacrima che scende traditrice sulla mia guancia. Sorride, avvicinandosi alle mie labbra, quasi come se volesse sfiorarle.
«Sapevo che saresti tornato…» sussurra, facendomi un’altra dolce carezza.
Sorrido come un bambino e, senza aspettare ulteriormente, la bacio.
La bacio come se non ci fosse più un domani, come se quella fosse l’ultima volta che possa tenerla tra le mie braccia, come se non volessi farla scappare più via.
Perché non ho più l’intenzione di lasciarla scappare.
Mi sono mancate le sue labbra dolci e morbide sulle mie, mi sono mancate le sue mani esili e i suoi occhi pieni di luce propria. Ma, finalmente, tutto questo è di nuovo tra le mie mani.
«Ehm, disturbo?»
Io ed Olivia sobbalziamo entrambi, staccandoci l’un l’altro a malavoglia, sorridendo leggermente.
Ci voltiamo da dove è provenuta la voce, e il mio cuore perde un battito.
E’ una donna sulla cinquantina, dalla pelle scura ed i capelli neri racchiusi in uno chignon. Ha la divisa da infermiera completamente bianca, se non per il cardigan nero che porta sulle spalle.
Ma è quello che ha tra le mani, che m’importa.
E’ un piccolo batuffolo con un cappellino rosa in testa e una tutina avvolta al corpo dello stesso colore. Muove dolcemente le braccia piccole e appena nate, così come lei.
Quella è mia figlia.
Gli occhi mi si riempiono di lacrime, e le mani iniziano a tremarmi anche più di prima.
E’ lei il motivo per cui sono qui.
La donna sorride vedendo la mia espressione, e ci si avvicina, porgendo la bambina nelle mani di Olivia.
«Amore mio…» sussurra Olivia, lasciando un bacio sulla fronte della piccola. Guardo quella scena con gli occhi pieni di lacrime, perché non esiste scena più bella dell’amore tra madre e figlia.
Olivia sorride alla bimba, e le lascia un altro bacio.
«Amore mio – sussurra ancora, per poi alzare lo sguardo e puntare i suoi occhi nei miei – questo è il tuo papà».
Papà.
Io sono un papà.
Inizio a versare tutte le lacrime represse che ho tenuto dentro per tutti questi mesi, e lascio che mi bagnino le guance e il collo. Sono lacrime di gioia, e non possono farmi che bene.
Olivia sorride a quella scena, e poi mi porge la bambina.
«Prendila» dice dolcemente, e io tendo le braccia verso di lei.
La tengo tra le braccia, cullandola, nonostante stia tremando dalla testa ai piedi e ho paura di farle del male. Ha le guance arrossate, e gli occhi semiaperti sono chiari, ancora da definirsi. Le labbra sono rosee e piccolissime, e mi viene voglia di tenerla stretta e non abbandonarla mai più.
Le sorrido, quando inizia a mugolare versi incomprensibili e a muovere le braccia.
Le sfioro il petto coperto dalla tutina rosa, per poi incontrare una sua manina piccola e morbida. Senza che io possa aspettarmelo, mi sfiora la mano e mi afferra il pollice, tenendolo nel palmo della sua mano.
Sorrido ancora più dolcemente, e lascio che lo stringa e che non mi faccia più andare via.
Ma come potrei lasciare una meraviglia del genere?
«Voglio chiamarla Hazel».
Ritorno improvvisamente alla realtà dopo aver sentito la voce di Olivia. Alzo lo sguardo, confuso, aggrottando le sopracciglia, mentre lei invece sembra sicurissima della sua scelta.
«Hazel?» domando, per accertarmi.
Liv annuisce, socchiudendo leggermente gli occhi. «Si, Hazel. Significa riconciliazione».
La guardo ancora un po’ confuso, mentre la bambina continua a mugolare insistentemente. La cullo dolcemente, senza però distogliere lo sguardo da Olivia.
Lei, improvvisamente, apre gli occhi per poi alzare le spalle e sorridermi tranquilla.
«La nascita di nostra figlia ci ha fatto riconciliare, Harry. Ci ha fatto capire che entrambi non abbiamo mai smesso di pensare l’uno all’altro, facendoci soffrire e stare male. Ma tutta questa sofferenza, tutto questo male è passato, e ne è valsa la pena… perché adesso siamo di nuovo insieme, ci amiamo… e siamo una famiglia».
Si avvicina al mio viso e mi lascia un altro bacio morbido sulle labbra, che io non posso fare a meno di ricambiare. La bambina continua a mugolare, e noi ridacchiamo, mentre Olivia mi fa un’altra delle sue carezze sul viso.
«Cosa c’è, sei per caso gelosa del tuo papino?» domanda Olivia con una voce stranissima, accarezzando il pancino della bimba.
Un altro tocco alla porta ci fa sobbalzare, mostrando nuovamente la figura dell’infermiera, che stavolta tiene in mano una cartella ed una penna, e sorride alla nostra vista.
«Allora, ragazzi… mamma e papà… - dice, facendomi sorridere – avete scelto il nome per questa meravigliosa bambina?» domanda, picchiettando la penna sulla cartella.
Mi volto verso Olivia, guardandola per poi perdermi nell’infinità dei suoi occhi, e lei mi sorride, annuendo.
Guardo mia figlia, che ha chiuso nuovamente gli occhi, ma continua a stringermi dolcemente il pollice, e io sono sicuro di non voler andare più via. E’ la mia stella polare, colei che brilla unicamente per me, e sarà l’unica nella vita a guidarmi in ogni cosa che farò.
Guardo l’infermiera, cullando mia figlia, mentre la mia fidanzata mi tiene una mano su un braccio.
Adesso, non posso fare a meno di pensare che sono cresciuto e maturato in poche ore, costruendo la cosa più solida ed importante sulla faccia della terra.
Adesso, siamo una famiglia.
Sorrido alla donna, consapevole del fatto che non sono più un bambino.
Ho la mia felicità tra le mani, e il mio cuore finalmente può amare di nuovo, senza nessun ostacolo.
«Hazel» sussurro, con la voce quasi rotta per l’emozione.
«Hazel Evangeline Styles».


 

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Buuuonasera! (:
Alla fine ce l'ho fatta a pubblicare questa os! *-*
L'avevo iniziata da un po', ma l'ho finita solo oggi, perché non riuscivo più a continuarla 
In realtà, volevo pubblicarla il giorno che il mio account ha compiuto un anno, ma ero in punizione u.u 
Quiiindi, arriva solo adesso (:
Sinceramente, non so come mi sia uscita... volevo uscisse meglio, ma vabbè! 
Come al solito, non sono soddisfatta! 
Insssomma, non mi dilungherò tanto, so vado via (:
Spero vi sia piaciuta, e grazie per esservi fermate a leggere!
Nel caso qualcuno volesse seguirmi su twitter, sono
@___puuff 
Un bacione! 
Mary :)


ps. il secondo nome di Hazel, Evangeline, l'ho messo perché nel cartone animato "La principessa e il ranocchio", la stella si chiama Evangeline e, dato che Harry considera sua figlia la sua stella polare, mi è sembrato carino metterlo (:
Anche perché stavo ascoltando la canzone del cartone mentre scrivevo u.u 
Se non avete visto questo cartone, beh, vi consiglio di vederlo, perché è meraviglioso! *-*

  
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