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Autore: Sigyn    07/02/2013    2 recensioni
Gilda è rimasta scottata, e il modo migliore per guarire da una brutta scottatura è bruciare anche gli altri.
[Male!Ungheria/Fem!Prussia, accenni Male!Ungheria/Fem!Austria e Fem!Spagna/Fem!Austria, vaghissimo onesided!Fem!Austria/Fem!Prussia]
[Missing Moments di How I Met My Boyfriend]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai | Personaggi: Austria/Roderich Edelstein, Prussia/Gilbert Beilschmidt, Ungheria/Elizabeta Héderváry
Note: AU, Missing Moments | Avvertimenti: Gender Bender, Triangolo
- Questa storia fa parte della serie 'Boys will be Girls and Girls will be Boys '
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A Flower In Its Prime

 

 

 

 

A Gilda piace l’estate. Le piace il sole, e il caldo che le si appiccica alla pelle, e i cieli ampi e puliti, senza nuvole, di un blu intenso e luminoso. Le piacciono lo zaino abbandonato a prendere polvere in un angolo della sua cameretta e i maglioni pesanti rinchiusi nell’armadio.

Le piacciono i primi giorni dopo la fine della scuola, passati sul sellino di una bicicletta con le sue amiche al Tiergarten o sotto le coperte fino a mezzogiorno finché sua madre non la costringe ad alzarsi. Non le piace quando vanno in Austria dalla zia.

L’Austria è noiosa. Non può vedere le sue amiche, e con lei ci sono solo suo padre, sua madre e sua zia – eternamente occupate a chiacchierare o, come pensa Gilda con un vago senso di disgusto ma senza dire nulla, a scambiarsi pettegolezzi – e sua sorella. E i vicini sono degli snob.

I suoi genitori pensano che stare con Lu le basti, ovviamente, perché è un po’ il compito dei genitori pensare di sapere tutto e non capire niente e perché così suo padre può uscire per le sue passeggiare e sua madre e sua zia possono chiacchierare senza sentirsi in colpa per non badare a loro. E quando si lamenta, le dicono di uscire a fare amicizia con qualcuno.

Stare con Lutgard non è un problema: è la sua sorellina, per quanto sia seccante doverla sempre tenere d’occhio come le dicono mamma e papà, ed è una bambina sveglia – per la sua età. Ma avere qualcuno con gli anni giusti con cui parlare non le dispiacerebbe, ecco. E l’Austria non le piace, quindi, per estensione, è certa che non le piaceranno nemmeno gli Austriaci.

È solo il peso schiacciante della noia che, alla fine, la fa crollare e la costringe a muovere i primi, fatali passi verso la villa degli Eldestein.

 

Rodelind non è esattamente una sua amica – non escono insieme in bicicletta, non si vedono tutti i pomeriggi, e a volte si imbronciano, smettono di parlarsi e rimangono arrabbiate finché non riescono più a ricordare perché e poi chiacchierano per pomeriggi interi come se non fosse mai successo nulla perché tra loro le scuse non servono. È qualcuno con cui parlare – di quanto tutto sia così terribilmente noioso, di quanto la sua famiglia sappia essere irritante, di tutto -, con cui discutere e litigare.

È una sfida, un gioco in cui vince ogni volta che le fa abbandonare il suo sorriso gentile e il suo tono distante e vagamente annoiato e le sue buone maniere, rimpiazzandole con un rossore furioso sulle guance bianche, una smorfia sulle labbra sottili o una risata sincera con la stessa facilità con cui potrebbe accendere un fiammifero. E a Gilda piace vincere, le è sempre piaciuto: la fa sentire forte e leggera insieme, sicura, con un bizzarro tepore nel petto.

 

Elek arriva solo qualche anno dopo. La sua famiglia si è appena trasferita dall’Ungheria – perché qualcuno voglia venire a vivere in Austria di sua spontanea volontà, Gilda non lo capirà mai – e lui ha un accento stupido, un’irritante tendenza a contraddirla e un bagliore negli occhi fin troppo verdi.

A volte vorrebbe solo prenderlo a pugni, eppure si ritrova sempre più spesso a passare tutto il giorno con lui, con le sue prese in giro e il suo brutto carattere e con il suo sorriso così fastidiosamente ampio e luminoso. A volte, quando si sorprende a riflettere su questa sua piccola contraddizione, si dice che è solo perché in questi anni non ha mai conosciuto molti suoi coetanei austriaci, e perché è troppo pigra per cominciare ora.

Continua a parlare con Rodelind, ma – non è più la stessa cosa, anche se non saprebbe dire esattamente come. E poi, lei ha bisogno di tempo per esercitarsi con il suo adorato pianoforte, no? Non se le prenderà, se si vedono un po’ di meno. Rodie è quella calma e razionale, in fondo.

E anche se è difficile ammetterlo a se stessa, Elek non è poi tanto male. È simpatico. Sa essere gentile.

E talvolta, se chiude gli occhi, vede i suoi occhi brillanti, la luce del sole tra i suoi capelli spettinati e nella piega allegra delle sue labbra – e nel suo petto c’è qualcosa di caldo che risale sul collo e sul viso fino a farle scottare le guance.

 

La prima volta che Gilda sente il bisogno di farsi bella è anche la prima volta che si sente stupida, debole, sbagliata. È terribile, quest’ansia che le brucia nello stomaco, questo bisogno di attenzione – della sua attenzione – che le fa sentire la testa leggera e il cuore pesante.

Lei non vuole farsi crescere i capelli, che sono così comodi corti, anche quando si arruffano e le vanno negli occhi e certe mattine, quando si guarda nello specchio del bagno subito dopo essersi alzata, sembrano dotati di vita propria e le stanno ritti in testa come soldati sull’attenti. Non vuole indossare gonne scomode che le impediscano di correre e di saltare, bei vestiti da stare attenta a non sporcare, tacchi su cui traballare instabile cercando di sembrare elegante. Non vuole fiocchi o fermagli o pizzi o trucchi con cui imbrattarsi la faccia. Sa di essere carina, sa di essere forte, sa di essere magnifica.

Eppure, non si sente così quando pensa a Elek, ed è per questo che chiede aiuto a Rodelind comunque. Lei dovrebbe essere pratica di queste cose, pensa Gilda, con i suoi boccoli ordinati, le sue unghie curate, i suoi vestiti sobri ma belli.

C’è un’ombra negli occhi blu di Rodelind, un’ombra che per un attimo trasforma tutto il suo viso pallido dai lineamenti delicati. – Non ne hai bisogno – le dice, il sorriso sulle sue labbra come un raggio di sole flebile e incerto in un cielo pieno di nuvole, e la sua voce è gentile e amara allo stesso tempo.

- Lo so, Rodie! – esclama Gilda, esasperata. È questo il problema. Però, le fa piacere sentirselo dire da lei – riesce quasi a sentirla vicina come una volta.

Per un momento Rodelind sembra voler dire qualcos’altro, schiude e richiude le labbra e sospira. Poi soccombe sotto l’urto delle sue proteste e delle sue preghiere.

 

Il cuore le brucia, quando Elek guarda Rodelind e non lei. Lei ha un fermaglio tra i capelli e un velo di lucidalabbra sulle labbra e vestiti ordinati e senza strappi e pieghe e rattoppi e continua a sorridergli e a cercare di non essere troppo beffarda quando gli parla.

Rodelind non li degna di uno sguardo, immersa nella sua musica dietro la finestra della villa che dà sul giardino. E gli occhi di Elek sono pieni di sole e la osservano con lo stesso sguardo che lei riserva al suo stupido spartito.

Il fuoco che ha consumato Gilda per tutto questo tempo le esplode dietro gli occhi, trasformandosi in un prurito fastidioso che la costringe a strizzare le palpebre e a sfregarle con il dorso di una mano. Mi si rovinerà tutto il trucco, pensa, e quasi scoppia a ridere.

Corre via prima che Elek possa vederla piangere.

 

Pensava di essere guarita dalla scottatura anni fa. Pensava che ormai fosse solo un’ombra scura sul suo cuore, niente più che una cicatrice pallida e sottile da coprire con un po’ di fondotinta.

Fran tenta di parlarle sopra la musica e il chiacchiericcio di sottofondo del pub. Anita sta lanciando una serie di sorrisi smaglianti e ammiccamenti divertiti a una ragazza dall’aria familiare e piuttosto imbarazzata. Lei si guarda le unghie laccate di rosso, lunghe e curate come sempre da quando ha imparato a farsi una manicure decente da sola, dopo aver scoperto che effettivamente le piacevano di più così ed essersi ricordata di non avere nessuno per cui farlo.

Questa sera, prima di uscire, ha pulito una piccola sbavatura del rossetto con un fazzoletto e ha sorriso allo specchio. Si è passata una mano tra i capelli, sempre corti e sempre privi di fermagli e nastri e altre cose graziose e inutili ma leggermente meno intrattabili. Si è sentita bella, magnifica.

Ora si sente confusa, mentre osserva di sottecchi quegli occhi verdi, quei riccioli castani, quel sorriso. Potrebbe essere solo la birra, ma sente qualcosa pungerle il petto, ed è un dolore sordo, nebuloso, ma fa male – come il ricordo di una scottatura viva e pulsante.

Sì, si è scottata, è quella la parola giusta. Si è avvicinata troppo al sole senza pensare alle conseguenze, e ne ha pagato il prezzo per tanto – troppo – tempo.

Sorride, un’idea potenzialmente folle che attraversa come un lampo ardente la sua mente, e poi si alza dalla sua sedia e si dirige verso di lui, decisa e aggraziata insieme, sicura sulle sue scarpe basse. E lui la guarda e gli si accende un bagliore negli occhi.

Non sa esattamente cosa vuole dimostrare a se stessa, o a lui.

Sa solo che bisogna imparare dagli errori, e che sull’ombra della vecchia scottatura si è accesa una scintilla nuova e diversa – una che, stavolta, può controllare.

 

- Ci conosciamo? – le chiede Elek, scrutandola cauto come se fosse un’opera d’arte moderna, complicata e affascinante.

Gilda ride: - No. Certo che no. Non mi hai mai vista prima d’ora -.

Non mi hai mai guardata. Non mi hai mai conosciuta.

 

 

 

 

 

 

 

Note finali:

A yanyan, che spero apprezzerà. Anche se ho la mezza convinzione di aver combinato un casino.

Il titolo viene dalla canzone Cell Block Tango, dal musical Chicago – che non centra molto, sì, ma per qualche motivo mi sembrava adatta per Gilda. Ah, e la fanfiction partecipa alla challenge The Four Elements Challenge, con la tabella Fire e il prompt 4. Scottatura.





The Four Elements: Fire

1. Fiamma

2. Falò

3. Cottura

4. Scottatura

5. Sole

6. Calore

7. Cenere

8. Incendio

9. Fuoco greco

10. Fuoco fatuo

11. A scelta

12. Fuoco

Completate 3/12




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