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Autore: Macaron    07/02/2013    10 recensioni
"Così nessuno ride, nessuno accende la televisione e rimangono in silenzio a non dormire, a non fare incubi. E John pensa che “non dormire” con Sherlock è comunque meglio di molte altre cose.
“ John mi racconti una storia di pirati?” "
Di incubi, miti greci e dita nei capelli del tuo coinquilino.
Genere: Fluff, Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Sleeping with ghost'
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Incubi. Di nuovo. John Watson lo sa ancora prima di chiudere gli occhi, perché succede praticamente ogni maledetta notte. Ogni volta che si sdraia nella sua camera al 221B di Baker Street e chiude gli occhi arrivano gli incubi, e sono così angoscianti che ormai si ritrova a rimanere in soggiorno il più possibile, a temporeggiare con delle vecchie cartelle da sistemare solo per rimandare il momento. C’era stato un periodo in cui dormire gli piaceva. Prima degli incubi, prima dell’Afghanistan, prima dei compagni di stanza della facoltà di medicina che russano troppo o ti svegliano di soprassalto perché sono così ubriachi da sbagliare letto, prima di tutto. C’era stato un periodo, più o meno nel periodo in cui lui ed Harry avevano smesso di dividere la stessa camera e si era ritrovato con una stanza tutta per se stesso, in cui gli piaceva tutto dell’andare a dormire. Gli piaceva  rannicchiarsi sotto al piumino pesante, gli piacevano la sensazione delle lenzuola appena stirate sotto i piedi, gli piaceva sfogliare un qualche libro giallo nascosto sotto le coperte con la luce di una piccola torcia ad illuminare le pagine, gli piaceva il dormiveglia e chiudere gli occhi per andare in mondi fantastici, gli piaceva tutto perfino sua madre che arrivava a dargli la buona notte e si fingeva indispettita a trovarlo ancora sveglio immerso in qualche avventura.

Ricorda tutti questi momenti, John, mentre decide di alzarsi dal letto perché tanto è inutile, tanto di dormire non se ne parla quindi che senso ha rimanere sdraiato a fissare il soffitto? Sherlock non è in casa, è uscito in tutta fretta verso le undici di sera blaterando qualcosa a proposito di una scatola con la molla e una qualche malattia esotica *, e anche se sono le due passate s’impone di non preoccuparsi per lui. E’ solamente uscito e immerso nella risoluzione del caso ha perso la cognizione del tempo. E’ solamente uscito, si ripete mentre si rannicchia nella poltrona sfogliando una rivista che aveva abbandonato sul bracciolo e cercando di concentrarsi su quello che ha davanti invece di quello che ha nella sua testa, è solamente uscito e non è andato a gettarsi da nessun edificio. E’ solamente uscito, ed è grande abbastanza da riuscire a non farsi uccidere anche se lui non lo segue per qualche ora, è stato lontano da lui per tre anni,cosa possono essere poche ore? E’ solamente uscito e John avrebbe anche potuto seguirlo, se non fosse che no non avrebbe potuto. Non ancora.

 

Buio. Il soggiorno illuminato solo dalla luce dei lampioni di Baker street. Qualche gocciolina di sudore sulla pelle e la sensazione di nodo in gola. Si è addormentato e non se n’è nemmeno accorto. Qualche minuto prima stava sfogliando la rivista, cercando di non controllare freneticamente l’orologio, e adesso si scopre a svegliarsi di soprassalto. Non si ricorda cos’ha sognato, non sa nemmeno se ha dormito per un tempo sufficiente per riuscire a sognare davvero ma non riesce a scacciare la sensazione di angoscia. A quanto pare i suoi sogni sono diventati più veloci anche della sua mente.

 

“Incubo. Hai avuto un incubo.” Sherlock è sdraiato sul divano avvolto nella vestaglia azzurra e chissà da quanto è lì. Chissà quando è arrivato, chissà cos’ha sentito. Non è una domanda ovviamente, è un’affermazione. Ovviamente.

“ Ho urlato?”

Non ce n’era bisogno. Potrei dirti almeno dieci movimenti del tuo corpo tipici dell’essere umano durante un incubo, ma sarebbe inutile. Semplicemente ti conosco. So quando hai un incubo. Di solito anche prima che lo sappia tu. Di nuovo l’Afghanistan?”

Ha ragione, come al solito. Lo conosce. Chissà se è anche vero il contrario.

“ No. Non è l’Afghanistan. Non è più stato l’Afghanistan da quando c’è stata Baker street. “  Da quando ci sei stato tu nella mia vita vorrebbe dire, ma poi si sentirebbe troppo esposto, troppo vulnerabile e non è ancora pronto ad esserlo.  “ E’ la caduta. Sogno sempre la caduta”

“Allora, forse, facciamo lo stesso incubo. Solo da due inquadrature diverse”

E poi silenzio.

 

Silenzio. Tre anni prima in quel momento uno dei due avrebbe fatto una battuta, avrebbe detto qualcosa di stupido e sarebbero finiti a ridacchiare come bambini e gli incubi sarebbero scomparsi dai loro pensieri. John avrebbe acceso la televisione e Sherlock avrebbe dedotto le abitudini sessuali del conduttore dal colore della camicia e poi avrebbero litigato perché non è per niente divertente guardare un film giallo quando il tuo coinquilino indovina il colpevole alla prima inquadratura. Sherlock avrebbe suonato qualcosa, a piedi nudi e con lo sguardo rivolto alla finestra e John avrebbe chiuso gli occhi e si sarebbe fatto cullare dalle note fino ad addormentarsi. Tre anni prima sarebbe andata così, ma adesso è tutto più difficile.

Non è che non lo abbia perdonato. Lo ha perdonato nel momento esatto in cui è rientrato nella sua vita perché non poteva fare altrimenti, perché non c’erano alternative. John ha conosciuto la vita senza Sherlock Holmes, l’ha conosciuta per tre anni e l’ha conosciuta così bene da sapere che gli fa schifo, che non è quello che vuole, che non è davvero la sua vita e così quando Sherlock torna non ci sono alternative, non ci sono. Non può andare diversamente. Non è che non lo abbia perdonato. Non è nemmeno che sia ancora arrabbiato. E’ ferito. E’ solo che ci sono dei giorni in cui fa fatica a far coincidere l’idea che ha sempre avuto di Sherlock con quella di una persona che scompare per tre anni, abbandonandolo. Così non riesce a seguirlo nei casi, non riesce a dire “Fantastico!” quando Sherlock stupisce tutti con le sue deduzioni e non riesce a smettere di avere incubi in cui il suo migliore amico si getta e nel vuoto e il suo mondo va in pezzi.

Non è che non lo abbia perdonato, è solo che le cose sono ancora un po’ difficili.

Così nessuno ride, nessuno accende la televisione e rimangono in silenzio a non dormire, a non fare incubi. E John pensa che “non dormire” con Sherlock è comunque meglio di molte altre cose.

 

“ John mi racconti una storia di pirati?” La voce di Sherlock lo risveglia dai suoi pensieri.

“ Una storia? Intendi tipo una fiaba? Perché dovrei raccontarti una storia?”

“ Intendo tipo una storia, John. Se avessi voluto dire fiaba avrei detto fiaba, ma come dovrebbe sapere una persona che insiste a scrivere un blog le fiabe generalmente hanno come protagonisti re, regine, contadini e simili ma praticamente mai pirati. “

E’ sarcastico, è Sherlock ma c’è anche una sfumatura di dolcezza nella sua voce e John rimane semplicemente in attesa.

“ Da bambino mi piacevano le storie di pirati, ma poi Mycroft mi ha fatto notare che erano… beh storie.”

“ Tua madre ti leggeva delle storie di pirati per farti addormentare?”

“ John, nessuno mi ha mai letto nessuna storia. Nessuno mi ha mai fatto addormentare raccontandomi una fiaba o una favola, riesci anche solo a immaginare una scena del genere?”

In realtà John ci riesce. Non del tutto ovviamente, non con tutti i protagonisti al posto giusto ma non riesce a non immaginarsi un bambino dai riccioli disordinati rannicchiato in un letto troppo grande per lui abbracciato a una piccola ape di peluche, chissà perché poi un’ape, che con gli occhi lucidi e vividi si perde tra le pagine di un libro di fiabe che qualcuno gli sta leggendo. Gli piace quel bambino, gli sarebbe piaciuto essere lui a leggergli quelle fiabe, gli sarebbe piaciuto che ci fosse qualcuno a leggergliele fino a farlo addormentare. Ma più di tutto in quel momento John vorrebbe conoscere una storia di pirati, perché mentre lo guarda sdraiato sul divano con i piedi nudi che spuntano dalla vestaglia Sherlock gli sembra ancora quel bambino a cui nessuno ha permesso di giocare al pirata abbastanza a lungo.

 

“ Non conosco storie di pirati.” Ci pensa un attimo “ Quando ero piccolo mia madre mi leggeva solo le favole di Esopo, oppure i miti greci. Mi piacevano, ma non erano molto utili per diventare popolare a scuola” ride con uno sbuffo.

Silenzio. Diverso da quelli di prima, più lieve, più intimo, più com’erano loro tre anni prima.

“ Vuoi che ti racconti una storia?” si sente stupido a fargli questa domanda ma non riesce a levarsi dalla mente l’immagine di quel bambino che nessuno ha mai guardato dormire.

Sherlock mormora qualcosa che gli sempre un incoraggiamento, o forse ha solo voglia di vederlo così. Si alza dalla poltrona, con le gambe un po’ intorpidite, e si siede anche lui sul divano. Sherlock è ancora sdraiato con gli occhi chiusi e il contatto con la sua schiena gli provoca una serie di piccoli brividi che non si ricordava nemmeno di essere in grado di sentire. Caldo. Freddo. Stomaco che si contrae. Confusione. Casa. Sherlock.

“Spostati, non ci sto. Per essere una persona che fa un pasto completo alla settimana ne occupi di spazio, eh?”

“ Nessuno ti ha detto di venirti a sedere qui” mugugna bruscamente ma, anche se non lo vede, John sa che sta sorridendo.

John non ha figli, non ha nipoti, la maggior parte dei suoi amici non ha figli e in ambulatorio difficilmente gli capitano bambini quindi non è sicuro di saper raccontare una fiaba. Però è anche vero che vivere con Sherlock per la maggior parte del tempo è come vivere con un bambino, Non è autonomo nel mangiare, sia per il fatto che tende a dimenticarsi di mangiare sia per il fatto che tende a dimenticarsi quello che gli serve per mangiare sul fuoco rischiando di far esplodere l’appartamento, si rifiuta di dormire, è iperattivo, è senza filtri come la maggior parte dei bambini e si annoia alla velocità della luce. Eppure per John è così naturale avere a che fare con lui, è come se fosse nato per farlo, che forse raccontare una storia non sarà poi così difficile.

“ Pensavo al mito di Orfeo ed Euridice, è una bellissima storia d’amore.” Esordisce.

“ Una storia d’amore? Sul serio, John? Quando durante tutte le mie, innumerevoli, conversazioni in cui descrivevo i sentimenti come “un difetto chimico” ti ho mai fatto pensare di apprezzare le storie d’amore adatte giusto ai film della domenica pomeriggio?”

“ Silenzio e ascolta. Ignora la parte sull’amore e ascolta quella sulla storia.”

Sherlock borbotta qualcosa d’incomprensibile. Un bambino, appunto.

“Orfeo era il figlio della musa della poesia, ed era un abilissimo suonatore di cetra. Era famoso in tutta la Grecia antica perché le sue abilità come musicista avevano permesso agli Argonauti d’incantare le sirene durante la loro spedizione” John non si ricorda esattamente di che spedizione si stia parlando ma sicuramente Sherlock non ne conosce i dettagli visto che non ci sono cadaveri o strane componenti chimiche in questo mito.

“ Orfeo era innamorato e sposato con una bellissima ninfa dei boschi, Euridice, che lo amava a sua volta. Un altro uomo però era innamorato di Euridice, un uomo molto cattivo, e un giorno la ninfa per scappare alle insistenze dell’uomo calpestò un serpente nascosto nell’erba e morì a causa del suo morso”.

John a questo punto si aspetta una valanga di critiche. Perché è effettivamente una storia d’amore e perché non ha spiegato esattamente la causa della morte della ninfa e non ha fornito alcun tipo di mistero, ma le critiche non arrivano. Sherlock è rilassato e inizia a respirare un pochino più forte e quando si gira a guardarlo John pensa che sembra davvero un bambino. E che è bellissimo. Quasi inconsapevolmente gli passa le dita tra i capelli. Sherlock s’irrigidisce per qualche momento e John è tentato dall’idea di ritrarre la mano e scappare al piano di sopra urlando, ma poi sente il corpo del detective rilassarsi contro la sua schiena e lascia la mano al suo posto. I riccioli scuri sono tutti arruffati e gli s’incastrano tra le dita. E sono morbidi, e John non sa nemmeno perché glieli sta accarezzando. E’ che a John quando era piccolo piaceva tantissimo che sua madre rimanesse ad accarezzargli i capelli fino a farlo addormentare e si chiede se sia giusto che nessuno abbia mai fatto addormentare Sherlock in questo modo. Tutti dovrebbero addormentarsi con qualcuno che gli accarezza i capelli. O forse sono tutte cazzate e lo sta facendo più per se stesso che per il suo coinquilino. Perché sembra un bambino, perché è bellissimo e la sua schiena contro la sua è calda e i suoi riccioli sono morbidi tra le sue dita.

 

Continua a raccontare la storia senza smettere di accarezzarlo.

“ Orfeo era così straziato dal dolore per la perdita di Euridice che decise di scendere nell’Ade per strapparla al regno dei morti e portarla con se. Ora non è che una persona scendesse nell’Ade, prendesse il numerino e riportasse a casa sua moglie così senza problemi, era un po’ più complicato. Però quando Orfeo si recò da Ade e Persefone e iniziò a cantare del suo amore infelice i due dei si commossero per l’intensità della storia e per la bravura del musicista e decisero di offrirgli la possibilità di riportarla alla luce del sole. Ma, c’è sempre un ma in queste storie perché nessuno scriverebbe canzoni sulle storie d’amore senza ma, potrà riportare Euridice nel mondo dei vivi solo a patto di non voltarsi a guardarla per tutto il viaggio. Ma durante il percorso Orfeo iniziò a temere di essere stato imbrogliato e non riuscì a resistere alla tentazione di voltarsi per essere sicuro della presenza dell’amata. Nel momento in cui si voltò però Euridice, che gli era stata accanto fino a quel momento, sparì completamente e a nulla valsero le suppliche di Orfeo di riportarla da lui. La perse per sempre. “

“John, davvero questa è la tua definizione di bella storia d’amore? La storia di un uomo che perde l’amore della sua vita, lo ritrova e lo perde di nuovo ed è destinato all’infelicità? Bella storia d’amore?”

John ridacchia e poi si fa serio. “ Mi ha sempre fatto pensare un pochino a te”

“Quale parte? Quella del grande compositore o quella del tornare dal regno dei morti?” Sherlock si gira e punta i suoi occhi di ghiaccio su di lui e il cuore di John perde un colpo.

“ Io non mi sarei mai voltato, sai? Io avrei creduto in te fino alla fine. Io ho sempre creduto in te.”

“ Io non sarei mai tornato dal regno dei morti per nessun altro.”

Silenzio. Di nuovo. Ma questa volta è perfetto.

“ Se mi stringo un po’ riesci a sdraiarti anche tu. Sei troppo vecchio per dormire seduto”

John si sdraia. Si aspettava che ci fosse imbarazzo, si aspettava di sentirsi a disagio ma quello che sente è solamente calore. Sono troppo stretti, il divano è palesemente troppo piccolo per entrambi, e John non è mai stato così vicino ad un altro uomo e i piedi di Sherlock sono ghiacciati eppure l’unica sensazione che riesce a percepire è quella di calore.

Si ranicchia vicino al suo coinquilino e Sherlock gli copre la mano con la sua, e tutto è luce e caldo**, e tutto è semplicemente perfetto.

Si addormentano istantaneamente. Nessuno dei due fa un incubo.

 

 

 

 

 

 

 

Solito pippone senza senso e note:

 

Non so perché ma nella mia testa c’era quest’immagine di Sherlock da bambino che non ha nessuno che gli racconta una storia sui pirati, e visto che mi spezzava letteralmente il cuore e che quella dell’infanzia di Sherlock è una mia fissazione ho dovuto scriverci sopra qualcosa. Perché doveva avere la sua storia, tanto è ancora adesso un po’ un bambino, ma visto che anche io come John non ne conosco di pirati ho optato per un mito che mi fa pensare tantissimo a loro due. [ero indecisa tra quello e la favola dell’amaranto e la rosa di Esopo ma mi rendo conto che piace solo a me].

E so che è assolutamente diabetica e cuoriciosa e tutto il resto ma ogni tanto ci vuole anche quello.

 

*Riferimento all’Avventura del Detective morente, che Moffat e Gatiss devono tassativamente inserire nella terza stagione perché l’adoro.

** Da Neve Blu, di Tricarico. Che è una canzone che amo alla follia.

  
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