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Autore: FaithLehane    29/08/2007    1 recensioni
Questa storia è il seguito di Odio e vendetta..
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Folla. Chiacchere. Sudore. Contatti. Risate.

Musica che, dall’interno si diffondeva all’esterno del locale attraverso una porta massiccia lasciata aperta. Luci psichedeliche.

La ragazza osservò con sguardo vacuo un punto fisso e imprecisato dinanzi a se, in direzione di coloro che come lei erano in attesa di poter entrare.

Dentro di lei i pensieri iniziarono a scorrere, come un fiume in piena che tenta di abbattere gli argini con prepotenza. Scorrevano, e lei non poteva evitarlo. Impossibile reprimere i ricordi, soprattutto quelli spiacevoli, questo lo sapeva bene.

Non poteva evitare di rivedere davanti a se il momento in cui aveva ucciso un uomo. L’assassino di sua sorella.

Ucciso.

Quanto suonava forte, quella parola.

Sangue. Lacrime. Vendetta..

Eppure, cos’aveva risolto?

Sollievo. Soddisfazione. All’inizio.

Ma poi?

Di certo non rimorso.

“ Sei cambiata ora. Imparerai pian piano a non sentire molte delle emozioni umane. Quelle negative. Rimpianto. Dolore. Tu sei superiore”

Così le era stato detto da colui che l’aveva poi convinta a vendicarsi.

E al posto del rimorso? Vuoto. Desolazione.

Come fare a costruire con le proprie forze una nuova esistenza?

Una leggera stretta sul braccio la fece rinsavire.

Si voltò. La folla, attorno a lei.

La ragazza dagli occhi ramati e i capelli corvini le rivolse un sorriso freddo, distaccato, di circostanza.

Avvicinò le labbra al suo orecchio e bisbigliò:

-Ricordati il motivo per cui ci troviamo qui. Non ti distrarre.-

Gelo.

Già. La ragazza abbassò lo sguardo, intimorita da quell’autorità.

Si osservò, in uno stato di catalessi.

Un vestito nero avvolgeva le sue forme fino alle ginocchia, esaltandone la bellezza. Un paio di scarpe col tacco fasciavano i suoi piedi esili. Lunghi capelli corvini cadevano disordinati e mossi sulle sue spalle.

Non riuscì a risvegliarsi da quel torpore.

Nessuna lacrima, da mesi.

Nessuna risata sincera.

Nessuna vera emozione.

E ora si trovava sotto il controllo attento di una ragazza come lei che si assicurava che avrebbe portato a termine la sua missione.

Come poteva trascinare nel suo stesso oblio un’altra persona?

Finalmente, la fila si diradò.

L’altra ragazza, soddisfatta, sorrise.

Lentamente, entrarono nel locale.

 

Si diressero verso il bancone, illuminato da tenui luci blu.

Lei sembrava sapere esattamente dove andare e la guidava attraverso piccoli gruppetti di gente.

Si muoveva con passo sicuro. La sua camminata armoniosa sembrava una danza, in contrasto col rimbombo della musica proveniente apparentemente da ogni direzione.

- Una volta lì non sarà difficile, sappiamo già dove trovarlo.- le aveva detto.

Lei non potè far altro che seguirla e, in cuor suo, sperava che lo non avrebbero trovato.

Ma la sua speranza si rivelò subito vana.

-Eccolo.- si limitò a dirle, fermandosi accanto ad una colonna e indicando con lo sguardo un gruppo di ragazzi poco distanti.

La affiancò. Li guardò anche lei.

Erano in quattro.

Tre di loro sembravano tentare di convincere il quarto a seguirli. Lui sorrideva e con il capo faceva segno di diniego.

“è lui.” Si sorprese a pensare. Da dove proveniva tanta sicurezza?

Si voltò verso l’altra, in cerca di una conferma. Ma accanto a lei, nessuno.

-Non lasciartelo sfuggire- Voce flebile. Evanescente. Ovattata. Appena percettibile.

Sentì questa voce aleggiare nell’aria, fluttuare in modo incerto prima di lasciare spazio alla musica assordante.

Annuì tra se e se. In silenzio.

Lo osservò, avvicinandosi di qualche passo. Con la spalla nuda e diafana si appoggiò ad un’altra colonna lì vicino.

Marmo bianco. Freddo. Un brivido la percorre.

Lui. Capelli neri, modellati da un’abbondante quantità di gel.

Labbra carnose, increspate con grazia e sicurezza in un sorriso. Due fossette si delineano sulle guance ad ogni movimento.

Il naso aggraziato, arricciato appena, impedisce di scorgere il colore dei suoi occhi.

Un paio di jeans aderenti e una camicia nera fasciano un corpo magro, ma atletico.

Si mosse verso l’uscita, dopo aver rivolto un cenno di saluto agli altri. Per un momento, nell’atto di voltarsi, i loro sguardi si incrociarono, ma i loro visi non mostrarono alcuna espressione.

Vuoti. Apatici.

Lei lo seguì.

 

Fuori, nessuno.

Lei si fermò a pochi metri dalla porta d’uscita.

Lo vide, poco più avanti.

Appoggiato con la schiena al muro, lo sguardo rivolto verso la strada deserta, illuminati da pochi lampioni sparsi qua e la, le mani affondate nelle tasche dei jeans appena stinti. Quella perfezione la incantò.

La camicia lasciava intravedere i lineamenti dei muscoli.

Nonostante quei metri di distanza tra loro, ancora lei riusciva a percepire la sua scintilla.

La sua voglia di vivere.

Quella scintilla che a lei era strappata via, in cambio della vendetta.

E di cui lei avrebbe dovuto privarlo.

Si avvicinò.

I tacchi risuonarono sull’asfalto, lenti ma decisi, come il ticchettio di un orologio.

Arrivò al suo fianco. Fissò a sua volta un punto imprecisato davanti a loro, dove si snodava la strada.

Lui si accorse della sua presenza e si girò a guardarla.

Scorse sul viso del ragazzo un’ espressione incuriosita. I suoi occhi..azzurri. un colore intenso. Profondo.

Caldo, nonostante la somiglianza col colore del ghiaccio.

Ma ciò che la lasciò senza parole fu notare che sembravano cambiare tonalità momento per momento.

Sentì un brivido percorrerle la schiena e ingannò se stessa convincendosi che si trattava solo di una reazione al vento freddo che sferzava su di loro.

Lui la osservò, con altrettanta attenzione.

Poi si rivoltarono entrambi verso la strada.

-Troppa confusione lì dentro, vero?- la voce del ragazzo ruppe il silenzio. Le rivolse un sorriso di circostanza. Lei sentì penetrare quella voce così calda e avvolgente in ogni fibra del suo corpo.

Mentre scrutava la strada, riuscì a intravedere il suo sguardo rivolto verso di lei.

Insistente, si soffermava sul suo corpo, sul suo viso girato di profilo, sui suoi zigomi affilati.

Con un pizzico di imbarazzo nella voce, si voltò verso di lui e rispose: -Dopo un po’ stanca, effettivamente. Non c’è niente di meglio di un po’ di tranquillità, ogni tanto.-

 

Si accorse di come sentiva tutte le sue difese abbassarsi, ogni volta che i loro sguardi si incrociavano.

Ogni volta, dimenticò il vero motivo per cui si trovava a parlare con quello sconosciuto così maledettamente affascinante.

-Lui soffre come soffrivi tu dopo la morta di tua sorella. Come te, anche lui non si da pace da quando ha perso una persona importante nella sua vita. Aiutalo. Non permettere che soffra ancora.-

Se non avesse fatto quello che le era stato chiesto, sarebbe morta. E nonostante l’apatia in cui era ricaduta, ancora sperava di poter tornare a vivere davvero. Non avrebbe rinunciato alla propria vita così facilmente.

Si accorse che il suo sguardo si era addolcito. Gli occhi di lui cambiarono in quel momento più che mai.

Turchese. Verde acqua. Azzurro cristallino.

Non si sarebbe mai stancata di osservarli. Si riscosse.

Tornò a guardare la strada.

-Il mio nome è Julian-

-Isabella.- rispose, senza voltarsi, senza ricambiare il suo sguardo.

Dopo qualche minuto passato in silenzio come se non si fossero mai parlati, ad osservare l’orizzonte, la ragazza, sicura di aver riconquistato il controllo di se stessa con alcuni saltuari respiri profondi, si voltò verso di lui.

Lo sguardo del ragazzo era perso nel vuoto.

Intuiva la sofferenza nell’espressione del suo viso.

Alcune lacrime scintillavano in quei laghi turchini, trattenute dall’autocontrollo del giovane. Lui si accorse che lo guardava. Si voltò.

Quell’occhiata piena di disperazione e di sconforto la colpì in pieno petto, come una coltellata violenta e inattesa.

Ricordò di aver provato le stesse emozioni, dopo il lutto.

- C’è qualcosa che non va?-

-No.- rispose lui.

Brusco. Freddo. Glaciale.

Le guance della ragazza si tinsero di una tonalità rosea, più scura, per l’imbarazzo.

Non osò rispondere, restò ammutolita.

-Ho perso una persona molto importante. È morta il mese scorso.- sentenziò ma l’espressione disegnata sul suo viso dopo quelle parole rivelò il rimorso per essersi lasciato sfuggire una parte tanto riservata di sé con una ragazza conosciuta quella sera stessa.

-Non voglio darti notizie inutili. Non ti importerà molto di quel che mi è successo.- aggiunse quindi.

-Ti sbagli.- rispose lei, in tono carezzevole. Cancellò la poca distanza tra loro circondando le sue spalle forti con un braccio.

Il calore del suo corpo la inondò, seppure attraverso la camicia che lui indossava.

Si sentì di nuovo avvampare.

Ma in fondo era solo un gesto di incoraggiamento..vero?

La pelle del ragazzo tremò appena a quel contatto. Ma non si sottrasse.

-So quel che provi. Ho perso mia sorella mesi fa.-

Silenzio.

-Sai è strano.. – disse a quel punto lui, voltandosi a guardarla dolcemente, mentre un sorriso complice alterava piacevolmente i suoi lineamenti. – Sei la prima persona che non mi compatisce. Non lo sopporto. Non sopporto le valanghe di falsi “mi dispiace” da parte di persone che vogliono solo mettersi l’anima in pace, credendo di aiutare, ma in realtà non possono capire cosa si prova.-

Lei ricambiò il suo sguardo, e lesse nei suoi occhi la voglia di confidarsi con qualcuno.

Sorrise, soddisfatta.

La sua missione stava diventando molto più semplice del previsto.

-è stata uccisa, l’hanno trovata morta nel suo appartamento.- sentenziò, in tono amaro, abbassando lo sguardo. – Sul suo corpo aveva segni di.. coltellate, sembravano. In realtà a me sono sembrati morsi, quando l’ho trovata. Era persino difficile riconoscerla.-

Desiderio di vendetta. Riuscì a intuire i suoi sentimenti. Sapeva cosa provava.

Per un momento abbassò anche lei lo sguardo. Si accorse di non aver ancora tolto il braccio dalle sue spalle.

Ma rimase ferma, a compiacersi di quel contatto.

-Chi era lei.. per te?- si sorprese a chiedere, come se le parole le fossero sfuggite di bocca senza essere prima controllate.

- La mia migliore amica. Praticamente una sorella, per me. – le rispose, sorridendo, perso in chissà quali ricordi.

La ragazza, involontariamente, tirò un sospiro di sollievo.

Un sospiro di sollievo? Era sollevata perché non si era trattato della sua ragazza..

Gelosia? Per un ragazzo appena conosciuto?

Per quel ragazzo che doveva trasformare?

-Tra noi c’era un rapporto speciale. Sentivo di poterle confidare qualsiasi cosa. Lei mi avrebbe compreso. Sai.. i tuoi modi di fare me la ricordano.-

Si voltò verso di lei e con una mano le carezzò la pelle liscia delle guance.

La sua mano era fredda.

La ragazza rabbrividì a quel contatto, ma mantenne lo sguardo incatenato col suo.

Un fremito la percorse.

Poi lei, mentre ancora si fissavano, riuscì a vedere gli occhi del ragazzo stringersi in un’espressione di rabbia.

I suoi pensieri vagavano. Lo vide scuotere la testa come per scacciarli.

I suoi capelli neri vennero mossi dalla brezza con questo movimento.

I battiti del cuore della ragazza accelerarono.

Dimenticò. Chi era.

Quel che era diventata.

L’omicidio che aveva commesso, per vendetta. Seppur fosse l’omicidio di un assassino.

Dimenticò come tutti quei piccoli e fragili sentimenti che provava in quel momento si frantumassero come un bicchiere di cristallo al suolo, quando la trasformazione avveniva. Quando meno se lo aspettava.

Temeva che potesse avvenire in quel momento.

Che potesse turbare quella magia, quella complicità tra loro.

Prese la sua mano.

Le loro dita si intrecciarono. Si strinsero.

Una stretta leggere e decisa. Gentile e forte. Calda.

Carezze. Le dita si sfiorarono, in piccoli movimenti insicuri.

Uno di fronte all’altra.

Un lungo abbraccio.

Il corpo esile della ragazza premette sui pettorali del giovane. Le loro gambe incrociate, i bacini a contatto.

Le dita sottili e lunghe della ragazza si intricarono tra i suoi capelli.

Le mani di lui accarezzarono la sua schiena. I polpastrelli arrivarono a sfiorare la pelle calda della nuca, indugiarono poi sulle braccia.

Si staccano appena. Uno sguardo fugace.

Lei sta per voltarsi, per ritornare alla sua riservatezza.

Poi, d’improvviso, le labbra del ragazzo sopra le sue.

Le sue mani la trattengono per i fianchi, con decisione.

Lei lo sa, di possedere la forza necessaria per sottrarsi a quella stretta. Ma non lo fa.

Stringe più forte le braccia attorno al suo collo e lo attira a sé.

Le loro labbra aderiscono, mai sazie le une delle altre.

Vertigini.

Si staccano.

Lei si posa una mano sulle labbra, come per colmare quel vuoto. Abbassa gli occhi. Confusione, dentro la sua mente.

-Non dovevo..-mormora lui, agitato.

Da qualche passo indietro, guardando alternativamente lei e l’asfalto.

- Aspetta, non andare..- gli risponde.

lui scuote la testa. La guarda ancora.

Si volta, e corre via.

Lo segue con lo sguardo, finchè può.

Un turbinio di emozioni la invase.

Imbarazzo. Rimorso. Rassegnazione.

Sapeva dove era diretto. Doveva seguirlo e portare a termine quel che doveva fare. Senza distrazioni.

Senza emozioni.

Quel bacio? Doveva essere solo un errore dettato dalla debolezza umana.

Tentò di autoconvincersi.

Ad un tratto, un giramento di testa.

“no, non ancora..” mormorò tra se e se.

Si chinò a terra. L’asfalto sembrò tremare sotto di lei.

Con le ultime forze che le rimasero barcollò, fino a raggiungere un vicolo buio e umido.

Una serie di immagini iniziarono a scorrere davanti ai suoi occhi.

Lui. I suoi occhi. Quel bacio rubato. Quel piccolo sentore di imbarazzo misto a desiderio che da tempo aveva dimenticato.

Poi..il buio.

 

Aprì gli occhi. Quanto tempo era passato?

Era sdraiata. Su qualcosa di umido.

L’asfalto? Quando la vista si schiarì, trovò la conferma.

Accanto a lei alcuni brandelli di stoffa nera. Seta, apparentemente, dal modo in cui riflessero la luce della luna piena.

Il suo vestito.

I capelli le ricadevano sulla fronte bagnata. Si alzò.

Due ali nere come la pece si aprirono silenziosamente dietro di lei.

Solo un fruscio, impercettibile.

Si liberò delle scarpe eleganti. Posò i piedi per terra.

-Bene bene.. che il divertimento cominci. – mormorò, guardandosi compiaciuta.

 

In pochi istanti, fu al cimitero. Un grande cancello di ferro, aperto, ne segnalava l’ingresso. Una pioggia leggera, fresca, iniziò a cadere.

Un passo dopo l’altro, affondando appena i piedi nella terra umida, varcò l’ingresso.

In fondo al viale, scorse una figura.

In piedi di fronte ad una lapide di marmo nero.

Fece qualche passo in quella direzione, il suono dei suoi passi affievolito dal terreno morbido, in cui i suoi piedi leggermente affondavano.

- Non è stato difficile sapere dove trovarti. – esclamò, quando fu abbastanza vicina in modo che lui potesse sentirla. Restò ferma, nascosta dal buio.

Due ali e il colore dei suoi occhi cambiato dal verde al lilla..non sarebbero passati inosservati.

- Senti, sarò brusco. Non voglio avere a che fare con te ora, ok? Non avrei dovuto baciarti, mi sono lasciato trasportare. Sei una bella ragazza e sono evidentemente attratto da te, ma questo non è il momento. – rispose, senza voltarsi, in modo scontroso, ma addolcendosi mentre finiva di parlare.

Per non ferire i suoi sentimenti, forse.

Non si rendeva conto che in quel momento, non c’era nessun modo per ferirla.

Non sapeva che era incapace di provarne alcuno.

- Ma non è stato per niente male, vero? Anzi, lo rifaresti.- rispose lei, ridendo.

- Ascolta, Isabella, ora non è—la interruppe, spazientito.

- isabella? Non è il mio nome. Mi chiamo Sybil. – lo corresse, canzonandolo.

A questo punto lui si voltò. Aggrottò la fronte.

-Non è il momento per i giochetti. – sentenziò.

Lei fece un passo in avanti, sottraendosi dal buio e dall’ombra offerta dagli alberi ed esponendosi alla luce della luna piena.

-Hai ragione, non è il momento. – i suoi occhi color lilla scintillarono.

Il ragazzo sgranò gli occhi. Tentò di indietreggiare ma al primo passo cadde. Affondò le mani nel terriccio e tentò di trascinarsi ancora nella direzione opposta rispetto a lei.

Lei lesse il terrore nei suoi occhi e non potè far altro che sentirsi soddisfatta.

-Chi diavolo sei?- mormorò. Quella voce, un tempo calda e suadente, tremava.

Il sudore ricopriva la sua fronte. La pioggia, più fitta, ricadeva su di loro.

-Non aver paura. Non ho intenzione di ucciderti.-

- Che cosa vuoi da me?.

-Solo cambiare la tua vita.

Aggrottò di nuovo la fronte. Si guardò attorno in cerca di aiuto.

- Bella la luna questa sera, vero? Non sprecare fiato.. lei è l’unica a tenerci compagnia. Non c’è nessuno oltre a noi.. sembra quasi un incontro galante, vero? Un po’ macabro, in un cimitero. – esclamò, iniziando a girargli intorno, molto lentamente.

Arrivò alle sue spalle, si chinò su di lui.

-Certo, non mi dispiacerebbe..- aggiunse, avvicinando le labbra carnose al suo orecchio, sussurrando.

Si rialzò. Camminò ancora. Il giovane, vigile, osservò ogni suo spostamento.

Si fermò accanto ad una tomba.

Si chinò e ne accarezzò il marmo nero, freddo.

Poi la fotografia circondata da una cornice dorata, ovale: una ragazza dai lineamenti dolci, incorniciati da lunghi riccioli biondi sorrideva timidamente verso l’obiettivo.

Il viso della ragazza per un attimo si addolcì. Sorrise verso quella foto, poi si voltò nuovamente verso di lui, le ali racchiuse dietro alla sua schiena.

-Mia sorella è sepolta poche tombe più in la. – divagò, indicando con lo sguardo un punto lontano.

-Lei ti manca, vero? Vorresti poterla abbracciare.. ma non puoi. E ti trascini da un posto all’altro alla ricerca di uno che possa donarti un po’ di serenità. Che possa placare quello che hai dentro.- continuò, mentre si chinava di fronte a lui, posandogli una mano aperta in corrispondenza del cuore.

Lui annuì. Nei suoi occhi, la paura.

-E vorresti trovarlo. Colui che ti ha fatto tutto questo. E fargliela pagare.-

il ragazzo aprì la bocca per mormorare qualcosa. Poi la richiuse.

Abbassò lo sguardo. L’aveva colpito nel segno.

-Provavo anche io tutto questo.-

Il tono piatto della sua voce cambiò.

-Ma io l’ho fatto, Julian. Ho messo fine alla vita di quell’uomo. – abbassò lo sguardo, spostandolo da un punto all’altro come se stesse cercando di ricordare ogni particolare di quella sera.

Il ragazzo realizzò dopo qualche secondo il senso di quell’affermazione e ricominciò ad indietreggiare. Il respiro affannoso, tremolante.

-Ti aiuterò a trovarlo, e al resto penserai tu. Conosco una persona.. colui che mi ha trasformata in ciò che sono ora. Può fare lo stesso anche con te. –concluse.

Lo guardò.

Un lungo sguardo. Gli occhi turchini del giovane la squadravano, persi in mille pensieri.

Poi, lo vide contorcersi. Dimenarsi, smuovendo il terriccio attorno a sé.

Lei, istintivamente si alzò. Un misto di paura e curiosità la invase.

Il vento mosse gli alberi dietro di lui e ne nascose completamente la figura.

Un lamento. Un rantolio. Gemiti. Poi, il silenzio.

Solo il fruscio delle foglie.

-Julian..- mormorò. Nessuna risposta.

Strinse gli occhi nella speranza di poter vedere qualcosa in più.

Scorse una figura, chinata, camminare verso di lei.

Uscì dall’oscurità.

Un lupo. Orecchie tese verso l’alto. Artigli visibilmente lunghi e bianchi, piantati nel terreno. Pelo nero.

Occhi color ghiaccio. Alzò istintivamente lo sguardo verso l’alto. La luna piena risplendeva sicura nel cielo.

Un licantropo.

 - Hanno detto che erano coltellate.. ma a me sinceramente son sembrati morsi.- le parole dette da Julian risuonarono nella sua mente, come se le stesse riascoltando in quel momento.

- Sei stato tu ad ucciderla..- mormorò tra se e se.

Il lupo strinse gli occhi minacciosamente e, acquattandosi, si alzò. Iniziò a ringhiare.

I canini color avorio, estremamente affilati, iniziarono quasi a splendere.

Il vento sferzò sulla sua schiena nuda.

Intuì di essere tornata umana. Niente ali. Niente impassibilità. Fragile.

Si voltò, ed iniziò a correre. I piedi avanzarono uno dopo l’altro, con difficoltà per la mancanza di terreno solido.

Lacrime calde scivolarono sulle sua guance, le annebbiarono la vista.

Avvertì la paura scorrere nelle sue vene.

Per terra, una radice nascosta da foglie secche.

Inciampò. Cadde.

In un attimo, l’animale la raggiunse. Un balzo, e fu sopra di lei, inchiodandola sul terreno.

La ragazza sollevò le braccia per ripararsi il viso.

Urlò, ma non c’era niente da fare per lei. E lo sapeva.

Solo io, te e la luna, vero Julian? Mormorò, rassegnata.

Sentì i canini affilati affondare nella sua pelle. Il sangue spargersi attorno a lei.

La vista annebbiata. Formicolii, in tutto il corpo.

Il buio.

 

 

Riaprì gli occhi.

La vista si schiarì leggermente.

Lui, accanto al suo corpo.

Vestiti stracciati lo ricoprono appena.

La tiene tra le braccia.

“Ce la farai, piccola. Ce la farai.” Mormora, dondolandosi avanti e indietro, come per cullarla.

Lo guarda. Lacrime attraversano il suo viso, senza sosta.

Sorride.

Richiude gli occhi.

 

 

 

  
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