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Autore: _Trixie_    08/02/2013    5 recensioni
Il mio matrimonio non si poteva certo definire perfetto. Io e mio marito parlavamo a malapena, spesso attraverso intermediari: uno specializzando dell’ospedale in cui entrambi lavoravamo, sua sorella Amelia, mio fratello Archer, il suo migliore amico Mark.
Mark.
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Addison Montgomery Sheperd, Mark Sloan
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Prima dell'inizio
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A  K. per il suo essere speciale.

  
It means something
 

 

 
Wait there in the pouring rain, come back for more
The other side of the door , Taylor Swift

 
 
 
Aprii lentamente gli occhi, sbattendo più volte le palpebre per adattarli alla luce che entrava dalla finestra.
Mi sentivo indolenzita e stanca, come se non dormissi da molto tempo, e un dolore sordo alla base della testa mi strappò un gemito soffocato. Ero confusa e stordita.
Allungai una mano, in cerca di Derek sdraiato accanto a me. Accarezzai un braccio, una spalla, una schiena muscolosa. Troppo muscolosa.
Il mio matrimonio non si poteva certo definire perfetto. Io e mio marito parlavamo a malapena, spesso attraverso intermediari: uno specializzando dell’ospedale in cui entrambi lavoravamo, sua sorella Amelia, mio fratello Archer, il suo migliore amico Mark.
Mark.
I ricordi della notte precedente affiorarono dolorosamente.
 
«Derek è andato di nuovo a pescare?» domandò Mark, sedendosi accanto a me al tavolo della mia linda cucina.
«Già, abbiamo litigato. Di nuovo» biascicai, versandomi l’ennesimo bicchiere di vino. Rosso, annata 1969, un regalo di mio padre per Natale.
«Dovresti darci un taglio» mi ammonì Mark, strappandomi la bottiglia di mano e bevendo direttamente da questa.
Scoppiai a ridere guardandolo, senza trovare un motivo che giustificasse l’improvvisa ilarità.
Così come era arrivato, quel momento di gioia spensierata passò e mi rabbuiai.
«Quel dannato vino costa una fortuna, Sloan!» esclamai sporgendomi verso di lui per riprenderlo.
Il mio equilibrio era precario, nonostante fossi seduta.
Forse avrei dovuto darci un taglio sul serio.
Mark si limitò a spostare il vino fuori dalla mia portata, prima di bere di nuovo.
«Accidenti, è buono sul serio. Voi Montgomery vi trattate bene!»
«Forbes. Forbes Montegomery» lo corressi, con la poca lucidità che conservavo.
«Un cognome vale l’altro» commentò, prima di appoggiare la bottiglia sul tavolo. «Finito, non è che ne hai un altro?»
Indicai un armadietto di fronte a lui e dopo pochi minuti mi ritrovai tra le mani un rosso del 1963, marchio italiano. Sul collo era ancora legato con un nastro sottile il biglietto di auguri di mio padre.
Alla mia Addison, per il suo compleanno.
Ottima annata, condividilo con una persona speciale.
 
Gemetti di nuovo.
Ma non per il dolore alla testa, no. Gemetti perché ero stata così stupida da ubriacarmi e andare a letto con il migliore amico di mio marito.
Rotolai su un fianco, trovandomi faccia a faccia con Mark e inizia a bisbigliare il suo nome.
Lui continuò a dormire, fino a quando non decisi di pizzicargli il braccio.
«C-che c’è?» esclamò, guardandosi intorno con gli occhi semichiusi e la pronuncia impastata dal sonno.
«Te ne devi andare».
«Addison? Cosa…»
Silenzio. Una domanda sospesa nell’aria.
«Oh».
Di nuovo silenzio. Aveva trovato la risposta.
Forse nei nostri vestiti sparsi su pavimento, forse nelle mie mani che stringevano il lenzuolo a coprire il mio corpo nudo, forse nelle foto mie e di Derek, il giorno del nostro matrimonio, felici e sorridenti. Innamorati.
«Te ne devi andare» dissi di nuovo, senza incrociare il suo sguardo.
«Addison…»
«No, Mark, no. NienteAddison. È successo, è stato un errore, uno sbaglio. Che non ricapiterà. Per questo, ora te ne devi andare, d’accordo? Vattene, Mark, vattene» lo anticipai, terrorizzata dall’idea che Derek potesse tornare da un momento all’altro.
Mi sentivo sudicia, sporca e ipocrita, tale e quale mio padre e mio fratello, una Forbes-Montgomery fino al midollo. Una traditrice.
«Addison, lo sai che significa qualcosa. Per entrambi» mi contraddisse lui, avvicinandosi attraverso le lenzuola e accarezzandomi la guancia con una delle sue mani grandi e calde.
Deglutii, poi trovai la forza di scostare il viso. Il suo tocco era talmente dolce.
«Significa che avremmo dovuto smettere di bere dopo la bottiglia del sessantotto, Mark, ecco cosa significa».
«Significa che il tuo matrimonio è finito, Addison, siete arrivati al capolinea».
Mark mi afferrò il polso con decisione, ma senza farmi male.
«No…» balbettai. «Non dirlo mai più. Tu non puoi dare giudizi, non puoi emanare sentenze. Che razza di testimone sei per Derek? Che razza diamico sei per lui?» sibilai, infuriata.
«E tu che razza di moglie sei, Addison? Nuda nel suo letto con un altro uomo, che moglie sei?»
Liberai il polso e con un gesto brusco indicai la porta.
«Vattene. Ero ubriaca, ero distrutta, ero a pezzi. Credevo di potermi fidare di te, Derek si fidava di te. E tu ne hai approfittato, Mark, mi hai portata a letto, da ubriaca. Perciò, vattene».
Indicai di nuovo la porta, con sguardo torvo, colmo di odio e di rancore.
Lui rimase in silenzio e in silenzio si rivestì. I boxer a tinta unita, verdi, la canottiera da duro, la camicia, bianca, dalle righe azzurre, da cui mancavano i bottoni, strappati nella foga di aprirla, entrambi troppo ubriachi per poterli slacciare, i pantaloni, che gli avevo tolto con una risata, mentre mi mordeva il collo.
Il parquet scricchiolò sotto i suoi piedi nudi mentre usciva dalla mia stanza, dalla nostra stanza, mia e di Derek. Si fermò appena prima di aprire la porta, come se avesse avuto un ripensamento.
«Significa qualcosa, Addison, anche se non lo vuoi ammettere, significa qualcosa» bisbigliò a voce talmente bassa che lo udii a malapena.
Poi Mark uscii e lo sentii indossare le scarpe all’ingresso, poi la giacca.
Il sofisticato scacciapensieri appeso sopra la porta d’ingresso tintinnò quando aprì la porta, uscendo nella fredda alba di New York.
Rimasi a letto fissando il soffitto, troppo stanca per alzarmi, troppo scossa per dormire.
Significa qualcosa.
Significa che il tuo matrimonio è finito.
Che razza di moglie sei, Addison?
Il cielo fuori dalla finestra si oscurò.
 
Derek non tornò quel giorno e nemmeno quello seguente. Ma Mark sì.
Pioveva, pioveva a dirotto.
«Addison! Addison, apri questa maledetta porta!»
Mark colpì di nuovo il portone di ingresso, che tremò lievemente, sotto ai miei occhi.
Ferma, davanti a quella porta con un bicchiere di vino in mano, non sapevo se aprirla o meno.
«Maledizione, Montgomery, apri! Sto gelando, apri!»
«Forbes. Forbes Montgomery» lo corressi automaticamente in un sussurro.
«Non me ne andrò, Addison, Voglio solo parlare!» esclamò. Un tonfo sordo, la porta vibrò nuovamente.
Non risposi. Avevo preso qualche giorno di ferie in ospedale, ero disponibile solo per le emergenze. Non vedevo Mark da quella, sbagliata mattina.
«Addison! Addison!»
Bevvi un lungo sorso di vino, vuotando completamente il bicchiere.
«Ti sto pregando, Addison».
Feci un passo verso la porta.
Che razza di moglie sei?
«Addison, mi manchi, per favore».
Appoggiai la mano libera sulla maniglia fredda.
Significa che il tuo matrimonio è finito.
«Addison».
Abbassai la maniglia, lentamente.
Mark si precipitò dentro, chiuse la porta.
Mi strinse a sé, mi baciò, cercò le mie labbra.
Lasciai cadere il bicchiere a terra.
Significa qualcosa.
Gli morsi il labbro, gli tolsi il giubbino bagnato.
Significa qualcosa.
Le lacrime iniziarono a rigarmi le guance, andando a mischiarsi alla pioggia del suo volto.
Significa qualcosa.
Significa che il tuo matrimonio è finito.
Che razza di moglie sei?
 
 
 

   
 
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