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Autore: BellatrixLestrange96    08/02/2013    2 recensioni
Tre fratelli Dèmira, Cerea ed Artax non sono molto ricchi ad Atene, la città in cui vivono. Sono orfani di madre e vengono poco considerati dalla loro società. Ma qualcosa sta per cambiare nelle loro vite, qualcosa che li farà diventare le persone più fortunate al mondo.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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PREFAZIONE:

Nullità. Ecco cosa senti di essere in un mondo in cui conta solo l’apparenza e non l’intelligenza, in cui o sei la persona più bella del mondo o non conti. Sì, ti senti una nullità. Percepisci un vuoto interiore che ti scava dentro e che ti uccide lentamente l’anima fino a farla assopire del tutto. Di te rimane solo l’involucro, quello che gli altri vedono di te è solo una parvenza di una realtà di dolore e tristezza. Poi inizi a ignorare, quasi ad accettare passivamente quello che gli altri pensano di te, quello che la società ti fa pensare di te. Avevo imparato a vivere la mia vita senza troppi pensieri.  Mi chiamo Dèmira. Vivo ad Atene, nella capitale della classicità. Adesso però di quella bellezza restano solo le fioche luci delle sue rovine trasandate. Sono passati ben 3457 anni dalla nascita di Cristo eppure sembra di essere ancora in quell’istante in cui le donne non contavano nulla. Vivo con mio padre, mio fratello Artax e mia sorella gemella Cerea. Nostra madre Tovie è morta quando ancora non avevamo imparato a chiamarla, quando ne avevamo più bisogno. Da quel momento, a causa della sua mancanza, una parte di me se ne era andata via, per sempre, lasciando solo l’involucro.

CAPITOLO 1.

Dèmira e la sua famiglia non era di certo la più ricca di Atene; tuttavia da secoli ormai la Grecia era immersa nella crisi economica. Lei viveva nella parte ovest della città e doveva, insieme alla sorella, badare al fratello, sempre impulsivo e con indole naturale per i guai, mentre il padre cercava di guadagnare un po’ lavorando. Operava in una piccola fabbrica intenta a testare nuove armi per la distruzione di massa. In realtà quella non era mai stata l’ambizione di Formio: fin da ragazzo vedendo le rovine diroccate di templi e teatri aveva sognato di riportarli al loro antico splendore, di aiutare una civiltà a risorgere dall’oblio. Questa passione l’aveva trasmessa alle sue due figlie Dèmira e Cerea, mentre Artax era interessato solo a due cose: le donne e la gloria. Quel giorno Dèmira era appena tornata dal mercato con alcune provviste. Era estate e portava indosso una leggera veste turchese con sfumature bianche verso la fine della gonna; aveva i capelli biondo cenere raccolti in uno chignon fatto rapidamente. Aveva una carnagione chiara, un po’ insolita per la figlia di un uomo scuro di carnagione e capelli. Stava correndo rapidamente su per una via e raggiunse celere la porta di casa. Si diresse in cucina, aprì il portone d’ingresso aiutandosi con il piede e  posò la borsa pesante sul tavolo, asciugandosi con la mano destra la fronte per il sudore. Si guardò attorno: nessuno era ancora rientrato in casa. Di solito quando tornava dal mercato tutti erano già in casa ansiosi di mettere qualcosa sotto i denti, ma in quel frangente non si preoccupò minimamente. Iniziò lentamente a tagliare le verdure e a metterle in una pentola a fuoco lento. Mentre aspettava la cottura della zuppa cominciò a riflettere su dove potessero essere i suoi fratelli e suo padre. Formio probabilmente era stato trattenuto al lavoro, non era una novità che facesse qualche ora extra per rimpinguare un po’ i fondi familiari ma Artax e Cerea non arrivavano mai in ritardo, affamati com’erano dopo lunghe scarpinate nei boschi. Più il tempo scorreva nel tombale silenzio che avvolgeva non solo la casa ma tutto il quartiere e più le preoccupazioni e le possibili ipotesi le affollavano la mente. Sentì un brivido percorrerle la schiena. Avete presente quella strana sensazione che lega due fratelli gemelli? Sentire dolore quando l’altro lo sente? Vivere in simbiosi assoluta? Ecco, Dèmira comprese che qualcosa non andava. Uscì di scatto, senza nemmeno spegnere il fuoco, e si corse a perdifiato. Non so con esattezza con che criterio Dèmira scegliesse di andare dritto o voltare a destra o sinistra; lei correva. Raggiunse il Partenone a quell’ora del giorno stranamente vuoto e si guardò attorno. Il Partenone adesso era quasi esclusivamente una leggenda; del bellissimo tempio dedicato ad Atena restavano poche colonne. Dèmira iniziò a perlustrare le rovine finchè non sentì la voce della sorella gridare. Si voltò e vide la sorella reggere il fratello che pendeva sulla città bassa. Non avrebbe resistito a lungo. Aiutò la sorella e insieme riuscirono a tirare su il fratello. Artax, che era impallidito nonostante avesse già una carnagione chiara come le sorelle, riprese fiato, si sistemò i pantaloncini e la camicia ed esordì: ”Era tutto calcolato. Non avevo di certo bisogno che due pappamolle come voi mi tiraste su.” Cerea guardò la sorella e gli rispose acida: “Certo, male che va avresti soltanto perso qualche arto. Potevamo lasciarti penzoloni e vedere quanto avresti resistito senza acqua né viveri!”.  “A proposito di mangiare, Dèmira tu non dovresti essere a casa a cucinare?” Dèmira si rese conto in quel momento di aver lasciato la zuppa sul fuoco, che avrebbe potuto provocare un incendio da un momento all’altro. “Credo che abbiamo un problema: ho lasciato il fuoco acceso per venirvi a cercare.” Artax e Cerea strizzarono gli occhi. “Come facevi a sapere che eravamo qui?” disse Artax. “Non lo so onestamente. Voi per quale motivo siete venuti?” Artax rimase a pensare in silenzio. “E’ strano da spiegare, ma è come se qualcuno o qualcosa mi avesse chiamato fin qui. Ah, ma che cosa da pazzi da credere.” “Anche io ho avuto la stessa sensazione, come fossimo destinati a trovarci qui in questo momento.” Concluse Cerea.  I fratelli si voltarono pronti a tornare a casa dopo quell’avventura “paranormale” ma non sapevano che gli stava per accadere qualcosa di mai visto. Il terreno su cui camminavano iniziò a cedere sotto i loro piedi avvolgendoli in una luce. Non vedevano nulla. I loro occhi erano ancora intorpiditi dal bagliore precedente. Quando rinvenirono non erano assolutamente vicino al Partenone. Erano distesi su un manto erboso. Intorno a loro un bosco fitto. “Cosa diavolo è successo?! Dove siamo?” disse Artax. Le sorelle erano troppo impegnate ad osservare la bellezza di quel posto da non poter rispondere. Ad un tratto un rumore di rami scossi si fece sempre più intenso e vicino; Artax, Cerea e Dèmira si guardarono impauriti, non ebbero il tempo di trovare un nascondiglio che una strana creatura comparve innanzi a loro. Non era di certo un uomo “normale”. Era alto più del solito, aveva una folta barba riccioluta grigia che arrivava fino alla pancia, gli occhi erano piccoli, vispi e cerulei, le orecchie lunghe e appuntite. Aveva i capelli grigi molto lunghi, una veste viola riccamente decorata da trapunti d’oro e argento. Sulla fronte portava una strana tiara con una gemma incastonata nel centro. Doveva di certo essere una persona benestante, ma non malvagia. Sorrise cordialmente ai ragazzi, abbozzò un inchino formale e disse solenne: “Bentornati a casa figli di Tovie, sovrani di Dovig, regione più bella e gloriosa di Redsa.”

  
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