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Autore: golem1954    29/08/2007    2 recensioni
Bulgaria 1911. Mila, operaia e la moglie del padrone. Due donne distanti anni luce fra loro per estrazione sociale si incontrano, scoprendo che è molto più ciò che le accomuna, che ciò che le divide
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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zinco e cobalto

Mila

Se fosse esistito un Dio Mila lo avrebbe citato per danni o quantomeno avrebbe preteso che le spiegasse il senso della sua vita da operaia nella manifattura di Varna. E di tutto il resto.

Improvvisamente il chiacchiericcio che accompagnava il lavoro nella manifattura, cessò. Georgi Davidof il "padrone giovane" si era affacciato dal ballatoio che corre lungo la parete di fondo del capannone. A rispettosa distanzi il capoturno continuava ad asciugarsi le mani sudate sul grembiule nero.

Per un istante lo sguardo di Mila incrociò quello di Davidof. Vestito con un impeccabile completo di lino bianco, magro, capelli e favoriti giallo paglia, pince nets d’oro sul naso ossuto, le fece venire in mente l’immagine di un’ape caduta nel latte e un sorriso le increspò le labbra.

Era bella Mila, quando sorrideva. In quei momenti il suo volto regolare, con i grandi occhi chiari, gli zigomi alti che davano ancor più risalto alle labbra carnose e ben disegnate si illuminava come quello di un bimbo davanti alla vetrina di una panetteria stracolma di banitzi. I corti capelli biondi, sempre un po’ scomposti sulla fronte e il corpo armonioso e ben proporzionato, facevano in modo che gli uomini la notassero anche quando non sorrideva.

Georgi Davidof afferrò fra le dita la catena d’oro che gli ornava il panciotto e tirandola la fece scorrere fra le dita finché l’orologio uscito di tasca gli scivolò sul palmo della mano. Fissò per un attimo le lancette e disse qualcosa al capo turno che annuì con la mano, continuando a farlo finché Georgi Davidof allontanandosi non sparì.

Poco dopo il capo turno la chiamò

"Mila, il signor Georgi Davidof vuole che tu vada subito nel suo ufficio."

"Cosa vuole da me?"

"Non lo so e non è affar mio saperlo. Piuttosto muoviti."

Deglutì più volte cercando di cacciare l’agitazione che le faceva tremare le gambe e con passo affrettato si diresse verso l’ufficio. Non ebbe nemmeno bisogno di bussare. La porta era aperta e come Georgi Davidof la vide, la invitò ad entrare.

"Venite avanti, come vi chiamate"

"Mila. Mila Vulcotich" disse fermandosi al centro della stanza.

"Siete giovane Mila, quanti anni avete? Avete una famiglia?"

"Diciotto. I miei genitori sono morti e io vivo con una zia"

Georgi Davidof, seduto alla scrivania, la fissava come un allevatore guarderebbe la sua giumenta migliore, lisciandosi i favoriti con la punta di un lapis.

"Bene Mila." Riprese Georgi Davidof, parlando lentamente, "mi ha riferito il capoturno che siete una brava ragazza, onesta e discreta e io ho bisogno di una nuova persona di servizio per la mia casa. Vi concedo l’occasione di smettere di lavorare in fabbrica per venire al servizio della mia famiglia. Oltre al salario avrete una vostra stanza, nell’ala della servitù, il vitto e un pomeriggio libero a settimana. La vostra vita potrebbe essere a un giro di boa. Cosa rispondete dunque?"

Mila capì fin troppo bene il vero senso della proposta. Se fosse stato onesto le avrebbe detto che le dava la possibilità di scegliere se morire in fabbrica o diventare per un po’ la sua personale femmina da monta. Nonostante la giovane età aveva già imparato che gli uomini non sono mai onesti e i padroni meno che meno. Un profondo senso di disgusto le sbiancò il volto. Come avrebbe potuto lei, proprio lei, soggiacere ai desideri di quel bastardo. Avrebbe voluto piangere, ribellarsi, fuggire. Si sentì come un animale nell’anticamera del macello. Sapeva di non avere scelta e pronunciò l’unica frase che avrebbe potuto pronunciare. "Grazie signore."

"Brava, domattina presentati a casa mia, ti accoglierà mia moglie e ti spiegherà ogni cosa. Ora va pure."

Quando giunse a casa Davidof, una cameriera le aprì la porta. La squadrò dall’alto in basso e la fece entrare, accompagnandola con un sorriso carico di malevola ironia. "Sei la nuova immagino. Aspetta qui e non muoverti. Vado a chiamare la signora."

Dopo pochi istanti dalla cima della scale comparve una giovane donna. Alta, elegante, con lunghi capelli neri raccolti in uno chignon e un abito rosa fino alle caviglie. Una delicata arricciatura proprio sotto i seni minuti, rendeva sensuale la sua figura. Attorno al collo esile due file di perle di fiume. Scese la scala con l’eleganza e la grazia di un fenicottero e si fermò di fronte a Mila. "Sono la signora Davidof e tu cara, devi essere Mila. Mio marito mi ha parlato di te."

Mila arrossì. Sentiva il cuore battere così forte, che temeva l’avrebbe udito anche la signora Davidof. "Si signora, per servirla." Accennò col capo un leggero inchino.

La signora Davidof le sfiorò il mento con una mano, sollevandole il viso. "No, no, stai su. Ula," indicò con la mano la cameriera che aveva aperto la porta, "ti accompagnerà alla tua stanza, e ti istruirà su quello che dovrai fare. Prima però vorrei conoscerti un po’."

Mila sollevò lo sguardo verso il volto della signora. Le sue labbra sottili avevano un’espressione dolce, ma i suoi occhi erano velati di tristezza. "Vieni, siediti accanto a me"

La signora Davidof si accomodò su un piccolo divano, facendo cenno a Mila di sedersi, poi con un gesto della mano congedò Ula. Forse anche lei sapeva. Sapeva ma era costretta a subire, come lo era Mila. Ma allora perché le sorrideva quasi con tenerezza? Mila provava un profondo imbarazzo. Capiva che il disprezzo che Georgi Davidof aveva per entrambe le accomunava. Un disprezzo espresso in forme diverse ma altrettanto crudeli. Mila era un corpo giovane e sensuale da possedere senza curarsi dell’anima che lo abitava, mentre la signora era solo un oggetto da esibire in società come si esibisce una bella casa, dei ricchi arredi, e tutte quelle cose che danno una borghese onorabilità. Non due donne: semplicemente due oggetti che Davidof, pensando di poter possedere, aveva destinato a scopi diversi.

Il padre di Mila aveva aderito al movimento socialista di Dimitar Blagoev, ed era stato assassinato dalla polizia al servizio del governo borghese: quel governo borghese che sicuramente il padre della signora Davidof aveva sostenuto, se addirittura non ne aveva fatto parte. Lei era stata sfruttata mentre gli altri erano gli sfruttatori. Lei polpette di riso o sopska, gli altri carne di agnello arrostita e pesce del Mar Nero. Lei donna che mai avrebbe potuto provare amore per un uomo, l’atra, donna che in nome del falso amore di un uomo si era lasciata immolare sull’altare dell’onorabilità. No per dio, loro due erano diverse, Mila si sentiva diversa.

"Mila, mio marito mi ha parlato di te e ormai ho imparato a capire. Entrambe sappiamo perché sei qui"

"Signora, io…"

"No, non mi interrompere. Ciò che il destino decide non puoi sceglierlo. La vita è come un grande teatro, in cui ciascun attore ha la sua parte. L’autore è la, nel buio della sala e tu dal palco non puoi vederlo, ma sai che c’è e che ti controlla. Ogni attore sa che sta recitando, sa di non essere se stesso, sa che le battute non sono quelle che gli suggerirebbe la sua anima, ma quella è la sua parte e deve recitarla fino in fondo."

Mila fissava la signora Davidof senza riuscire a staccare lo sguardo dal suo volto. "Signora, non capisco."

"Sto soltanto cercando di dirti, che provo per te, cara piccola Mila, la stessa pena che provo per me, ma questo non potrà cambiare nulla. Ho cercato l’amore e ho scoperto che non esiste. Quello che credevo amore si è trasformato in desolante nulla."

Gli occhi della signora erano lucidi.

Mila seduta accanto a lei, per un attimo si sentì impietrita. Era lì con le ginocchia strette l’una contro l’altra e le mani sopra di esse. Sentiva il volto arrossire ed era come se tutto il sangue si fosse fermato. All’improvviso la mano abbandonò il ginocchio e senza che se ne rendesse conto, andò a posarsi sul dorso della mano della donna di fronte a lei. Si fissarono negli occhi per un’eternità. La signora voltò la sua mano e le loro dita si cercarono e si unirono. "Signora, forse possiamo dimenticare la parte e recitare a soggetto. Forse l’amore può ancora rinascere, anche nel suo cuore, soltanto con un volto diverso da quello che di solito gli si attribuisce. Il vero amore nasce dal cuore e si propaga."

La mano della signora strinse quella di Mila e la trasse a sé. Mentre le lacrime sul volto si facevano copiose, la sua bocca iniziò a schiudersi in un sorriso. "Hai ragione piccola mia, vieni lascia che ti stringa a me. Rimarrai in questa casa, e sarai la mia Mila"

Se Dio esistesse, forse Mila quel giorno, non avrebbe chiesto conto di nulla.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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