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Autore: moriartea    09/02/2013    1 recensioni
«Per l'ennesima volta, non ho paura.»
«Oh, non mi riferisco al cibo, Cher. Non hai nessuna paura? Neanche, per esempio, dei ragni?»
«No. Non ho paura del cibo, o dei ragni, o di qualsiasi cosa.»
Lo psicologo esita prima di parlare, come se sapesse già che ciò che sta per dire è forse un po' troppo per me. «Nemmeno della morte?»
Per qualche assurdo motivo, nella mia mente prende forma l'immagine di una lapide con sopra scritti il mio nome, la mia data di nascita e di morte, e per qualche motivo ancora più assurdo, l'unica immagine in grado di scacciarla è quella di uno dei tanti volantini che mi porta mia madre.
Mando giù il nodo che mi si è formato all'altezza della gola. Non voglio mostrarmi ancora più debole di quanto appaio.
«Lei ha paura della morte, dottore?»
«Non è di me che stiamo parlando Cher, ma se vuoi saperlo sì, l'idea della morte mi terrorizza. Tu non hai paura di morire?»
Non riesco a trattenere un risolino. «Dottore, io sono già morta.»
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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23 Novembre 2004.
Suona la campanella che segna la fine della seconda ora.
«Ricordate di copiare i compiti dalla lavagna appena finisce l'intervallo!» L'insegnante urla queste parole, ma gli unici a sentirla siamo io ed Edward Monroe. Anzi, probabilmente soltanto io, visto che conoscendo Edward potrei scommettere sul fatto che abbia la testa altrove.
Mi alzo sistemandomi la maglietta blu, e tiro fuori un pacchetto di Fonzies dallo zaino. Quando alzo lo sguardo lui è lì, davanti a me. Lo guardo, non capendo cosa possa volere da me, visto che a stento mi rivolge la parola. Alto cinque o sei centimetri in più di me, capelli biondo scuro e occhi color oro, le braccia incrociate sul petto.
«Lloyd, l'ultima cosa che ti servono sono quelle patatine. Mai pensato a una dieta?»
Non capisco a cosa si riferisce.
«Eh?»
«Non hai mai pensato di aver bisogno di una dieta?»
Mi strappa il pacchetto di Fonzies dalle mani e se ne va lasciandomi a bocca aperta.
Mi volto, vedendo il mio riflesso nel vetro della finestra.
I capelli neri raccolti in una treccia che mi ricade sulla schiena, gli occhi vispi concentrati ad esaminare il riflesso di quella bambina di quinta elementare, che all'improvviso non sembro più io. Non posso essere io. Perché all'improvviso quel riflesso ha una caratteristica che io non ho mai avuto: grasso.

 

12 Marzo 2005.
Taglio l'invitante bistecca davanti a me, sto morendo di fame, diamine.
Ne ingoio un boccone, sentendo la fame svanire in modo appena percettibile. Ne voglio ancora.
«Buona?»
Annuisco, sorridendo a mia madre, seduta dal lato opposto del tavolo. Ne ingoio un altro boccone, poi un altro, e un altro ancora. Le parole che Edward mi ripete ogni giorno mi balzano improvvisamente in testa: “Mettiti a dieta, Lloyd, con quella pancia non andrai da nessuna parte.” “Puoi spostarti? Sai, con quella tua pancia enorme non riesco a passare.” “Lloyd, dammi la tua merenda. Tanto non ne hai bisogno.”
Deglutisco a fatica.
Sposto il piatto con le mani, bevendo un sorso d'acqua.
Mia madre mi guarda confusa, non sono certo il tipo che rifiuta il cibo, no.
«Tesoro, tutto bene?»
«Sì sì, solo... non ho fame. Vado a fare i compiti.»
Salgo le scale, ma invece di andare in camera mia vado in bagno, posizionando la bilancia in mezzo alla stanza e piazzandomici sopra. Poco più di 67 chili.
Ha ragione. Sono grassa.

 

27 Ottobre 2008.
Mi alzo sbuffando, non mi va proprio di andare a scuola.
Faccio per vestirmi, ma il mio istinto mi fa bloccare quando i miei occhi si spostano sul mio riflesso nello specchio.
Capelli sporchi, trascurati.
Occhiaie di una ragazza che dorme una notte si e tre no.
Fisico forse normale, forse troppo magro, forse troppo grasso, non lo so. So solo che è sbagliato.
E' tremendamente sbagliato per una ragazzina di terza media, lo è. Io sono sbagliata.
Con gli occhi lucidi, vado in bagno e prendo la bilancia. 47 chili.
Non so più se sono troppi, troppo pochi, o abbastanza. Però, so che ai miei occhi sono davvero tanti. E devo calare, calare ancora. Non posso più mangiare.

 

31 Dicembre 2011.
Accendo la televisione, buttandomi sul divano, esausta.
Faccio passare una mano tra i capelli per sistemare un ciuffo che mi è ricaduto davanti agli occhi, e quando la ritiro metà di quel ciuffo si è staccato ed è finito sulla mia mano. Tipico.
Su qualsiasi canale parlano solo di Capodanno. Stronzate.
Spengo la televisione, annoiata.
Inizio a girovagare a vuoto per la casa, e senza rendermene conto arrivo in cucina.
Noto un volantino sul tavolo, probabilmente uno dei tanti portati a casa da mia madre, ha la fissa. Lo prendo in mano, leggendo ad alta voce “L'ANORESSIA NON E' INVINCIBILE, NOI POSSIAMO AIUTARTI A SCONFIGGERLA. UNISCITI AL NOSTRO GRUPPO DI RECUPERO, NON SEI SOLO.” Stronzate.
Ricomincio a girovagare per la stanza.
Apro la dispensa, vuota. Provo con il frigorifero, ancora più vuoto. Inizio a sbirciare tra i cassettoni della cucina, e ne trovo uno con dentro una scatola di merendine al cioccolato. Ne apro una e la mordo, ma il morso è talmente piccolo e debole che sento a malapena il sapore. Ingoio, e sento un conato di vomito partire dallo stomaco per arrivare fino alla gola.
Corro in bagno, mi abbasso sul lavandino e vomito anche l'anima, sempre che ne abbia ancora una.
Dopo un buon quarto d'ora passato a rimettere, alzo il viso sullo specchio notando che le occhiaie sono visibilmente aumentate dall'ultima volta, le ossa delle spalle e delle mani sembrano voler squarciare la pelle, da tanto che sono sporgenti, il viso cupo e spento. Sento una lacrima tracciare il contorno scavato della mia guancia.
Lancio uno sguardo all'orologio sulla parete, sono le 24:02.
Buon anno a me.

 

17 Giugno 2012.
Il caldo è devastante. Esasperante.
In questa stanza d'ospedale, poi, mi pare che sia ancora di più. E' come se le pareti, il pavimento, il lettino, le lenzuola, il mobiletto, il tavolo e le sedie, siano tutti fatti di puro calore, e il mio fisico non è più in grado di sopportarlo.
Mia madre aveva ragione.
Sono diventata anoressica. Ho dovuto lasciare la scuola per essere rinchiusa in questa orribile stanza arancione – il colore delle pareti, oltretutto, le fa sembrare ulteriormente calde. Circa undici mesi fa ho dovuto smettere di fare sport perché il mio fisico non era abbastanza forte. Io non ero abbastanza forte. Ho dovuto lasciare anche quel poco che era rimasto della mia vita per essere confinata in queste quattro mura bollenti.
Mi hanno messo in pediatria, come se fossi una stupida bambina. I medici hanno detto a mia madre “A causa della malattia, sua figlia è molto irascibile e soggetta a frequenti sbalzi d'umore, perciò riteniamo che medici abituati ad avere a che fare con dei bambini siano più adatti ad occuparsi di lei, perché dotati di maggiore pazienza” senza minimamente preoccuparsi del fatto che lì c'ero anch'io. “A causa della malattia. Sono malata. E io so che quando dicono quella parola non pensano al mio stomaco, ma alla mia mente. Sono una stramaledetta malata mentale. E se non mi decido a guarire qui, mi spediranno in una clinica specializzata in casi come il mio. Sono un caso. Sono uno stramaledetto caso di malata mentale irreversibile. Perché i medici non lo ammettono ma, andiamo, mi ci è voluta una vita per distruggermi, e non saranno certo loro a rimettermi insieme in pochi mesi, o anni. Morirò. Potrei quasi dire di essere sicura di essere già morta.
Ma la cosa che odio di più è il comportamento di mia madre. Non le importa. Si limita a venire a trovarmi tutti i pomeriggi, portarmi stupidi volantini di gruppi di recupero o stronzate simili, già consapevole del fatto che non farò mai una cosa del genere. E' stato già abbastanza imbarazzante dire a tutti i miei compagni di scuola che me ne andavo a stare in un ospedale, se poi mi costringono a parlarne un giorno sì e l'altro anche, allora finirò per esplodere sul serio. E' già difficile sopportare le interminabili chiacchierate con lo psicologo e – oh, eccolo qui, lo psicologo. Non vedevo l'ora.
«Buongiorno Cher.» All'inizio mi chiamava Signorina Lloyd, ma, dopo un paio di giorni, quando ho dichiarato di aver fiducia in lui – non avevo poi molte alternative – ha iniziato a parlarmi come se mi conoscesse da una vita, e io non sono ancora riuscita capire se la cosa mi conforta o mi fa innervosire. Credo sia una delle infinite conseguenze della malattia.
«Buongiorno.»
«Come ti senti oggi?» Ho l'istinto di rispondere ‘bene’ ma mi blocco. Come mi sento? Solo dopo mi sento rispondere «Non lo so.» senza che neanche lo volessi.
«Ti senti bene o male?»
«Non lo so, ho detto. Non lo so, come sto.»
«Dovresti avere fame, hai toccato appena un po' della tua pasta per pranzo ed è quasi ora di cena, e nel pomeriggio non hai mangiato nulla.»
«Non ho fame.»
«Io credo che tu ne abbia molta, solo che non vuoi pensare al cibo, mi sbaglio, Cher?»
«No, ho detto che non ho fame. Se avessi fame me ne accorgerei, non sono stupida.»
«Il cibo non è tuo nemico, Cher.»
«Ho mai detto una cosa simile, forse?» Non lo sopporto, giuro.
«So che lo pensi, Cher. Devi sconfiggere la tua paura del cibo.»
Mi alzo di scatto in piedi. «Io non ho paura proprio di niente!»
«Va bene, adesso calmati.» Mi siedo di nuovo, respirando profondamente, tranquillizzandomi, e sapendo che il mio fisico non può sopportare più di tanto l'agitazione. Il mio nervosismo però sale di nuovo quando lo psicologo pronuncia questa frase con lo stesso tono che le mamme usano con i loro figli piccoli. «Perché ti mette così a disagio parlare con me?» Non sono una bambina, parlami decentemente, diamine. «Beh, immagino che parlare a un uomo che conosci appena del problema che ti perseguita fin da piccola non metta a proprio agio nessuno.»
«Dovresti provare ad aprirti – e non ti agitare, lo sai che non ti fa bene.»
«Non mi va di aprirmi, non vedo come potrebbe aiutarmi.»
«E hai paura.»
«Le ho detto che non ho paura!»
«Cher, con me puoi parlare, sono qui apposta per aiutarti.»
«Se vuole davvero aiutarmi, allora se ne vada.» Morirò. E non ha senso sprecare tempo qui.
«Ammettere di avere paura è un ottimo inizio, sai?»
«Per l'ennesima volta, non ho paura
«Oh, non mi riferisco al cibo, Cher. Non hai nessuna paura? Neanche, per esempio, dei ragni?»
«No. Non ho paura del cibo, o dei ragni, o di qualsiasi cosa.»
Lo psicologo esita prima di parlare, come se sapesse già che ciò che sta per dire è forse un po' troppo per me. «Nemmeno della morte?»
Per qualche assurdo motivo, nella mia mente prende forma l'immagine di una lapide con sopra scritti il mio nome, la mia data di nascita e di morte, e per qualche motivo ancora più assurdo, l'unica immagine in grado di scacciarla è quella di uno dei tanti volantini che mi porta mia madre.
Mando giù il nodo che mi si è formato all'altezza della gola. Non voglio mostrarmi ancora più debole di quanto appaio.
«Lei ha paura della morte, dottore?»
«Non è di me che stiamo parlando Cher, ma se vuoi saperlo sì, l'idea della morte mi terrorizza. Tu non hai paura di morire?»
Non riesco a trattenere un risolino. «Dottore, io sono già morta.»
Mi guarda, l'espressione confusa.
«Cher, se fossi morta, io non potrei vederti.»
«Lei sta vedendo un corpo, dottore, un mucchio di ossa. Io, invece, sono morta.»
«Perché pensi di essere morta?»
«Perché da un bel po' di tempo non ho più la sensazione di respirare. E se non respiri, allora sei morto.»
«Tu hai una possibilità, Cher. Devi lasciarti aiutare.»
«Mi dispiace deluderla dottore, ma una laurea in psicologia non le farà resuscitare un morto.»




 


non ho molto da dire, in realtà.
quella dell'anoressia è una tematica che mi sta molto a cuore, per svariati motivi.
questa one-shot è nata come un'originale, ma non so perché continuavo a immaginarmi Cher come protagonista, quindi l'ho adattata a lei e l'ho inserita nel suo fandom.
Ah, ci sarà una seconda parte, l'ho divisa in due perché altrimenti diventava lunga e pesante da leggere. Aggiornerò il prima possibile, comunque l'altra parte è già pronta e aspetta solo di essere postata.
E nulla, spero che questa parte vi sia piaciuta e che vorrete lasciarmi una recensione.
Che succederà a Cher secondo voi? Si farà aiutare o si arrenderà definitivamente?

   
 
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