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Autore: Astharte_Salai    09/02/2013    2 recensioni
Eterea, perfetta. Fu questo il pensiero che arrivò nella sua mente alla sua vista.
Una donna bellissima dal volto ovale simile a fine porcellana, una cascata di ondulati capelli castani ad incorniciare un naso sottile e due enormi occhi chiari, dell’ingenuità più disarmante che avesse mai visto. Dentro di lui, quella notte, qualcosa di sconosciuto si mosse nello stomaco,opprimendogli il respiro
(AstharothxGabriel)
Genere: Fantasy, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Spoiler!
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miao

Afraid

Ok inizio proprio dicendo che questo sclero inatteso è stato scritto in mezz’ora quindi mi immagino che bellezza sia -.-. in ogni caso, volevo comunque parlare della mia coppi preferita su questo splendido romanzo: Astharoth e Gabriel, il tutto dal loro primo incontro che ha fatto sbocciare il loro amore. Non avendo mai scritto storie del genere so già che farà schifo quindi anche i commenti negativi sono ben accetti ç_ç sappiate però che ho agito in buona fede.

 

 

 

Rare volte, un demone potente come lui aveva provato veramente terrore durante la sua esistenza. Sapeva, che molte cose che faceva, potevano far adirare Lucifero oltre ogni dire, cosa che in fondo era già accaduta in passato quando aveva provato (quasi riuscendoci) a rubargli il trono per reclamarlo come proprio. Ricordava con vago timore la punizione che gli era stata inflitta: lingue ardenti simili a serpenti a mordergli la pelle, le sue urla trattenute a stento che rimbombavano per le umide e gocciolanti pareti della cella, gli occhi scarlatti d’ira del signore degli inferi contro i propri.

Si, quel giorno, come tanti altri, aveva provato un vago terrore, ma non paura.

Uno come lui, la paura non la doveva conoscere. Non voleva nemmeno provarla.

Quella notte, il cielo era tinto da un manto oscuro, come per celare il piano che avevano escogitato lui e altri suoi compagni all’insaputa del loro re, tanto era il timore delle sue truppe di venire scoperte per un gesto del genere.

Astharoth, come sempre, era il capo indiscusso di quelle azioni e non temeva di venire scoperto né di subire la punizione per una regola trasgredita anni fa da un suo compagno a cui era toccata la morte.

La morte, non lo spaventava, nulla lo avrebbe mai spaventato.

Stringendosi il mantello scuro attorno alle spalle robuste, lasciò vagare gli occhi verdi in alto, alla ricerca di qualche stella che illuminasse il cielo come un buon presagio per quello che stava accadendo. Ma nemmeno una fioca luce fuoriusciva da quella nube peccaminosa, e il nero era il colore predominante che inghiottiva le figure incappucciate dei demoni, accalcati in fila indiana con le ali tremanti.

Si, questa volta, nel suo cuore, Astharoth sentiva di star compiendo una sciocchezza, un’infrazione da cui non sarebbe più potuto uscire. Allearsi con gli angeli per procreare una nuova specie. Una cosa punibile solo con la pena di morte.

Ma non doveva avere paura, perché credeva in quello che faceva. E sinceramente, troppe volte l’apatia aveva preso il suo essere, facendogli desiderare la morte come una carezza sensuale. Nulla poteva spaventarlo. Lui era sempre stato tutto quello che voleva essere: secondo solo a Lucifero per forza e per bellezza, riusciva ad ottenere tutto quello che voleva, dal sesso gratuito ai soldi, alle anime dei mortali vaganti all’inferno.

Non temeva di perdere un compagno, perché non si era mai affezionato a qualcuno e nessuno avrebbe provato a usurpare quello che era suo perché sapeva benissimo che sarebbe morto.

Come poteva temere qualcosa che non esisteva?

 

Eppure, quella notte, qualcosa era destinato a cambiare.

 

Dall’oscurità, arrivò d’improvviso una luce accecante, che lo costrinse a strizzare indispettito gli occhi e calarsi maggiormente il cappuccio verso il volto affilato. La luce divenne piano una figura, poi molte altre si staccarono, assumendo forme e colori fino a diventare esseri distinti di pura luce. Gli angeli, erano arrivati e osservavano con fierezza i loro acerrimi nemici ora alleati, con le ali all’erta e le tuniche bianche svolazzanti sull’umido terreno. Astharoth inspirò piano, gettando una fugace occhiata ai suoi compagni che, indecisi sul da farsi, attendevano un suo ordine. Con decisione, passò in rassegna ogni singolo volto coperto degli angeli e nonostante il disgusto istintivo per loro gli stava attorcigliando lo stomaco, fece un passo avanti alzando le braccia al cielo, in segno di resa. Non aveva paura di loro, non aveva senso avere paura per uno come lui. Doveva solo scegliersi un angelo e fecondarlo, poi sarebbe tornato alla vita di sempre, apatica, noiosa, inutile. Con suo stupore, una piccola figura si staccò da quella calca  luminosa e avanzò goffamente verso di lui, incespicando delicata nei propri passi. Lunghe ali chiuse spuntavano dalla sua schiena come cascate ardenti di pura e candida luce e le punte tinte di dorato erano la testimonianza che quell’essere non era un angelo comune. Astharoth si fermò al centro di quella terra desolata, il volto accigliato. Un arcangelo. Come poteva un essere di tale potenza, essere così piccolo e gracile mentre camminava lento verso di lui? Molte volte la sua mente aveva immaginato gli arcangeli come esseri invincibili dalle tuniche dorate e i volti fieri, spalle robuste erette e spade strette nelle mani. Come poteva un essere così piccolo incutere paura?

Come poteva, un essere così piccolo, non provare paura?

L’arcangelo si fermò a pochi passi da lui, il volto celato che lasciava intravedere solo un lieve sorriso gentile. Quel piccolo essere sembrava studiarlo curioso, senza lasciarsi osservare però osservare a sua volta e per interminabili minuti, Astharoth sentì dietro di lui le sue truppe trattenere il fiato, spaventate all’idea di un attacco a sorpresa. Fu una calda e dolce voce a scuoterlo da quello stato di trance : “ Astharoth, il principe degli inferi.”

Lui annuì e sporse il mento in avanti, osservando con un sopraciglio alzato l’arcangelo misterioso dall’alto. “Potrei sapere con chi sto parlando? Scusate ma dobbiamo sbrigarci se non vi dispiace”

Una leggera risata uscì da quelle labbra sottili e Astharoth si bloccò impietrito mentre dita affusolate calavano il cappuccio, scoprendo il volto.

 

Eterea, perfetta. Fu questo il pensiero che arrivò nella sua mente alla sua vista.

Una donna bellissima dal volto ovale simile a fine porcellana, una cascata di ondulati capelli castani ad incorniciare un naso sottile e due enormi occhi chiari, dell’ingenuità più disarmante che avesse mai visto. Dentro di lui, quella notte, qualcosa di sconosciuto si mosse nello stomaco,opprimendogli il respiro.

Cosa mi succede? Non trovò risposta.

La ragazza sorrise e gli porse la mano. “Perdonami, io sono l’arcangelo Gabriel. Le nostre tende devono essere più avanti giusto? Allora, chi sarà il mio compagno principe degli inferi?”

 I suoi occhi verdi cercarono i suoi trovandoli intenti a squadrare curiosi i suoi corti capelli bianchi che scendevano ribelli fin dietro le orecchie. Quando portò lo sguardo sul suo e i loro occhi si incatenarono, un velo scuro li rese ancora più affascinanti. Astharoth provò a parlare ma dalle labbra non gli uscì alcun suono. Qualcosa, mentre lei si avvicinava a lui col volto inclinato, continuava ad agitarsi dentro di lui, impedendogli la parola, il respiro, le azioni.

Poi, lei gli afferrò la mano e le loro dita si intrecciarono decise e veloci. Lui la guardò, lei sorrise arrossendo. “ Sii tu il mio compagno”

 

*

 

La tenda dove si trovavano era piccola, spoglia, ma Astharoth non si sentiva a disagio tante erano state la volte che si era accoppiato con le sue compagne sulla nuda terra. Non gli ci volle molto a togliersi il mantello e la giacca bianca, il volto fisso sul terreno mentre dietro di lui, sentiva i lembi della stoffa scendere dalla pelle dell’angelo. Quando si volse però la luce della luna lasciava intravedere solo una spalla nuda. Gli occhi di Gabriel erano enormi, sgranati e persi nel vuoto mentre lo fissavano, le mani tremavano strette attorno al mantello chiaro.

“Cosa ti prende?” . Voleva andarsene, l’idea di fecondare un angelo era stupida e inutile, avrebbe dovuto capirlo sin dal primo momento. Provò a trovare una traccia d’ira nel suo essere ma quando gli occhi chiari di lei lasciarono sgorgare calde lacrime, quella strana sensazione tornò a imprigionarlo. Si avvicinò a lei cauto, stringendole la spalla sottile con una mano. Lei abbassò il volto. “Gabriel…”

“Perdonami…io…ho paura”. Rimasero entrambi fermi, lei col volto abbassato e il corpo sussultante, lui con gli occhi fissi sulla sua scura nuca. Il dolore allo stomaco era così intenso che dovette respirare forte, il respiro alla vista delle sue lacrime era così irregolare da offuscargli la vista. Cosa stava accadendo?

Non temeva il suo signore, non temeva di morire, non temeva nemmeno di perdere tutto.

Lei alzò gli occhi verso i suoi e Astharoth trattenne il fiato.

 Quegli bellissimi occhi imprigionanti avevano inghiottito il suo essere e se l’erano preso così, senza il suo permesso. Lei era stupenda e lui…lui aveva paura di lei.

“Anche io ne ho…”

Stupita, schiuse le labbra per formare un piccolo bocciolo, per poi sorridere dolce. Un nuovo nodo, si formò nella gola del demone.

“Di cosa?”

“Non...riesco a capirlo. Tu sei bella, ma non come molte mie compagne. Ma i tuoi occhi sono così profondi da spaventarmi, da…confondermi”

Un lieve rossore salì in quelle guance nivee e Gabriel portò una mano per scostarsi una ciocca, portandolo dietro l’orecchio. Istintivamente, Astharoth le afferrò la mano, intrecciando le loro dita e lei lo guardò, stupita da quell’inatteso gesto d’affetto. Fu un istante, mentre i loro sguardi si incatenavano, colpiti e impauriti da qualcosa che entrambi non riuscivano a spiegarsi, poi le loro labbra si bramarono ardenti, i loro corpi si strinsero frenetici ed entrambi, divennero un unico essere.

 

La luna, era spuntata improvvisa dal cielo, illuminando tutto radiosa con i suoi raggi argentati.

      

*

 

La calda luce del mattino illuminò il volto del demone addormentato e Astharoth strizzò gli occhi infastidito, portandosi la mano a coprire il volto. Grattandosi la nuca, si mise a sedere e la schiena gli lanciò una lieve fitta di dolore. Il letto, accantonato in un angolo della tenda, gli sembrava troppo piccolo quella mattina. Istintivamente, abbassò lo sguardo alla ricerca di un corpo nudo accanto al suo.

Ma di lei, non c’era traccia.

La tristezza invase il suo essere mentre sfiorava quelle lenzuola ancora accaldate dai loro corpi, segno che la notte prima qualcosa era realmente accaduto. Era stato lui, a voler prendere quella stupida iniziativa, a prendere i suoi compagni e convincerli. Era lui, che voleva finire al più presto quell’alleanza inopportuna.

Ma allora cos’era, quel dolore all’altezza del petto che non aveva mai provato?

Come poteva,quel piccolo angelo, averlo sconvolto a tal punto?

Astharoth non aveva mai provato paura, mai. Ma quella notte, quegli occhi lo avevano intimorito, quel corpo delicato premuto contro il suo gli era parso talmente fragile che aveva avuto paura di spezzarlo sotto il suo tocco. Quella donna lo aveva spaventato, risvegliato in lui sentimenti mai provati che non sapeva identificare.

Eppure, quella paura, la paura che lui aveva sempre cercato di evitare…

Nulla gli era mai parso così dolce.

Alzandosi, si vestì in fretta, lisciandosi i capelli con le mani. Un nuovo giorno era spuntato e lui doveva solo fingere che nulla fosse successo, reprimere quello strano sentimento e continuare la sua vita di tutti i giorni. Non gli importava nulla di lei, ormai era fecondata.

O si sbagliava?

Un rumore dietro di lui lo fece sussultare, la tenda che veniva scostata lasciando entrare un ospite inatteso. Sbuffando, si volse con la giacca in mano, pronto a urlare in faccia al primo compagno inopportuno che aveva invaso la sua privacy. Ma era lei ad essere entrata, radiosa come il giorno prima, sebbene con i capelli scarmigliati e gli occhi  gonfi di sonno. “Buongiorno, Astharoth”

La paura, tornò a invadere il suo essere. Quando lei avanzò timorosa, baciandolo fugace sulle labbra, lui non riuscì a ritrarsi.

Lei gli sorrise e qualcosa si sciolse nel suo petto.

A volte, forse, provare paura non era così male. Almeno, se quel sentimento così dolce era lei a portarlo.

   
 
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