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Autore: ciaomils    09/02/2013    1 recensioni
Si conobbero in una di quelle rare giornate di sole, a Londra.
O meglio, lui conobbe la sua parte più debole, chiusa in un diario segreto.
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Let me love you

 
La ragazza sbruffò guardandosi attorno. Londra. Odiava quella città. Non era il luogo per una tipa come lei, che era cresciuta nell’assolato Regno Unito del sud. Londra invece era sempre così grigia, così triste che le faceva venir voglia di chiudersi in casa.
In effetti non sapeva precisamente cosa ci faceva al parco, seduta su una di quelle panchine fatiscenti a guardare dei bambini correre. Forse aveva solo bisogno si prendere una pausa dalla sua vita frenetica, non troppo movimentata, ma molto complicata.
Alzò gli occhi al cielo giusto in tempo per vedere uno spicchio di sole. Dopo giorni di pioggia. Da qualche parte c’era un arcobaleno.
Ritornò con lo sguardo sul suo diario e rilesse ciò che aveva scritto.
È finita. Ora mi toccherà aspettare, non posso fare più niente, dovrò affrontare questa cosa. L’ho sempre saputo che sarebbe arrivato il momento e mi sono preparata. Forse è per questo che non ho paura, o forse è per il fatto che non ho niente da perdere. In ogni caso non ho scelta. Dovrò farlo, da sola, che mi piaccia o no.
Non ho bisogno del coraggio per andare avanti, sono forte io. È anche per questo che non chiamerò la mamma per avvertirla.
Sono forte io, posso farcela da sola. E..

Chiuse il diario con uno scatto secco e lo posò sulla panchina. Non avrebbe finito di scrivere. Alzò la testa e chiuse gli occhi. Sentiva il sole sulla sua pelle, una di quelle rare volte in cui ricordava casa.
Quando riaprì le palpebre un ragazzo con i riccioli la stava guardando. Indicò la panchina e chiese –Posso?-
La ragazza fece spallucce e si appoggiò allo schienale. Di tutte le panchine disponibili nel parco, proprio quella doveva scegliere.
Il ragazzo la fissava confuso. Se lei l’aveva riconosciuto non lo diede a vedere. Lui era abituato a persone che svenivano, che saltavano di gioia o che si mettevano a urlare. Distolse lo sguardo –Finalmente un po’ di sole eh?-
La fanciulla si scosse dai suoi pensieri. Cosa voleva quel tizio? Non sopportava la gente che voleva attaccare bottone ad ogni costo. Però fece un mezzo sorriso, nascondendo l’irritazione e disse –Non credo reggerà a lungo.-
Era una ragazza pessimista per natura, cresciuta in una famiglia di sogni infranti e inutili speranze. Era venuta su con la prova che la vita è dura.
Raccolse la borsa e se la mise a tracolla mentre si alzava. Strofinò le mani sui pantaloncini di jeans e si allontanò a passo svelto.
Voleva chiudersi a casa, farsi un tè caldo e leggere un libro di Harry Potter. L’ultimo della saga, letto e riletto, le pagine ingiallite ormai, il suo preferito. Si sarebbe chiusa in quel mondo che amava, anche se fuori c’era il sole, anche se era estate.
Il ragazzo invece rimase seduto sulla panchina ancora un po’ a chiedersi perché non lo aveva riconosciuto. Stava perdendo fascino sulle donne? Forse non era così famoso come credeva.  
Abbassò la testa sulle sue mani incrociate e fu allora che lo vide. Un piccolo libricino di un arancione spento. Protese una mano per toccarlo. Si fermò a leggerne qualche pagina.
Sono appena tornata. Il dottore ha detto che parlarne mi farebbe bene, ma non sono una tipa loquace io e odio raccontare i fatti miei. Soprattutto ad uno strizzacervelli che mi fissa da dietro ad un taccuino scrivendo tesi sul mio cervello. E non ho amici, quindi mi affido a te. I miei segreti saranno fra le tue pagine, devi proteggerli bene, perché sono una ragazza forte io. Non devo avere debolezze e perciò le nasconderò al tuo interno. 
Che poi considero tutta questa storia una perdita di tempo. È stupido scrivere ad un diario, metterci tutti i pensieri, sapendo che non mi risponderà. E tutt’ora non so cosa sto facendo con questa fottuta penna in mano. Sfogarmi? Come faccio a sfogarmi se non ho alcun motivo per essere arrabbiata io? Mi viene da ridere e da piangere allo stesso tempo.
A dire la verità non so come mi sento riguardo tutto questo casino. È stato un trauma scoprire la verità. Però non posso fuggire da niente. Questa cosa mi corroderà dall’interno, letteralmente.
Che stupidaggine, domani so già che giacerai dell’angolo più sporco della pattumiera. Non ho bisogno di te, non sono debole.

Il ragazzo girò la pagina, evidentemente confuso da quella scrittura pastrocchiata. Anche se in realtà era confuso da ciò che era scritto, o forse incuriosito?
Sono così fottutamente stupida. Sono una debole, una fottutissima debole. Oggi ho pianto e non ho nemmeno il coraggio di buttarti. Vaffanculo. Fanculo a tutta questa merda. Perché io? Perché? Non ho fatto un cazzo di errore in tutta la mia vita e ora? Sono appesa ad un filo.
Sono così furiosa con tutti!!
Voglio tornare a casa, addormentarmi e svegliarmi quando sarà tutto finito. Ma dormire mi farebbe solo perdere tempo, visto che da questa situazione non si risolverà da sola. E poi dovrei perdere altro tempo? Come se non ne sprecassi già abbastanza a sfogarmi con uno stupido diario. Vaffanculo, ancora.
E per di più sono bloccata in questa stupidissima città, che odio. Mi fa deprimere tutta questa pioggia. Non so nemmeno che ci faccio qui, era incuriosita e da quando sono arrivata è stata solo una grandissima delusione. E non posso trascorrere le vacanze a casa, dai miei, perché altrimenti non tornerei mai più qui e ho bisogno di studiare.
È tutto un fottutissimo errore. Non è la mia vita, non sono felice. ‘Fanculo!

Il ragazzo chiuse il diario. Perché lo stava leggendo?
Era rimasto molto impressionato da quella tipa. Era strana, annoiata dalla normalità. Ed era misteriosa, una qualità che lui considerava affascinante.
 
La ragazza di mise seduta vicino sulla panca vicino alla finestra, con la tazza di tè in mano. Osservò il cielo, coperto come sempre da nuvole, e bevve un sorso dalla tazza. Che schifo. La sua noiosissima vita. Sarebbe mai cambiato qualcosa, avrebbe mai più rivisto il sole, dopo giorni di pioggia? Bevve un altro sorso di tè.
Il riccio si guardava attorno mentre raggiungeva il palazzo. Sapeva dove abitava quella strana ragazza, l’aveva seguita il giorno prima. E si sentiva anche in colpa, si sentiva uno stalker del cazzo.
Fissò il portone per qualche minuto, indeciso se suonare il citofono. Cosa le avrebbe detto? ‘Ehi ciao, sono il ragazzo del parco. E, guarda un po’, sono anche un fottutissimo stalker!’
No, non poteva. ‘Ehi ciao, hai dimenticato il tuo diario sulla panchina del parco. Te l’ho riportato. Volevo chiederti, cosa intendi a pagina 8?’
Rise dal nervosismo. Che gli prendeva? Di solito era lui ad avere il controllo della situazione, con le ragazze. Invece in quel momento si trovava davanti ad una porta, senza sapere se entrare o tornare indietro. Era nervosissimo all’idea di incontrarla, gli tremavano le mani.
La sera prima, nell’intimità del suo appartamento del centro, aveva letto altre pagine. Erano tutte confuse e strane, come le prime due.
Guardò tutti i bottoni. Solo uno, su cinque, riportava un solo nome. Era scritto Miss Anderson. Schiacciò il tasto e aspettò. Era single, quindi. O forse aveva sbagliato nome. Ma era andata al parco da sola, e in tutto il diario non c’era scritto nessun nome maschile. Aveva controllato.
Dondolava sui piedi, cercando di scaricare la tensione, quando una sentì una voce femminile.
-Chi è?- chiedeva.
Lui esitò prima di rispondere –Ehm...Sono venuto a riportarti il diario..-
La ragazza si guardò attorno e mormorò –Scendo subito.-
Posò la tazza di tè sul tavolino all’ingresso ed uscì dall’appartamento. Fece una rampa di scale e aprì il portone. Era il tipo del parco.
-Ciao.- disse lui quando la ragazza con i capelli color cioccolato apparve. Aveva delle labbra piene e gli occhi grigi.
Lei gli strappò di mano il diario e gli fece un sorriso forzato. Fece per chiudere il portone ma il riccio infilò in piede, impedendoglielo.
-Aspetta...Nemmeno mi ringrazi?- domandò offeso. Più che altro voleva guardare ancora un po’ quei meravigliosi occhi grigi.
-Dovrei?- rispose lei scrollando le spalle. Detestava la gente che si aspettava qualcosa.
Il tipo rimase spiazzato.
-Suppongo di sì.-
La ragazza piegò la testa di lato, e lo guardò con gli occhi chiusi a fessura.
-Ehi, calma. Non dobbiamo uscire a cena. Non è così che invito una ragazza fuori!-Il nervosismo nella sua voce era palpabile.
-No, certo che no. Di solito le fotti il diario.- disse acida lei mentre si appoggiava allo stipite del portone.
-E poi come hai fatto a trovare il mio indirizzo?- chiese.
Il riccio scrollò le spalle e mentì –Pagine gialle.-
Ma lei non ci cascò. –Dì la verità, mi hai seguita. Sei anche uno stalker?- lo rimproverò.
-Può essere.- il riccio rise. Anche se non aveva alcun motivo per ridere, perché lo aveva scoperto. –Comunque io sono Harry.-
La ragazza fece una smorfia ignorando la mano che aveva teso il riccio per presentarsi –So chi sei, Styles.-
Harry sorrise imbarazzato e lasciò cadere la mano –E tu non mi vuoi dire il tuo nome?-
La ragazza ci pensò su e scollò le spalle –No.-
Rientrò dentro e afferrò la maniglia del portone –Ci si vede.- disse prima di chiudere.
Harry rimase immobilizzato lì per un po’. Gli occhi di fuori, le mani sudate. Aveva fatto una grandissima cazzata. Ma chissà perché quel giorno non riuscì a pentirsene.
 
Passò di lì ogni fottuto giorno, per quasi una settimana. Proprio non riusciva a levarsi dalla testa quegli occhi grigi. Era come incantato, non aveva mai incontrato una ragazza come lei. Sembrava che il successo o la fama di lui non le importassero.
Di fatto, passarono quattro giorni prima che si facesse coraggio a ritentare. Aveva parlato con i suoi amici, gli altri della band. Gli avevano suggerito di lasciarla perdere, ‘Con una ragazza così hai perso a prescindere’ dicevano. Tuttavia lui era di nuovo davanti a quel palazzo. Le mani gli sudavano. Suonò il citofono e aspettò. Un’attesa che gli parve durare giorni, anche se in realtà la ragazza rispose dopo cinque secondi.
-Chi è?-
-Harry..-
La risposta della ragazza tardò ad arrivare. Era rimasta spiazzata, proprio non se l’aspettava. –Cosa vuoi?- chiese sospirando.
-Entrare?-
-Se ti faccio entrare la finirai di molestarmi?-
Harry rise di quella risposta –Forse-
Il portone si aprì con un ronzio. Il riccio salì una rampa di scale fino ad una porta accostata. Il campanello riportava Miss Anderson. Avrebbe mai scoperto il suo nome?
Esitò sulla soglia ed entrò. Alcuni scatoloni erano disposti vicino alla porta e ai lati del divano. C’era una tv adagiata per terra e poteva vedere i mattoni rossastri dei muri. Girò la testa e la vide. Era seduta su una panca vicino alla finestra. Aveva le ginocchia riportate al petto e un libro appoggiatoci sopra.
-Ciao.- mormorò senza alzare lo sguardo dalle pagine giallastre.
Harry sorrise e avanzò –Ciao.-
Fu allora che lei alzò gli occhi su di lui –Ieri ti ho visto passare qui davanti, anche l’altro ieri e il giorno prima ancora.-
Lui scrollò le spalle, che cosa poteva dire?
-Mi devo preoccupare?-
-Non sono uno stalker.-
La ragazza arricciò le labbra ma non disse niente. Continuò a leggere.
-Che libro è?- azzardò il ragazzo. Era la prima domanda che gli era venuta in mente, ma le avrebbe chiesto persino della Prima Guerra Mondiale per ascoltare la sua voce.
Lei alzò il libro per fargli leggere il titolo dalla copertina. Harry Potter e i doni della morte.
-Non sembra nuovo.-
-In effetti è la decima volta che lo leggo, è il mio preferito.-
Il riccio annuii e lei potette continuare la sua lettura.
-Allora me lo dici come hai fatto a trovare il mio indirizzo?-
Harry ci pensò su. Di certo non le avrebbe detto che l’aveva seguita, rischiava una denuncia o un ordine di restrizione. –Ho i miei informatori.-
Lei arricciò di nuovo le labbra e lasciò correre.
Il riccio si sedette di fronte a lei, sulla panca, e restò in silenzio per guardare il panorama. Da quella finestra riusciva a vedere parte del London Eye.
-Allora conosco il tuo indirizzo, so qual è il tuo libro preferito, eppure non so come ti chiami.- disse sfregando una mano con l’altra. Distolse lo sguardo dalla finestra e vide che quello della ragazza non aveva lasciato le pagine.
-I tuoi informatori non lo sanno?- chiese lei continuando a leggere.
-Purtroppo no.-
Lei alzò gli occhi su di lui. Non gliel’avrebbe data vinta.
-Allora si devono impegnare di più.-
Harry sorrise. Aveva una voglia matta di sapere il nome di quella ragazza.
Lei chiuse il libro con uno scatto secco e si alzò.
-Vuoi un tè?- chiese ad Harry.
-Magari, grazie.-
La ragazza scomparve in cucina mentre lui la raggiungeva.
-Ti aiuto, Charlotte?-
-No, grazie.-
-Ti piace Londra, Jennifer?-
-Cosa stai cercando di fare?-
Harry scrollò le spalle –Cerco di scoprire il tuo nome.-
La ragazza rise, e fu uno dei suoni più belli che lui abbia mai sentito –Non è così che riuscirai a saperlo.-
Quando il l’acqua fu calda abbastanza la versò in due tazze e tirò fuori le bustine.
-Perché non posso saperlo?-
-Non voglio dartela vinta.- disse lei prendendo un sorso dalla tazza –Devi faticare, almeno un po’, se no non c’è gusto.-
Harry annuii, di nuovo. Trovava comprensibile e allo stesso tempo strana la sua risposta.
-E comunque non mi piace Londra.- aggiunse lei versando l’acqua nelle tazze.
-Perché?-
-E’ troppo grigia. Preferisco il sole.-
-Allora non sei nata qui.-
Lei scosse la testa –No, sono del sud.-
-Capisco.-
Bevvero il tè in silenzio mentre si osservavano. Lui la trovava stupenda. Lei invece cercava di capire cosa volesse quella potenziale superstar. Sesso? Lei non era sexy, aveva un’autostima piuttosto bassa.
Il riccio mandò un’occhiata all’orologio. Era tardi, doveva correre ad una festa a cui era obbligato ad andare. Ma non voleva lasciarla. Tuttavia dovette alzarsi e salutarla. Lei lo accompagnò alla porta e quando il giovane scese il primo gradino esclamò –Maya, il mio nome è Maya.-
 
Il giorno dopo lui suonò di nuovo. Era stanco, non aveva dormito troppo a causa della festa, ma si sarebbe trascinato fino a lì persino con una bufera di neve pur di rivederla. Maya. Il suo nome era Maya.
-Chi è?- chiese la ragazza al citofono.
-Harry.-
-Scendo.-
Lei comparve sulla soglia del portone trenta secondi dopo. Harry li contò, impaziente per il loro incontro.
-Ciao.-
-Ciao, Maya.-
-Ora dirai il mio nome ad ogni frase?- chiese lei, chiudendosi il portone dietro.
-E’ bello.-
Maya fece spallucce –Forse era meglio Jennifer.-
Il riccio rise –No, è molto più bello Maya.-
Lei accettò il complimento arrossendo.
-Dove stiamo andando?- chiese passeggiando a fianco di Harry.
Lui sorrise –Non lo so.-
-Così ci perderemo!- esclamò lei guardandosi attorno.
-Tranquilla, in caso facciamo l’auto stop.-
Londra quel giorno era grigia, come sempre. Ma era una giornata speciale, forse perché non stava piovendo, o forse perché Maya era uscita dal suo guscio.
Lei aveva solo bisogno di divertirsi, di passare del tempo in compagnia di qualcuno allegro. Lui aveva bisogno di lei. Sapeva poco, non conosceva neppure la sua età. Però non riusciva a starle lontano, altrimenti sarebbe rimasto a letto quel giorno.
Passeggiarono per le vie di Londra, vicino al London Eye e poi al Piccadilly Circus, e in tutto quel tempo non ci fu un attimo in cui lui non sorrideva. Si odiava per quello, perché si sentiva un po’ come un cagnolino che le andava sempre dietro. Però non poteva negare di essere attratto da lei. Di certo era troppo presto per parlare di amore, poteva dire di averla conosciuta davvero solo il giorno prima. E poi lui era troppo giovane per pensare all’amore.
Quando la riaccompagnò a casa si salutarono con un cenno della testa. Lui tornò al suo appartamento e lei alla sua vita.
Uscirono anche il giorno dopo, e quello dopo ancora. Sempre lo stesso giro, London Eye e Piccadilly, con una fermata ad un bar che fa delle crepes straordinarie. Lui ci aggiunse la panna, cacao, confettini e cocco lei solo lo zucchero a velo. Le piacevano le cose semplici, diceva.
-Ti diverti con me?- chiese Harry il sesto giorno, infilando in bocca un pezzo di crepe.
Lei fece spallucce –Odio ammetterlo.-
-Quindi ti diverti.-
-Certo, però non dirlo in giro.-  
Si sorrisero.
Lui ci mise sette giorni ad innamorarsi di lei. Lo seppe subito per le farfalle che volavano nel suo stomaco e le mani sudate.
Però non poteva baciarla, era troppo presto, e ci aveva messo un po’ a farla uscire dal guscio, aveva paura di spaventarla. Perciò mise a tacere il suo cuore e fece un largo sorriso. La settimana dopo si videro tutti i giorni. La notizia della nuova amica di Harry non era ancora arrivata alle fan, ne’ tantomeno ai suoi compagni di band. Quando lo seppero gli diedero una pacca sulla spalla dicendo -Sei fottuto-
Però lui sorrise, scrollò le spalle e rispose -Mi rende felice-
I suoi amici lo trattavano un po’ come un bambino. Era il più piccolo e loro lo riempivano di consigli. Ma quella volta era una cosa seria, non la solita storiella da una botta e via a cui era abituato.
Quella sera si armò di 2012 e cioccolatini e suonò al campanello. Non rispose nessuno. Lei non era a casa.
Maya aspettava il suo turno nella sala d’attesa dell’ospedale. Contava i minuti.
Harry dovette tornare a casa. Si era aspettato di rivederla, di mettere un braccio attorno alle sue spalle durante il film e posarle sulle labbra il più dolce dei baci. Ma lei non c’era.
Non si videro per quasi una settimana. Lei non aveva niente da dirgli, e poi alche se l’avesse avuto non avrebbe potuto parlarci. Lui non le aveva lasciato il suo numero, quindi lei si convinse che era stato solo frutto della sua immaginazione e mangiò l’ultimo pezzo di pane quando avrebbe desiderato una crepe.
Lui impiegò il suo tempo in modo diverso, cercando di dimenticarla. Non si permetteva mai di pensare a lei, ma ogni volta che si convinceva di aver superato quella storia, il volto di Maya gli appariva nella mente e doveva iniziare tutto d’accapo.
Le loro vite ripresero normalmente, o quasi, mentre lei cercava di riempire quel vuoto che c’era e lui cercava di fare vuoto.
Harry si disse che erano troppo diversi e che non avrebbe mai funzionato. Lei si sorprendeva a volte a pensare a lui.
 
Però erano come calamite, si attraevano. Si rincontrarono qualche giorno dopo, al parco. Harry non la riconobbe subito, lei era molto dimagrita. Però quando si rese conto che quella ragazza era Maya il suo cuore iniziò a battere come impazzito e le mani iniziarono a sudare. Distolse lo sguardo dall’arcobaleno, spuntato con il sole, e sorrise. Il primo sorriso che faceva da giorni.
Tornarono al solito bar, a prendere le solite crepes e a guardare l’arcobaleno.
Il giorno dopo, la nuova ‘fiamma’ di Harry era su gran parte dei giornali. Facebook strabordava di foto di lui e Maya.
Lui e Maya al bar.
Lui e Maya al parco.
Lui e Maya sul London Eye.
Conoscevano appena il suo nome, ma la chiamavano la ragazza X.
Tuttavia dicevano che erano fidanzati già da mesi, e c’era chi affermava che lei era incinta. Lui stesso dovette scrivere un tweet in cui diceva che erano solo amici. A quel punto spuntarono le Marry Shippers. La sua vita pubblica era ridotta ad una confusione assurda: chi lo voleva single, chi lo voleva fidanzato, chi lo voleva gay.
Dopo un appuntamento in cui non successe niente uscirono altre foto, e altre Marry Shippers.
Lui stesso si ritrovò a scrivere un tweet. ‘I ship Marry’
Lei non lo venne mai a sapere, non aveva né Facebook ne’ Twitter, così quando le ragazze la fermavano per strada o quando parlottavano tra di loro passandole accanto, non ci fece troppo caso.
-Ma tu ci tieni a me?- chiese un giorno Harry a Maya.
Lei sorrise, gli scompigliò i ricci e disse –Certo, sei il mio migliore amico.-
Dopo di che lo salutò con un bacio sulla guancia e andò via dal locale.
Lui restò lì per un altro po’, con un ultimo pezzo di crepe nel piatto.
Non aveva voglia di mangiare “Sei il mio migliore amico”
Continuava a pensare, fino a quando, nel suo letto si addormentò.
Il giorno dopo andò da lei con un’idea precisa in testa.
-Scendi.- mormorò al citofono. Sentì il sorriso della ragazza e aspettò che lei comparisse sul portone.
Ed eccola lì, in tutta la sua bellezza.
Il solito giro, London Eye, crepes e poi di nuovo a casa.
Quella era una notte di luna piena. Non faceva poi troppo caldo, ma a lui sudavano le mani.
-A domani.- disse lei mentre saltellava da un piede all’altro.
Fece per entrare nel portone ma il riccio afferrò il suo polso e l’attirò a se’. Le diede un bacio dolcissimo, che tuttavia durò solo un paio di secondi.
Maya lo liquidò con uno schiaffo dritto su una guancia. Impresse i segni di quattro dita sulla sua pelle e salì in casa.
Lui non seppe mai cosa fece più male, se lo schiaffo o il fatto di essere stato rifiutato.
Harry passò di lì ogni giorno e provò a parlarle. Ma appena pronunciava il suo nome la ragazza gli attaccava in faccia.
Lei era confusa. Harry era l’unica persona che la faceva sentire normale, così viva. Non voleva rovinare tutto. E poi si sentiva troppo scoperta. Lei era una ragazza fragile ma non poteva farlo vedere.
Il quinto giorno lui fu di nuovo sotto casa sua.
-Chi è?-
-Maya, ti prego, aprimi!-
Ma lei attaccò, di nuovo. Sapeva che era lui, lo sapeva ogni singola volta. Ma non poteva non rispondergli. Voleva sentire la sua voce.
Harry citofonò un’altra volta. Quando il segnale avvertì che lei era in ascolto disse –Bene, non vuoi aprirmi? Resterò qui fino a quando non mi dirai di entrare, fino a quando non deciderai di parlarmi.-
-Il meteo prevede pioggia.-
-La pioggia è l’ultimo dei miei problemi ora.-
Restò lì tutto la mattina e a pranzo si fece portare una pizza. Non si sarebbe staccato da quel posto. Maya lo osservava dalla finestra. Perché non se ne andava? Cosa aveva lei di tanto speciale?
Non staccò gli occhi da lui per tutta il giorno. Lui era bello, simpatico e gentile. Dolce. Era perfetto, forse troppo perfetto per una come lei.
Si era spaventata per quel bacio? Sì, era la fottutissima paura amare che non la faceva andare avanti. Ma non poteva dire di non essere innamorata di quei ricci, dei suoi sorrisi e della sua voce.
Si portò una mano alle labbra al ricordo del loro bacio. Era stato intenso, corto, ma molto intenso. Era stato il suo primo bacio. Lei. Lei aveva dato il suo primo bacio.
Nella sua adolescenza si nascondeva nei libri e non viveva mai del tutto. Aveva paura di soffrire, aveva paura di amare.
Si fece presto notte. Harry era ancora lì, le mani nei capelli. Sotto la pioggia.
Perché non se ne andava? Lei ci mise una buona mezz’ora a decidere di scendere. Quando aprì il portone il riccio si voltò e i suoi occhi si addolcirono alla sua vista. Lei fece un passo sotto la pioggia battente –Vai via! Perché non te ne vai?- urlò.
I capelli fradici per l’acqua.
-No, dobbiamo parlare!-
-Non voglio parlare! Non ho niente da dire! Vai via!-
-Io ho un sacco di cose da dire. Puoi ascoltarmi!- disse avanzando verso di lei-So che ti ho spaventata e mi spiace un casino! Cazzo! Lo so, forse è troppo presto e so che tu non potresti provare ciò che provo io. Ma in tutta la mia vita non mi sono mai sentito vivo quanto quando sono con te! E sì, sono innamorato di te! Ma non voglio perdere questo. Perciò se per tornare a parlarti devo sopprimere i miei sentimenti, bene! Lo farò! Però ora dimmi perché hai questa fottuta paura di amare e la chiudiamo qui!- avanzò ancora fino a toccarla quasi –Perché in questi cinque giorni mi sono sentito vuoto e temevo di averti..-
Lei non gli diede tempo di finire. Le sue labbra aderirono a quelle del riccio e quando lui si rese conto di quanto stava succedendo la strinse a se’.
E in quel momento entrambi avrebbero potuto affermare di amare la pioggia.
 
Qualche mese dopo, quando la coppia venne allo scoperto, tutto sembrava essere al proprio posto. La solita passeggiata, le solite crepes, i soliti sorrisi.
Lei non ricordava di essere mai stata più felice di così.
-Vuoi un tè?- chiese Harry dalla cucina.
Ma non aspettò la risposta. Perché Maya adorava il tè, a tutte le ore, e lui lo sapeva bene. Quindi mise il bollitore sul fuoco e la raggiunse in salotto. Lei era sulla solita panca a leggere il solito libro. Da qualche giorno era tesa, e sorrideva di meno. Era triste per qualche motivo ed Harry lo sapeva. Ma se lei avesse voluto parlargliene l’avrebbe già fatto.
-Lo stai imparando a memoria?- chiese il ragazzo chiudendole il libro in mano.
Maya si stiracchiò e sorrise –Sarebbe forte.-
Il bollitore dalla cucina si mise a fischiare e i due bevvero tè e mangiarono biscotti.
Mentre la ragazza si dirigeva in bagno per aprire il rubinetto della doccia per far scaldare l’acqua, il ragazzo si ritrovò a pensare ai suoi compagni. Be’, loro avevano capito che era fidanzato ormai, ed erano anche sorpresi perché difficilmente una ragazza come Maya si lasciava convincere. Ma erano anche felici per lui, perché dopo tanto aveva incontrato la tipa giusta.
 
Nei giorni seguenti Harry e Maya parlarono di meno. I loro incontri erano più corti e lei era sempre pensierosa e malinconica., fino a quando lei smise di rispondere ai suoi sms e alle sue chiamate.
Harry diventò cupo e triste. Passando davanti al palazzo vide le finestre chiuse e le tapparelle abbassate. Suonò al citofono, parecchie volte prima che una donna comparve dietro di lui. Aveva circa sessant’anni, bassa, capelli biondi.
-Oh caro, stai cercando Miss Anderson?- chiese lei aprendo il portone con le chiavi.
Lui annuì, senza capire come avesse fatto la donna ad indovinare.
-Non l’hai saputo?- domandò lei, nuovamente.
-Saputo cosa?-
-Maya è stata ricoverata.-
In quel momento Harry si sentì infilzato da mille lame.
-Dove?-
-Al San Carlo.-
Il riccio si fiondò alla sua auto. La strada era bloccata per il traffico mentre lui pensava. Come aveva potuto? Perché non gli aveva detto niente?
E se fosse stato grave?
Parcheggiò in doppia fila, nonostante il vigile che passava a controllare le auto.
Entrò correndo nell’atrio e l’infermiera al bancone lo riconobbe.
Ma lui non aveva tempo per gli autografi.
-Maya Anderson.-
-Reparto Chirurgia, quinto piano, stanza 32.-
In un attimo lui era già davanti all’ascensore. Una pannello luminoso sopra le porte avvertiva che la cabina era al decimo piano. Decise in fretta di prendere le scale.
Arrivò al quinto piano con il fiatone ma continuò a correre. Stanza 32.
Harry fece il suo ingresso.
Maya era sdraiata nell’unico letto della stanza. Un continuo bip faceva da sottofondo.
La ragazza non si accorse subito dell’arrivo di Harry.
Sesto giorno in questa merda di stanza.
Le finestre sono bloccate e l’aria è viziata. E naturalmente non posso muovermi, fino all’operazione.
Harry non sa che sono qui, e non voglio che lo venga a sapere. Questa storia mi fa sentire più debole di quanto non sia.
Non gli ho mai detto del mio problema. Lui è sempre stato gentile e dolce, e io non volevo spaventarlo.
So che gli interventi a cuore aperto sono pericolosi, e io ho paura. Ma non potevo sfogarmi con lu…

Smise di scrivere quando vide il riccio fermo sulla porta. La penna le cadde di mano e il bip si fece più veloce.
-Ciao.-
Non rispose. In realtà era sicura che stava per scoppiare a piangere. Le tremavano le mani e non riusciva a parlare.
-Perché non me l’hai detto?-
Si morse il labbro. Qual era la verità?
La verità è che aveva paura. Paura che lui la lasciasse.
Si tirò su mentre Harry la raggiungeva.
-Perché, Maya?-
-Avevo paura.-
-Di cosa?-
-Non volevo che tu mi lasciassi.-
-Non ti lascerei per niente al mondo, tanto meno ora.-
-Adesso lo so.-
-Cos’hai?-
-Un problema al cuore, mi faranno un trapianto.- disse la ragazza, con le lacrime agli occhi.
Lui la strinse fra le braccia. Aveva un macigno sul cuore.
-Ti amo, Maya.-
-Ti amo, Harry.-
La strinse più forte.
 
Nel tardo pomeriggio la prelevarono dalla stanza per l’operazione. Harry restò all’ospedale tutta la notte.
In un giorno si era sentito morire mille volte. Non poteva perderla, non poteva.
Chiamò i suoi amici e gli spiegò il motivo per il quale non avrebbe potuto partecipare alle prove. Loro gli dissero di essere forte. Anche se lui si sentiva uno straccio.
Attese ore che sembrarono anni, e preoccupazioni che sembrarono non volessero finire, prima che il chirurgo uscisse.
-L’intervento ha avuto alcune complicazioni, ma alla fine è andato tutto per il meglio.- disse levandosi i guanti –La ragazza ora deve solo riposare.-
Il suo cuore si liberò dall’enorme macigno.
-Posso vederla?-
-Dovrebbero averla riportata già nella sua stanza.- gli disse il chirurgo. Poi gli sorrise e andò via.
Più tardi, mentre Harry aspettava che Maya si svegliasse, un uomo alto coi capelli brizzolati fece irruzione nella stanza.
-Sono il dottore Button.- disse, stringendogli la mano –Maya è una mia paziente.-
-Da quanto tempo aveva quel problema?- chiese Harry, puntando nuovamente lo sguardo sulla ragazza.
-Da quando è arrivata a Londra.-
-Capisco.-
Il dottore si allontanò ma poi si fermò davanti alla porta –Maya è una ragazza forte.-
-Lo so.-
 

-Qualche mese dopo-

Harry e Maya passeggiavano davanti al London Eye. Era una giornata soleggiata, ma faceva freddo.
Mangiarono una crepe al solito locale e fecero il solito giro.
Tutto era tornato alla normalità.
Ma era una normalità diversa, una normalità piacevole.
Un’ordinaria vita in cui erano felici. 
  
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