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Autore: Agapanto Blu    10/02/2013    7 recensioni
Sabrina: bella, simpatica e volgare come il peggior scaricatore di porto.
Marco: dipendente di un call-center.
Metteteli in una giornata del cavolo che peggiore non potrebbe essere, aggiungete una telefonata fatta nel momento più sbagliato possibile e lasciate tutto nelle abili "mani" di un gatto nero schizofrenico e ninfomane: il lieto fine è assicurato!
***
Afferro la cornetta del telefono che suona già da un po’ guardando l’ora –le dieci e dieci precise-, me la porto all’orecchio e…
“Sei uno stronzo! Un grandissimo stronzo!” strillo, furibonda.
“E tu una sgualdrina della peggior specie!” mi urla lui.
Genere: Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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E chi l’ha detto che il gatto nero porta sfortuna?

 
Afferro la cornetta del telefono che suona già da un po’ guardando l’ora –le dieci e dieci precise-, me la porto all’orecchio e…
“Sei uno stronzo! Un grandissimo stronzo!” strillo, furibonda.
“E tu una sgualdrina della peggior specie!” mi urla lui.
“Hai sbagliato numero, caro: se è una puttana che cerchi, dovevi chiamare tua sorella!” anche se non ha sorelle, “Devi provare, pare sia pure economica!”
“Hai la simpatia di un escremento di cavallo, Sabrina, e sei una stronza pure tu!”
“E tu quella di una carcassa di cammello, Marco!” replico.
Silenzio.
“Finito?”
“Mmm…sì, direi di sì.” rispondo, lasciandomi cadere seduta sul divano e sciogliendomi in un sorriso, “Ciao, amore!”
“Ciao anche a te, amore!” mi sento rispondere da lui, la sua voce accompagnata dalla risata cristallina che mi fa impazzire…

...Va bene, va bene: Stop!
Ok, immagino che starete pensando: eh?!
Beh, per capire, dobbiamo fare un saltino indietro nel tempo… Giusto di quattro anni, una sciocchezza!
Era una serata del cavolo, ne avevo passate di tutti i colori, pioveva, ero zuppa e avevo esaurito la mia scorta di pazienza quotidiana perciò…

 

Quattro anni e due mesi esatti prima.

Ma. Che. Cavolo.
Entro in casa, fradicia come un’alga di mare, con una camminata identica a quella di un pinguino incazzato cui hanno rubato il pesciolino del pranzo e sbatto la porta con tutta la forza che trovo.
Con un grugnito degno dello Yeti lancio le borse (quella personale e quella con i documenti di lavoro) sulla poltrona poi mi lascio cadere a peso morto sul divano.
Se ho fatto qualcosa di male per meritarmi tutto questo, giuro che sono pentita!, penso, rivolta a chiunque possa ascoltarmi.
Sospiro.
Dovrei essere contenta, in fondo: ho ventitré anni, un bel lavoro in un ufficio di marketing, una cara amica, un bell’appartamento e pure un gatto ma…
Un flash, fulmine a ciel sereno.
Il gatto!, penso, sgomenta, tirandomi a sedere e iniziando a scrutare la stanza con sguardo un po’ omicida e un po’ ansioso.
“Fido?” chiamo, “Fido!”
Niente.
“Gatto della malora!” urlo, innervosita oltre ogni dire, mentre mi alzo e mi dirigo all’uomo morto per prendere la cerata e uscire a cercare quel maledetto felino prima che affoghi tutte le sue nove vite in un cassonetto della spazzatura allagato.
Faccio appena in tempo ad aprire la porta che il telefono inizia a squillare.
Alzo gli occhi al cielo e mi lascio andare ad un ringhio poi mi volto e, a passo di marcia, raggiungo l’apparecchio malefico.
“PRONTO?!” ringhio nella cornetta.
Un attimo di silenzio attonito segue la mia uscita ostile, tanto che mi pento di aver riversato il mio nervosismo sul povero che mi ha chiamata.
Dài, Sabrina, magari è un amico che si è preso la briga di chiamarti per farti gli auguri visto che non possono esserselo dimenticato tutti, oppure è successo qualcosa… Sii un po’ più gentile, su!
Mi schiarisco la gola.
“Ehm… Pronto?” ritento cincischiando con le chiavi di casa per sconfiggere la vergogna dovuta al mio precedente tono.
L’uomo, sono certa che sia un uomo, dall’altra parte della cornetta tossicchia discretamente un paio di volte poi inizia a parlare.
“Buongiorno, signora.” Signora?!, “Sono Marco e la chiamo per conto della compagnia elettrica Energy Istant per proporle…” Compagnia elettrica?! Proporle?!
L’ira, mai sbollita, ritorna di corsa e prende il controllo della mia mente e della mia lingua prima che possa anche solo pensare di trattenermi.
Perché altrimenti mi sarei calmata: sì, come no.
“Con tutto il dovuto rispetto, ossia con tutta la cafonaggine che la mia persona possiede, Marco, mi permetta di chiarirle una cosa.” ringhio, nuovamente ostile, “Oggi ho passato una giornata d’inferno e non è ancora finita perciò se la sua compagnia ha intenzione di offrirmi l’energia sufficiente a superare una giornata con un capo sadico e pervertito con la testa piegata sotto il peso di una trentina di corna fattegli dalla moglie, due comari a destra e sinistra della mia postazione di lavoro che sono convinte di non disturbare nessuno scambiandosi i pettegolezzi facendoli entrare da un mio orecchio e uscire dall’altro, un gatto ninfomane e schizofrenico che può vantare la paternità sul novanta percento dei gattini del quartiere e che in questo preciso istante si è volatilizzato come il fantasma formaggino davanti ad un pezzo di pane, allora mi interessa. In caso contrario lei può piantarla di sfrangiare i maroni a me e andare bellamente a fottersi qualcuna.”
Finezza, il tuo secondo nome è Sabrina Ronchi.
“Volentieri, si sta offrendo volontaria?”
Avete sentito un tintinnio sospetto? Era il classico suono di una mascella che precipitava dalla (non) notevole altezza di un metro e sessantacinque di donna…
“Come, scusi?” chiedo, confusa.
Sento un ciocco dall’altra parte della cornetta e mi immagino il mio povero centralinista che si tira un pugno nei denti. Ok, probabilmente non si sta proprio spaccando la faccia ma sognare non costa nulla.
“Mi scusi, la prego.” mi risponde, davvero contrito, “Ho passato una brutta giornata e la sua sfuriata mi ha fatto impazzire: mi scusi, davvero.”
Un sorriso di comprensione mi fiorisce sul volto. Poveretto, almeno non sono la sola ad essere nevrotica.
“Sono pronta a scommettere che la sua giornata non è stata peggio della mia.” dichiaro.
“Beh, per come me l’ha descritta durante la sfuriata, non ne dubito.”
“Oh, ma quella sarebbe stata la normalità: oggi era peggio del solito!”
“Stento a crederci!”
“Ha tempo da perdere?”
Attimo di silenzio in cui mi pento, mi pento amaramente della mia sfacciataggine.
“Perché no?”
Richiudo la porta di casa gettandomi in una descrizione dell’enorme chiazza di caffè sulla mia camicetta bianca, proprio prima di entrare in ufficio per la riunione, e mi lascio cadere di schiena sul divano mentre riferisco i commenti maligni di Sandra e Lucia, le comari, su Stephanie che ha preso la maternità perché incinta.
Marco ascolta, ride, mi lancia qualche idea per una risposta salace e ogni tanto tira fuori una perla di gentilezza (no, non saggezza: oggigiorno la gentilezza è molto più rara) per tirarmi su il morale.
Alla fine, scoppiamo a ridere entrambi quando gli racconto del mio caro gatto Fido.
“Scusa, ma non puoi proprio lamentarti se scappa in continuazione: come hai potuto chiamarlo Fido?! È il nome da cani per antonomasia!”
Sorrido.
“Non so cosa sia un’antonomasia, ma Fido è felicissimo del suo nome!” affermo sicura mentre mentalmente mi chiedo quand’è che siamo passati al Tu.
“Punto uno: l’antonomasia è una figura retorica in cui si usa un nome proprio per indicarne uno comune, ad esempio quando si dice ‘fare da Cicerone a qualcuno’. Punto due: come fai a dire che è contento?! È un gatto: mica parla!”
“Io ci parlo!” ribatto, imbronciata, “E lui mi ascolta sempre!”
“Tranne quando scappa.”
“Tranne quando scappa!” ammetto esasperata, cedendo sotto la sua ostinazione.
Un miagolio indolente mi distrae, costringendomi a lasciare il mio amato divano per tornare alla porta.
Quando apro, trovo Fido seduto pigramente sullo zerbino, intento a leccarsi una zampina. Prendo in braccio il mio adorato micetto tutto nero e gli scocco un bacio sulla testolina, incurante dei suoi soffi di protesta, mentre nel profondo inizio già a gustarmi la giusta vendetta.
“Marco?” chiedo alla cornetta che avevo lasciato sul tavolino in salotto.
“Sì?”
“Fido è tornato!” dichiaro, gongolante, “Il che significa…?”
“Che è andato in bianco?” azzarda lui, divertito a giudicare dalla voce.
“Che adora il suo nome e adora me!” dichiaro, soddisfatta, lasciando andare il povero animaletto.
Marco scoppia a ridere e io mi godo quel suono spensierato mentre mi sposto in camera da letto e inizio a spogliarmi, decisa a indossare qualcosa di un po’ più comodo. Un paio di pantaloni della tuta e una maglietta leggera dopo, sono in cucina a rovistare nel frigo alla ricerca di qualcosa di commestibile, mentre spiego a Marco l’ultimo tassello del puzzle della giornata peggiore della mia vita.
“Come diamine è possibile che si siano dimenticati tutti del tuo compleanno?!” chiede lui, sorpreso, “Devi essere davvero insopportabile!”
Sorrido, capendo che sta scherzando, e decido di stare al gioco.
“Ehi, non avrai mica pensato che abbia riservato tutta la mia finezza per te?”
“Ahimè, ci speravo tanto!” esclama lui, fintamente disperato, “Hai mandato in fumo tutte le mie illusioni, Sabrina!”
Rido, incapace di fare altro davanti alla sua auto-ironia disarmante.
“Spiacente per prima…” ammetto, “Ho esagerato: tu non c’entravi nulla, anzi mi hai tirato su il morale. Non ti meritavi quella sfuriata.”
“Ehi, quando vuoi, Sabrina!” risponde lui, solare, e a me viene un’ideuzza malefica in mente.
“Senti che idea che ho avuto: mentre io spignatto per procacciarmi il cibo, ti rendo il favore che mi hai fatto e ti permetto di sfogarti raccontandomi com’è che la tua giornata ha fatto schifo, che ne dici?”
“Sabrina, non so…” lo sento dire, imbarazzato mi pare, “In effetti, adesso che me lo fai notare è davvero tardi: non vorrei romperti…”
“Perché la gente pensa sempre di disturbare anche quando viene esplicitamente invitata a fare qualcosa?” borbotto, “Se non ne hai voglia, è un conto; ma, sennò, sappi che mi fa piacere!”
Sento Marco sospirare.
“Ho una voglia matta di parlarne!” ammette riprendendo a ridere.
“Forza allora!” rido anche io, “Spara!”
“BANG!”
Per un attimo resto interdetta poi non riesco a trattenermi e mi piego in due, ridendo tanto da avere le lacrime agli occhi.
“Sabrina?! Sabrina! Ehi, non mi morire!” mi sento dire ma anche Marco sta ridendo.
“Ma il tuo capo e i tuoi colleghi…” chiedo, tra un accesso di risa e l’altro, “…cosa pensano vedendoti… fare ‘ste uscite?”
“Niente: non mi vedono perché sono solo.”
“Solo?” chiedo, confusa, e poi guardo l’ora.
Sono le dieci di sera!
“Che ci fai ancora al lavoro, scusa?” chiedo poi una terribile idea mi assale, “Non sarò io che ti tengo lì, vero?!”
Marco ride ancora al di là della cornetta.
“No, no!” mi rassicura, “Mi hanno incastrato con gli straordinari: devo stare almeno un’altra mezzora al telefono, mi controllano attentamente!”
“E non si insospettiranno se vedono che sei rimasto sempre in linea con lo stesso numero?”
“Nah! Dirò che ho avuto a che fare con una cliente ostica che si è fatta spiegare tutto venti volte e poi alla fine ha detto che non le interessava, niente di particolare…” mi dice, sempre con quel tono di voce che mi fa pensare che stia sorridendo.
Sento Fido miagolare e mi sposto in bagno per controllare cosa sta facendo ma, nel farlo, mi fisso un attimo allo specchio.
Non sono particolare, né bella né brutta. Non sono esattamente bassa, nella norma, e ho i capelli castani tagliati molto corti, in un taglio da uomo, ma la natura ha voluto calcare la mano su un paio di parti anatomiche per ribadire il mio genere femminile, sicché mi ritrovo con un vitino da vespa comprendente un lato B leggermente grosso e un seno prosperoso fino alla quarta coppa C. I miei occhi, castani, fissano con sospetto gli zigomi alti e i sopraccigli sottili ma soprattutto un maledetto piccolo nero sopra l’angolo sinistro della bocca.
Sospiro e proseguo alla ricerca del gatto, la mia esplorazione di me stessa è durata sì e no un secondo.
“Fido combina guai?” mi chiede Marco.
“Come al solito…” rispondo mentre, istigata dalle osservazioni su me stessa, mi chiedo come sia il mio interlocutore fisicamente parlando.
“Che ha fatto?”
“Ah no, signore!” sbotto rivolto all’essere umano, mentre afferro il gatto che cerca di uscire dalla finestra per farsi un altro giretto, “Non ci provare: stai evitando di raccontare!”
Marco sospira ma mi racconta della macchina che lo ha lavato passando in una pozzanghera questa mattina, delle urla della donna delle pulizie che l’ha visto entrare, dell’ora passata in lavanderia ad aspettare che si asciugassero i vestiti per entrare in ufficio, la lite con il capo e poi le ore di straordinario fatte senza pausa perché l’unico bar in circolazione era al giorno di chiusura e lui era troppo incavolato per cercarne un secondo.
Come lui prima, ogni tanto provo a sdrammatizzare e ogni tanto gli butto lì una frase di conforto mentre cerco di non scottarmi nel servirmi magistralmente la minestra che sarà la mia cena, anche se in ritardo.
Parla lui, parlo io, ridiamo insieme e arrivano le undici.
“Direi che sei ufficialmente libero!” rido quando mi accorgo dell’ora.
“Già, peccato, mi stavo divertendo…” ammette lui dall’altro capo della cornetta.
Sorrido.
“Anche io, in effetti…” mi concedo di dirgli.
“Grazie mille, Sabrina.”
“Ma no, grazie a te!” replico subito, “E scusa ancora!”
“Piantala di scusarti, che poi mi fai sentire in colpa per la mia risposta!” brontola lui, “Ecco, adesso mi sento in colpa: scusa!”
Scoppio a ridere.
Fido salta sul tavolo e mi morde il naso, attirando la mia attenzione su di sé.
“Marco, puoi aspettare un secondo?”
“Che succede?”
Il mio adorabile gatto nero salta dal tavolo alla mensola della cucina e da lì inizia a raspare contro un’anta.
Incuriosita, la apro e il mio micetto vi entra dentro per iniziare ad avvolgere la coda attorno ad una bottiglia di vino, un bianco leggero che non ho mai bevuto per un motivo o per l’altro.
“Che vuoi?” gli chiedo, confusa, poi mi rivolgo di nuovo a Marco, “Secondo te è possibile che Fido sia diventato alcolista?”
“Beh, ninfomane e schizofrenico lo è già…” commenta lui, trattenendo malamente una risata divertita.
“In effetti…” commento ma Fido è già ripartito nel momento esatto in cui ho afferrato la bottiglia per leggerne l’etichetta, questa volta diretto al corridoio, dove si ferma e miagola per costringermi a seguirlo.
“Ho capito, arrivo!” esclamo per poi aggiungere a bassa voce, “Stupido gatto…”
“Dài, Sabrina!” mi rimprovera bonario Marco, “Sono sicuro che lo fa per te!”
Per me? Da quando quel gatto fa qualcosa per qualcuno che non sia lui stesso?
Fido corre in camera mia e quando entro è già saltato, chissà come, sopra il mio armadio e sta sporgendo in già la testolina, annusando deciso la fessura fra le ante.
Confusa, apro l’armadio e lui inizia a tirare zampate all’aria in direzione della stoffa.
“Scusa un attimo, Marco…” dico alla cornetta prima di appoggiarla sul letto per allungarmi a prendere in braccio Fido, “Che c’è? Che hai?”
Di risposta, lui miagola e continua a tirare zampate verso i miei vestiti.
Decido di fare una prova e afferro una mia vecchia tuta ma in cambio gli artigli di Fido vengono fuori, accompagnati da un soffio, e minacciano di piantarsi nel mio braccio.
“Va bene!” esclamo, offesa, “Cosa vuoi, il vestito da cocktail?”
Per ribadire il concetto afferro un vestito corto color blu scuro e glielo mostro.
Con mia sorpresa, Fido inizia a fare le fusa poi salta giù da in braccio a me.
Guardo il vestito, che è il mio preferito in effetti, e poi mi giro a cercare il gatto.
“Cosa dovrei…?” provo a dire ma mi blocco quando trovo Fido intento a toccare delicatamente il cordless, leccandolo sporadicamente.
In ritardo, collego il vestito alla bottiglia di vino e alla persona che in questo momento è al di là della cornetta…e caccio un urlo.
“Scordatelo!” ringhio contro il gatto ma Fido sfodera le unghie, gonfia il pelo e inizia a soffiare facendo in modo di mostrarmi i dentini affilati.
“Cos’è?” chiedo, “Una minaccia?!”
Fido però salta giù dal letto e scappa via, lasciandomi sola con il dilemma che lui stesso ha contribuito a infilarmi nel cervello.
Certo, potrei… No! No, no, no, no! Che cavolo mi salta in mente?!... Però, se non glielo chiedo adesso… NO, non so nemmeno com’è! … Ma è stato gentile… NO!, e se fosse un maniaco?! … Oh, diavolo! Tanto: o ora o mai più!
Riprendo il cordless mentre tiro un grosso respiro.
“Senti Marco…”
Tu…tu…tu…
Perché mi sento come se il mondo intero mi stesse ridendo dietro?
Sospiro e mi lascio cadere seduta sul letto. Sbuffando getto il cordless al mio fianco e mi lascio cadere all’indietro.
Fido riprende a miagolare e rialzo la testa con i denti già snudati, pronta a ringhiargli contro a mia volta, ma riesco appena a registrare il fatto che sta giocando con una pallina di stoffa rossa che…il cordless squilla.
Guardo il telefono con occhi sgranati, fortemente tentata dall’idea di non rispondere affatto per evitare altre…cose strane.
“Pronto?” L’ho già detto che sono fortemente incoerente?
“Ehilà, Finezza!”
Sgrano gli occhi saltando a sedere di scatto.
“Marco?!” esclamo, “Bastardo, ho pensato mi avessi riagganciato in faccia!”
Lui ride dall’altra parte della cornetta.
“Ogni volta che iniziamo una conversazione dobbiamo insultarci?” mi chiede, ironico.
“Assolutamente sì!” dichiaro decisa, poi mi ricordo di una cosa, “Scusa, ma sei rimasto al lavoro?”
“No, sono uscito…” risponde tossicchiando ed esitando per un attimo, “Ecco, a dire il vero ho copiato il tuo numero nel mio cellulare e ti sto chiamando da questo…”
Arrossisco. Non so perché lo faccio, ma arrossisco.
“Scusa, so che non avrei dovuto…” inizia Marco, ma lo fermo.
“NO!” esclamo con un po’ troppa foga per poi riprendermi.
Contegno Sabrina! Insomma!
“Ehm… Hai fatto bene, davvero…” provo a dire poi decido di buttarla sullo scherzo, “Sai, mi sarei offesa a morte se mi avessi sbattuto il telefono in faccia a quel modo!”
“Non sia mai: non correrei il rischio di ricevere un’altra chiamata piena di insulti da parte tua neanche morto!” mi prende in giro Marco.
“Ehy, sei tu che hai chiamato me!” replico sorridendo, ma poi mi viene un dubbio, “Non stai guidando, vero?” chiedo preoccupata, “Perché telefonare al volante è un ottimo modo per ammazzarsi velocemente!”
“No, no, no!” nega lui decisamente, “Voglio vivere ancora per un po’, odio l’auto e sto andando a piedi!”
Sorrido, sollevata.
“Mi dici una cosa, Sabrina?”
“Cosa?” chiedo sorpresa.
“Che stava combinando il gatto prima? Perché mi è parso di sentirti urlargli contro, ma stavo già mettendo giù e non ho capito bene…”
Sono bordeaux.
Che faccio adesso?! Calma! Sabrina mantieni la calma! Cosa avevo deciso di fare prima… Ah già!
No! Non posso farlo!... Ok, lo faccio, ma mi serve una scusa!
“Oh, niente!” mento con tranquillità, “Fido vuole aprire un’agenzia matrimoniale…”
Posso sentire la sorpresa di Marco passare attraverso la cornetta del telefono.
“Stai scherzando?” mi chiede, sgomento.
“No, te lo giuro!”
“Aspetta, adesso me la spieghi!” sbotta lui, “Cosa diamine ha combinato quell’animale?!”
Ora Sabrina! Ora o mai più!
“Ehm… Mi sa che è lunga da raccontare al telefono…” azzardo, “Senti… Sarebbe tanto strano se…che ne so…magari domani sera…”
“Sai dov’è la piazza della metropolitana?” mi interrompe Marco.
“Sì.”
“Lì, domani sera alle sette?” propone, “Ti porto a cena fuori e mi spieghi del gatto…”
Sorrido.
“Assolutamente!”
“Niente insulti?”
“Non posso prometterlo…”
“A domani allora. Buonanotte!”
“Anche a te! A domani.”
Chiudo la chiamata ridendo come una matta e sposto lo sguardo su Fido che continua a giocare.
“Ma tu sei un amore!” gli dico andandogli incontro e prendendolo in braccio per scoccargli un bacio sul musetto peloso.
Lui si divincola e scappa via, lasciandomi sola con il suo giocattolo.
Guardo l’oggetto: non ricordavo di avergli preso una pallina rossa…
Mi piego e prendo il giocattolo incriminato ma scopro che è pizzo rosso arrotolato.
Con la sensazione di inevitabile catastrofe in arrivo, srotolo la pallina e arrossisco quando riconosco il tanga rosso che metto a capodanno.
“FIDO!!!”
 
Ok, bene… Chiaro ora? Seh, più o meno…
Beh, che dite: torniamo al presente? Mi sa che è meglio…

 
“Com’è andata oggi?” chiedo al mio amore accarezzando distrattamente Fido che mi sta seduto in braccio.
“Bah, niente di che…” commenta Marco e me lo immagino scrollare le spalle come al solito.
“Povero il mio micetto!” lo prendo in giro e la sua risposta è un borbottio offeso.
“Cara, ‘micetto’ lo dici a Fido!” brontola.
“Giusto, tu sei un micione grande e grosso!” continuo a prenderlo in giro sorridendo.
Stiamo insieme da quattro anni, da quella famosa cena, e viviamo insieme a casa mia da tre. Fido è il nostro paciere in caso di guerra fredda e il nostro consulente di regali quando si avvicinano le varie ricorrenze come anniversari o compleanni. Ogni sera, dieci e dieci, Marco mi telefona e ci insultiamo un po’ per sfogare il nervosismo, ma poi torniamo a punzecchiarci e a coccolarci come sempre.
La normalità?
L’abbiamo dimenticata a casa della cicogna prima di venire al mondo, così dice Marco.
Nel cesso, così dico io.
Ehy, che volete farci? Siamo sempre i soliti!
“E tu cosa saresti?” mi chiede.
Sorrido, maliziosa.
“Quando arrivi a casa, lo scopri!” replico tranquilla.
“Ehm, ecco, riguardo a questo Sabri…”
Il sorriso mi sparisce dalle labbra, l’allegria viene sostituita dall’ansia.
“Marco, che c’è?” chiedo, “Cosa succede?”
“Ecco, è successo che devo fare ancora una cosa e…”
Aggrotto la fronte.
“Che vuol dire? Cosa devi fare?”
Lo sento tossicchiare e ormai ho capito che quel gesto, per lui, significa imbarazzo profondo.
“Ehm, facciamo che guardi dalla finestra e lo capisci da sola, Sabri?” mi chiede, “Quella della sala da pranzo, che dà sul giardino condominiale…”
Ultimamente, Marco è stato spesso strano: spariva per ore, non mi diceva dove andava, passava dal nervosismo più terribile alla dolcezza più acuta… Se non fosse stato un uomo, avrei pensato che fosse rimasto incinto.
Sono confusa, molto confusa, e non mi piace, ma mi alzo dal divano facendo saltare giù un Fido parecchio offeso.
Blocco la cornetta con una mano e guardo il gatto con espressione smarrita.
“Non mi lascia, vero?” piagnucolo, “Dimmi che non mi lascia, Fido!”
Ma il traditore scappa via, lasciandomi sola ad affrontare la cruda realtà.
Mi avvicino alla finestra e riappoggio la cornetta all’orecchio mentre allungo una mano a prendere la corda che solleva le veneziane.
“M-Marco?”
Tu…tu…tu…
Prendo un respiro profondo e…sollevo la veneziana aprendo gli occhi di scatto.
Candele. Tante, tantissime candele che nel giardino condominiale formano una scritta luminosa, calda e ondeggiante.
Sabrina, vuoi sposarmi? Marco.
“Oddio!” mi lascio sfuggire prima di portarmi una mano alle labbra e ritrovandomi le guance bagnate.
“Non era esattamente questa la reazione che speravo…” mi sussurra qualcuno all’orecchio con voce calda e dolce, in attesa ma vibrante di ansia.
Mi volto, sgomenta
I capelli rosso slavato, quasi biondo, tutti arruffati sulla testa; gli occhi verdi luminosi nei quali si riflette la scritta fuori dalla finestra quasi a voler ribadire il suo desiderio; un sorriso impertinente ma un po’ tirato sulle labbra.
Marco.
Sorrido e gli salto al collo senza permettergli di dire altro.
“Cazzo, sì!” esclamo facendolo scoppiare a ridere.
“Ahia, mi sono messo il cappio al collo da solo!” ridacchia lui mentre mi prende in braccio e, senza che faccia in tempo ad accorgermene, mi lascia cadere sul letto.
“L’anello?” chiedo sdraiandomi meglio per permettergli di accomodarsi su di me.
“Sul tavolo della cucina, attentamente sorvegliato dal nostro intrepido Cupido, ovvero Fido!” mi rassicura lui fintamente solenne facendomi ridere, “E adesso torniamo all’argomento di prima: se io sono un micio grande e grosso, tu cosa sei?” mormora infilando il viso tra i miei capelli, ora lunghi, per baciarmi il collo.
Sorrido.
“Sai a cosa sto pensando?” gli chiedo ignorando la battuta.
Lui scuote la testa, ma non si distrae molto dal suo operato.
“A cosa?” mi chiede sorridendo contro la mia pelle.
“Sto pensando: E chi l’ha detto che il gatto nero porta sfortuna?!”
Sia io che Marco scoppiamo a ridere, l’uno contro l’altro.

 

Fine



 

Salve!!!
Che dire, sono tornata per l'ennesima volta... E con un racconto particolarmente stupido, devo dirlo...
Però, boh, mi piaceva, c'ero dietro da un po' e mi sono detta "Perché non provare?"
Beh, spero vi sia piaciuta! ;)
Ciao ciao!
Agapanto Blu

  
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