Who
cares, baby?
I
think I’m gonna marry you.
- Su, Shin-chan! -,
gli ripeteva Yukiko, sorridente e raggiante come non mai. Non riusciva
proprio
a capire perché suo figlio, un bambino sempre
così allegro ed espansivo avesse
messo su quel broncio. Teneva le braccia conserte e guardava con
insistenza
dritto davanti a sé, le sopracciglia aggrottate in una
smorfia contrariata.
Aveva assunto
quell’espressione da quando la madre gli aveva comunicato,
con uno smagliante
sorriso stampato in volto, che avrebbero passato il pomeriggio a casa
di Eri.
Lo avevano costretto a
passare intere giornate in quella casa, a giocare con la piccola Ran. E
Shinichi aveva sempre pensato che giocare con Ran non fosse poi
così emozionante.
Non che lei fosse antipatica, o presuntuosa, però... Certo
Shinichi preferiva
giocare a pallone da solo, nell’immenso cortile di Villa Kudo
o, perché no?,
leggere un bel libro in soggiorno, seduto sul comodo divano color panna.
Shinichi pensava che
Ran fosse... strana: alternava momenti di estrema timidezza, in cui non
riusciva a spiccicare parola a momenti in cui non riusciva a stare
zitta, e
allora era insopportabile. Non lo sapeva nemmeno lui perché
si facesse sempre
convincere da sua madre a farsi portare a casa Mori.
Ma d’altronde, che
poteva fare? In fondo, aveva solo quattro anni, lui.
- Ehi! -, la chiamò, correndole incontro. - Scusa il
ritardo! Sono imperdonabile!
Lei lo guardò per un lunghissimo secondo, poi gli
voltò le
spalle, incamminandosi verso il liceo Teitan a passo spedito.
Le corse dietro, ancora ansimante, e la raggiunse,
adattandosi alla velocità dell’amica.
Ran taceva. Camminava velocemente, a testa bassa, stringendo
in modo eccessivo il manico della cartella.
Shinichi la osservava di sottecchi. Capì al volo che
c’era
qualcosa che non andava.
- Ran... Va tutto bene?
Cercò di capire a cosa stesse pensando l’amica. Ci
provava
spesso, a dir la verità, ma mentre con chiunque
altro - anche con un perfetto sconosciuto - non aveva alcun tipo di
problemi,
cercare di leggere la mente di Ran, la ragazza che era al suo fianco da
quando
erano piccoli, la sua migliore amica, era la cosa più
difficile che avesse mai
provato a fare.
Un caso perennemente irrisolto, un mistero senza alcuna
soluzione. E la cosa era estremamente frustrante.
Nonostante lei cercasse di nascondere il viso con i lunghi
capelli, Shinichi riuscì a vedere i suoi occhi: sembravano
così stanchi,
spenti. Quella luce che la illuminava, che la rendeva davvero bella, sembrava essersi dissolta in
quella frizzante mattina di Aprile. Il ragazzo notò anche
che tratteneva a
stento le lacrime.
- C’è qualche problema? -, le chiese ancora,
sinceramente
preoccupato. - No, perché se vuoi parlarne, io ci sono.
Insomma, puoi dirmi
quello che vuoi, o puoi non dirmi niente, anche se...
- Sto bene.
Tra i due calò il silenzio. Shinichi storse la bocca, poco
convinto.
- No -, mormorò, dopo un po’. - Io ti conosco e,
potrei
giurarci, tu non stai affatto bene.
Le si parò davanti, sbarrandole la strada. Puntò
i suoi
occhi azzurri in quelli di lei, impedendole di distogliere lo sguardo.
Poi
sfoderò uno di quei sorrisi che - Shinichi ne era certo - la
facevano
impazzire. Un sorriso pieno di sicurezza, di chi sa che è in
grado di fare
tutto. Persino di leggere nella mente della propria migliore amica.
- Se non vuoi dirmelo... -, la sfidò, beffardo, - ...
proverò a dedurlo!
Le labbra di Ran si incresparono in un sorriso, ma quel
sentimento non riuscì a contagiare gli occhi.
- Dunque... -, attaccò Shinichi, poggiando
l’indice sul
mento a mo’ di riflessione. Rimase un secondo in silenzio,
strappando a Ran un
risolino.
- Credo che il problema non riguardi la scuola, o me ne
sarei accorto anch’io. Non dovrebbe essere nemmeno il karate,
visto che hai
ottenuto risultati invidiabili negli ultimi tempi. E il problema non
sono io,
altrimenti non mi avresti aspettato stamattina. Perciò...
Deduco che il
problema siano i tuoi. È
così? Hanno litigato di nuovo?
Shinichi esitò, prima di prenderle il mento con le dita e
sollevarlo con delicatezza, per guardarla negli occhi. Lo vedeva in
quelle
iridi violette: aveva fatto centro.
Le lacrime iniziarono a scorrerle sulle guance,
irrefrenabili. Il ragazzo si affrettò a tirar fuori il
fazzoletto dalla tasca
per asciugarle, ma non bastava. La circondò in un tenero
abbraccio,
stringendola con delicatezza.
Lui, quella scena, l’aveva già vissuta. Eppure non
ricordava
quando, né come...
- Ehi, Shinichi... -, lo chiamò lei, che stava asciugandosi
le gote con la manica della divisa. Lui le porse ancora il fazzoletto,
ma lei
lo rifiutò con un sorriso.
- Andiamo, o faremo tardi.
Non ne poteva davvero più. Non era certo tipo da perdere le
staffe così facilmente, lui, ma niente lo innervosiva di
più dell’essere
costretto ad ascoltare per tutta la durata della pausa pranzo
l’instancabile
Sonoko che blaterava dei suoi fallimenti amorosi e di tutto quello che
le
andava male nella vita ad una Ran altrettanto scocciata, che spesso
lanciava a
Shinichi un’occhiata esasperata.
Aiutami, ti prego!,
sembrava volesse dirgli. E Shinichi sorrideva sotto i baffi, divertito.
Poi
Sonoko ricominciava a parlare, e allora tornava a smangiucchiare il suo
panino.
Tutto quel ciarlare gli aveva fatto passare pure l’appetito.
- Perché non ti chiudi in convento, una buona volta? -, le
chiese esasperato, scatenando le risate dell’amica e il
disappunto della
giovane ereditiera, che gli rivolse una linguaccia.
- La mia bellezza sarebbe sprecata in quel modo!
- Oh, credimi, non c’è alcun pericolo.
La campanella trillò e il cortile, prima gremito di studenti
si svuotò. Sonoko si allontanò a passo lesto,
salutando Ran con un cenno.
Probabilmente l’aveva offesa, ma poco gli importava.
Iniziò a rimettere alcuni libri nella cartella, senza
fretta. Avevano Matematica all’ora successiva, e
l’idea non lo entusiasmava
affatto.
- Ehm... Shinichi?
La voce di Ran lo fece voltare. Aveva una strana espressione
dipinta in viso.
- Questa mattina, quando mi hai... abbracciata... -, e
arrossì violentemente. - Insomma, ecco... Mi è
tornato alla mente quel giorno
di tanti anni fa. Ricordi?
Shinichi annuì, sorridendo divertito. Eccome se lo ricordava.
- È
passato talmente tanto tempo che...
- Ci credi ancora? -, lo interruppe lei, improvvisamente
seria.
Il ragazzo rimase in silenzio per un po’, cercando di
decodificare il tono di Ran.
Poi le sue labbra si sciolsero nuovamente in un sorriso.
- Certo che ci credo ancora -, dichiarò. - Io mantengo
sempre le mie promesse, parola di detective!
Shinichi si incamminò verso l’ingresso, voltandosi
a metà
strada per salutare Ran con un cenno. Era arrossita, notò.
Affrettò il passo, per evitare di arrivare in ritardo. La
prof. di Matematica era una vera vipera, e Shinichi certo non ci teneva
ad
essere morso.
Lui non aveva
assolutamente niente contro Ran. Anzi, adorava passare interi pomeriggi
con lei
a giocare. Sì, perché lei era diversa dalle
altre, ma diversa in modo buono. Le
bambine della sua età erano tutte uguali: superficiali,
smorfiose, timide e
fifone - e, per la cronaca, Shinichi non riusciva proprio a sopportarle.
Ma Ran non era così:
non passava le sue giornate a vantarsi di qualità che non
aveva, come faceva
Suzuki, o a giocare con le bambole, o altro.
Ran non aveva paura di
sporcarsi, né di giocare con i maschi e gli era molto
più amica rispetto a
tanti suoi compagni.
Anche se a volte
litigavano, a Shinichi piaceva giocare con Ran. E mentre saliva le
scale che lo
avrebbero condotto sulla soglia di Casa Mori, pensava alla
chiacchierata che
aveva fatto con suo padre appena la settimana prima.
Gli aveva chiesto come
ci si doveva comportare con le ragazze, anche perché lui non
sapeva da che
parte rifarsi. Yusaku si era limitato a dirgli di essere se stesso.
- E se vedi che hanno
bisogno di essere consolate -, aveva aggiunto, - non pensarci due volte.
Shinichi non aveva
capito che cosa volesse dire il padre. Confuso, gli aveva chiesto come
avrebbe
dovuto fare se si fosse presentato un caso simile, senza
però ottenere
risposta.
Giunto sul
pianerottolo, sistemò la maglietta e bussò alla
porta, delicatamente. Ad
aprirgli fu Eri, che lo accolse con uno strano sorriso: sembrava
così forzato,
così falso...
- Buongiorno, signora
Mori! -, salutò.
- Oh, Shin-chan!
Entra, prego. Ran è in camera sua, ti sta aspettando.
Il piccolo annuì e
proseguì lungo il corridoio per poi bussare un paio di volte
alla porta della
stanza.
- È
permesso? -, chiese, socchiudendo la porta.
Dalla stanza
provenivano dei singhiozzi sommessi.
- Ran-chan? Posso
entrare?
La piccola era seduta
in un angolo della stanza, con le ginocchia strette al petto e la testa
bassa.
Shinichi
entrò e si
avvicinò a lei, poggiandole una mano sulla spalla e
facendola sussultare.
- Va tutto bene,
Ran-chan?
La bambina si
alzò in
piedi e si asciugò gli occhi con la manica del vestitino
lilla.
- Mi vuoi dire
perché
sei triste?
- Mamma e
papà hanno
litigato ancora -, mormorò, tirando su con il naso. Shinichi
si affrettò ad
offrirle il suo fazzoletto, ma lei lo rifiutò con educazione.
- Perché
hanno
litigato?
- Non lo so, ma...
Hanno urlato molto forte, si sono insultati... -. Piccole lacrime si
formarono
agli angoli dei suoi occhi. - Ho tanta paura che possano separarsi...
Shinichi la
osservò
per un attimo, finché quelle stesse lacrime che prima le
ornavano gli occhi
come pietre preziose iniziarono a solcarle il volto.
- Io da grande voglio
sposarti! -, dichiarò, d’istinto.
La piccola Ran
sembrava confusa. - Cosa?
- Almeno potrei
consolarti ogni volta che sarai triste. E poi -, aggiunse, - se noi
fossimo
sposati, io non ti lascerei mai!
La bimba sorrise,
accettando il fazzoletto che l’amico le aveva offerto per la
seconda volta.
- Me lo prometti? -,
chiese, speranzosa.
- Promesso.
Ma, parlando della storia: innanzi tuttto, è ambientata prima della trasformazione di Shinichi. Allora, vi è piaciuta? Spero di sì, anche perché a me è piaciuto molto scriverla. Non so se Shinichi sia troppo OOC in alcuni punti, ma era necessario per la storia, e ho dovuto farlo.
Insomma, la smetto di annoiarvi. Fatemi sapere che ne pensate, okay?
Un bacio!