Serie TV > Agente speciale Sue Thomas
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Autore: Rachi    30/08/2007    2 recensioni
Un ballo scolastico...una cosa dimenticata...una compagnia inattesa...
Genere: Romantico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il ballo di Amanda

«Lucy? Hai visto il mio palmare? Non posso averlo dimenticato in ufficio! Sono gia in ritardo! Amanda mi ucciderà!»
«Sue l’ho cercato ovunque, ma non lo riesco a trovare…ehi stai benissimo!»
«Grazie…» mentre mi siedo sul letto pensando ad una soluzione veloce «ma questo non risolve il mio problema.»
«Avanti, Amanda è abituata ai tuoi ritardi, e poi è il suo ballo, vedrai che lei starà ancora decidendo quale dei due vestiti indossare. Andare a fare shopping con voi è impossibile, sembra che quella ragazzina abbia preso tutti i tuoi difetti.»
«E con questo cosa vorresti dire?» mentre cerco disperatamente di non darle ragione mantenendo uno sguardo il più serio possibile.
«Dico che è meglio che ti sbrighi, corri in ufficio a prendere il palmare e corri da Amanda, altrimenti rischi di essere in ritardo veramente.»
«Si, ma poi ne riparliamo.» Il tutto mentre la guardo porgermi il cappotto turchese e contemporaneamente indosso le decolté nere.
Scappo di corsa da casa salutando Levi che naturalmente questa sera non potrà venire con me. Ma non ho il tempo di pensare alle ripercussioni sulla serata visto quanto sono indaffarata a non scivolare sui tacchi a spillo. «Perché ho dato retta a Lucy! Potevo mettere le mie comodissime scarpe e invece ho queste trappole infernali ai piedi!» In meno di venti minuti sono gia arrivata in ufficio. Il traffico è tutto rivolto nell’altro senso di marcia. E pensare che sono uscita anche un’ora prima per fare tutto con calma.
Solo ieri pensavo di trascorrere una tranquilla serata a casa, magari a sistemare l’armadio che richiede attenzione e invece mi ritrovo intrappolata in una situazione che avrei evitato con piacere, ma Amanda rischiava di saltare il suo primo ballo, non era carino rifiutare di accompagnarla.
L’ultima freccia ed entro nel parcheggio, anche questo è semi-deserto e mi posso permettere di parcheggiare a due passi dagli ascensori. Io non riesco a sentirlo, ma so benissimo il rumore che devono fare queste scarpe mentre cammino sul pavimento di cemento trattato, per non parlare dei corridoi dell’FBI! Chiamo l’ascensore e intanto ne approfitto per guardarmi intorno, senza Levi mi sento un po’ vulnerabile, ogni ombra mi sembra una minaccia e mi accorgo di essere rimasta con le chiavi della macchina strette in mano. Non c’è niente da fare l’istinto prende il sopravvento. Senza nemmeno pensare ho un arma a disposizione, le chiavi usate nel modo giusto possono diventare molto pericolose.
Finalmente l’ascensore arriva e, mentre spingo il pulsante del terzo piano, mi sfilo il cappotto, devo gia correre con i tacchi, perché sudare anche a causa del soprabito?
L’ascensore si ferma al primo piano, probabilmente qualcuno deve salire. Approfitto degli attimi in più per controllare sullo specchietto che ho sempre nella borsa se, nella corsa, ho gia distrutto il make-up di cui si è occupata Lucy. Nemmeno dovessi andare ad un appuntamento. Devo solo tenere sotto controllo una ragazzina ad un ballo perché suo padre è stato coinvolto in una importante riunione di lavoro.
Non ho scelto nemmeno il maglioncino che indosso. Lucy ha deciso per me. Ho trovato tutto pronto sul letto appena uscita dalla doccia. Colori della serata: nero e turchese. Visto che non ha trovato niente che le sembrasse intonato tra i miei ninnoli, è corsa in camera sua a prendere degli orecchini e una collanina abbinati con delle pietre nere. Un piccolo vezzo che si è concessa qualche settimana fa quando, gironzolando per Georgetown, abbiamo trovato un negozietto aperto da poco che produce artigianalmente gioielli con perle e pietre, naturali o sintetiche.
Sono così occupata a pensare a quanto ritardo ho che saluto a malapena il collega che entra sorridendo. Finalmente le porte si aprono sul terzo piano e inizio a camminare velocemente verso quella del nostro ufficio. Sono quasi le sette e venti, visto che non abbiamo casi importanti in corso probabilmente se ne saranno andati tutti. Entro spedita senza nemmeno guardarmi intorno e mi dirigo verso la mia scrivania.
Dopo la prima occhiata, e dopo aver constatato che non ho lasciato il palmare semplicemente li sopra, mi siedo ed inizio ad aprire i cassetti rapidamente e solo in quel momento mi rendo conto che in ufficio c’è ancora Tara.
«Scusa! Non ti avevo proprio vista!»
«Ehi sei uno schianto! Non mi dire che hai un appuntamento e non mi hai detto niente!»
Ormai ho aperto tutti i cassetti e del palmare nessuna traccia, tanto vale respirare e parlare un attimo con la mia amica «No, nessun appuntamento. Faccio da scorta ad Amanda al suo primo ballo. Non ho saputo rifiutare…hai visto il mio palmare?»
«No, non l’ho visto. Comunque dovresti vestirti più spesso così.»
«Si così poi se riceviamo una chiamata per un caso, affondo con i tacchi in chissà quale scena del delitto.» Non ci penso proprio, ho gia provato l’esperienza di infilarmi i pantaloni e gli scarponcini di Bobby e sinceramente vorrei evitare di andare in giro in quelle condizioni di nuovo.
«Dove lo avrò lasciato!» orami sono disperata, sono le sette e trenta e non mi rimane che pensare a tutti i luoghi in cui sono stata durante la giornata. Ok. Arrivata in ufficio ho compilato alcune pratiche. Poco prima di pranzo sono andata alla Procura di Stato con Jack per una deposizione che dobbiamo lasciare la prossima settimana in tribunale e poi, uscendo, ci siamo fermati a mangiare rapidamente in una tavola calda e sono sicura di non aver mai tirato fuori il palmare. Alle due del pomeriggio eravamo di nuovo seduti dietro le nostre scrivanie a compilare altri rapporti e meno di un’ora dopo l’ho usato visto che mi ha chiamata Amanda per confermare l’orario di questa sera. Ma sulla scrivania non c’è. Mi chino e con una rapida occhiata guardo se magari è scivolato dalla borsa fino a nascondersi sotto la scrivania o ancora peggio sotto lo schedario. Anche la gonna stretta sotto il ginocchio! Fortuna che almeno lo spacco laterale mi lascia camminare quasi normalmente. «Niente, non è nemmeno qui.» Che cosa ho fatto nel pomeriggio? Ho portato in archivio delle pratiche, sono tornata in ufficio, e poi prima di andare via? Niente, non ne ho idea. Non so proprio dove lo posso aver lasciato. Niente Levi, niente palmare e ormai in evidente ritardo. Ho solo quindici minuti per arrivare a casa di Amanda ed è meglio che mi sbrighi.
«Senti Tara in caso lo trovassi fallo sapere a Lucy, ti dispiace? Io devo scappare»
«Nessun problema Sue. Ci vediamo lunedì! Buon fine settimana!»
«Anche a te. Mi raccomando divertiti!» e senza trattenermi oltre scappo di nuovo verso gli ascensori. Mentre aspetto controllando l’orologio per l’ennesima volta, continuo a pensare a dove posso averlo lasciato ma proprio non ne ho idea. Possibile che puntualmente, almeno una volta ogni due settimane lo lascio in qualche posto che non ricordo e sempre nel momento meno adatto?
La temperatura nel garage è decisamente più bassa, così mi rimetto il cappotto mentre mi dirigo verso la macchina. Ho le chiavi ancora in mano, faccio scattare le serrature della vettura con il telecomando e in meno di due minuti sono di nuovo in strada diretta verso casa di Amanda.
Solo cinque minuti di ritardo, ma lei è gia alla finestra. La vedo sorridere attraverso i vetri prima di correre ad aprirmi la porta.
Ha compiuto da qualche mese 13 anni. A vederla vestita così adesso ne dimostra qualcuno in più. Come passa il tempo, solo ieri sembrava un pulcino spaventato mentre cercava di essere presa sul serio da noi.
“Come sto?” quasi non mi lascia entrare che gia fa una piroetta su se stessa per farmi vedere il risultato di non so quante ore di preparazione. Penso si svegli all’alba per arrivare puntuale a scuola ormai. “Sei bellissima. Non potevi scegliere meglio.”
“Sei sicura che non sia meglio l’altro?” Segna così velocemente che quasi faccio fatica a seguirla anche io. “Sei perfetta!” Ormai ho capito bene come funziona questa cosa. Ho appena rischiato di aspettarla per mezz’ora mentre si cambia d’abito.
“Vedrai che lascerei Ben senza fiato!” Il loro litigio si è risolto per il meglio dopo quell’invito al cinema, e ora sono diventati ottimi amici, era ovvio che sarebbe stato lui ad invitarla al ballo. Per l’ennesima volta guardo l’orologio. Dovremmo essere gia a casa di Ben, così le dico di mandargli un messaggio e di dirgli che stiamo partendo adesso ed Amanda sembra illuminarsi.
“Dimenticavo! Lucy mi ha fatto sapere che ha ritrovato il tuo palmare e che te lo portava qua!”
“Si è fatto troppo tardi Amanda. Prendi il cappotto, in macchina mandane uno anche a lei e falle sapere che siamo dirette a scuola. Su, avanti! Ben ci sta gia aspettando!”
Lei non se lo fa ripetere due volte, infila il cappotto e dopo aver aperto la porta schizza alla macchina come un razzo.
Ho cercato di pensare al mio primo ballo, e sono felice per lei. Non ho degli ottimi ricordi di quel periodo. I ragazzini sanno essere crudeli a quell’età, ma per Amanda fortunatamente è diverso. Non riesco a non sorridere mentre inserisco l’allarme e chiudo a chiave la porta, lei sta saltellando accanto allo sportello con il suo palmare in mano per avvertire Ben.
Il ragazzino abita a cinque minuti dalla scuola, fortunatamente è di strada, così riusciamo ad arrivare con solo dieci minuti di ritardo. La fortuna è dalla nostra parte, non c’è nemmeno traffico. Prima di parcheggiare li faccio scendere di fronte all’ingresso, evito di entrare con loro. Ho intenzione di tenerli d’occhio, ma possibilmente senza farmi vedere. È un po’ come essere al lavoro, impegnata in una missione di sorveglianza. Prima di scendere dalla macchina mi stringo la sciarpa intorno al collo, si è fatto freddo e continuo a pensare che la gonna e il maglioncino a collo largo non siano stati la scelta più azzeccata per la serata. Comunque ormai i giochi sono fatti, quindi scendo, chiudo la macchina e a passo svelto, o almeno tanto quanto me lo permettono la gonna e le scarpe, mi dirigo verso l’ingresso della palestra.
Nei giorni precedenti al grande evento, come lo definisce Amanda, non mi ha parlato d’altro se non dei preparativi. I festoni, le luci, senza parlare di quello che avrebbero indossato lei e le sue amiche. E devo dire che il risultato che hanno ottenuto in quelle due ore in più in cui si sono fermate a scuola per tutta la settimana è ottimo.
Mi guardo intorno alla ricerca di qualche genitore, o dei professori della scuola e li vedo riuniti intorno al tavolo del buffet, così mentre sciolgo la sciarpa e tolgo il cappotto mi dirigo verso di loro.
Molti dei genitori mi guardano in modo strano vedendomi arrivare, non li biasimo, non mi hanno mai vista. Sono andata a prendere Amanda a scuola un paio di volte, e loro sono abituati a vedere il padre alle riunioni, così mi ritrovo a spiegare la mia funzione nella sua vita, non sono sicura che tutti abbiano capito bene. E non ho torto visto che una delle mamme mi si avvicina chiedendomi da quanto frequento suo padre. Mi scappa quasi da ridere. Uno perché all’inizio si avvicina per parlarmi all’orecchio visto il volume della musica, ritrovandomi così a dover spiegare che io non sento e che ho bisogno di leggere le sue labbra per capirla, ma che se vuole può benissimo utilizzare il linguaggio dei segni come fa con suo figlio. Due perché da quando ho conosciuto il padre di Amanda non ho mai pensato di uscire con lui e sono sicura che l’idea non abbia sfiorato nemmeno lui in tutto questo tempo. Non penso nemmeno di averla convinta più di tanto, ma non posso farci niente, in fin dei conti è la pura realtà dei fatti.
Ad un tratto vedo Amanda che cerca di attirare la mia attenzione, e quando la ottiene comunque mi sfugge la prima parte della frase che mi segna. Vedo solo “…ti aspetta all’ingresso.” E poi si gira senza aggiungere altro. Sicuramente si sta riferendo a Lucy, così mi congedo dalla mamma del suo compagno di classe e mi avvio verso la porta della palestra. Chissà dove era finito. Mi sembrava di aver cercato ovunque in casa, magari era sotto i nostri occhi e non lo abbiamo notato. Abbasso piano la barra della porta antincendio mentre vengo investita da una folata di vento freddo, rabbrividisco al contrasto di temperatura e avvolgo le braccia intorno al corpo per evitare di tremare, cosa che comunque non mi riesce molto bene. Con una mano tento disparatamente di chiudere il collo del maglione che mi lascia scoperte le spalle, ma il tentativo è pressoché inutile quando è la materia prima a mancare. Per un secondo penso di tornare dentro a prendere almeno la sciarpa, ma mi blocco intravedendo la figura in fondo al corridoio. «Jack?» non lo dico abbastanza forte perché lui mi senta, è solo per me, per rendermi conto che quello che vedo la in fondo a sbirciare i corridoi è proprio lui. Come sempre quando sono nervosa mi sistemo la maglia controllando che non faccia grinze. Che ci fa qui? Ad un tratto lo vedo alzare gli occhi su di me e cambiare espressione. Quando rientro a casa devo assolutamente ringraziare Lucy. Gli faccio un cenno con la mano e inizio ad avvicinarmi a lui percorrendo parte del corridoio che ci separa mentre torno a stringere le braccia intorno al mio corpo. Questa volta non lo faccio per il freddo, ma probabilmente solo per fermare quel tremore che sento percorrere le braccia fino ad arrivare alle mani.
Lui al contrario è calmissimo, o almeno sembra. Mi sorride e mi viene incontro facendomi notare l’oggetto che stringe in mano, il mio palmare.
«Ti deve essere caduto dalla borsa quando hai ripreso la sciarpa che ti eri dimenticata.»
«Ecco dov’era quindi! Mi dispiace, spero di non averti rovinato la serata.»
Ci siamo di nuovo. Stiamo fermi uno davanti all’altra senza dire una parola e ci fissiamo. È vero che a volte le parole sono superflue, ma noi due stiamo giocando a questo gioco da parecchio tempo.
«Se per rovinare la serata intendi spegnere la tv e rimettere la cena nel congelatore, beh, ci sei riuscita…» e sorride.
Allungo una mano per prendere il palmare dalla sua, e per una frazione di secondo le nostre dita si sfiorano, ho la sensazione di avvampare, ma faccio finta di niente e gli faccio un cenno verso la porta dietro la quale si sta svolgendo la festa, e dalla quale sono uscita solamente un attimo fa.
«Visto che ormai allora ho sconvolto i tuoi piani…vuoi entrare anche tu? È una festa riservata ma penso di riuscire a farti comparire magicamente nella lista degli invitati.»
«C’è un buffet?»
«Si, mi sembra di averlo intravisto…» mentre gli sorrido iniziamo a camminare per tornare all’interno.
«Aspetta,» e dicendomelo mi prende per il braccio per farmi fermare. «Ma non è che accanto a te poi sfiguro?» Lo osservo per un attimo. Certo non posso dirgli che non avrebbe sfigurato nemmeno se fosse venuto con i pantaloni della tuta e una t-shirt, men che meno visto indossa la camicia di quell’azzurro intenso che gli dona particolarmente. «Se è un modo per farmi un complimento ti ringrazio, ma mi sembra che anche tu non stia niente male.» ricomincio a camminare lasciandolo leggermente indietro, ma poi non resisto e aggiungo «…e poi non vorrai cercarti una fidanzata proprio li dentro. Ci sono solo ragazzine adolescenti e donne sposate, e non mi sembra che siano il tuo genere.»
Lui non ribatte ma accelera il passo dopo aver alzato le spalle e fatto un profondo sospiro gettando gli occhi al cielo, poi mi supera così da arrivare prima di me alla porta della palestra che apre per lasciarmi entrare. Gli sorrido segnando un rapido “grazie”. Sono obbligata a passargli così vicino da sentire il suo profumo. Probabilmente veniamo investiti dalla musica molto alta perché lo vedo fare una smorfia prima di abituarsi almeno un poco al volume.
«ORA MI RICORDO PERCHÉ HO SMESSO DI ANDARE IN DISCOTECA!»
«Puoi fare a meno di urlare!» e lui mi fa capire che non è riuscito a capire quello che ho detto. Così mi avvicino e praticamente glielo urlo all’orecchio «PUOI FARE A MENO DI URLARE! PER ME NON C’E’ DIFFERENZA!»
«IL PROBLEMA…» poi si ferma «il problema è che non mi sento nemmeno io!!» e a questo punto non posso fare a meno di ridere.
Arrivati vicino al buffet presento Jack all’insegnante che più o meno due anni fa mi contattò per parlare alla classe di Amanda. Vista la difficoltà di comunicazione Jack opta per utilizzare il linguaggio dei segni. Se la cava egregiamente ormai e il professor Cain gli fa i complimenti. Li lascio chiacchierare mentre mi avvicino per prendere da bere, e quando mi rigiro lo vedo segnare “Grazie, ho avuto un’ottima insegnante” girandosi poi a guardare me. Gli sorrido e lo ringrazio. A volte mi sembra di fare solamente questo durante la giornata. Guardarlo, sorridergli, ringraziarlo. Cerco con lo sguardo Amanda e Ben e li vedo al centro della pista a ballare con gli altri ragazzi della scuola. Probabilmente sente i miei occhi su di lei perché si gira e mi sorride prima di tornare a parlare mentre ballano. Distrattamente porto alle labbra il bicchiere pieno di una bibita di uno strano colore azzurro e squisitamente analcolico, vista la natura della festa, ma arrivo alla conclusione che avrei preferito dell’acqua. Non so se sia l’effetto del colore o il sapore che non riesco a decifrare. Con il bicchiere ancora in mano torno a guardare i grandi. Jack ha sortito il mio stesso effetto, solo che come al solito il suo ingresso ha accentuato l’attenzione delle signore, sposate o no poco importa. Se dovessi ripensare a tutte le volte che è successa questa cosa…non mi basterebbero le dita delle mani e dei piedi per contarle. Mentre sorrido al ricordo di un meccanico molto intraprendente, mi avvicino al gruppetto per rientrare nella conversazione, e a quel punto ormai chi non lo aveva capito comprende che sono quell’Agente dell’FBI. Non tutti i genitori erano stati contenti del mio intervento alla scuola, ma in fin dei conti ognuno ha il diritto di pensarla come vuole. Questa continua ad essere la mia vita, il mio mondo, e non vedo perché dovrei cambiarlo per far più contenta una parte della comunità rispetto ad un’altra. Posso spiegare le mie ragioni e gli altri hanno il diritto di poterle contestare.
Inizio ad essere stanca. La settimana di lavoro è stata pesante e risento dei tacchi a spillo. Con la scusa di controllare i ragazzi faccio due passi, almeno il dolore ai piedi diminuisce, e getto un’occhiata a Jack per vedere se l’ho lasciato in difficoltà. Sta chiacchierando con la signora che prima credeva che fossi la compagna del papà di Amanda, e lei sembra aver optato per urlargli all’orecchio. Per l’ennesima volta lui mi sorride e io gli segno le mie intenzioni “Faccio un giro della palestra” si, e trovo un angoletto dove sedermi. L’orologio segna le nove e quarantacinque. La serata è ancora lunga, per l’occasione il coprifuoco scatta alle ventitré. Vorrei essere gia a casa. Continuo a sorseggiare questa cosa azzurra solo per occupare un po’ di tempo, ormai mi sto abituando sia al colore che al sapore eccessivamente dolciastro. Finalmente mi siedo. Le gradinate di una palestra non mi sono mai sembrate così comode. Sistemando la gonna riesco anche ad accavallare la gamba, impresa che sembrava impossibile fino a poco fa ma che risulta essere parecchio piacevole. Mi massaggio distrattamente la caviglia mentre guardo i ragazzi e mi tornano alla mente alcuni ricordi non molto gradevoli. Sapevo che in una circostanza come questa sarebbe successo, ma mi rendo anche conto che ho veramente superato quel periodo e che non mi fa più male ricordare i rifiuti del passato. Crescere porta con se dei vantaggi. E io sono stata particolarmente fortunata negli ultimi tre anni. Torno dai miei ricordi perché sento la gradinata sotto di me vacillare leggermente. Non l’ho visto avvicinarsi, ma adesso è seduto accanto a me.
«TI PORTO…» probabilmente la mia espressione la dice lunga sul suo tono di voce perché sorride porgendomi un bicchiere di punch «ti porto le scuse della signora Bowery…»
“Le scuse?” penso di aver capito male perché non so proprio di che cosa si debba scusare con me la signora Bowery. «Si, mi ha detto di chiederti scusa per l’insinuazione che ha fatto prima su te e il padre di Amanda. Non sapeva che fossi fidanzata.» A questo punto penso di essere entrata in un mondo parallelo. “Fidanzata? Io? E con chi? Certo se non è troppo disturbo rendermene partecipe.” Quando inizia a ridere e a bere il suo bicchiere di punch comincio a capire. Questa situazione è più o meno come quella delle sue conquiste, potremmo collezionare le volte in cui ci hanno definiti una coppia. Rido, non posso farne a meno e assaggio il punch che mi ha portato. La bevanda mi fa trovare anche il modo per svicolare elegantemente sul discorso. “Questo non è lo stesso dei ragazzi vero?” Devo avere una faccia abbastanza buffa perché a Jack va quasi di traverso il suo. Appena smette di tossire e ridere contemporaneamente forse riuscirà a rispondere.
«Tranquilla, questo è quello dei grandi. Qualcuno si è ricordato anche di noi fortunatamente.»
“Meno male! Comunque da domani non mi lamenterò più per il caffè dell’ufficio. Hai bevuto quella cosa azzurra?”
«No sono stato salvato in tempo.»
“Il solito fortunato!”
«Gia, non hai tutti i torti visto che sono riuscito a trovare una fidanzata in poco più di quaranta minuti ad una festa piena di adolescenti e donne sposate.» Lo guardo appoggiarsi al gradino dietro di lui prima di lanciargli una delle mie occhiate. Penso che mi vengano veramente bene solamente con lui. “Fortunato tu, ma bisogna sentire lei…” Questa volta sono io ad appoggiarmi comodamente al gradone dietro di me mentre lui mi punta il dito vicino al naso facendolo oscillare. Scoppio a ridere ancora. Come potrei non farlo. Ecco lo stiamo rifacendo. Ci stiamo fissando. Distolgo lo sguardo. O forse lo fa prima lui, non ne sono sicura, so solo che a volte è difficile farlo. Giro lo sguardo verso la pista per osservare i ragazzi. Si stanno divertendo molto, fortunatamente domani è giorno di festa, penso che i genitori faranno fatica a tirarli giù dal letto, troppe emozioni, saranno stravolti.
Quando con lo sguardo torno al buffet vedo la signora Bowery che mi sorride e che mi fa un cenno di saluto con la mano. Rispondo e poi mi giro verso Jack mentre sento che mi circonda le spalle con il braccio destro. «Non vorrai mica deluderla! Due errori di valutazione nella stessa serata, potrebbero essere fatali per la sua autostima.»
E no, questa volta la mia smorfia se la merita proprio, e penso di essere riuscita nel mio intento perché mi risponde con una delle sue e poi mi stringe un po’ di più la spalla mentre saluta la nostra osservatrice al di la della palestra alzando la mano con il bicchiere come a dedicarle un brindisi.
Non posso segnare mentre la signora Bowery ci guarda, così faccio la stessa cosa che ho fatto appena entrati, mi avvicino al suo orecchio e alzo un po’ il tono di voce per farmi sentire da lui al di sopra della musica. «Dici che per lei sarebbe fatale?»
«O si assolutamente, tu non la conosci!»
«Perché tu si vero?» non mi resta che rimanere a guardarlo sorridere perché non aggiunge altro e si gira a guardare i ragazzi sulla pista facendomi un segno con la testa. «Sembra che la mia idea dell’incontro casuale sia servita…»
Seguo la direzione del suo sguardo fino ad Amanda e Ben. Lui deve essere appena andato al buffet perché ha in mano un piattino con dei sandwich e si stanno sedendo ad uno dei tavolini che hanno allestito vicino alla pista. «Ma tu hai mangiato?» mi sono appena ricordata che quando è arrivato mi ha detto di aver rimesso la cena nel congelatore.
«Ho depredato il buffet prima di essere rapito dalla signora Bowery.»
Guardo l’orologio, dobbiamo essere a casa per le ventitré. Il tempo è volato, manca solo mezz’ora. «Devo dire ad Amanda che tra dieci minuti è ora di andare. Ci sono i genitori e i professori da salutare prima di tornare a casa.» Mi alzo e scendo il gradino su cui ero salita per sedermi.
«Ben vorrà accompagnare a casa Amanda. Che dici se vi seguo con la macchina e poi lo porto a casa io? Poi potremmo approfittarne per fermarci a prendere qualche cosa di caldo prima di tornare a casa se ti va.»
«Bella idea, ma offro io questa volta. C’è un nuovo locale nel mio isolato. Sembra che facciano una torta al cioccolato buonissima. Che ne dici?»
«Dico che è impossibile rinunciare ad una fetta di torta!» Si alza anche lui e mi prende il bicchiere di punch dalle mani. «Allora io vado a salutare i professori… e la signora Bowery…» dicendolo mi guarda ridendo, quasi aspettandosi un’altra smorfia «Tu avverti i ragazzi?»
“Va bene” «Ti raggiungo subito, così prendo il cappotto e li aspettiamo fuori.» mi segna un rapido ok e si avvia verso l’altro lato della palestra. Rimango a guardarlo per un attimo mentre se ne va poi mi giro e mi avvicino un poco al tavolo di Ben e Amanda, quel poco che mi basta per attirare l’attenzione. “Tra meno di mezz’ora dobbiamo essere a casa. Vi aspetto fuori tra dieci minuti.” La osservo mentre sono sicura stia pensando di allungare un po’ l’orario, ma sa bene che non lo farò. Abbandona l’idea immediatamente e mi risponde che va bene. La guardo solo un secondo mentre dice a Ben di controllare l’orologio e mi avvio verso il tavolo del buffet. Un paio di genitori se ne sono gia andati portando a casa i figli, quindi saluto brevemente gli altri e prendo il cappotto che mi porge Jack. Riusciamo a svicolare da una discussione che il professor Cain aveva iniziato da poco, ci scusiamo dicendo che dobbiamo portare a casa i ragazzi. Sono sotto la nostra custodia e mi sono impegnata a riportarli a casa all’orario stabilito dai genitori.
In pochi secondi siamo fuori dalla palestra. Improvvisamente mi rendo conto che è quasi Natale. Agli angoli delle strade ci sono gia dei mucchietti di neve caduta a sprazzi nelle settimane precedenti, ma il cielo è compatto, domani o al massimo lunedì, ci potremmo svegliare con una bella sorpresa. Il vento ha smesso di soffiare e non fa più così freddo.
«Ora si che sto meglio.» Jack si chiude la zip del giaccone mentre lo dice. «Ma le nostre feste erano così?»
«Non so le tue, ma le mie sono sempre state silenziose. Esattamente come questa…» gli sorrido mentre questa volta è lui a farmi una smorfia. Io non ho problemi a fare battute sulla mia sordità e ormai quel leggero imbarazzo che c’era stato all’inizio è scomparso anche con loro. Con Myles ancora far finta di non aver capito funziona benissimo però.
«Giuro che non me le ricordavo così. Starò mica invecchiando?»
«Effettivamente ho notato un paio di capelli bianchi, ma non volevo dirtelo per non farti preoccupare. Tra un po’ potresti anche aver bisogno degli occhiali…» non controbatte ma lo vedo trattenersi dal farmi l’ennesima smorfia. «A parte gli scherzi Jack. Grazie per avermi riportato il palmare e… per essere rimasto.» L’ultima parte della frase la pronuncio con un po’ di fatica. Mi guarda. E lo fa intensamente come avviene sempre più di frequente. Stiamo cercando ancora di capire quale debba essere il nostro prossimo passo e fino ad allora penso che queste cose continueranno ad accadere. Ci stiamo ancora guardando quando sobbalzo sentendomi toccare il braccio. Amanda e Ben sono di fianco a noi.
“Complimenti. Siete stati puntualissimi.” Lo dico appena mi riprendo. Fortunatamente succede velocemente.
Jack segna ai due ragazzi la proposta che poco fa aveva fatto a me e loro accettano più che felici per la soluzione per cui abbiamo optato. In fin dei conti che ballo sarebbe se il cavaliere non accompagnasse alla porta di casa la sua dama?
I ragazzi salgono in macchina e io aspetto che si allaccino bene le cinture di sicurezza prima di mettere in moto. Non ci mettiamo molto, dieci minuti e siamo gia di fronte alla casa di Amanda, le luci del piano inferiore sono accese. Suo padre deve essere rientrato. Lo aspetta almeno un’ora di racconto serrato. Jack si è fermato poco distante, quel poco per lasciare ai due ragazzi quella privacy di cui hanno bisogno. Lo vedo scendere dalla macchina e appoggiarsi al cofano. So benissimo che li sta osservando con la coda dell’occhio, proprio come sto facendo io nascosta nella penombra dell’automobile.
Guardo Ben che si avvicina e le da un bacio sulla guancia, poi vedo Amanda correre verso la porta di casa che si sta aprendo. Scendo per fare un cenno di saluto al papà poi seguo con gli occhi il ragazzo che si dirige verso la macchina di Jack. Lui gli sta gia aprendo la portiera dell’automobile.
“Ti aspetto sotto casa?”
“Sono li in quindici minuti.” Gli sorrido prima di risalire in macchina e partire. Certo che andare a mangiare una fetta di torta alle unici e mezza di sera…
Trovo un parcheggio a due passi da casa. Chiudo la macchina e mi avvio verso il portone controllando di aver preso tutto. Mi accorgo di un messaggio sul palmare, è Lucy.
Mi ringrazierai domani mattina…non ti aspetto alzata…Buona notte!
Sorrido scuotendo la testa, il messaggio risale a poco dopo che Jack me lo ha consegnato, è riuscita anche a calcolare i tempi perfettamente.
Lui mi sta gia aspettando davanti al portone. «Ma come hai fatto!»
«A volte può succedere un miracolo…» e sorride facendomi strada con il braccio.
Camminiamo veloci, la temperatura sta scendendo ulteriormente. Il locale comunque è dietro l’angolo e ci mettiamo solo un paio di minuti ad arrivare. «Più che una fetta di torta al cioccolato, ho bisogno di una cioccolata calda.»
«Bollente sarebbe meglio.» lo dice mentre si soffia aria calda sulle mani e fa un cenno ad una cameriera. La ragazza arriva rapidamente e ci porta ad un tavolo.
«Bel posto vero?»
«Si, e se i dolci sono buoni solo la metà di quanto sono belli sarai costretta a passare spesso di qui per portare le ciambelle in ufficio.»
«Vedo che non ti è sfuggito il bancone…»
«Certo che no. So quante persone ci sono qui dentro, ho gia individuato le possibili uscite e potevo non notare quelle meraviglie?» sorride indicando il banco con il pollice.
«Giusto.»
Due cioccolate bollenti arrivano dopo pochi minuti dalla nostra ordinazione e per la gioia di Jack vengono accompagnate da dei deliziosi biscottini. « Non avevi depredato il buffet al ballo vero?»
«Non sono mai stato bravo come ladro, è per quello che sono entrato nell’FBI. Solo un paio di tramezzini.»
«E io che pensavo fosse a causa dell’hokey!»
Il tempo passa sempre troppo veloce quando ci si diverte, è proprio vero. Quando guardiamo l’orologio è mezzanotte e mezza passata. Fortuna che domani è sabato…ma da Levi comunque non ho scampo. Esco per prima dal locale, e rimango affascinata da quello che vedo. «Jack! Sta nevicando!» Mi sento come una bambina. Washington è gia una bella città, ma sotto la neve…la coltre bianca rende tutto ancora più bello anche se non lo credi possibile. Dopo il primo momento di stupore vengo assalita dal terrore…casa sarà anche a due passi, ma riuscire ad arrivarci sarà un’impresa. Altro che ringraziare Lucy, domani mattina…
Jack mi appoggia una mano sul braccio per richiamare la mia attenzione che era completamente assorbita dall’osservazione delle mie scarpe. «Penso sia meglio che approfitti del braccio.» Lo guardo mentre me lo porge piegato.
«Penso proprio che non me lo farò ripetere due volte.» e mi appoggio a lui per fare il primo passo sulla neve. Ci metto un attimo a trovare un certo equilibrio e appena acquistata un po’ di sicurezza mi rendo conto di quanto siamo vicini, e di quanto gli stia stringendo il braccio per mantenermi in piedi.
«Scivola?» me lo chiede con un sorriso divertito. Non ha tutti i torti, devo avere un’espressione particolarmente assorta, ma come moto di ripicca raddrizzo la schiena e assumo un’espressione sicura «Non quanto mi aspettassi…» e lo dico troppo velocemente perché un tacco non fa aderenza sulla superficie del marciapiede e per poco non ci ritroviamo a terra entrambi.
Ok. E adesso? Se consideravo quella di prima una vicinanza, ora? Praticamente sono tra le sue braccia…«Si, scivola…» non so con che tono mi sia uscito. E non lo voglio nemmeno sapere…so solo che ho il cuore che mi martella nel petto, e ho fatto particolare fatica a deglutire, non so perché ma non penso sia per lo spavento. Inizio a ridere quando un ragazzo ci passa di fianco e si gira a guardarci. Fa una faccia strana, scuote la testa e ride. Con un po’ di fatica ritrovo l’equilibrio tenendomi saldamente ancorata a Jack.
«Tutto ok?»
«Non te lo dico. Altrimenti rischio di ritrovarmi a terra.»
«Ci riproviamo?» a pensarci bene potrei anche rimanere così, ma naturalmente non ho l’intenzione di dirlo.
«Riproviamo…» Camminiamo con calma facendo estrema attenzione. La nevicata si sta intensificando e tutto si sta facendo più ovattato. Sembra di essere stati quasi catapultati nella pagina di un libro di fiabe. È proprio vero, la neve è magica.
Abbiamo camminato in silenzio scambiandoci alcune occhiate, soprattutto divertite visto che dopo lo scivolone iniziale ho rischiato di cadere almeno un altro paio di volte.
«Eccoci qua…»
«Gia…eccoci qua…» lo guardo togliendomi un po’ di neve dal cappotto «Grazie per avermi portata a casa sana e salva…» lui mi sorride abbassando la testa. Ok, ci siamo…è ora di andare…buona notte…smettila di pensare Sue! Quando lo farai sarà sempre troppo tardi! Da quando ho iniziato a parlare a me stessa in terza persona? Da quando vorrei che tutto fosse semplice come a tredici anni?No, non era semplice nemmeno allora.
«Allora….»
«…allora…»
«…buona notte.»
«Buona notte…» gli rispondo prendendo le chiavi di casa dalla borsa. «Grazie ancora per la serata…» e mi giro per aprire il portone d’ingresso.
«A lunedì…» sorrido facendo un passo all’interno. Trattengo per un attimo il portone, ho come l’impressione che voglia aggiungere altro, ma alla fine alza una mano in segno di saluto e io lo lascio richiudersi. “‘notte, e vai piano. Le strade saranno ghiacciate…” lo segno visto che ormai parlare sarebbe inutile…vorrei essere io ad aggiungere qualche cosa, magari il portone a vetri mi potrebbe dare una mano, ma non lo faccio. Lo guardo solo segnarmi l’ennesima buona notte poco prima di nascondere nuovamente le mani in tasca. Ho ancora l’impressione che mi abbia detto qualche cosa che mi è sfuggita perché vedo condensarsi davanti alla sua bocca una nuvoletta poco prima che si giri per andarsene, ma forse è stata solo un’impressione…

FINE

  
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