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Autore: Kitri    10/02/2013    14 recensioni
"Ancora una volta il ragazzo non rispose. Si limitò a seguire con gli occhi quella meraviglia, che passando davanti al suo tavolo non si era sottratta ad un nuovo gioco di sguardi, regalandogli l’ultima intensa emozione".
Un colpo di fulmine e una serie di coincidenze, un amore che porterà i due protagonisti a riscoprire se stessi.
La mia prima fanfiction!
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mamoru/Marzio, Usagi/Bunny | Coppie: Mamoru/Usagi
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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Sei le sbarre al mio silenzio 
Sei il nemico andato via 
Mille volte l'unica poesia 
Sei la cella e il prigioniero 
L'illusione che cadrà 
Mille volte l'unica realtà 
Tu sei l'alito che guida 
Le mie dita su di te

sei il respiro dentro ai miei Perché 
Sei la prossima parola 
Sei la voce calma che 
Dà la forza a tutti i miei Perché 
Tu sei l'inverno in fondo al cuore 
Sei l'estate che non c'è 
Tu sei la via che passa dentro me
.
 
 
 
 
 
    1. LUI
     
     
     
    «Oh, buongiorno, dottore! Ha il turno di mattina oggi?» esclamò l’infermiera, piacevolmente sorpresa nel vederlo entrare.
    «Piccolo cambiamento dell’ultima ora! – le rispose lui sorridendo e continuando a camminare a passo svelto – Oggi sei con me. Preparati! Tra venti minuti iniziamo il giro».
     
    Mamoru Chiba, 30 anni, neurochirurgo, secondo anno da strutturato nell’ospedale principale della Capitale. Intelligente, brillante, appassionato, era stato il migliore della sua classe di specializzazione. Figlio di uno dei più importanti cardiochirurghi del Paese, la strada della sua vita sarebbe stata certamente in discesa, se solo l’avesse voluto.
    Il dottor Hiroshi Chiba, infatti, aveva già deciso da tempo che il figlio avrebbe seguito le sue orme, diventando anch’egli cardiochirurgo. Una volta che lui fosse andato in pensione, Mamoru avrebbe poi preso il suo posto e ne avrebbe continuato il lavoro di ricerca.
    Ma al ragazzo tutti questi programmi, fatti senza il proprio parere, non andavano giù. Ci mancava solo che suo padre decidesse anche con chi avrebbe dovuto sposarsi e passare il resto della sua vita!
    Così, a soli diciott’anni, decise di prendere le distanze dall’ingombrante figura paterna e di andare a studiare medicina nella Capitale.
    Come c’era da immaginarsi, il genitore non approvò e, prima che il ragazzo partisse, padre e figlio ebbero una violenta discussione. Se Mamoru non voleva seguire quello che lui, dall’alto della sua esperienza, riteneva più giusto per la sua carriera, allora non l’avrebbe aiutato in alcun modo perché, da quel momento, Hiroshi Chiba non aveva più un figlio.
    Mamoru non poteva permettere che quel dittatore di suo padre continuasse a gestire la sua vita e a scegliere al suo posto. Non si fece intimorire dalle sue minacce e partì lo stesso, con quei pochi soldi che era riuscito a mettere da parte e che gli sarebbero stati utili nei primi mesi.
    La vita da studente di medicina, solo e squattrinato, in una città sconosciuta, non fu semplice, soprattutto nel primo periodo. La mattina seguiva i corsi all’università, il pomeriggio lavorava come cameriere in un bar e di notte studiava sacrificando ore di sonno.
    Piano piano, col tempo, le cose erano migliorate. Si era ambientato nella nuova città, aveva stretto nuove amicizie e aveva lasciato il bar per lavorare come modello per un’agenzia pubblicitaria, impiego meno faticoso e sicuramente molto più redditizio.
    Era felice come non lo era mai stato. Per la prima volta era libero e aveva il pieno controllo della propria vita. Non aveva alcun rimpianto del passato, pur avendo tagliato completamente i rapporti con suo padre.
    «Un banale caso di omonimia» rispondeva a chi notava con stupore il suo cognome.
    Continuava, però, a sentire sua madre che, per timore della reazione del marito, lo chiamava di nascosto, appena poteva.
    «Sai, - gli disse la donna durante una telefonata – tuo padre è rimasto di sasso quando ti ha visto su quei cartelloni pubblicitari. Non ha detto più una parola. Credo che gli manchi molto».
    Mamoru scoppiò a ridere.
    «Io credo piuttosto che gli sia venuto un colpo al pensiero di cosa avrebbero detto i suoi illustri colleghi! “Il figlio del grande Hiroshi Chiba mezzo nudo su una volgare pubblicità!”» aveva risposto alterato a sua madre.
    «In ogni caso – continuò – quel lavoro è ben retribuito e mi permette di pagare le spese universitarie e di affitto. Qualunque cosa pensi tuo marito non mi interessa. Lui non ha più un figlio, io non ho più un padre!».
     
    Così, in dodici anni, era riuscito a realizzare con grandi sacrifici tutti i suoi sogni. Da solo!
    Era diventato un chirurgo eccellente e tra qualche anno, forse, anche primario di chirurgia.
    «La carriera prima di tutto!» rispondeva a chi, fin troppo spesso, gli faceva notare, però, la mancanza di una donna fissa al suo fianco.
    Già, le donne! Mamoru aveva una propria filosofia a riguardo. Perché accontentarsi di una sola, quando poteva avere tutte quelle che voleva, senza neanche chiedere?
    Alto, moro, occhi blu profondi, sorriso disarmante, viso perfetto e un corpo statuario. Bello, maledettamente bello. E perfettamente consapevole delle proprie armi.
    Quante ce n’erano state negli ultimi anni?
    Neanche lo ricordava. Ma in fondo che importanza aveva?
    Nel suo letto entravano donne bellissime e disponibili. Massimo piacere col minimo sforzo, nessun coinvolgimento, nessuna noia. E poteva così dedicarsi liberamente al suo lavoro, alle sue passioni, ai suoi amici. Non aveva alcuna voglia di crearsi una famiglia e permettere a un’altra persona di interferire con quanto aveva costruito al costo di mille sacrifici.
    «La mia vita è perfetta!» continuava a ripetere.
    E amava convincersi che fosse realmente così.
     
    Quella mattina, Mamoru era arrivato in ospedale in ritardo e continuava a camminare spedito per recuperare qualche minuto. Borsa a tracolla, con la mano sinistra reggeva il casco e la giacca, con la destra il quotidiano al quale gettava qualche occhiata furtiva di tanto in tanto.
    “Niente caffè, rimandiamo a dopo” pensò passando davanti al distributore automatico.
    Arrivò alla fine del corridoio, raggiunse l’ascensore e con uno scatto riuscì a entrarvi, prima che le porte si richiudessero.
    Durante il lento tragitto verso i piani superiori, rilesse con maggiore attenzione i titoli della prima pagina.
    Finalmente, l’ascensore arrivò al quinto piano e si fermò. Le porte si aprirono e lui alzò lo sguardo dal giornale, pronto a riprendere la corsa contro il tempo.
    Ma fu proprio in quel momento che li vide.
    Due meravigliosi occhi azzurri, limpidi e cristallini come i mari esotici che si vedono su quei cataloghi che promettono vacanze paradisiache.
    Fu un attimo in cui tutto si bloccò. Il suo corpo, il suo cuore, la sua mente.
    “Wow!" pensò mentre si immergeva in quel mare caldo e sereno.
    Fu solo un attimo, anche se eterno e bellissimo.
    “Ritorna in te, Chiba!”.
    A fatica abbassò lo sguardo da quegli occhi sconosciuti e uscì dall’ascensore. Sorrise tra sé, scuotendo la testa.
     
    Come una furia, entrò nello spogliatoio dei medici e aprì il suo armadietto. Velocemente indossò la divisa blu da chirurgo e il camice bianco, prese lo stetoscopio e lo appoggiò intorno al collo.
    «Caffè, Chiba?» chiese la voce di una donna, che entrava in quel momento nella stanza.
    «Tempismo perfetto, Tenou!» le rispose lui, allungando il braccio per afferrare la bevanda.
    «Sei in ritardo, Mamoru! In quale letto ti sei risvegliato stamattina? Quello della nuova pediatra? Setsuna Meiou, se non sbaglio» lo prese in giro la ragazza.
    «Ah, ah! Ti hanno mai detto quanto sei simpatica, Heles? Mi hanno avvisato del cambiamento di turno solo un’ora fa - rispose lui accigliato – E poi lo sai che non mi piace dormire in compagnia. Vorrei evitare di rammentarti che l’unica volta che è capitato non ero lucido» continuò allusivo.
    «Infatti, evita! – esclamò la donna seccata, afferrando l’allusione – Comunque, sei evasivo come al solito, Mamoru. Non hai risposto alla domanda» continuò lei.
    «Sono un gentiluomo, non parlo della mia vita sentimentale» disse lui con un sorriso ironico.
    «E da quando avresti una vita sentimentale, tu? Mi sono perso qualcosa?» domandò un altro medico entrando.
    Heles scoppiò a ridere. Mamoru guardò entrambi fingendosi infastidito dal loro stupido sarcasmo.
    «Comunque, parlando di cose serie, – continuò il dottor Furuhata – visto che entrambi siete liberi stasera, che ne direste di una birra al Crown? Domani parto con Reika. Starò via un paio di settimane e mi piacerebbe passare la serata con i miei migliori amici».
    «Ah, bene, Motoki! E dov’è che andrete?» chiese Heles curiosa.
    «Polinesia» rispose soddisfatto, mostrando da un depliant l’immagine del mare cristallino polinesiano.
    Mamoru guardò quella foto, sgranando gli occhi stupito.
    Per un attimo gli venne in mente quel paio di meravigliosi occhi azzurri che aveva incrociato pochi minuti prima. Quel mare era esattamente ciò che aveva visto in essi. Quando si dice le coincidenze! E non poté fare a meno di ridere come uno stupido.
    «Che hai?» gli chiese l’amico perplesso.
    Mamoru scosse la testa continuando a ridere.
    «Niente, niente!».
    «Ormai è andato!» esclamò Heles con disappunto, mimando un gesto di saluto con la mano.
    «Probabile. - disse Mamoru e, schioccando un rumoroso bacio sulla guancia dell’amica, continuò - Io vado, i miei pazienti mi aspettano. Ci vediamo stasera alle sette al Crown».
     
    Motoki Furuhata e Heles Tenou erano i due migliori amici di Mamoru. Chirurgo plastico lui, chirurgo ortopedico lei, li aveva conosciuti entrambi al primo anno di università e da subito erano diventati praticamente inseparabili, quasi come fratelli. Avevano condiviso tutte le esperienze degli ultimi dodici anni, dall’università alla specializzazione, e si conoscevano alla perfezione.
    Con Motoki aveva condiviso il vecchio appartamento per parecchi anni, fino a quando non era arrivata Reika, la sua attuale moglie. Lui era tra quelli che non comprendevano il modo in cui Mamoru si relazionasse con le donne: possibile che a 30 anni non avesse mai sentito il desiderio di amare una donna e di crearsi una famiglia?
    Heles, invece, non lo criticava, lo accettava e basta. Lei era molto più simile a lui, spirito libero e anticonformista. Quante sere avevano passato insieme fuori casa a divertirsi e ubriacarsi, mentre Motoki era già a letto da un pezzo!
    Era una bella ragazza, molto alta, capelli corti biondi, occhi blu, e lui la adorava. La considerava l’unica donna che potesse essere una presenza costante nella sua vita.
    La loro era solo una grande amicizia, non c’era mai stato niente ... o meglio, niente eccetto un’unica notte di sesso sfrenato, ubriachi fradici dopo una serata di bagordi. Avevano passato il giorno dopo a riderne come matti e si erano giurati che non sarebbe accaduto mai più, perché era stato decisamente un ridicolo sbaglio. E poi Heles era già fin troppo incasinata con la sua fidanzata Michiru. Ci mancavano solo altri casini col suo migliore amico, tra l’altro un uomo, il primo e unico della sua vita!
     
    Quella sera, si incontrarono come previsto al Crown, una birreria a pochi passi dall’ospedale, frequentata principalmente da medici e infermieri.
    Il locale non era molto affollato, anzi, era piuttosto tranquillo rispetto al solito.
    I tre amici occuparono un tavolo e ordinarono delle birre. Chiacchierarono del più e del meno, scambiarono informazioni sulle loro rispettive giornate in ospedale, parlarono del viaggio in Polinesia. Poi, la suoneria di un cellulare li interruppe e Motoki, scusandosi con gli amici, uscì dal locale per poter parlare con la moglie senza disturbi alla linea.
    E fu proprio in quello stesso istante che Mamoru la notò.
    Seduta al bancone, una ragazza dai lunghi capelli biondi sembrava pensierosa e annoiata, mentre con la cannuccia giocava con il ghiaccio nel bicchiere che aveva davanti a sé. Indossava dei leggins neri e un maglione grigio perla che le lasciava una spalla scoperta.
    Mamoru non riusciva a vederla bene, ma aveva un’aria familiare. Dove l’aveva già vista? Poi, all’improvviso, come se lei avesse deciso di sciogliere ogni suo dubbio, si era girata facendo ruotare lo sgabello su cui era seduta.
    Per un istante infinito i loro sguardi si incrociarono.
    Era lei! La ragazza dell’ascensore, la proprietaria degli occhi color del mare, in cui proprio quella mattina Mamoru si era tuffato.
    Per la seconda volta in quella giornata pensò “Wow!”.
    Era davvero bellissima. Semplice, delicata, stupenda.
    Il suo cuore sembrava impazzito e quasi gli mancava il respiro.
    “Ma cosa mi prende?” si chiese preoccupato per la sua insolita reazione.
    Poi lei aveva distolto gli occhi, forse imbarazzata o infastidita, e ora continuava a guardarsi intorno come se aspettasse qualcuno. Ma per un paio di volte aveva incrociato ancora lo sguardo di Mamoru, che era come incantato e non riusciva a smettere di contemplarla.
    «È molto bella!» esclamò Heles.
    La sua voce riportò il ragazzo alla realtà.
    «Cosa?» chiese all’amica fingendo di non aver capito.
    «La ragazza che stai fissando come un cretino da almeno dieci minuti. È molto bella!– rispose lei – Ma lascia perdere, non è il tuo tipo! Quelle come lei sono pericolose».
    Mamoru rimase in silenzio fissandola con aria interrogativa.
    «Bella, fine, con quell’aria ingenua e indifesa: sono quelle come lei che fanno più male. E senza che tu te ne accorga ti mettono in catene» continuò Heles.
    «Come Michiru?» la stuzzicò Mamoru.
    «Come Michiru! – disse la ragazza seria, senza rispondere alla provocazione dell’amico - Comunque viso stupendo, belle tette e gran bel culo!» concluse ammiccando e buttando giù un lungo sorso di birra.
    A quest’ultimo commento Mamoru non poté fare a meno di ridere.
    «Sei peggio di un uomo, Heles! Come hai fatto a notare certi particolari se è lì seduta e non si è ancora mossa?».
    «Semplice, mio caro. – spiegò lei con naturalezza sollevando le spalle - L’ho notata molto prima di te, appena è entrata».
    Mamoru scosse la testa incredulo continuando a ridere, volgendo poi uno sguardo furtivo verso la ragazza bionda.
    «Ti ha proprio fulminato, vero Chiba?» insinuò Heles con un sorriso sornione, avvicinandosi di più al ragazzo.
    «Ma cosa dici? – esclamò Mamoru cercando di dissimulare l’imbarazzo – È bella, questo senza dubbio, ma niente di diverso da altre mille ragazze che non abbia già visto e toccato» aggiunse con un tocco di presunzione.
    «Niente di diverso? – chiese Heles che aveva capito fin troppo bene di aver fatto centro – Sei tu che sei diverso, mio caro dottore! Sono anni che ti conosco e non ti avevo mai visto mostrare tutto questo interesse per una donna».
    Mamoru, però, non rispose. Sapeva che era inutile continuare a fingere con la sua amica.
    «In ogni caso, stiamo sprecando fiato. È già impegnata!» disse ancora Heles, voltandosi a guardare l’oggetto della loro discussione che si dirigeva verso l’uscita abbracciata a un uomo.
    E ancora una volta il ragazzo non rispose.
    Si limitò a seguire con gli occhi quella meraviglia, che passando davanti al suo tavolo non si era sottratta a un nuovo gioco di sguardi, regalandogli l’ultima intensa emozione.
     
  
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