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Autore: Lady Idril    10/02/2013    0 recensioni
Uscendo si rese conto di stringere qualcosa e aprì la mano: una squama verde smeraldo. E la mano era la destra, la stessa che aveva usato per aggrapparsi e non cadere, la stessa della spalla che doleva… Dunque non l'aveva sognato? Aveva veramente cavalcato il drago? E perché era a casa sua e non nel regno dei nani? L'ancella dovette chiamarla ripetutamente, di nuovo, prima che la ragazza si riprendesse dallo shock.
Elinor si affrettò a nascondere l'oggetto fra le pieghe dell'abito e si diresse verso le stanze reali.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sogno o realtà?

 

Era l'alba, l'aria era pungente e soffiava una leggera brezza che faceva ondeggiare le fronde degli alberi.

Il cielo andava tingendosi di rosa e la luna sbiadiva, fuggendo ai primi raggi del sole. 

Lentamente, gli animali uscivano dalle loro tane, ripopolando i boschi delle Terre dell'Ovest, la terra dei fiumi impetuosi e dei laghi silenti. Era la più incontaminata delle quattro terre di Evêndrïl e gli Elfi la popolavano; creature sagge e longeve, gli Elfi vivevano in perfetto equilibrio con la natura. Ne rispettavano le leggi e i tempi.

Da secoli avevano trovato rifugio fra gli alberi, le loro grandi gesta passate si perdevano ormai nella notte dei tempi, venendo talvolta fatte rivivere intorno ai falò nelle notti d'estate. Tutto ciò che rimaneva del loro passato, e che evitava a questo di diventare leggenda, era l'armatura del Re Melidor, il sovrano che più di tutti aveva apportato gloria al popolo elfico.

Si trovava esattamente al centro della Reggia, in una stanza circolare, senza finestre, dove la luce entrava da una cupola di cristallo che sovrastava un ampio soffitto a volta; quando i raggi di luna facevano capolino, l'armatura riluceva di un bagliore argenteo, mentre il diamante incastonato nell'elsa della spada splendeva come una stella.

Era qui che spesso la giovane Elinor si rifugiava, per sfuggire ai suoi doveri di futura regina e per fantasticare sulle imprese che avrebbe compiuto, con il suo fedele arco e la spada dell'antico Re. I suoi genitori non le avrebbero mai permesso di partire, o almeno non con queste intenzioni, ma non le importava. Era disposta a fuggire, si sarebbe fatta strada da sola.

Quella mattina non aveva intenzione di farsi vedere, tutti sarebbero stati indaffarati con i preparativi per il Solstizio d'Inverno e nessuno si sarebbe accorto della sua assenza.

Si sedette sul pavimento, la schiena appoggiata al muro, e prese ad osservare quel gioiello d'oro e d'argento che le stava davanti. Un giorno l'avrebbe indossato, lo sentiva. Leggera come una pergamena ma impossibile da scalfire, quell'armatura non aveva eguali in tutto il mondo conosciuto.

Elinor chiuse gli occhi, inspirò quanta più aria poteva, ed espirando lentamente si lasciò andare all'immaginazione.

Volava. Sentiva l'aria fra i capelli, le sferzate gelide del vento sul viso. Riaprì gli occhi e si guardò intorno: era in alto, più in alto delle querce più elevate, allungando una mano avrebbe potuto toccare le nuvole; ci provò, si allungò, ma si tese troppo in avanti, rischiando di perdere l'equilibrio e cadere nel vuoto. Presa dal terrore, si aggrappò a ciò che la sosteneva. Ma cosa la stava trasportando? Per lo stupore del trovarsi tanto in alto non se n'era resa conto, così rivolse lo sguardo davanti a sé. Un drago, un meraviglioso esemplare la stava portando in groppa. Ne vedeva la testa, con piccole orecchie appuntite, e il collo possente. Tutto il corpo era ricoperto di squame, verdi smeraldo screziate di blu e azzurro. Le ali contrastavano con l'imponenza dell'animale, erano enormi, ampie, ma sottili come carta di zucchero, tanto che si potevano vedere le vene dove scorreva il sangue blu di quella creatura più unica che rara.

La cavalcatura seguiva le correnti, elegante, senza fare una sola virata brusca; sotto di lei le Terre dell'Ovest erano più belle che mai, finalmente riusciva a vederle nella loro vastità, con i loro boschi fitti e i corsi d'acqua cristallini e incessanti.

Di fronte a lei, in lontananza, si stava delineando qualcosa di immenso avvolto nella nebbia e più vi volavano incontro, meglio ne distingueva i contorni: erano le grandi montagne del Kürin-Dähl, che nella lingua dei nani voleva dire Gigante di Roccia.

All'interno di quella catena montuosa viveva e prosperava la stirpe nanica, fra gemme e metalli preziosi.

Elfi e nani non erano mai andati molto d'accordo, o così dicevano i vecchi bardi. Lei non ne aveva mai incontrato uno, sapeva che erano piccoli di statura, ma forzuti e muscolosi, e con barbe folte. Le era stato raccontato che erano burberi, beoni, testardi e avevano un ottimo fiuto per gli affari, ma prima di essere d'accordo con queste descrizioni voleva conoscerli.

Stava ancora rimuginando su quali ragioni potesse avere un drago nel portarla sulle rocce quando si sentì chiamare, una voce lontana, quasi un soffio, che si fece sempre più forte fino a che, sentendosi scuotere leggermente, si risvegliò. "Lady Elinor, vostra madre vi aspetta nelle sue stanze. È urgente".

Avevano scoperto il suo nascondiglio, sarebbe stata costretta a trovarne un altro se voleva continuare a stare da sola, in pace, con i suoi pensieri.

Si alzò di malavoglia, aveva le membra intorpidite e fitte alla spalla destra, come se avesse fatto un movimento brusco; il sole era alto nel cielo e i raggi cadevano dritti al centro del salone.

Uscendo si rese conto di stringere qualcosa e aprì la mano: una squama verde smeraldo. E la mano era la destra, la stessa che aveva usato per aggrapparsi e non cadere, la stessa della spalla che doleva… Dunque non l'aveva sognato? Aveva veramente cavalcato il drago? E perché era a casa sua e non nel regno dei nani? L'ancella dovette chiamarla ripetutamente, di nuovo, prima che la ragazza si riprendesse dallo shock.

Elinor si affrettò a nascondere l'oggetto fra le pieghe dell'abito e si diresse verso le stanze reali.

  
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