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Autore: HighByTheBeach    10/02/2013    1 recensioni
"Christine adesso vede la verità, in quello specchio. Vede se stessa per quello che è, e disprezza quello che vede. Vede una donna che a 30 anni non ha niente. Per mantenersi deve vendere la propria immagine alterata e finta, ed è sola. Sola, come la lacrima che in questo momento le riga la guancia destra."
Piccola One-Shoot che mi è venuta all'improvviso, spero gradiate. Mi piacerebbe leggere i vostri commenti, visto che tocca alcuni argomenti molto delicati e forti.
(Titolo tratto da una canzone degli Evanescence, dalla quale ho preso spunto per questa fanfiction.)
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Il rumore dei suoi tacchi, picchiettando sulle scale del condominio, rimbombano tra quelle pareti bianche così anonime, così opprimenti. Quel rumore è l’unico che si possa percepire. Christine odia quel posto. Quando era una bambina sognava di vivere in una grande villa, e invece eccola lì, in uno squallido condominio di periferia, a fare la modella. La paga non è altissima, la compagnia per la quale lavora è ormai prossima al fallimento, e quel piccolo bilocale è tutto ciò che può permettersi.
Dopo pochi istanti Christine arriva di fronte alla propria porta di ingresso, inserisce la chiave nella serratura, e dopo un paio di giri si apre. Una volta dentro Christine è sollevata, è finalmente al riparo dal freddo esterno. Si toglie le scarpe, e finalmente anche i piedi possono tirare un sospiro di sollievo. Dopodiché si reca al bagno, accende la luce e si mette di fronte allo specchio. Non riconosce subito ciò che vede. Di fronte a lei c’è un’altra donna. Le labbra rosso fuoco, le gote colorate e gli occhi azzurri coperti di mascara le donano l’aspetto di una donna forte e bellissima. Quel viso sembra non avere alcuna imperfezione. I capelli castani, leggermente mossi, contribuiscono a darle quell’aspetto così fiero, un aspetto che è sempre appartenuto a quelle donne arrivate, quelle donne che hanno raggiunto tutti i propri obbiettivi, che hanno realizzato i propri sogni e che ormai hanno tutti i motivi per poter sorridere, sorridere davvero.
 
Lei non è quel tipo di donna.
 
Prende una spugnetta, e inizia a pulirsi il viso, iniziando a sciogliere quella maschera. Quando Christine è a lavoro, costretta a conciarsi in quel modo, si sente come se si stesse nascondendo dietro una menzogna. Perché lei non è la donna dallo splendore inarrivabile che vede allo specchio, lei è l’opposto. Man mano che il mascara scompare dal suo volto, anche i suoi occhi si spengono. Le labbra, che prima erano di un colore rosso acceso e sembravano gonfie e seducenti, ora non sono altro che due linee rosee disegnate su quel volto atono. Le gote, ormai prive di trucco, si rivelano scavate, proprio come la parte inferiore degli occhi.
Christine si guarda allo specchio, e adesso si riconosce. Ha quasi 30 anni, tra due settimane è il suo compleanno, e probabilmente non le arriverà nemmeno un sms di auguri. Sono 6 anni che  si è trasferita, ha perso ogni contatto con le proprie amiche. Probabilmente sua madre sarà l’unica a telefonarle.
Christine adesso vede la verità, in quello specchio. Vede se stessa per quello che è, e disprezza quello che vede. Vede una donna che a 30 anni non ha niente. Per  mantenersi deve vendere la propria immagine alterata e finta, ed è sola. Sola, come la lacrima che in questo momento le riga la guancia destra. Christine si sente una nullità. Sa che, se morisse, probabilmente nessuno se ne accorgerebbe. Il padre non sa neppure della sua esistenza, mentre la madre penserebbe che abbia semplicemente perso il cellulare. Christine è niente, è una spettatrice che osserva il mondo avanzare, mentre lei resta lì, inerme, in un angolo. Christine si odia, perché pensa di essere debole. Pensa di non essere stata in grado di realizzarsi. Pensa di essere una delusione per sua madre, alla quale mente, sempre. Ora perfino la lacrima sul suo volto non è più sola. Adesso ce ne sono altre a farle compagnia. Christine si ritrova ad essere invidiosa delle proprie lacrime.
 
Christine si avvicina al gabinetto, per poi accovacciarsi. Con una mano si raccoglie i capelli dietro la testa, e con l’altra si infila due dita in gola, provocandosi un lungo conato di vomito. Christine deve rimanere magra, altrimenti perderà il lavoro. Oggi ha mangiato troppo, non può permetterselo. Christine non ricorda nemmeno l’ultima volta che si è concessa una cena decente.  Decide di provocarsi un secondo conato, non essendo del tutto sicura di aver espulso il massimo. Dopodiché si rimette in piedi, con la gola in fiamme e il petto dolorante. Si pulisce la bocca col dorso della mano, per poi sciacquarsi.
 
Apre il cassetto vicino il lavandino, e dopo averci scavato un pò finalmente trova ciò che sta cercando. Torna di fronte allo specchio, e si alza le maniche, esponendo i propri polsi, ricoperti da varie cicatrici. “Colpa del gatto” ha spiegato al fotografo. Quest’ultimo ovviamente ci ha creduto, senza porsi troppe domande. Photoshop fa miracoli del resto. Lui non sa che la scusa del gatto è la più vecchia del mondo, e che Christine neanche ce l’ha un gatto.
Ora Christine tiene salda la lametta, presa dal cassetto, tra le dita, e la porta sulla pelle nuda del polso. Il contatto con quella lama così fredda le provoca un piccolo brivido, un brivido che le è ormai familiare. Dopodiché affonda la lama nella pelle, praticando un’incisione di diversi centimetri. Christine si morde il labbro, e sente il dolore farle vibrare le ossa. Per un attimo si sente appagata. Non tanto per il dolore, ma per la consapevolezza di essere padrona di se stessa. La vita le procura dolore indesiderato, ma lei sa di poter essere padrona del dolore, di poterselo infliggere. Sa che un taglio più profondo potrebbe esserle fatale, e questo le dona una scarica di adrenalina. Ripete l’operazione anche sull’altro polso, e prova le stesse sensazioni. Il sangue sgorga dai tagli, deturpando l’immacolato biancore di quel lavandino.
 
Christine si sente inutile. Ogni sera prega di avere il coraggio necessario ad incidere più profondamente, ma non ci riesce. Beh, domani è un altro giorno. Domani, magari, troverà il coraggio.

  
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