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Autore: SilviAngel    10/02/2013    4 recensioni
Era piccolo piccolo, con gli occhioni grandi e luminosi spalancati e mai fermi, Derek pensò che lo stessero fissando concentrato – non sapeva che appena nati i bambini seguissero perlopiù udito e olfatto – le mani chiuse a pugno e la bocca aperta intenta a emettere ancora quegli squittii acuti e singhiozzanti.
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Stiles Stilinski
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Cap. 2
“Istantanee”
 
Derek venne trascinato a forza nella camera in cui la sua famiglia si stava stringendo attorno a Jenna e a sua figlia, ma lui voleva solo tornare dalla bella signora che aveva conosciuto e dal suo bambino chiacchierone e sbuffando si sedette su una seggiola in disparte, aspettando di tornare a casa.
Il momento di levare le tende arrivò e con un rapido salto il piccolo fu in piedi e corse alla porta dalla quale lanciò un vago saluto prima di imboccare il corridoio, purtroppo la sua fuga venne ostacolata dalla mano della madre che chiudendosi con decisione sul suo braccio e andando poi in cerca della mano, lo costrinse a rallentare.
Quando però passarono davanti alla camera dove Derek era stato poco prima, fu questo a ridurre la velocità fino a fermarsi e tirare poi il genitore verso l’interno.
“Bella signora?” iniziò il moro e dopo aver catturato l’attenzione della donna “ci sei ancora domani?”
“Certo…” rispose lei con un morbido sorriso.
“Mi scusi, spero che la mia piccola peste non l’abbia infastidita?” chiese con mille premure la lupa.
“No, si figuri, abbiamo solo fatto le presentazioni”
“Congratulazioni per la nascita” chiosò la signora Hale portando via con sé il figlio e senza neppure attendere la risposta.
 
Al sicuro nella sua cameretta, mentre gli ululati dei beta di ronda cercavano di condurlo al sonno, Derek ripensò alla mattinata trascorsa e alle persone che aveva conosciuto: doveva assolutamente fare in modo di convincere la madre a tornare all’ospedale il giorno successivo.
E con questo chiodo fisso in testa, il bambino si addormentò rilassato e felice.
 
La mattina dopo, purtroppo il piano di Derek si scontrò contro mille intoppi dovuti alle incombenze della madre, quale moglie dell’Alfa del branco, e ai resoconti di alcuni lupi che parlavano di nuove persone giunte dal nulla a Beacon Hills.
Tutte cose che al moro non interessavano minimamente: lui doveva tornare all’ospedale, voleva tornare a vedere Genim.
A pensarci bene, rifletté, era davvero un nome strano, che lui non aveva mai e poi mai sentito.
In suo aiuto giunse però, quando oramai le speranze erano davvero perse, la telefonata di Jenna che chiedeva compagnia dato che il marito era stato chiamato per un’urgenza in ufficio.
Così in cinque minuti lui e la mamma erano di nuovo in auto: destinazione Genim.
 
Mentre i piedini scalpitavano nel vano dell’ascensore, in attesa di arrivare al sesto piano, Derek tentava di escogitare un valido piano di fuga, valutando se fosse meglio schizzare via all’apertura delle porte o sgattaiolare nella camera che gli interessava dopo che la madre si fosse messa a chiacchierare con la sua amica.
La scelta non era per nulla facile.
Il lupetto, alla fine, non ebbe bisogno di decidere proprio nulla, dato che venne preso in contropiede dall’apertura delle porte. Vide, infatti, la signora conosciuta il giorno prima seduta su una sedia a rotelle e con il bambino in braccio, entrambi accompagnati da un uomo vestito di bianco.
Ora nell’ascensore sarebbero stati un poco stretti, ma a Derek non importava assolutamente.
“Ciao” salutò felice agitando la manina.
“Ciao” disse sorridendo la donna prima di rivolgere un “Buongiorno” educato alla madre.
“Cosa ci fai qui?” domandò curioso.
“Siamo andati a trovare il dottore e ci ha detto che stiamo tutti e due benissimo. Vero tesoro?” sussurrò volgendo lo sguardo al figlio addormentato che stringeva tra le braccia. 
Il dlin dell’ascensore riuscì a distrarre il moro e riportando lo sguardo davanti a sé, accolse per nulla di buon grado il dover accompagnare il genitore ben oltre la camera in cui avrebbe tanto voluto entrare.
 
Per fortuna sua madre si perse quasi subito in ciance e pettegolezzi con Jenna e così senza fare rumore e muovendosi lento, Derek lasciò la stanza e non appena messo piede nel corridoio prese a correre verso la camera di Genim.
Varcata la soglia i suoi occhi volarono immediatamente al letto sfatto addossato alla parete, trovandolo desolatamente vuoto e guardandosi attorno preoccupato, perlustrò l’intero spazio fino a quando la sua ricerca non si concluse appena a lato della finestra, dove la madre stava seduta su una poltroncina rossa.
“Ciao bella signora” il moro palesò la propria presenza parlando sottovoce e avvicinandosi alla seggiola si appoggiò al bracciolo, allungandosi per curiosare all’interno del bozzolo di coperte.
“Ciao, Derek”
Il lupetto le sorrise, ma un attimo dopo già stava riportando lo sguardo verso il basso.
“Sta ancora dormendo” riprese la donna “ma avresti dovuto vederlo durante la visita, non se ne stava fermo un attimo. Sempre a sgambettare e a fare mille smorfie”
“Adesso si sveglia però?” chiese quasi insofferente il bambino che desiderava vedere di nuovo quegli occhioni spalancati e le espressioni di cui la donna parlava.
“Penso che tra poco lo farà, anche perché non manca molto all’ora della pappa. Genim… forza sveglia il tuo amico è venuto a trovarti”
Questo tentativo andò miseramente a vuoto e Derek si lasciò scappare un piccolo sbuffo contrariato.
“Vuoi fare il dormiglione?” scherzò la mamma occhieggiando furba il neonato “Allora facciamo così: Derek, per favore, siediti al mio posto”
La donna si alzò per permettergli di scivolare sulla poltrona e appena lo vide accomodarsi ben indietro, lasciando così ciondolare i piedini nel vuoto, continuò “Metti le braccia come le mie”
Il piccolo eseguì senza porre domande e quando ebbe formato una piccola culla, la signora si abbassò depositandovi, lentamente e con estrema cura, Genim.
Derek avvertì il peso – per nulla eccessivo – del corpicino del bimbo e per paura gli potesse sfuggire, lo strinse a sé, calibrando accuratamente la propria forza.
“Bravo, tienilo bene” dette quelle poche parole lei si allontanò per andare a rovistare in un borsone posto ai piedi del letto.
Derek non perse tempo a osservare le azioni della donna, rapito com’era dallo spettacolo che teneva tra le braccia. Forse per lo spostamento o forse perché come aveva detto la madre era quasi ora di mangiare, il neonato stava uscendo dal sonno. Le prime a muoversi furono le dita che presero ad artigliare l’aria, subito seguite dalle gambe.
Il moro spaventato che a causa di quell’agitazione gli sfuggisse dalle mani, rinsaldo ancora di più la presa.
“Ma guardatevi” pigolò la mamma “siete due tesori. Fermi lì” e dopo essersi inginocchiata a un paio di metri da loro, sollevò di fronte al proprio viso una macchina fotografica.
“Derek, scosta un poco la coperta, così riesco a fotografare anche il suo faccino buffo”
Una volta compiuto il gesto, il pulsante venne pigiato e la prima immagine impressa.
“Mmm.. questa non è un granché… riproviamo”
Il lupo avvertì l’impazienza del piccolo crescere a dismisura e abbassando lo sguardo – fino a un secondo prima rivolto alla macchina – lo trovò completamente sveglio e sollevandolo anche se di poco se lo avvicinò al viso.
Aveva un odore strano, cioè non aveva odore.
Sapeva di borotalco e crema protettiva, sapeva di latte e conservava il sentore della sua mamma, ma nulla di tipicamente suo arrivava alle narici di Derek.
Fu in quel momento che la macchina scattò fulminea, non una ma due fotografie.
“Ah! Queste sì che sono favolose” squittì tutta orgogliosa del proprio operato la donna, avvicinandosi nuovamente alla poltrona con le istantanee tra le mani “Guarda!” continuò spronando il moro a distogliere lo sguardo dal figlio e posarlo sulle immagini.
Dopo qualche attimo di esitazione, Derek fece quanto la signora si aspettava da lui e osservando la fotografia, rivide se stesso stringere il bambino e sorridergli felice.
Il lupetto non si soffermò però troppo sulla realtà immortalata, potendo continuare a viverla e riabbassando gli occhi notò il visetto concentrato e immobile, quasi corrucciato, del neonato.
“Signora mamma, guarda. Perché fa così?” domandò curioso e anche un poco preoccupato.
Non ebbe la possibilità di attendere una risposta dato che con un piccolo terremoto sentì qualcosa di caldo che prima non c’era premergli sul braccio che teneva a contatto con il piccolo e avvertì un odore pestilenziale salire dal corpo che teneva stretto, mentre l’espressione di Genim tornava a distendersi.
“Oh oh!” esordì la madre “Mi sa tanto che è giunto il momento di cambiargli il pannolino. Dammelo pure Derek” e chinandosi riprese tra le braccia il figlio, spostandosi verso il fasciatoio collocato in un angolo.   
 
Derek strusciò sulla pelle della poltrona fino a giungere sul bordo e tornato a toccare il pavimento, si avvicinò all’umana, constatando che i suoi occhi a malapena arrivavano al ripiano del mobiletto. Spingendosi sulle punte dei piedi e tenendosi saldo alla spugna che rivestiva il legno, il moro aumentò il suo campo visivo.
Genim era disteso sulla schiena, con la madre che armeggiava con la sua tutina bianca e blu cercando di slacciare i bottoncini.
“È una trappola!” borbottò tra sé e sé la donna e Derek ingenuamente si impaurì, sapeva cosa fossero le trappole, il suo papà gliene aveva parlato e aveva detto che gli avrebbe insegnato a riconoscerle ed evitarle.
A pensarci attentamente però Derek ora non capiva: Genim era una trappola e quindi era pericoloso o lo era la tutina?
Alla fine poco gli importava.
 
Tornando a prestare attenzione ai gesti della signora, il lupo vide le gambe secche secche di Genim che si muovevano a tratti veloci e a tratti più lente, come se stessero facendo delle prove dato che la stoffa, che le ricopriva fino ad un attimo prima, era stata tirata via.
“Allora ora prepariamo l’occorrente come mi hanno mostrato le infermiere: salvietta, pannolino pulito, borotalco e cremina. C’è tutto, siamo pronti” 
E sul finire della frase alle parole si unirono due fastidiosi strap e subito dopo l’aria attorno a loro fu invasa da una puzza terribile che colpendo in modo molto potente le nari del lupetto, lo costrinse a indietreggiare.
“Mamma mia Genim!” disse ridendo la donna “È insopportabile” e avvolgendo con gesti concitati il pannolino sporco su se stesso lo gettò nel secchio vicino.
Subito dopo Derek tornò ad avvicinare il viso al bordo del fasciatoio e mentre le mani della mamma ripulivano con cura il piccolo, il moro si godette le smorfie del bambino che tranquillo e ignaro del trambusto generato era tutto concentrato nel tentativo di muovere mani e piedini.
Tutto quel movimento non aiutava di certo la signora, dato che impiegò più del dovuto a infilare di nuovo le gambette dentro la tutina.
 
Tornando verso la poltrona, Derek sentì la madre chiamarlo, con tono pacato, dalla porta “Forza andiamo, dobbiamo tornare a casa”
“Mamma no! Per favore posso restare ancora un pochino pochino” la pregò il figlio nella speranza di riuscire a passare ancora qualche minuto con Genim.
“Non possiamo Derek, tuo padre e tua sorella stanno per rientrare e loro” indicando la bella signora e il suo bambino “devono riposare”
“Non è vero! Genim ha dormito fino ad adesso” obiettò il moro.
“Derek! Non farmi arrabbiare, ringrazia e vieni con me”
La signora Stilinski era rimasta in silenzio tutto il tempo, comprendendo non fosse il caso di intervenire nella discussione, anche se avrebbe voluto far sapere a quella donna che il piccolo Derek non era stato per nulla un peso o un fastidio.
Il lupacchiotto riconoscendo il tono di ordine nella voce della madre, decise alla fine e a malincuore di obbedire e avvicinatosi al neonato gli sfiorò una manina “Ci vediamo Genim” e dopo aver fatto ciao con la mano alla bella signora, si diresse verso la porta e se ne andò.
   
 
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