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Autore: Unsub    10/02/2013    2 recensioni
Quando la tua vita è stata già messa in pericolo, puoi continuare a fidarti di chi ti circonda? Oppure le loro parole suoneranno come bugie?
Terza classificata al contest "30 Seconds to ficlet" indetta da PrincesMonica, prompt "Your promises, they look like lies".
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Elle Greenaway
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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i don't belivie you

I don't believe you 

“Non dimenticare che sei microfonata, quindi saremo con te tutto il tempo”.

Le parole di Hotch continuano a risonarle nella mente, come un ronzio di sottofondo. Si muove per la casa, nuova e sconosciuta per lei, eppure così simile alla sua. La classica casa di una donna single che vive da sola: tutto in ordine, tutto pulito, arredata sobriamente ma con un tocco di femminilità.

Mette la pistola in un cassetto, vicino all’uscita, e sospira. Si sente tesa e nervosa, eppure quando ha cominciato con la squadra, aveva volutamente incontrato il sospetto faccia a faccia per trascinarlo fuori dalla sua abitazione. Era un rischio calcolato: sapeva che i suoi colleghi di Seattle erano nascosti nella casa vuota per tendere un’imboscata a Slessman, il pericolo che la aggredisse era remoto.

Si sente soffocare, si avvicina al lavello della cucina e si rinfresca il viso. Un flash improvviso, come una rasoiata della sua mente: la parola “regole” scritta con il suo sangue dall’uomo che le aveva sparato. Le sembra di sentire ancora il dito di quell’assassino premere con il foro di proiettile; le sembra di vederlo mentre scrive quella parola sul muro del suo appartamento. Un brivido le percorre la schiena e si poggia allo schienale di una poltrona, mille pensieri indefiniti nella mente, mentre l’attesa si fa snervante.

Cerca di ricordare il piano che le hanno esposto Hotch e Gideon, ma tutto sembra avvolto in una foschia: solo i ricordi dell’aggressione che ha subito mesi prima sono nitidi, indelebili e marchiati a fuoco. Dove erano gli altri quando aveva più bisogno di loro? Perché Gideon aveva insistito per quella conferenza stampa, violando le regole che il soggetto ignoto aveva dettato? Non era stato lui a farne le spese!

Il respiro si fa irregolare, si riscuote e cerca di calmarsi. Accende lo stereo e una musica cacofonica riempie l’aria. Sì, così va meglio. Il rumore la distrae dai suoi ricordi e da quella sensazione d’impotenza: può farcela. Cerca di riprendere il controllo di se stessa e fa mente locale: deve fare qualcosa, le hanno detto di fare qualcosa. Ma cosa? Si concentra e in quel momento suona il telefono.

Sobbalza: che sia lo stupratore che annuncia il suo arrivo? Non vuole sentirgli dire tutte quelle cavolate sulle cene romantiche, le passeggiate lungo la spiaggia e tutte le altre stupide cose che hanno scritto sul finto questionario. Si avvia verso la porta, sentendosi sola: ha l’impressione che la cavalleria non arriverà in tempo per salvarla.

Riprende la pistola che aveva nascosto nel cassetto ed esce con passo deciso. Hotch ha mentito, così come Morgan: non la terranno al sicuro, nessuno sarà al suo fianco. Allora, ‘fanculo! Si salverà da sola.

Si dirige verso la propria auto e, con la coda dell’occhio, nota un uomo al posto di guida di una macchina parcheggiata. La sta osservando: è lui! L’istinto ha la meglio su qualsiasi altra cosa: non permetterà mai più che la sua squadra la lasci sola, non si fiderà più di loro. Avanza con la pistola spianata e ingiunge all’uomo di scendere, mentre tutti gli agenti che sorvegliavano la casa si avvicinano con le armi in pugno.

Parole senza senso, discorsi vuoti. Freme, osservando la porta chiusa, dietro la quale William Lee viene interrogato. E’ lui lo stupratore, ne è certa: perché ci mettono tanto ad arrestarlo? La porta si spalanca e lo vede uscire, osa addirittura guardarla e sorriderle.

-        Lasciate che se ne vada? – più che una domanda è un’accusa.

Si sente frustrata, mentre Morgan le dice di smetterla. Hotch si avvicina con sguardo severo.

-        L’unica ragione per cui se ne va è perché tu hai perso la testa.

Sente la furia che ha represso in questi mesi esplodere. La misura è colma.

-        Dovevo, per caso, credere che tu mi avresti coperto le spalle?

-        Che vorresti dire? – Hotch sembra sconcertato.

-        L’ultima volta che mi hai mandato a casa, mi hai fatto sparare!

Ecco, finalmente è riuscita a dirlo. Come può ancora fidarsi di lui, di loro? Dove erano quando avrebbero dovuto proteggerla, difenderla? No, non è più la sua squadra, non sono più i suoi compagni. Sanno solo raccontare bugie e lei provvederà da sola.

Mentre se ne va adirata, sfiora la pistola, sapendo cosa deve fare: loro non mantengono le promesse e lei dovrà risolvere il caso da sola. Ha imparato a credere solo a se stessa.

 

   
 
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