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Autore: Leanan    10/02/2013    1 recensioni
Kushina, seduta su quella panchina, aveva passato tutto il pomeriggio ad osservare quei cavallini girare la loro corsa infinita. La giostra stava chiudendo, adesso. Per le principesse e i cavalieri era ora di cena. Aspettò che la le luci colorate fossero spente. Stranamente, il proprietario non aveva tirato giù il tendone. Aspettò che se ne fosse andato: appena lo vide svoltare l’angolo, si avvicinò alla giostra, salì lo scalino che portava alla pedana e fece scorrere le dita sulla pietra del primo cavallino che si trovò davanti.
Era bello, elegante.
Sembrava dirle: “Fuggi via con me.”
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Kushina Uzumaki, Minato Namikaze, Nuovo Personaggio | Coppie: Minato/Kushina
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Fix You

 
 
[Prologo]: Fuggi via con me



 

Le luci della giostra erano riflesse nelle iridi verdi di una bambina, seduta su una panchina della piazza. I cavallini correvano la loro corsa infinita, cavalcati da piccoli cavalieri e principesse che alla fine del loro turno sarebbero ritornati alle loro vite di bambini.
Le pupille di Kushina Uzumaki non si perdevano neanche un singolo movimento, le sue orecchie ascoltavano attentamente ogni grido di gioia che lei avrebbe tanto voluto fare suo, come montare su quella giostra e far finta di fuggire via, anche solo col pensiero.
 
Esisteva poca felicità nella vita di quella bambina seduta su una delle panchina della piazza: era odiata da tutti i suoi compagni d’Accademia; poi, i suoi capelli di certo non le erano d'aiuto con quella tonalità di colore.
Rosso intenso.
Abbinati al suo viso paffuto, assomigliava tanto a un pomodoro maturo.
Kushina tirò un calcio ad un sassolino che le era capitato per caso ai piedi, forse un gemello di quello che l’aveva fatta cadere per terra quella mattina. Era rimasta a fissare quella giostra dalla fine delle lezioni all’Accademia. Era scappata via da quel posto che odiava con tutto il cuore, perché lì c’erano loro.
Loro.
Avrebbe tanto desiderato un vero amico.
L’unico che le si era presentato davanti, era uno di quei cavallini da giostra che le stava sussurrando: “Fuggi via con me…”
 
Quella mattina Kushina Uzumaki correva spedita.
Non aveva sentito la sveglia suonare e aveva dormito cinque minuti di troppo. Si era vestita velocemente, senza toccare cibo. Aveva aperto la porta di casa ed era corsa fuori. L’aria mattutina era molto fredda; l’autunno stava cedendo il suo posto all’inverno, ed il fiato che le usciva dalle labbra si condensava in fumo bianco che si innalzava verso il cielo coperto da nuvole bianche.
Faceva freddo, troppo freddo.
Iniziò ad intravedere l’Accademia in lontananza, ma prima di poter esultare e rassicurarsi del fatto che forse avrebbe evitato la sfuriata del Sensei, il suo piede urtò un sasso. In meno di due secondi, Kushina si trovò sdraiata in terra, a faccia in giù.
«Ahia!»
Si rialzò lentamente.
Avvertì qualcosa di caldo scivolarle dal naso e raggiungere il labbro superiore, per poi morirle in bocca. Qualcosa che aveva un sapore ferruginoso. Con le dita protette dai guanti, si portò una mano al naso.
C’era del sangue.
Rosso.
Come i capelli che le spuntavano dalla testa.
Lo asciugò via malamente con la stoffa della sua sciarpa, imprecando. Riuscì a raggiungere l’Accademia, anche se avrebbe voluto girare i tacchi e tornarsene a letto. Dentro l'edificio la temperatura era ottima; si svestì, togliendosi il cappotto, i guanti e la sciarpa per appenderli all'attaccapanni: notò che la macchia di sangue era seccata. Scrollò le spalle con indifferenza. Sospirò, si fece coraggio e bussò alla porta della classe.
«Avanti.»
Quando entrò, il suo peggior timore diventò realtà: aveva tutti gli occhi dei compagni puntati addosso. Incominciarono le risatine, i diti puntati sulla sua figura. La voce del Sensei era severa.
«Uzumaki, sei in ritardo
Kushina stava per aprir bocca per rispondere, ma non ne ebbe il tempo perché una voce si alzò.
«Habanero, cos’hai sul naso? Ti ci è cresciuto un pomodoro in miniatura? Non ti bastava quella tua faccia tonda e quei capelli orribili
La bambina dai lunghi capelli rossi si portò velocemente una mano contro il viso: c’era qualcosa di ruvido. Una crosta si era formata sotto al suo naso, nel punto preciso dove aveva picchiato quando era caduta. Arrossì violentemente e si morse il labbro inferiore, lanciando un’occhiataccia al ragazzino che aveva parlato e che, di nuovo, disse: «Non rispetti gli orari, vero, Habanero? Solo perché sei una straniera non significa che puoi fare come ti pare.»
Ci furono altre risatine derisorie.
«Ora basta» urlò il Sensei, «e tu, Uzumaki, vai al tuo posto.»
Kushina, con passi decisi, si diresse al suo banco, si sedette contro voglia e lanciò una seconda occhiataccia al ragazzino che, da quando aveva messo piede in classe, non aveva fatto altro che torturarla. Doveva esserci abituata, però...
Ogni singolo giorno questa scena si ripeteva, all’infinito. Non ne poteva più. Strinse i pugni e ringhiò: «Dopo me la pagate, tutti quanti
Immersa nei suoi pensieri colmi di rabbia verso il genere umano, non si accorse che il proprietario di due occhi azzurri come il cielo la stava osservando di nascosto. 
Non si accorse che quel ragazzo avrebbe voluto stringere tra le sue mani quei pugni per riscaldarli dal freddo, che aveva preso vita in quella bambina dai lunghi capelli rossi, straniera in un paese che non sentiva appartenerle.
 
I pugni di Kushina erano forti. Si alzavano e si abbassavano ritmicamente per colpire quel ragazzino che l’aveva derisa più di tutti gli altri: le nocche affondavano bene nello stomaco, nel torace, fino a raggiungere le guance. Le lacrime le pizzicavano gli occhi.
«La… devi… smettere…»
Kushina parlava a denti stretti, mentre la forza dei suoi pugni aumentava. Il ragazzino disteso a terra nel cortile esterno appena fuori l’Accademia cercava di ripararsi con le braccia; alzò le gambe e dette un colpo forte alla schiena della bambina dai capelli rossi, che urlò dal dolore. La spinse in giù e la inchiodò a terra con tutto il suo peso. Gli occhi erano colmi di rabbia. Avvicinò il volto a quello di Kushina, urlando
«Sei una straniera e nessuno ti amerà mai!»
Il ragazzino si alzò, scuotendosi la polvere dai vestiti. Prima di allontanarsi, lanciò un’ultima occhiataccia alla piccola figura femminile distesa a terra.
«Torna al tuo paese!»

Kushina, seduta su quella panchina, aveva passato tutto il pomeriggio ad osservare quei cavallini girare la loro corsa infinita. La giostra stava chiudendo, adesso. Per le principesse e i cavalieri era ora di cena. Aspettò che la le luci colorate fossero spente. Stranamente, il proprietario non aveva tirato giù il tendone. Aspettò che se ne fosse andato: appena lo vide svoltare l’angolo, si avvicinò alla giostra, salì lo scalino che portava alla pedana e fece scorrere le dita sulla pietra del primo cavallino che si trovò davanti.
Era bello, elegante.
Sembrava dirle: “Fuggi via con me.”
Sostenendosi, ci montò sopra. Si guardò attorno, le luci delle finestre attorno alla giostra tremolavano come stelle, c’era calore umano, dove nessuno ti prendeva in giro per il colore dei tuoi capelli, per la tua faccia tonda, per voler diventare la prima donna Hokage, per essere un Jinchuuriki… ed una straniera.
«Corri, cavallo-‘ttebane
In lontananza, il proprietario di due occhi azzurri come il cielo, e con in mano due sacchetti della spesa, guardava la bambina dai lunghi capelli rossi spronare quel cavallo inanimato.
 
 

   
 
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