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Autore: Evilcassy    11/02/2013    18 recensioni
[Così a volte, ma solo a volte, il corvo riportava indietro l'anima perché rimettesse le cose a posto.]
E se avessi agito diversamente? Sarebbe cambiato qualcosa?
Sono arrivata alla conclusione che non sarebbe cambiato niente. Quell’uomo – Loki – sarebbe comunque scomparso nel nulla: non era come il tizio nella stanza a fianco, privato dei suoi poteri, sprofondato sino alle ginocchia nel fango e e nell'umiliazione della sua impotenza.
Forse non saremmo morti, non saremmo stati sepolti nella stessa tomba e non ci saremmo svegliati fianco a fianco.
Ma sono certa che ci saremmo ritrovati un giorno o l'altro, in una dimensione o nell'altra, a scambiarci un ultimo bacio.

GreyRaven e Loki, richiamati dalle rispettive nature, decidono di lasciare gli Inferi e di riprendere i rispettivi cammini.
Ma incappare l'uno nelle trame dell'altro è questione di poco, anzi, pochissimo.
[Sequel di THE SEVENTH]
Genere: Avventura, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Nuovo personaggio, Thor, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'A Seven Heroes Army [The Seventh Saga]'
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The Seventh:Winter

 

The Seventh:Winter

 

         PROLOGO.

Sometimes you have to go halfway around the world to come full circle.

 

 

[Svartalfheim, Rocca Reale, Quarto mese, Diciassettesimo giorno dell'anno 3028 della II  Era.

Corrispondente alla data terrestre del 13 Settembre 2012]

 

Una volta entrato negli appartamenti reali, il Capitano delle Guardie si prostra a terra tremando: è considerato oltraggioso irrompere nelle stanze private del Re, soprattutto se egli vi si è ritirato ed è in compagnia, ma la notizia che doveva recare non poteva tardare oltre.

Allacciandosi la casacca furiosamente, Re Malekith scosta le cortine dell’alcova con un gesto rabbioso, una smorfia feroce a sfigurargli ulteriormente il volto: "Se non reputerò la questione sufficientemente urgente, la tua testa rotolerà fuori da questa stanza." Si piega sulla guardia e lo forza ad alzargli la testa afferrandogliela con la mano bianca.

"Maestà... vi è un intruso..."

Il viso del Capitano sbatte violentemente contro il tavolo di marmo a fianco, le ciocche dei capelli tra le dita del Re e la lama della sua spada a pochi centimetri dalla gola "...è di Asgard!" mugola velocemente sputando un fiotto di sangue.

A sentire la notizia Malekith si blocca: lascia andare la testa della guardia, che geme rialzandosi per arretrare, e stringe il pugno bianco. "Un Asgardiano profana nuovamente la mia terra?"ringhia sputando per terra. "Lo voglio in ceppi. Vivo, ma in ceppi."

"Maestà, vi prego..."

Nell'alcova, una donna scivola tra i veli del letto, lunghi capelli dorati a coprire la pelle di luna si avvicina alle spalle del Sovrano sfiorandole con le mani candide e mormora: "Permettetemi di controllare l'identità dello sconosciuto." Al cenno del Signore di Svartalfheim, raggiunge l'immenso specchio della camera. Un tocco circolare sulla superficie, poche parole sussurrate e l'immagine muta: al posto del riflesso femminile ora vi è l'entrata di una grotta. Un altro sussurro, e lo specchio mostra il volto concentrato di un giovane uomo dai lineamenti affilati.

La donna sorride. "Io so chi è..." Si volta verso il Re, gli occhi azzurri che brillano: "Il suo nome è Loki, il Principe cadetto di Asgard."

"Il principe caduto, vorrai dire." Sul volto di Malekith si fa largo un ghigno: "Come merce di scambio, non potevo chiedere di meglio. GUARDIE!"

"Aspettate!" La donna continua a guardare lo specchio, studia le mosse di Loki, il modo in cui si china, la delicatezza con cui sradica il fiore luminescente e come plasma la sabbia tra le dita a formare un'ampolla. "La sua magia, la sua conoscenza sono cresciute molto." Sospira. “È qui solo, senza soldati né compagni. Non è giunto qui da parte di Asgard."

“Non ha importanza, è un invasore e come tale va distrutto. O hai un diverso suggerimento?"

Lei riflette accarezzando lo specchio, seguendo i lineamenti marcati del volto del principe, la piega della sua espressione concentrata, le dita lunghe che infilano il fiore nella fiala: "Credo occorra capire le sue intenzioni. Lasciatelo andare, mio Signore. Sarà mia premura seguire i suoi spostamenti, spiare le sue mosse ed indagare sui suoi scopi."

"Che sciocchezza...!"

"Mio Signore, pensate: Egli è stato bandito da Asgard, immaginate quale rancore coverà verso Odino... Ed essendone stato il Principe, chissà quali segreti conosce del vostro antico nemico! Potrebbe esservi utile, potrebbe rendervi ciò che è vostro e potrete avere la vendetta che Svartalfheim merita!"

Le dita di Malekith percorrono la schiena della donna. "E tu sei certa di poter vantare ancora qualche ascendente su di lui, Amora?"

"Certo, mio Signore: è stato pur sempre il mio allievo prediletto."

 

----

 

A volte mi domando come sarebbe stato se.

Se non avessi dato ascolto al mio istinto, a quell'increspatura nell'aria che mi suggeriva che, no, i due buchi nel collo della mia amica non erano dati da un aggressore armato di punteruolo.

Se avessi controllato i miei poteri, davanti agli insegnanti, ed i libri non avessero preso fuoco facendomi spedire dritta nell'aula di detenzione senza un vero motivo.

Se non avessi chiamato Fury, la sera del mio Prom, e fossi scappata saltando da una delle finestre della scuola come facevo quando c'era una lezione che non mi andava proprio di seguire, per andarmene semplicemente dalla festa.

O se avessi premuto il pulsante della mia ricetrasmittente, quella sera in New Mexico, per informare Coulson nel perimetro era entrato qualcun'altro. Qualcuno che nessuno sembrava vedere.

Che l'increspatura nell'aria l'avvertivo da quando ero scesa dall'elicottero ed avevo posato piede nella base mobile dove Coulson mi aveva salutato sorpreso: "Non eri in Romania?"

"Riassegnata praticamente in volo. È una dannata scocciatura, non trovi?"

"Oh, io invece ne sono quasi sollevato: il lavoro di Baby Sitter non mi si addice." Aveva sorriso versandomi una tazza di caffè. "Men che meno trattandosi di Tony Stark."

Barton era entrato nella stanza lanciando la sacca con la sua attrezzatura sul tavolo e rifilandoci uno sguardo torvo: Decisamente, non era in vena di simpatici convenevoli.

"E così hai dovuto lasciare Natasha tutta sola con lo Scapolo d'Oro di New York?" domando a voce volutamente alta e falsamente casuale. A Clint scappa una mezza smorfia, a noi un mezzo sorrisetto, che stuzzicare Barton usando Nat come esca è come sparare sulla Croce Rossa.

"Oh sì, e mi ha chiesto di ringraziarti per l'abito animalier che le hai comprato: le stava a pennello, ha fatto un successone alla festa di Stark." Clint si mette ad armeggiare rumorosamente con l'attrezzatura, sbattendo sul tavolo di metallo i vari componenti delle sue armi. "Anche se la vera attrazione di quella festa è stato proprio il padrone di casa...."

"Ho sentito. Praticamente la versione Luxury di una feste del college."

"Ma tu eri già sotto addestramento ai tempi del college, non hai frequentato le lezioni."

"Infatti. Sono solo andata alle feste" rispondo sorseggiando il mio caffè.

"E come hai fatto a farti invitare alle feste se non frequentavi? Immagino che sia un po' difficile conoscere gente se non si è al campus..."

"Oh, beh: in effetti alla festa di una sorority la smorfiosetta capo ha avuto da ridire sulla mia partecipazione. Così sono uscita, ho chiamato Natasha e poi siamo rientrate con una banda di Hell's Angels. Nessuno ha più osato contraddirmi quando mi imbucavo." Coulson annuisce, è un aneddoto molto plausibile.

“Venite, vi faccio vedere il perché siamo qui.”

 

"Eccolo qui. Questo è il nostro Oggetto Non Identificato catalogato come NMUSA768/A"

Quasi mi è sembrato di avvertire una leggera scossa quando tocco il nastro di cuoio con cui è rivestito. “È un martello"

"Ufficialmente è l'Oggetto Non Identificato NMUSA768/A"

"Che ha la forma di un martello finemente intarsiato."

"Ma è ufficialmente l'Oggetto Non Identificato NMUSA768/A, e sei pregata di chiamarlo con il suo nome per evitare fraintendimenti o conclusioni affrettate. Sto aspettando i primi esiti dalla Linguistica."

"Aspetta e spera." mugolo, che i topi da biblioteca della divisione linguistica mi sono sempre stati antipatici. Con la punta delle dita seguo il contorno della Triscele incisa.

Coulson si avvicina mentre Barton rimane al suo posto, che certe cose lui le vede meglio da una certa distanza."Sbaglio o hai una vaga idea di cosa sia?"

"Sì, e dovresti avercela anche tu, visto che sei scozzese. Questo, Coulson, è un simbolo dei nostri avi."

"William Wallace?"

“Hey, ma hai fatto da Baby Sitter a Stark o alla sua collezione di liquori?” Alzo gli occhi al cielo "Celti. Ed altri popoli norreni, per esempio i Vichinghi."

"Credi che lo usassero come arma? Voglio dire, se penso ai Vichinghi, mi vengono in mente omoni alti e grossi con lunghe barbe e trecce che si rincorrono brandendo asce, scudi e spade. Ma martelli..."

"Prova a tirare uno di questi in testa ad un nemico. L'effetto deve essere alquanto soddisfacente." Indico l'impugnatura: "Guarda: il cuoio nel manico è liso, come se fosse stato tenuto in mano, usato. Invece il corpo del martello sembra nuovo, non è scalfito, non è rovinato. Non è strano?"

"E la cinghia attaccata al manico a cosa servirebbe?"

"Portachiavi, Barton."

 

Con l'intruso catturato, i miei sensi avrebbero dovuto acquietarsi, anche perché Coulson mi ha ordinato di presenziare all'interrogatorio per stilare un profilo psicologico dell'uomo.

Ed invece l'aria è ancora elettrica, un flusso continuo di energia che parte da quel dannatissimo martello. Non che quell'uomo biondo e sporco di fango che ha appena sbaragliato una decina dei nostri mentre Barton lo teneva sotto tiro con le frecce ed io ero pronta a grigliarlo a dovere con il Fuoco Fatuo mi causasse meno fastidi. Tra martello - pardon, Oggetto Non Identificato catalogato NMUSA768/A – ed intruso doveva assolutamente esserci una connessione.

Passando sulla passerella al piano superiore - che sotto il biondone aveva combinato un casino e non avevo intenzione di insozzarmi gli stivali né di rovinarmi la messa in piega - l'increspatura nell'aria risulta ulteriormente più eclatante. Una sensazione di fastidio talmente potente da farmi quasi fischiare le orecchie ed aumentare i battiti cardiaci: E proviene da sotto, nel piano zero, dove il martello era sorvegliato a vista. Decidendo di controllare, mi affaccio dalla balaustra: In mezzo a guardie e tecnici che non sembrano notarlo – uno con il metal detector è appena passato talmente vicino da quasi sfiorarlo - c'è un uomo. Dandomi le spalle riesco solo a vedere i suoi capelli neri pettinati all'indietro ed il cappotto verde scuro, dal taglio elegante. Posso indovinarne l'altezza – tra il metro e novantacinque ed i due metri, ad occhio e croce  –  e quando si volta appena per stringere il manico del martello posso notare le dita lunghe e pallide. L'indice mi si sposta dalla tasca al tasto della ricetrasmittente alla cintura, pronto a premerlo e a lanciare l'allarme. Verso cosa poi, che nessuno a parte me sembrava vederlo? Decido di restare in attesa di una sua mossa, a capire se sarebbe riuscito a spostare l’oggetto o meno. Potrei anche domandargli con quale presunzione pensi di riuscire nell'impresa.

Ha provato a tirare una volta. Due. Quando afferra il manico anche con l'altra mano, dalla mia posizione catturo una porzione di viso, la bocca piegata in una smorfia di sforzo, prima di smettere e ritornare a darmi le spalle, riassettarsi i vestiti ed alzare il volto al cielo con un mezzo sospiro frustrato.

Un ultimo sguardo al martello prima di incamminarsi verso l'uscita.

China sulle ginocchia lo seguo con lo sguardo attraverso il ferro della ringhiera: cammina lentamente, senza fretta, verso lo squarcio nel cellophan che il biondone aveva procurato, lasciandosi inghiottire - dissolvendosi - nel buio.

Non ho fatto nulla per attirare la sua attenzione, né lui ha notato la mia presenza: celato alla vista umana - cos'era, un mago? un demone? entrambi? - ma non a quella di chi umano lo è solo in parte. E non si dato neppure pena di controllare che non ci fosse, nei paraggi, qualche elemento di natura superiore.

Piuttosto presuntuoso.

La mano mi scivola via dalla ricetrasmittente.

 

E se avessi agito diversamente? Sarebbe cambiato qualcosa?

Sono arrivata alla conclusione che non sarebbe cambiato niente. Quell’uomo – Loki  – sarebbe comunque scomparso nel nulla: non era come il tizio nella stanza a fianco, privato dei suoi poteri, sprofondato sino alle ginocchia nel fango e e nell'umiliazione della sua impotenza.

Avrebbe comunque mandato il Distruttore a spazzare via tutto e causato l'ira di Thor. Sarebbe stato sconfitto, lasciandosi scivolare dal Bifrost per cercare una Morte che l'avrebbe invece consegnato al più fedele dei suoi servitori.

Avrebbe comunque tentato di invadere la Terra, scatenato una guerra intergalattica e seminato paura e morte. L'avrei sbeffeggiato in una prigione di vetro infrangibile palesandogli i miei poteri.

Avrebbe comunque perso, sarebbe stato comunque imprigionato di nuovo e sottoposto al giudizio di Odino. E sarebbe ricapitato, di nuovo, sul mio cammino.

Forse le modalità sarebbero state diverse. Forse ci avremmo messo più tempo.

Forse non mi avrebbe salvato da un veleno corrosivo e forse non avremmo stretto un’ultima, disperata alleanza davanti all'avanzata del più devastante dei nemici.

Forse non saremmo morti, non saremmo stati sepolti nella stessa tomba e non ci saremmo svegliati fianco a fianco.

Ma sono certa che ci saremmo ritrovati un giorno o l'altro, in una dimensione o nell'altra, a scambiarci un ultimo bacio.

 

---

 

Šumšu, Isole Curili (Russia) 11 Novembre 2012

 

“Qui Romanoff, squadra Delta. Edificio sgomberato.”

Natasha abbassa la punta del fucile e fa segno agli altri membri della squadra di proseguire e di perlustrare il perimetro. 

Gli uomini si allontanano cauti, avviandosi nelle postazioni indicate. Tutti, tranne uno. 

Ha ancora la freccia incoccata, ma tiene l’arco con una mano sola e puntato verso terra, mentre si passa il dorso della mano sul viso sudato. Si guarda intorno e quando è sicuro che gli altri membri del team siano abbastanza lontani le si avvicina appoggiandole una mano sulla schiena. “Bel lavoro, Nat. Fury ne sarà pressoché commosso.”

Lei abbozza un mezzo sorriso scostandosi un ricciolo dalla faccia e concedendo un “Ho avuto degli ottimi partners.” come gratifica.

“Ti spettano quattro giorni di riposo, Agente Romanoff, come intendi passarli?”

“Raggiungendo a Istanbul. La pista ci porta direttamente là, troverò sicuramente informazioni utili per…”

“Troveremo” La corregge Clint.

“Non mi pare che Fury ti abbia incluso nella missione.”

“Lo do per scontato, dato che il Direttore mi ha assegnato come partner l’Agente Romanoff.” Gli altri agenti rapportano via radio sui vari ritrovamenti dell’edificio, e Clint decide che la freccia può tornarsene nella faretra. “I quattro giorni di licenza escludono il viaggio ad Istanbul. Possiamo riposarci, ce lo meritiamo. È da tre settimane che stiamo alle calcagna di questi qui.” Lo sguardo di OcchioDiFalco percorre il lungo capannone in cui hanno ritrovato la zecca clandestina di un sofisticato traffico di banconote che finanziava buona parte del terrorismo internazionale.

“Clint, non mi serve.”

“Serve a me. Mi serve saperti riposata, mi serve sapere che non stai esagerando. Puoi, per favore?”

Gli occhi verdi e severi di Natasha sono piantati nei suoi, nel suo sguardo nessuna intenzione di cedere. Ne ha bisogno, di mantenersi occupata, di non tenere la testa alla mercé di pensieri troppo densi da poter assorbire.

Eppure Clint ha ragione: gli strascichi delle operazioni al polmone sono stati più pesanti di quanto lei si aspettasse. A cui si sono aggiunte crisi da astinenza da morfina ed un equilibrio mentale precario.

Si è chiusa a riccio, negli ultimi due mesi: ha cercato di recuperare la sua proverbiale freddezza, il suo famoso distacco. C’è riuscita solo in parte: chi ha condiviso con lei l’avventura più drammatica della sua esistenza non l’ha lasciata andare. C’è Clint, che più che partner di lavoro e di vita può considerarlo la sua ombra. C’è Steve che la cerca spesso. Ci sono Pepper e Tony, che insistono ad organizzare meeting in un’Avengers Lounge appena ricostruita e con una sedia di troppo nel tavolo. C’è Banner che ogni volta che la vede le chiede come stia, occhi a malapena alzati da terra ed atteggiamento sulla difensiva, desideroso di porgerle il suo aiuto ma timoroso di un rifiuto che potrebbe fare infuriare l’Altro.

Incrocia la Hill nei corridoi e quasi non si parlano: La loro folle notte a Las Vegas sembra di un’altra epoca, la foto che ha intravisto appesa nell’armadietto della vice di Fury sembra appartenere ad un altro gruppo di ragazze. Eppure i loro visi sono ben riconoscibili: Lei con un cappello da cowboy glitterato e rosa Pepper avvolta in una bandiera francese, Jane vestita da sexy Elvis, Maria con la fede al dito, ed Addison infilata nel tubino Union Jack che aveva reso celebre Geri Halliwell.

Addison non c’è più. GreyRaven è morta, caduta sul campo.

Basta quella mancanza ad incrinare tutto il mondo.

Quando era in convalescenza si era messa a riordinare, catalogare, raggruppare gli effetti personali di Adie, decisa a sgomberare la sua stanza, a non avere tutti quei ricordi più sott’occhio per tutto il tempo. Aveva lanciato gli scatoloni fuori dalla camera chiedendo a Clint di farglieli sparire dalla vista. Senza dire una parola l’aveva accontentata e lei non aveva voluto sapere che fine avessero fatto. E non aveva più riaperto quella porta.

Odia ammetterlo, ma se non ci fosse stato lui quei mesi sarebbero stati ancora peggiori. Detesta dover aver bisogno di lui, ma nonostante tutti i suoi sforzi non riesce a farne a meno, è così e basta e solo con il tempo e con la mente sempre impegnata,  potrà tornare forte come prima.

Ed indipendente. Emotivamente indipendente da chiunque.

Gliel’avevano detto, che i sentimenti erano una debolezza che una come lei non poteva permettersi.

Ma ora non può fare a meno di Clint e  –  povero  – lui che è sempre così solerte, così efficiente sul lavoro e presente nella sua vita, lui che in quei due mesi ha accettato il ruolo di stampella, di infermiere, di punching ball a volte, si merita un piccolo premio per la sua costanza, la sua pazienza.

Il suo amore.

“Tre giorni, non di più.”

“Grazie.” Lei alza un sopracciglio e gli volta le spalle. Odia anche sentirsi così: grata ed in debito  di nuovo con OcchioDiFalco, e odia sentirsi meglio nell’avere accontentato una sua richiesta. Cerca di dissimulare il suo stato d'animo, si volta con il fucile in mano fingendo di perlustrare la zona.

Un buco nel pavimento, perfettamente circolare.

Quasi ci finisce dentro. Non c'era prima, Natasha ne è sicura.

Chiama Barton e glielo indica con un cenno del capo. Lui si infila l'arco a tracollo, estrae la pistola dalla fondina e una torcia dal taschino del giubbotto.

"È assurdo." mormora, puntando il fascio di luce nel buco. "Non illumina l'interno." 

"Che cos'è questo odore?" Natasha annusa l'aria. "Sembra..."

"...zolfo."

Rumore di passi dentro del buco.

Toc. Toc. Toc, Come se qualcuno stesse  risalendo i pioli di una scala di metallo. Una scaletta lunghissima.

Natasha toglie la sicura al fucile e lo imbraccia meglio, Clint punta la pistola.

I passi si fermano, sembrano proprio all’entrata del buco, eppure la torcia di Clint illumina il nulla più assoluto.

Una mano.

Compare dal bordo e si appoggia sul cemento del pavimento, seguita dall’altra.

Dita candide, femminili, dalle unghie curate e laccate di nero.

Clint intima di fermarsi.

Le mani sembrano indugiare, poi compare una testa castana. "Ho detto FERMO o sparo!"

"...Clint..." La mano di Natasha è sulla canna della pistola. Sposta lo sguardo verso di lei: è impallidita, il labbro inferiore le trema. Fissa la testa - i capelli ondulati che coprono il viso -  e deglutisce con fatica.

Le braccia, le spalle. Il busto avvolto da un tessuto argentato e setoso che scivola lungo i fianchi e le gambe sino a terra.

Quando è completamente in piedi davanti a loro, Natasha ha già abbassato il fucile, un fremito nelle mani. Un movimento fluido della testa e la chioma castana si apre su due occhi dorati.

Lo strillo acuto che rimbomba tra i muri di cemento armato è di Clint.

Una piccola ombra vola attraverso il buco, disegna una parabola per aria e le si posa sulla spalla gracchiando.

Addison Borgo incrocia le braccia , la testa piegata di lato e le labbra vermiglie stese in un sorrisetto sardonico.

 "Un Bentornata poteva bastarmi."

 

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Pare che ce la stia facendo, a scrivere questo benedettissimo sequel!!

Voi l’avete voluto, e mo ve lo pigliate.

Scherzi a parte, gongolo ancora adesso nel notare l’affetto e il riscontro positivo di The Seventh, oltre al fatto che ho ancora tanta voglia di scrivere di Adie.

E di Loki.

E di Nat e Clint. E di Steve, Bruce, Tony, Maria, Thor….

Insomma, mo ve lo beccate.

Cercherò di aggiornare settimanalmente, ormai dovrei essere a buon punto con la stesura della storia e non dovrei subire ritardi… ma ormai sapete meglio di me quanto possa essere pignola e pedante a scrivere, rasentando la patologia.

Vi chiedo solo una cortesia: fatemi sapere cosa ne pensate. Commenti positivi o negativi che siano, ma fatemi sapere.

Perché ci tengo a fare un buon lavoro, perché ci tengo a questa fic, perché ci sto mettendo tutto il mio impegno… ed anche un minicommento mi rende la persona più felice dell’universo EFP.

Grazie, grazie, grazie.

Alla prossima.

EC

PS:  La citazione iniziale è una delle Tagline del film "Lost in Translation".

PPS: l'anno nella data iniziale è una citazione di Titan AE, film del 2000 in cui Joss Whedon era uno degli sceneggiatori.

 

 

   
 
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