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Autore: Lady Orkan    11/02/2013    4 recensioni
[http://it.wikipedia.org/wiki/Wednesday_13]
Il piccolo Mercoledì è un bambino un po' diverso dagli altri: ha anche una mamma un po' particolare. Il suo amore per i cimiteri lo tiene lontano dai suoi coetanei ma, una sera, gli permette di fare un incontro di tutto inaspettato. Un incontro che, un giorno, quando sarà adulto, gli salverà la vita.
Tutto il mio amore per Wednesday 13 in questo One Shot.
Genere: Avventura, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Ieri

“Come ti chiami?”

Il bambino rispose timido “Mercoledì...”

“Ah! Ma sei un maschietto!” lo schernì la donna e lui, quasi in lacrime “Lo so! Ma a mia mamma piaceva la Famiglia Addams...” poi si voltò e cominciò ad incamminarsi verso il cimitero.

“Dove vai? E' quasi buio!” gli urlò la donna.

“vado nel cimitero!”

“Ma a quest'ora? E' pericoloso, lascia perdere! Poi dicono che ci viva un vampiro!”.

“E' per questo che ci vado!” gridò lui tutto allegro.

Mercoledì corse via passando il cancello antico e fermandosi sul sentiero di ghiaia che si snodava tra le lapidi mentre le ombre della sera si allungavano su di lui.

Si diresse verso il fondo, verso le tombe di famiglia più antiche, dove la vegetazione aveva invaso una parte del campo santo reclamando le costruzioni per sé. Amava quella zona proprio per il suo aspetto selvaggio, fermandosi in attesa poteva avere la fortuna di vedere un leprotto spuntare dall'erba o sentire gli uccellini del crepuscolo cantare tra le fronde degli alberi.

Ma quella sera non c'erano suoni della natura a confortarlo nelle ombre della notte che si allungavano come dita ossute attorno a tutto ciò che c'era, bensì un silenzio innaturale e, anche uno strano gelo, un freddo sinistro che non aveva mai sentito.

Si avvicinò ad una delle tombe più vecchie, ormai in rovina, con la cancellata arrugginita divelta e le pietre corrose dal tempo, un soffio gelido che sapeva di muffa e cantina esalava da quella bocca spalancata. Mercoledì si sedette lì davanti prendendo a calci la ghiaia non sapendo bene cosa aspettarsi, non aveva paura, non credeva ai fantasmi come sua madre che, per guadagnarsi da vivere faceva la medium. La gente diceva che era brava anche se molti la definivano una pazza.

All'improvviso alzò gli occhi verso la tomba davanti a lui e la vide.

Ferma, immobile, con le lunghe dita appoggiate al cancello e il sudario che si muoveva leggermente nell'aria della sera: il Vampiro. O quello che era.

Aveva l'aspetto di una donna esile, con la pelle bianca, quasi trasparente e i capelli ricci, di un colore che gli ricordò la gelatina di fragole andata a male. Ma la cosa che lo colpì più di tutti furono gli occhi, completamente neri, privi di pupilla e iride.

Mercoledì doveva scappare, una vocina dentro di lui gli stava urlando di darsi alla fuga, eppure fece esattamente quello che gli aveva insegnato la mamma:

“Ciao!” salutò la creatura con una nonchalance che solo un bambino può avere.

Il vampiro spalancò gli occhi facendoli sembrare ancora più neri socchiudendo la bocca esangue in un espressione di sorpresa.

“Io sono... Mercoledì, tu hai un nome? Dicono che c'è un vampiro nel cimitero, sei tu?”.

La donna uscì allo scoperto dalle ombre, non si avvicinò molto, ma abbastanza perché Mercoledì la sentisse.

“Io sono Arcadia. E' da parecchio tempo che non parlo con qualcuno...”.

Mercoledì la osservò bene, sembrava uno dei fantasmi che invocava la sua mamma durante le sue sedute spiritiche, però non era trasparente e nonostante non la vedesse respirare, era davanti a lui in carne ed ossa.

“Sei sola?”

“Da 200 anni” gli rispose quasi con un sorriso sul volto pallido

“E' terribile, anch'io sono solo... Non ho un papà, la mamma non ha molto tempo per me e non ho amici, anzi, vengo qui perché gli altri non amano questo posto e mi lasciano in pace”

Arcadia inclinò leggermente la testa sussurando “ti tormentano?”

“Mi prendono in giro perchè mia mamma fa la medium,non so se sai cos'è...”

Ebbe l'impressione che il vampiro sorridesse.

“E allora vengo nel cimitero perché hanno paura che il vampiro che vive qui li mangi”

Il sussurro della creatura era un soffio gelido. “Mi temono, come temono tua mamma per questo ce l'hanno con lei”

Mercoledì si sentì a disagio, non credeva che sua mamma potesse fare paura. “Senti, io devo andare, si è fatto tardi...” prese il vialetto e per un attimo pensò che forse il vampiro non l'avrebbe fatto andare via. Ma Arcadia rimase immobile nella notte che ormai avanzava rapidamente guardandolo con quegli occhi neri quanto la notte più oscura.

“Prometto che torno a trovarti!” disse, poi si frugò in tasca e tirò fuori un portachiavi a forma di orsacchiotto di pezza senza un occhio, si avvicinò ad Arcadia e glielo porse.

Il vampiro prese l'oggetto con le mani diafane dalle unghie ad artiglio.

“Ti lascio questo pegno, così sai che torno presto!” e il bambino scappò via.

Arcadia si portò ad altezza degli occhi il pupazzetto, prese uno dei nastri del suo abito, lo legò all'anello del portachiavi e se lo mise al collo, poi annusò l'aria e sentì che non c'era nulla di buono quella sera.

 

Mercoledì corse a perdifiato nella sera sapendo che era in ritardo e che la mamma l'avrebbe sgridato e molto probabilmente mandato a letto senza cena. Ma avvicinandosi a casa cominciò ad avere la sensazione che qualcosa non andasse. I lampeggianti di una volante squarciavano il buio e Mercoledì si chiese se i vicini di casa avessero di nuovo litigato. Correndo sul selciato del marciapiede si accorse che la macchina della polizia era troppo vicina a casa sua per essere venuti per i vicini, anzi era proprio davanti a casa sua, insieme ad un sacco di gente. Più si avvicinava, più aveva la sensazione che qualcosa non andava, e cominciò a rallentare.

C'erano dei poliziotti,un'ambulanza,gente che urlava concitata, la vicina di casa che piangeva e le luci della cucina accese con una curiosa macchia su i vetri, Mercoledì si chiese chi avesse tirato della marmellata contro la finestra. Ma mentre si avvicinava sentiva che dentro di sé c'era qualcosa che non andava, sopratutto nell'espressione della sua vicina sconvolta che gli corse incontro abbracciandolo.

“Povero bambino, povero bambino...” sighiozzava stringendolo contro di sé accarezzandogli la testa. Nonostante fosse troppo piccolo per capire, la consapevolezza che da quel momento in poi la sua vita sarebbe cambiata per sempre gli cadde addosso come un macigno.

 

Oggi

 

Mercoledì correva con tutta la velocità che gli consentivano le sue lunghe gambe. Correva nella sua città natale mentre cercava di mettersi in salvo e con l'aria che gli spettinava i lunghi capelli neri si chiese cosa gli era saltato in mente di tornare lì dopo quasi vent'anni. Dopo la morte di sua madre era stato trasferito da quella città e era passato da una casa famiglia all'altra, era considerato un bambino strano e non riuscivano a trovargli una sistemazione fissa, così il piccolo Mercoledì era stato sballottato da una casa ad un'altra senza avere nessun punto di riferimento. Dopo anni aveva scoperto che sua madre era stata uccisa da un pazzo che apparteneva ad una setta di esaltati, che la consideravano un emissario di Satana. Mentre correva si strinse il pentacolo rovesciato che portava al collo e che lo stava colpendo al viso ad ogni suo passo ficcandolo nel collo della maglietta nera con la scritta Satan che indossava sopra un paio di jeans neri malconci. Era lì per suonare con la sua band non per creare problemi e invece i guai lo avevano trovato, come vecchi segugi a caccia della volpe. Sarà che era capitato in città con i suoi ragazzi proprio durante un meeting di esaltati religiosi che non gradivano i suoi testi e le sue canzoni, oppure per il fatto che loro più che devoti figli del Signore, erano i figli illegittimi del rock. O che si era portato a letto una ragazza che non solo era minorenne, ma era anche la figlia di uno di questi squilibrati. Mentre correva a perdifiato con la coda di procione che sventolava legata dietro ai pantaloni, si fece un appunto mentale: la prossima volta avrebbe chiesto la carta d'identità alle fanciulle che invadevano il suo backstage, giusto per evitare incidenti.

Il sole stava morendo dietro l'orizzonte lasciando spazio alla pallida luna, mentre Mercoledì sentiva le voci concitate dei suoi inseguitori alle sue spalle, non lo mollavano, come mastini inferociti lo avrebbero rincorso anche all'Inferno e questo a Mercoledì non piaceva affatto. Stava correndo vicino ad un muro coperto di edera e muschio che conosceva molto bene, era il recinto del cimitero della città. Si guardò un attimo alle spalle poi tentò il tutto per tutto: saltò contro il muro afferrando con le mani il bordo del muro e si tirò su. Era magro e agile a differenza dei suoi inseguitori, quattro uomini in sovrappeso, e riuscì ad issarsi su e a cadere dall'altra parte senza troppi danni. Corse sulla ghiaia tra le lapidi consunte mentre le ombre della sera si allungavano. Decise di andarsi a nascondere tra le tombe di famiglia più antiche, era nero come la notte e nelle tenebre difficilmente i suoi inseguitori lo avrebbero trovato. Alla prima cancellata aperta s'infilò dentro, appoggiò la schiena sudata contro le lapidi fredde rabbrividendo. Dubitava che gli uomini che gli davano la caccia avrebbero saltato il muretto, forse, se era fortunato, non sarebbero nemmeno entrati visto che il cimitero era già chiuso. Ansimando, tentò di calmarsi visto che il suo cuore correva come un coniglio impazzito e il suo respiro rimbombava tra le pareti di marmo come il rantolo di un moribondo. Sentiva il freddo e l'umidità della cripta in fondo alla stanza che lo stava mordendo ma non voleva assolutamente muoversi da lì, sarebbe uscito solo a tenebre calate e avrebbe raggiunto i suoi compagni per andarsene da quella maledetta città che gli aveva procurato solo un mucchio di guai.

Sbirciò fuori trattenendo il respiro, per ora il silenzio e la quiete del cimitero era rotto solo da il cinguettio degli uccellini del crepuscolo. rimase in ascolto, come un animale braccato in attesa del colpo di fucile, poi si spostò sul fondo della camera dove si trovava l'ingresso dell'ossario chiuso da un cancello malconcio. Guardò giù ma l'oscurità inghiottiva la scala di pietra che portava al piano di sotto come un mostro dal respiro gelido. Un rumore gli fece accamponare la pelle, c'era qualcuno nel cimitero. Mercoledì si appiattì contro le pietre sepolcrali della parete strisciando verso l'ingresso giusto per capire chi c'era lì fuori. I passi pesanti di quattro uomini gli fecero capire che i suoi inseguitori non si erano arresi, facile che il guardiano del cimitero gli avesse aperto, quelli erano uomini timorati di Dio non cani randagi figli di chissà chi come lui. Si stavano avvicinando alle tombe di famiglia dove si trovava lui, strisciò di nuovo verso il cancello del sotterraneo provando a spostarlo lentamente, stranamente le inferriate arrugginite si aprirono docilmente e Mercoledì riuscì ad infilarsi attraverso scendendo un paio di gradini e rimanendo dell'oscurità ma riuscendo a tenere d'occhio l'ingresso della tomba.

Per un attimo si voltò a guardare le tenebre dietro di lui, aveva la spiacevole sensazione di essere osservato, poi pensò fosse la sua immaginazione, in fondo, era in una tomba e nonostante lui fosse dichiaratamente un figlio delle tenebre, la sua suggestione gli giocava brutti scherzi. Le voci si fecero più vicine, stavano guardando dentro tutti i piccoli mausolei, vide le sagome due uomini stagliarsi contro l'ingresso della tomba dov'era nascosto lui e si accucciò su i gradini per non essere visto. Entrarono ma rimasero appena poco l'ingresso, la camera era quadrata e non c'era la possibilità di nascondersi, quindi se ne andarono immediatamente. Mercoledì si concesse finalmente un sospiro di sollievo, si alzò lentamente e scivolò fuori dal cancello della cripta. Aspettò ancora un attimo perchè sentiva le voci dei suoi inseguitori poco fuori di lì e si appoggiò al muro. Aveva freddo e la pelle d'oca ma sarebbe congelato piuttosto che uscire in quel momento. Nell sua vita di botte ne aveva già prese tante, e ne aveva anche date, e sapeva che affrontare quattro uomini erano troppi anche per un bastardo come lui.

All'improvviso “Ace of Spades” dei Motorhead risuonò all'interno della tomba congelando Mercoledì. Era il suo telefonino, ce l'aveva in tasca e se ne era completamente dimenticato. Forsennatamente si frugò nella tasca posteriore dei pantaloni dove lo teneva schiacciando i tasti a caso per spegnerlo ma impiegò troppo tempo, la tomba faceva da amplificatore e sentì chiaramente i suoi inseguitori avvicinarsi. Mercoledì si lanciò fuori dalla tomba come se lo avessero sparato con un cannone, ma non bastò, uno degli uomini che gli stava dando la caccia lo intercettò prendendolo per le spalle e scaraventandolo di nuovo nella tomba. Mercoledì perse quasi l'equilibriò poi si voltò ad affrontare i suoi nemici, senza perdere tempo tirò un gancio all'uomo che gli stava davanti prendendolo in pieno volto, poi si spostò nel tentativo di guadagnare l'uscita, schiviò un pugno del secondo uomo ma non riuscì ad evitare un calcio nello stomaco dal terzo. Cadde contro la parete perdendo l'equilibrio e finì a terra. Due mani lo presero per il collo tirandolo su di peso e una volta in piedi si ritrovò a fissare la canna di una pistola. Ora sapeva di essere veramente nei guai.

“Uccidere quelli come te che guastano tutto ciò che toccano con le loro mani empie dovrebbe essere la missione di coloro che credono nel Signore!” disse l'uomo con la pistola.

Mercoledì lo guardò, con il make up a spasso per la faccia non aveva uno dei suoi aspetti migliori, tentò di dire qualcosa ma non riuscì a parlare, lo stavano stringendo troppo forte e cominciava a mancargli l'aria. Le immagini davanti a lui cominciarono a ballare.

L'uomo con la pistola si fece più vicino. “Non dovevi permetterti di toccare mia figlia, come hai fatto a convincere una ragazza così dolce e pura? L'hai costretta con la violenza? I bastardi come te non dovrebbero nemmeno nascere!”.

Sul fatto che sua figlia fosse dolce e pura, Mercoledì avrebbe avuto da ridire. Trovò piuttosto comico che una di quelle persone che si dichiarava contro l'aborto gli dicesse che non sarebbe dovuto nascere. Ma il mezzo sorriso che aveva sul voltò pallido non piacque al suo aggressore che lo colpì alla testa con la canna della pistola.

Mercoledì vide le stelle, pensò che comunque era un pivellino chi aveva davanti, non si colpisce un uomo con la canna di una pistola ma con il calcio. Ora doveva solo attendere che facesse un errore per provare a liberarsi. Ma era quasi in stato d'incoscienza, la mancanza di ossigeno cominciava a farsi sentire e le gambe gli stavano cedendo. Nel momento in cui pensò di stare per svenire, le mani che lo stringevano lo lasciarono andare, lui prese una profonda boccata d'aria mentre i suoi occhi tornavano a mettere a fuoco chi aveva davanti e si rese conto che stava per morire. I due uomini lo avevano lasciato andare per permettere al terzo di sparare liberamente.

Non riuscì a pensare a niente, anche perchè nel momento che l'uomo davanti a sé decise di sparare, scomparve dalla sua vista. Mercoledì sbattè le palpebre un paio di volte senza capire che cosa fosse successo, un momento prima ce l'aveva davanti e un momento dopo... Il suo aggressore era a terra con la testa fracassata contro una delle lapidi del muro in una pozza di sangue. Gli altri tre uomini gridarono, nella semi oscurità nessuno vedeva bene cosa stava succedendo, c'era qualcuno con loro nella cripta ma Mercoledì non riusciva ad inquadrarlo. All'improvviso uno degli uomini che lo aveva tenuto per il collo venne sollevato da terra come per magia, per poi ricadere con la gola squarciata sul pavimento. Gli altri due non se lo fecero ripetere due volte, corsero fuori dalla tomba come se il diavolo in persona gli corresse dietro, dimenticandosi del tutto dei loro compagni.

Mercoledì rimase fermo, immobile nell'oscurità non sapendo cosa fare. C'erano due uomini morti ai suoi piedi e sapeva che non era assolutamente un buon segno. A questo giro i guai erano grossi, come un giro di roulette russa andata a male. Poi la vide, comparve dalle tenebre come un fantasma, con il sudario che l'avvolgeva appena mosso dall'aria che sospirava dal sotterraneo, il viso bianco sporco di sangue. Si avvicinò come se fosse il silenzio in persona guardandolo con i suoi occhi completamente neri e toccò con le sue dita gelide le labbra di Mercoledì. Lui la guardò terrorizzato ricordandosi in quel momento di chi fosse, facendo cadere lo sguardo al collo della donna. Appeso ad un nastro aveva il piccolo peluche che le aveva regalato vent'anni prima. Il vampiro sorrise mostrandogli le zanne ancora sporche di sangue.

“Lo sapevo che saresti tornato...”

 

 

   
 
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