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Autore: La Perfida H    11/02/2013    0 recensioni
Wow, la mia seconda storia!! Che felicità.. Dai, sul serio sono davvero felice di tutto ciò poiché quello che è raccontato in questa storia mi è successo davvero. Precisamente il 29 novembre 2012. C'era l'occupazione nella mia scuola. Se passate a leggerla, lasciate una recensione. Vi ringrazio :D
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Di solito, le mattine che dovevo alzarmi per andare a scuola, lo facevo controvoglia: mi giravo dall’altra parte, cacciando via mia madre che dolcemente veniva  a svegliarmi. Quella mattina no. Quella mattina mi feci già trovare in piedi e perfettamente  sveglia. Andai subito a fare colazione con le mia amate fette biscottate nel tè. Mi lavai, mi vestii e mi truccai. Mentre mamma mi accompagnava a scuola, mi fermai a pensare perché avevo così tanta voglia di andarci: la legge fatta da noi ragazzi di convertire le scuole pubbliche in private, non era stata accettata dal consiglio d’Istituto e così gli studenti si sono ribellati, occupando gli edifici scolastici. Questa “occupazione” c’era già da un paio di giorni, nei quali abbiamo seguito corsi di scacchi, danza o semplicemente chiacchierato e passeggiato per tutta la scuola. Mentre la mattina svolgevamo questi corsi, il pomeriggio i ragazzi per la maggior parte andavano via, e rimanevano solo quelli che poi sarebbero stati  lì per la notte. Dio, quanto mi sarebbe piaciuto dormire lì… una notte passata a divertirmi con i miei amici, ma i miei genitori non me l’avrebbero mai permesso. A me andava bene lo stesso, poiché potevo rimanere fino alle sette, orario in cui mio padre veniva a riprendermi.
La macchina parcheggiò e scesi, salutando mia madre che mi stava augurando buona giornata. Entrai a scuola, dove trovai già molti miei compagni che si scambiavano le prime chiacchiere del mattino. Scorsi in portineria Ilenia e Davide , due dei rappresentanti d’istituto. Mi avviai verso di loro e li salutai. Loro mi salutarono a loro volta e mi invitarono a firmare sull’agenda aperta davanti a me.. Dopo aver scritto ”Erika Velluti  8.06” raggiunsi Arianna e Gaia, due mie compagne di classe che mi salutavano già da lontano.
La giornata cominciò al meglio. Mi divertii come una pazza a scorrazzare per i corridoi o a ballare in palestra con tutti i compagni. Verso le 11 mi ritrovai,  sempre in compagnia delle mie due amiche, rilassate sul materassino verde posto all’entrata della scuola.
 Un comodissimo materasso capace di inghiottirti tutt’intera, sul quale c’entrano circa quattro persone ma inspiegabilmente stavamo lassù in più di otto!!
Dopo un po’ di tempo passato a rilassaci, arrivò Lorenzo, il diciannovenne più amato dalle ragazze della scuola.. e anche dalla mia amica Gaia, che fu estremamente contenta del fatto che Lorenzo era lì con noi: si sdraiò su di lei, che aveva il viso rivolto verso di me e mi faceva continuamente strane facce sussurrandomi frasi del tipo “ guarda quant’è cucciolo!! “. Io la assecondavo, soffocando le risate che mi venivano spontanee. Anche se un po’ scomodi, ci divertimmo a stare tutti insieme sul quel materasso... così tanto che non ci accorgemmo del tempo che velocemente passava.. Ridevamo, scherzavamo e stavamo bene, fino al momento in cui sentii il cuore in gola, le pulsazioni aumentavano e mi sentivo quasi soffocare: Simone, il ragazzo per cui avevo una cotta, arrivò, si sporse verso di me per poter salutare Gaia, che lo conosceva e si allontanò lentamente.
 
Ripresi a respirare regolarmente e mi stupii del fatto che la mia amica lo conosceva. Gaia, più stupita di me, mi disse “ vuoi che te lo presento?”. Risposi immediatamente di  no : se dovevo conoscerlo significava che dovevo  parlarci e a malapena riuscivo a stargli vicino...  La giornata passò velocemente. Ogni volta che vedevo Simone, mi fermavo a pensare, e a ringraziare il cielo per  aver creato qualcosa di così perfetto.
Arrivarono le cinque di pomeriggio. Gaia ed  Arianna andarono via ed io rimasi con Giorgia, la mia vecchia compagna delle scuole medie. Verso le cinque e mezza ci ritrovammo tuti intorno al bancone della portineria a chiacchierare. Erano presenti alcune ragazze che avevo conosciuto i giorni precedenti, come Sofia e Teresa, ed oltre a loro c’erano Sara, un’altra dei rappresentanti d’Istituto; Federico Micucci, il fratello sedicenne di Lorenzo ,e... lui. Simone era lì. Il primo giorno d’occupazione che rimaneva fino a sera, come me. Salutò Martina, la sua ragazza, che andò via e quindi venne a sedersi insieme a noi. Il fato volle che l’unico posto libero rimasto era su un banco vicino a me. Si sedette lì.  Ecco di nuovo il cuore che pulsa velocemente, senza  fermarsi. Riuscii a calmarmi solo dopo mezz’ora che era seduto lì e durante questo tempo, giravamo le teste, guardandoci e magari all’occasione sorridendoci. Simone si lamentò ripetutamente di avere un grande appetito e, impaziente di alzarsi e mangiare, mi guardò e mi disse, con il divertente linguaggio usato dai giovani, “ tu non c’hai fame?”
Mi stava parlando. Il ragazzo che ho sempre amato segretamente, mi stava parlando. Non esitai un istante a rispondere e quindi gli dissi subito di sì. Ribatté : “ e allora annamo!!”  Un minuto dopo io, lui, Giorgia, Sofia e Teresa ci stavamo recando alla pizzeria sotto scuola per sgranocchiare qualcosa. Mentre ci avviavamo, pensavo a quello che incredibilmente stava accadendo:  stavamo andando a mangiare insieme. Perché io sono fatta così, mi sorprendo con poco. Mi basta un semplice sorriso, un semplice discorso per farmi emozionare.  Mentre raggiungevamo la pizzeria, stetti a guardare lui e Sofia che si accendevano una sigaretta. La ragazza si accorse che la stavo fissando e mi offrì un tiro. Rifiutai all’istante, anche grazie all’aiuto di Giorgia che disse a Sofia, forse anche per prendermi un po’ in giro, che io non potevo fumare, siccome soffrivo d’asma. Subito, Simone mi chiese con tono preoccupato se il fumo mi dava qualche fastidio. Gli dissi la verità, cioè che non mi dava alcun problema.                                                                       Pagai  €1 per un trancio di pizza rossa, che non avevo assolutamente voglia di mangiare poiché non avevo fame, ma se significava stare un po’ con lui, ne avrei mangiata una tonnellata,  di pizza!                            Simone  e le altre presero la pizza bianca e dopo che il ragazzo finì la sua, ne  elemosinò un po’ di quella di Giorgia che glie la negò. A quel punto, quando stavo per scoppiare, gli offrii la mia sperando che l’avrebbe apprezzata.. Non mi sarei mai aspettata la risposta che effettivamente mi diede: quando glie la porsi mi disse: “Davvero? Ma io te amo!” Spalancai gli occhi e feci un bizzarro sorriso imbarazzato, dovuto a quella sua improvvisa risposta. Simone finì anche la mia pizza e poi tutti insieme ci avviammo per tornare a scuola. Usciti dal locale, lui mi mise il cappuccio della felpa in testa, siccome pioveva e a guardarlo, Giorgia reagì con uno strano verso del tipo “ awww che dolce!!”   Io diventai rossa e cercai di nascondere il viso dentro la pelliccia del cappuccio, anche se tornai immediatamente al mio colore naturale, poiché faceva freddissimo. Ci sbrigammo a tornare a scuola ma dall’altoparlante Sara ci invitò a riscendere per sbloccate il tasto del citofono che era rimasto inspiegabilmente incastrato, così, velocemente lo sbloccammo e tornammo dentro l’edifico con quell’apparente calduccio.                                                                                                   Stranamente Sara si era arrabbiata con noi e ci aveva obbligato a fare le pulizie, così ci armammo di scopa e paletta ed iniziammo a spazzare. A me e Giorgia era stato assegnato il corridoio delle classi del grafico e della sezione moda, mentre Simone e Federico dovevano pulire le classi del turistico.
Prima di separarci per andare a far le pulizie, ci facemmo una passeggiata per le classi di moda, a guardare i bizzarri modelli disegnati dalle studenti di quel corso. Ne stavo fissando proprio uno particolarmente stano, quando Giorgia mi chiamò per un abbraccio di gruppo e c’era anche Simone.  Andai nel panico. Non volevo abbracciarlo perché avevo paura…così, riflettendo un po’ mi giustificai così: “ non sono per gli abbracci di gruppo” con un tono vanitoso che avevo assunto solo per non apparire stupida, ma poi, riflettendoci, rimpiansi quell’occasione perduta.  Mentre strofinavo le pezze sui banchi impregnati di sgrassatore, pensavo a quello che era successo poco prima e mi stupivo che fosse accaduto proprio a me.  Passai quella mezz’ora a pulire e sistemare sedie sparse per tutte le classi, ed intanto riflettevo su quello che era accaduto e su quello che sarebbe potuto accadere. Mi concessi una pausa, quindi mi diressi verso la portineria a salutare Sofia e poi andai verso le parti del turistico a fare un giro. Vidi l’intero corridoio davanti a me , ma c’era qualcos’altro. Eccolo. Simone era uscito da una delle classi e si dirigeva  da dove venivo io. Ce la feci. Raccolsi un po’ di coraggio e spalancai le braccia come a volere un grande abbraccio. Mi sorrise e nel punto del corridoio in cui ci incontrammo, mi strinse tra le sue braccia, dandomi un bacio sulla guancia. In quei pochi istanti non pensai ad altro; mi concentrai solo su di lui e sul fatto che eravamo lì, un una fredda serata di novembre, da soli,  abbracciati. Quando mi lasciò ci guardammo un paio di secondi e ci sorridemmo, poi mi toccò la spalla con la mano e si avviò, lasciandomi lì, a cercar di tornare sul pianeta Terra, perché lui mi aveva portata in Paradiso.  Ero al settimo cielo per quell’abbraccio, il più bello della mia vita. Dopo quell’accaduto, cominciammo ad essere più in confidenza, continuando a sorriderci e a fare le pulizie insieme in giro per la scuola.
Tornai al corridoio del grafico, quando incontrai Lorenzo. Ci conoscevamo solo dal giorno precedente. Mi chiamò, recitando una sorta di piccolo scheck. “ Scusi, signorina!! Mi scusi!!”  Mi voltai, per verificare che si rivolgesse proprio a me. “ Venga qui, signorina!”. Mi avvicinai a lui e mi disse: “Guardi che io non la pago per star senza far niente.” Io, imbarazzatissima, gli chiesi scusa, anche se non sapevo bene per cosa. Smise di recitare, mi accarezzò una guancia e, tra una risata e l’altra finì col dirmi: ”Ma che scusa, sto scherzando”          Gli sorrisi e tornai a pulire.
Stavo sognando. Il sogno più bello che abbia mai fatto, che abbia mai vissuto. Come al solito, quando ci si diverte, il tempo passa velocemente.  Verso le sei e mezza andammo tutti in palestra, dove alcuni ragazzi fecero una veloce partita a pallavolo ed altri semplicemente guardavano e facevano il tifo. Io, Simone e Giorgia ci andammo a distendere sugli enormi materassi azzurri. O era una mia impressione, oppure lui voleva davvero passare del tempo con me.. e lo capii da tutto quello che era successo il pomeriggio passato, e soprattutto da come ci distendemmo su quei materassi. Ci mettemmo uno di fronte all’altra. Io immobile e lui con un braccio intorno ai miei fianchi, e con la mano che dava delle piccole carezze.
 Restammo così per un bel po’, a guardarci negli occhi, poi circa mezz’ora dopo lui si distese ed allungò il braccio destro, che usai come cuscino appoggiandoci la testa. Più tardi ancora, mezzi addormentati,  Simone si alzò per fare due tiri col pallone, ed io rimasi lì, quasi completamente ad occhi chiusi, ma poi sentì il cellulare vibrare. Lo presi, era mio padre che mi chiamava. Risposi, e venni informata da lui che era proprio fuori scuola con l’auto ed era venuto a prendermi. Il mio sorriso si tramutò in una smorfia triste, perché quel sogno stava velocemente finendo, e presto sarei dovuta tornare al mondo reale, quello che non mi è mai piaciuto. Ma non potevo certo disobbedirgli, quindi presi lo zainetto, la felpa e mi alzai, salutando tutte le mie amiche. Stavo per uscire dalla palestra, quando Simone mi sorrise per la centocinquantesima volta. Mi avvicinai, e lo salutai, informandolo del fatto che stavo andando via. Appena lo seppe, mi diede un altro piccolo abbraccio e mi disse una frase. Una cosa insignificante, ma che risuonò nella mia teste per tanto, tanto tempo: “ Aggiungime su facebook”. Quando montai sull’auto, salutai il mio papà che mi chiese cosa avevo fatto quella giornata. Risposi semplicemente con “ niente di che le solite cose”. Non volevo raccontargli niente. Non volevo raccontarlo a nessuno. Era la cosa più bella che mi fosse mai successa e non volevo condividerla con gli altri. Solo io e lui. Lui e me. Una nuova amicizia nata in un momento qualsiasi, la nostra.  Dopo una breve sosta al bar con mio padre, ci recammo a casa, ed io mi precipitai davanti al computer, accendendolo. Cercai una scusa da dare ai miei genitori. Gli dissi che dovevo urgentemente controllare il sito della scuola per vedere se c’era qualche annuncio nuovo riguardo alle lezioni. Mi diedero il permesso.  Aprii Facebook, cercai il suo profilo. Vidi le foto, i post, gli annunci, e tutto mi sembrava così bello.  Stetti tutta la sera a pensare a lui. Durante la cena mi sentivo  così amareggiata dal fatto che fino a poche ore prima era successo un miracolo, e che ora ero lì, a mangiare come tutte le sere, in silenzio e come se nulla fosse. Beh, questa è la mia vita di sempre, ed è noiosissima.  Mi lavai ed andai a dormire subito. Volevo che la giornata seguente fosse arrivata presto. Mi infilai nel letto ma non riuscii a prendere sonno non prima di un’oretta. Ero troppo agitata, pensando che avevo conosciuto il ragazzo che amavo, che ci avevo parlato, che ci avevo fatto amicizia. Un sogno, ecco cos’era. Non poteva essere reale.
Diversamente dalle altre mattine, alle sette ero già in piedi e perfettamente sveglia. In venti minuti feci colazione, mi lavai, mi vestii e mi truccai.. neanche avessi la super velocità. Mamma si stupì del fatto che ero già sulla porta di casa, pronta ad uscire, mentre gli altri giorni a quell’ora dovevo ancora vestirmi. Arrivammo a scuola, proprio come i giorni precedenti, e come sempre, salutai mamma, entrai, diedi il buongiorno ad Ilenia e Davide e firmai.
Trovai di nuovo Gaia ed Arianna al solito posto, e raccontai loro ciò che era successo il giorno  prima. Ero troppo emozionata  per  tenerlo segreto alle mie amiche. Loro furono molto felici per me.
Incontrata poi Giorgia, girammo per la scuola, come tutti giorni e ci divertimmo. Ancora non avevo visto Simone e mi stavo torturando all’idea che non venisse. Intanto stavo con Francesca, un’altra mia amica. Sia lei che Giorgia, in tono contentissimo, mi informarono del fatto che sarebbero rimaste lì a dormire quel venerdì notte e stavano appunto pagando €5 a Davide Festuccia, per la braciolata che si sarebbe fatta quella sera .Fui felice per loro e triste per me. Ero rimasta ferma a pensare a ciò, mentre Francy e Giorgia erano entrate nella classe 1 B. Andai anche io lì, e qualche istante dopo arrivò lui. Di nuovo un tuffo al cuore: mi avrebbe salutata? Mi avrebbe ignorata?.. Si avvicinò e mi baciò, dandomi il buongiorno,  come la giornata precedente. Si allontanò con Martina, la sua fidanzata. Il mio sogno era ricominciato. Mi divertii, fino al momento in cui seppi che anche Simone avrebbe dormito lì. Non potevo lasciare che stesse tutta la notte con Giorgia e Francesca ( alle quali piaceva lui ). Chissà cosa sarebbe successo, se non ci fossi stata.
Mi decisi, presi il telefono, e con il supporto morale delle mie amiche, chiamai mia madre. Quello era il momento di utilizzare le mie doti di attrice drammatica, così appena rispose, la salutai, chiedendole cosa stesse facendo, poi le dissi tutto. Con tono triste e malinconico, le annunciai che sia Giorgia che Francesca, ragazze che anche lei conosceva, sarebbero rimaste per la notte. La incoraggiai, sul fatto che se me lo avrebbe lasciato fare, non sarei stata da sola.. Le passai anche le ragazze, per rassicurarla…Dopo cinque minuti di telefonata, attaccai. Le spettatrici chiesero subito cosa mi avesse detto. Risposi con le sue stesse esatte parole: lo sai che devi chiedere a tuo padre. Effettivamente era la risposta che mi aspettavo, visto che in famiglia, quello rigido era proprio mio padre.  Avrei potuto benissimo chiamarlo lì, ma lui non sopportava che lo facessi convincere dalle mie amiche, così aspettai.
Mi godei la giornata, tra risate, pisolini sui soliti materassi., e tanto relax. Vennero le tre. Simone andò via ed informò alcuni tra i presenti che sarebbe tornato intorno alle sei ed avrebbe dormito lì.                              Ci ritrovammo in cinque persone: Io, Gabriele ( un mio compagno di classe), Raffaele ( un ragazzo della 2 E), Giorgia e Francesca. Decisi di andare un po’ a casa, anche per chiamare papà e convincerlo, così salutai Giorgia, dicendole che sarei tornata una mezz’ora dopo. Mi avviai a casa a piedi, pensando a cosa sarebbe potuto succedere se papà mi avesse lasciato dormire lì.
Arrivai a casa alle tre meno venti. Salutai mia madre e mia sorella, che era appisolata sul divano. Mi sedetti al tavolo della cucina, insieme a mamma: quello era il momento di prendere in mano la situazione e di farsi coraggio.
Lei prese il cellulare, compose il numero di  papà ed iniziò a parlarci.  Poi gli introdusse il discorso dell’occupazione ed iniziò a guardarmi con una faccia consolatoria. Subito pensai male, poi la mamma mi passò il telefono. Salutai dolcemente mio padre che subito mi sgridò, dicendomi le solte cose: sei troppo piccola per queste cose, chissà cosa succederebbe, non puoi dormire fuori casa e per di più in una scuola… Continuò per molti minuti finché non gli dissi con tono affranto” Non fa niente”.
Scoppiai a piangere. I genitori non capiscono mai quanto siano importanti queste cose.
Dopo aver trascorso altri cinque minuti a parlare con mamma, lei attaccò e mi guardò, poi sorrise: potevo andarci, a patto di comportarmi bene. Le lacrime si trasformarono subito in un urlo di gioia. Non persi tempo a stare senza far niente, così mi precipitai in camera: presi il mio diario segreto e scrissi dell’accaduto, poi mi spogliai e feci una veloce doccia. Mi vestii, indossando un pantacollant nero, una maglietta verde acqua della Hollister e le mie adorate Air Force. Preparai uno zainetto in cui misi una bella coperta calda, dei trucchi ed un borsello con degli spicci.
Tutto era pronto, salii in macchina con mia madre e mia sorella, e quest’ultima si diresse verso la sua scuola, il Classico, mentre  io andai nel mio amato Grafico.                                                                                 Entrai e trovai in portineria Giorgia e Teresa, che mi salutarono e subito mi chiesero cosa avesse deciso mio padre. Le guardai con aria triste, per far loro uno scherzetto, e dissi: “beh.. ha detto… siiii!!!”    Giorgia fu felice più di me e mi diede un abbraccio fortissimo..
Incontrai Festuccia per uno dei corridoi e gli diedi i 5€ per la cena.  Mi ringraziò e fu molto sorpreso del fatto che sarei rimasta anche io.  Mi buttai a peso morto sul materasso verde, giocherellando col cellulare.
Stetti lì a divertirmi e a ripetere a tutti i presenti quanto fossi felice di rimanere  per la notte. Vennero le quattro ed arrivò Lorenzo. Trovò le due ragazze in portineria e me, seduta sul bancone. Lo vidi abbastanza  arrabbiato e gli chiesi cosa fosse successo.  Mi mostrò il suo giacchetto nuovo e per di più bianco come la neve. Notai due strappi lungo i fianchi. Colpa del portoncino troppo stretto dell’entrata della scuola.
Sbuffò, ma poi si calmò. Anche lui venne informato del fatto che avrei dormito lì e fu molto contento.                        Ci rilassammo tutti e quattro, ascoltando la (scadente) musica che avevo sul cellulare. Collegò il mio telefono  con un cavetto alle casse per la musica, che erano state portate all’inizio dell’occupazione.                                     Quel momento di assoluto divertimento, quel momento in cui io e Lorenzo cantavamo a squarciagola “ I miss you “ dei Blink 182.. beh, erano attimi stupendi.
Arrivò il tardo pomeriggio, e cominciavano ad arrivare anche altri ragazzi, come i fratelli Sara e Saverio.  Dopo un po’ venne anche Sofia.
Ci ritrovammo tutti insieme a parlare nell’atrio. Alcuni di noi erano sul materasso verde, come me, Teresa, Sofia e Giorgia. Mentre gli altri chiacchieravano e ridevano animatamente, io stavo lì, a fissare le lancette dell’orologio, attendendo impazientemente che arrivassero le sei.
Intanto le altre tre ragazze andarono a fare un giro, ma a me non andava di muovermi, così rimasi lì, e poco dopo arrivarono Helena e Federico Esposito: un grande scocciatore che dava fastidio un po’ a tutti, e così, tra una litigata e una risata, conobbi anche lui. Poco dopo, la ragazza andò via, salutando tutti i presenti.
Poco dopo ci riunimmo a chiacchierare e a discutere sulla festa che si sarebbe fatta di lì a poche ore.
Fingevo di divertirmi ma non ci riuscivo, poiché lui era l’unico motivo per cui avevo convinto i miei genitori a lasciarmi dormire lì. Non arrivava. Tutto quel tempo, era tempo sprecato, che non potevamo passare insieme perché lui non c’era. Finii di mangiucchiarmi le unghie e continuavo a fissare quelle maledette lancette, che si muovevano così lentamente. L’orologio segnava le sei e un quarto. Quell’attesa mi stava letteralmente uccidendo. Ad un tratto sentii Sofia gridare “ E’ arrivato Simone!!”. Diedi un veloce sguardo al viale appena fuori il portoncino. Deserto. Neanche un’anima. Era solo uno scherzo.   Diedi un altro sguardo all’orologio: sei e mezza. Ormai non ci speravo più. Continuavo a fissare quell’oggetto tondo appeso al muro.  I minuti, persino i secondi passavano lentamente  e mi domandavo per quale motivo aveva detto che sarebbe venuto alle sei, se poi non c’era. Mi stavo incasinando il cervello. Dovevo darmi una calmata, ma riuscivo solo ad agitarmi di più. Un’altra occhiata all’orario: ormai erano le sette. Mi stavo risparmiando all’idea di passare quella notte senza di lui, quando sentì il portone aprirsi. Simone era arrivato. Mi alzai subito in piedi,  dopo aver passato più di qualche ora su quel maledetto materasso. Mi appoggiai con i gomiti sul bancone, fingendomi una diva. Lui entrò, salutò le ragazze sul materasso e poi venne da me.  Si avvicinò, mi baciò e mi disse, quasi sussurrando all’orecchio “ buonasera”.  Risposi ugualmente, con un lieve accenno di sorriso. Avevo un’espressione apparentemente tranquilla, ma dentro, stavo saltellando dalla gioia. Mi stavo preparando per passare una notte intera con il ragazzo che amavo. Sarebbe stato fantastico.
La festa cominciò ed il divertimento non fu assolutamente paragonabile a quello dei giorni precedenti:                  fu estremo. Provate ad immaginare: Musica a volume altissimo. Pizza e bevande esposte sui tavoli. Trenta o quaranta adolescenti tra i 14 e i 20 anni che di divertono da morire a scuola, da soli. Era di sicuro il momento più incredibile che abbia mai vissuto.
Ero eccitata all’idea di stare tutto il tempo con Simone, ma inspiegabilmente se ne rimase tutta la sera rintanato in una classe da solo, poiché Francesca gli aveva detto di avere una cotta per lui, che c’era rimasto male, così cercai di divertirmi anche senza di lui… e ci riuscii. Stetti fino alle 10- 11 insieme a Federico, che non la smetteva un attimo di sbaciucchiarmi e di abbracciarmi. Verso le dieci e mezza, Saverio, un sedicenne un po’ montato della 1 A, ci chiamò in palestra per fare un gioco.
 Non avevo idea di cosa si trattasse fino a quando non vidi tre bottiglie di vino appoggiate su un tavolino.         Il sedicenne chiamò Simone per farlo partecipare, il quale a stento accettò. Era un gioco molto sciocco che consisteva nel fare una sorta di balletto complicato con diverse mosse, e se venivano sbagliate, occorreva bere un bicchiere di vino. Il povero Simone sbagliò ripetutamente i passi, quindi bevve e tutti i presenti lo videro non in perfetta forma per la smisurata dose di alcool ingerita, ma lui continuava a dire che stava bene.  Tornati poi nell’androne continuammo la festa, tra mille casini e mille risate. Arrivarono anche parecchi esterni, ovvero studenti di altre scuole, che si aggregarono a noi ragazzi del Grafico.
Per tutta la sera ero stata tartassata da Lorenzo e Federico che insistevano nel chiedermi se mi piacesse Simone, ma rispondevo sempre di no. Non volevo che la mia cotta fosse rivelata ma Lorenzo aveva la mentalità di un ventenne, ed era quindi impossibile per lui credere alle mie bugie.
Verso le undici, la festa raggiunse il culmine del divertimento. Mi guardavo intorno, vedevo ragazzi che cantavano, ormai già completamente ubriachi; altri che fumavano chissà qualche intruglio, e altri ancora, che se ne stavano chiusi in stanze da soli, come Simone.
Decisi di andare a dargli un’occhiata, insieme a Sofia e a Francesca, colpevole di quello che stava succedendo a quel ragazzo dolce e innocente.
Francesca entrò in classe e si richiuse la porta alle spalle, lasciando me e l’altra ragazza, sedute su una cattedra, con Sofia che stava gustando una cioccolata calda. Mentre chiacchieravamo, la porta si aprì di colpo e ne uscì Francesca.  Sofia, che si era spaventata per l’improvviso rumore, versò accidentalmente il cioccolato sui miei pantaloni. Mi alzai di scatto, lanciando un piccolo grido strozzato, dovuto alla strana sostanza densa e terribilmente bollente che percorreva la mia gamba sinistra.                                                   Mi precipitai in bagno per lavare via la macchia che proprio non voleva saperne di venire via, mentre ascoltavo Sofia che non la smetteva di scusarsi per l’accaduto.                                                                             Qualche tempo dopo tornai con le ragazze nell’atrio, con una bella macchia marrone su una gamba, m mi divertii ugualmente.
A mezzanotte ci recammo tutti in palestra e cantammo “tanti auguri” a Saverio, per il suo compleanno che era appena iniziato. Cosa c’è di meglio che festeggiare il proprio compleanno a scuola di notte, con gli amici?
Verso le due, tutti i ragazzi delle altre scuole, andarono via, e rimanemmo solo noi compagni. La notte procedeva al meglio, ma fu presto rovinata da Davide Festuccia, che con una faccia preoccupata, ci invitò a dirigerci nella classe 1 E: la mia classe. Corsi lì, insieme a Simone e a Francesca,  una volta entrati, fummo sopresi, come tutti gli altri. C’era un vetro rotto, colpa di alcuni adolescenti della scuola accanto, il Geometra. Ragionammo un po’ sull’accaduto, ma poi tornammo a divertirci.
La musica era sempre a volume altissimo ma nessuno se ne rendeva conto, oppure erano tutti distratti per rendersene conto. Stavo ballando insieme a Giorgia quando vidi Simone arrivare. Era sicuramente stufo di passare un’intera serata da solo in una classe, quindi venne a festeggiare con noi.
Troppe furono le cose successe quella notte, la notte più pazza della mia vita. Potrei stare qui a raccontare tutto ma semplicemente mi limiterò a dire che ho passato parecchie ore a cercar di stare insieme al ragazzo che amavo, mentre c’erano Gorgia, Sofia e Francesca che mi ostacolavano nell’intento.
 Verso le quattro di notte uscii insieme a Simone e a Federico Micucci, e li accompagnai a comprare le sigarette. Mentre ci avviavamo a piedi, cercai di evitare la morte, saltellando da un sampietrino all’altro, sulle foglie bagnate. Facemmo in fretta e sul percorso di ritorno mi lamentai del freddo che faceva. Subito Simone mi rispose con tono dolce e calmo “ Scema, allora perché sei venuta?”. Mi chiamò scema. Un termine che usano tra loro gli amici e i fidanzati. In quel momento mi accorsi di quanto fosse tenero.
Tornammo dentro scuola, e mi tolsi in fretta la felpa di lana, che ormai era fradicia. Non da meno era la felpa di Simone, così, appena fummo dentro, glie lo feci notare. In un batter d’occhio se la tolse, e a me tolse il respiro. Rimase con una scialba magliettina nera aderente, che metteva in mostra il suo fisico perfetto.
Dopo quell’avventura mi sedetti su un banco posto nell’androne della scuola e mi rilassai. Simone collegò il suo cellulare alle casse per la musica e cominciò a canticchiare. Non dimenticherò mai quei pochi minuti in cui mi guardava e mi dedicava il testo di “Apologize” e io mi lasciavo cullare dalle note delicate di quel brano.
Il tempo passava in fretta, troppo in fretta. In un attimo furono le cinque. Andai a distendermi sul                   (pulitissimo) pavimento del corridoio del turistico, proprio davanti ai distributori. Mi ritrovai intorno Gabriele e Giorgia che mi guardavano e mi chiedevano se sentivo freddo, essendo distesa su un pavimento di pietra, ma non sentivo affatto freddo, anzi, ero così contenta di quello che sta succedendo tra me e Simone che addirittura avevo caldo. Poco dopo mi raggiunse Lorenzo, che si distese vicino a me e mi chiese, riferendosi a Simone :” Te piace, eh?” . Risposi di no, diventando sempre meno credibile. Si alzò e si allontanò, ma prima mi disse “Te lo vado a chiamà”. Circa cinque minuti dopo arrivò Simone. Mi sorrise e si sedette vicino a me. Prese il mio braccio sinistro e lo baciò. A quel punto aprii le braccia poiché volevo un altro abbraccio e così lui si chinò su di me e mi accontentò. Mi sorrise di nuovo e si allontanò. Con quei suoi gesti, era capace di farmi camminare sulle nuvole. Avevo il telefono sotto la schiena ;allungai la mano per prenderlo e toccai uno dei tasti per farlo illuminare, e così vidi l’ora. 6.10
Era impossibile, quella notte stava passando. Presto sarebbe arrivata la mattina e sarei dovuta tornare a casa ma non volevo farlo. Pensavo a tutte queste cose mentre mi dirigevo in bagno con la mia felpa, che misi ad asciugare sotto il phon che era in bagno. Tornata poi nell’atrio, trovai tutti i ragazzi con cui avevo passato la notte. Ad un tratto, mi resi conto di aver perduto il mio giacchetto grigio. Cercai l’indumento per svariati minuti, ma poi gettai la spugna ed avvisai tutti che se avessero trovato un giacchetto, me l’avrebbero dovuto restituire.
Alle cinque di mattina, attrezzarono un piccolo fornetto a gas e si misero a cucinare la pasta. Ce la servirono circa quaranta minuti dopo. Quei rigatoni erano crudi, ma allo stesso tempo tutti spaccati e carichi d’oli. Dopo quell’orribile cena, o colazione tutti eravamo d’accordo sul fatto che Saverio era un pessimo cuoco.
Dopo le sei, ci rimboccammo le maniche e cominciammo a pulire tutta la scuola. Io avevo sonno ma presi ugualmente una scopa e mi diressi in palestra dove già c’era Simone. Cominciammo a pulire insieme e  ogni secondo gli chiedevo un abbraccio. Non mi sarei mai stancata di tutte quelle coccole.
Presto arrivarono le sette, e ci accomodammo tutti insieme su uno dei famosi materassi blu. C’erano proprio tutti: Simone, Federico, Davide, Saverio, Francesca e Giorgia, che si apprestavano a chiudere i loro zaini e a salutare tutti. Stavano andando via. Sarei potuta finalmente un po’ con Simone ma non credevo fosse possibile, fino al momento in cui, stanco, si accucciò e si addormentò sulle mie gambe. Non potevo crederci. Stava dormendo sulle mie gambe. Lui, Simone, stava dormendo sulle mie gambe. Dormiva come un bambino, ed ogni tanto mi sporgevo in avanti per guardarlo. Aveva la faccia di un angelo. Mentre dormiva, io gli facevo delle carezze sulla schiena e lui intanto stava lì, appisolato, bello come sempre.
 
 Chiesi a Federico di farci una foto, così da poter ricordare quel momento:

Non mi stancherò mai di guardarla.
Stavo quasi per addormentarmi anch’io quando Saverio si avvicinò con un pennarello rosso in mano. Ridacchiava ed intanto iniziò furtivamente a scarabocchiare la faccia di quel ragazzo. Mi arrabbiai con lui, ma mi costrinse a non dirgli nulla. Non lo feci. Ci pensò Federico, che lo svegliò e gli fece notare quegli stupidi disegni. Si alzò ed andò in bagno a lavarsi il viso: incredibile, già sentivo la sua mancanza.
Tornò pochi minuti dopo e si rimise a dormire, purtroppo, questa volta dovetti svegliarlo io, siccome avevo ricevuto una chiamata da mia madre che mi informava di tornare. Lo chiamai piano, sussurrandogli all’orecchio se si poteva alzare un momento che dovevo andare a casa. Si mosse lentamente e voltò il viso verso di me, poi mi sorrise e mi disse “ allora se non ce vediamo dopo …”, e poi mi diede ancora un bacio.
Mi alzai, presi lo zaino, il giacchetto grigio che avevo finalmente ritrovato, la felpa mezza bagnata e salutai tutti i miei amici, infine mi avvicinai un’ultima volta a Simone e gli sussurrai: “Comunque, quando dormi sei troppo carino”. Mi sorrise ancora. Il suo sorriso era il più bello del mondo.
Aprii il portoncino e percorsi il viale che portava a casa mia.  Camminavo sulle enormi pietre della strada romana, ormai asciutte grazie alla luce del sole. Ripensai a quando le percorsi alcune ore prima. Ripensai a tutto quello che era successo, a tutte le pazzie che avevo fatto quella notte, quella meravigliosa notte che avevo passato con i miei amici e con lui. Simone. C’ero stata insieme mi ero divertita insieme a lui, avevo riso e ballato insieme a lui e ne ero entusiasta. Poche ore prima mi stavo preoccupando di quel momento, il momento in cui sarebbe finito tutto, ma non ero affatto triste, anzi, ero al settimo cielo, di aver vissuto quelle esperienze , di aver passato una notte a scuola. Non ero triste, perché quel sogno non era finito. E continuò, continuò per giorni e per settimane, e per mesi.  Ancora oggi continua, un giorno di Gennaio, passato davanti al computer a scrivere della mia più grande avventura.
Si, è così. Tutto ciò è reale. Ho davvero conosciuto quell’angelo di ragazzo. Ci ho davvero fatto amicizia, ci ho davvero passato una notte insieme e l’ho amato davvero. Lo amo davvero.                                                 Continuo ad amarlo perché è la mia unica ragione di vita, senza di lui sarei persa. Vivo ogni giorno con il pensiero felice che sono sua a mica, che mi vuole bene.
Ho voluto scrivere di quello che è successo perché è stata l’esperienza più bella che abbia fatto, così se un giorno quando sarò grande, la andrò a rivedere, mi ricorderò di quei bellissimi due giorni. I ricordi riaffioreranno alla mia memoria e sarò felice di rivivere quelle emozioni.
Sono felice, ed ora il mondo può saperlo.
  
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