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Autore: Macy McKee    11/02/2013    4 recensioni
[Ambientata durante Human Nature/Family of Blood]
E se Martha e John Smith non fossero riusciti a recuperare l'orologio da taschino preso da Latimer?
I membri della Famiglia di Sangue muoiono, ma il Dottore è bloccato nel ruolo di John Smith. Dopo due anni dal suo arrivo a Faringham, John Smith chiede in sposa l'infermiera Joan Redfern.
Ma una vecchia compagna di viaggio del Dottore è tornata nel suo universo natale, e sta cercando il suo Dottore.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Doctor - 10, Rose Tyler
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note: caratterizzare John Smith è più difficile che spiegare la timeline di River Song ad una sedia saltando su un piede solo e tenendo in braccio un Sontaran: il mio cervello ha avuto un rifiuto totale. Voglio dire, un personaggio che in realtà è un altro personaggio e pensa un po’ come se stesso e un po’ come dovrebbe pensare una versione di se stesso umana e nata nel diciannovesimo secolo? *il cervello dell’autrice esplode creando crepe nel tessuto dello spazio-tempo* 
 
1913, Blackdown Woods, Farringham, Inghilterra.
Le voci si sovrapponevano, si mescolavano, si univano e si separavano, accalcandosi nella sua mente. Voci lontane, sconosciute, così diverse dalle voci che Latimer aveva sentito nella sua vita. Flebili ma decise, lontane ma penetranti, danzavano nel suo cervello come farfalle impazzite. Timothy Avvicinò il petto alle ginocchia, affondando le dita nella terra e raschiando l’erba secca con le unghie spezzate. Era doloroso, ma non si trattava di un dolore fisico: era come se il suo cervello fosse troppo stanco, troppo affaticato per accogliere e sopportare le voci che si insinuavano in ogni fessura della sua mente. Richiuse l’orologio di scatto, respirando affannosamente, e le voci tacquero all’istante. Freneticamente, con la mente accecata dalla paura, cercò a tentoni la tasca della sua giacca e lasciò cadere l’orologio al suo interno, incespicando con le dita sulle cuciture e sui bottoni nella fretta. Si alzò barcollando, facendosi forza con le braccia per darsi lo slancio, e tentò qualche passo in avanti per essere sicuro che le sue gambe lo reggessero. Dopo i primi passi, le sue gambe accelerarono fino a raggiungere una velocità di corsa. Correva verso est, dirigendosi dove la foresta si faceva più fitta. Gli alberi erano sentinelle minacciose accanto a lui, ma Timothy si era rifugiato nel bosco per sfuggire ai prepotenti abbastanza volte da sapere che non erano gli alberi ciò che bisognava temere, ma gli uomini. Fino a quel momento, Timothy aveva avuto la certezza che l’unica cosa che potesse fargli del male erano i suoi simili, in particolare quei giovanotti presuntuosi e tracotanti che si accalcavano attorno a lui nelle sere estive per minacciarlo e spaventarlo senza una vera ragione se non per mostrare la loro superiorità fisica. Timothy li aveva odiati e ancora li odiava, ma mai quanto in quel momento odiava la sua stessa mente, quella mente che aveva cominciato a cedere. Sì, si disse, probabilmente la sua mente stava finalmente dando segni di cedimento dopo anni di paura e prepotenza. Aveva sempre saputo che sarebbe successo, e ora stava accadendo: era impazzito. Doveva essere impazzito. Era certo di essere impazzito, perché non sapeva come altro spiegarsi la scena che apparve davanti ai suoi occhi quando entrò in una radura superando una fitta barriera di alberi: c’era una ragazzina davanti ai suoi occhi. La notte era troppo buia perché Timothy potesse riconoscerla, se mai l’avesse già incontrata, ma il giovane vedeva abbastanza bene da poter affermare con sicurezza che si trattava di una ragazzina. Ma, sebbene trovare una bambina seduta su un tronco spezzato nel cuore di una foresta a notte fonda fosse sconvolgente, ciò che davvero lo convinse di essere impazzito furono le due figure scure che stavano alle spalle della ragazzina: erano due sagome alte e senza volto. Se non avesse saputo che questo non aveva il minimo senso, Timothy Latimer avrebbe giurato che si trattava di due spaventapasseri, del tutto identici a quelli che vedeva attraversando la campagna la domenica.
Vide un luccichio nell’oscurità, e il suo istinto si svegliò. Non si trattava di comune istinto di sopravvivenza, ma di qualcosa di più profondo. Una voce nella sua testa gli urlò di prendere l’orologio dalla tasca, e così lui fece. Un istante dopo, si voltò e cominciò a correre, tornando nella direzione da cui era venuto.
‹‹Uccidetelo.›› La voce che rimbombò nella foresta, rimbalzando sugli alberi e inseguendo Timothy come una bestia feroce, era pacata e dall’inconfondibile timbro infantile.
Un lampo di luce verde illuminò per un istante le sagome sinistre degli alberi. L’orologio, trovandosi all’improvviso dalla mano che lo imprigionava, fu immediatamente vittima della gravità: cadde al suolo e rotolò con un tonfo pressoché impercettibile nel sottobosco, nascondendosi fra le foglie scure.
1915,  Farringham School for Boys, Farringham, Inghilterra.
‹‹Sei completamente impazzito?›› esordì Martha, spalancando la porta con forza.
John si bloccò nel centro della stanza, con la tazza di tè che stava portando alle labbra pietrificata a mezz’aria.
‹‹Martha…?›› cominciò, attonito.
‹‹Non dire “Martha” come se io fossi impazzita. L’ho saputo stamattina. Sei diventato improvvisamente pazzo? ››
‹‹Martha, non posso tollerare questa insolenza. Questa è la mia vita, Martha. Non puoi…››
‹‹La tua vita? No, questa non è la tua vita. Tu sai che c’è di più. So che dentro di te senti che la tua vita non può limitarsi a questo. So che ti sembra di avere da tutta la vita la sensazione che il tuo mondo non possa fermarsi qui. Lo senti, vero? Avverti la sensazione di essere da sempre in attesa di qualcosa, qualcosa di straordinario e magnifico. Non puoi convincerti che la tua vita si fermi qui. Non puoi farmi credere che tu non sappia che c’è molto, molto di più oltre all’essere un insegnante. Hai mai avuto l’impressione che ti mancasse qualcosa? Come se qualcuno avesse preso una parte di te e l’avesse congelata, in attesa che tu fossi pronto per riprenderla? So che avverti questo vuoto. So che ti senti fuori posto, limitato. Lo vedono tutti: il misterioso professor Smith, sempre con la testa fra le nuvole, che pare sempre pronto a volare lontano, con lo sguardo lontano milioni di miglia da qui, perso fra le stelle. Non le vedi, Dottore? Quando parlo di stelle, non riesci a visualizzarle nella tua mente? Non come le vedi brillare nel cielo notturno, irraggiungibili, ma vicinissime, a portata di mano. Le vedi, vero? So che è così.››
‹‹Mi dispiace, Martha, ma ora devo essere severo. Ti ho assecondata fino ad ora, mi hai domandato di essere ascoltata e così ho fatto, ma ora stai esagerando. Non so per quale ragione tu ti sia convinta che i miei sogni siano reali, ma posso assicurarti che non sono altro che quello che sembrano: sogni. So che per te la vita non è semplice, e me ne dispiaccio profondamente, ma non posso continuare ad alimentare i tuoi vaneggiamenti su pianeti e mondi lontani. Forse c’è davvero di più nelle nostre vite, me lo auguro con tutto il mio cuore e soprattutto lo auguro a te, ma rifugiarsi in sogni impossibili non è una soluzione. Sei una cara ragazza, Martha, oltre che una cameriera diligente, perciò ti auguro il meglio. Ma devi renderti conto che esiste una sola realtà, per quanto triste, e in questa realtà non esistono navi spaziali e creature provenienti da pianeti lontani. E se mai esistessero, mi dispiace, ma io sono piuttosto sicuro di non essere uno di loro, e nemmeno tu. Siamo John Smith e Martha Jones, nati e residenti sul pianeta Terra, e su questo pianeta vivremo e moriremo entrambi. Forse un giorno l’uomo riuscirà ad esplorare l’Universo, ma probabilmente nessuno di noi due vivrà abbastanza per assistere a questo evento.
Io sono felice, Martha. La mia vita è serena e soddisfacente, e in questo momento non vedo cos’altro potrebbe servirmi. In questo momento la situazione nel nostro Paese non è delle migliori, me ne rendo conto, con la minaccia di una possibile guerra che incombe. Mi auguro, come ci auguriamo tutti, che la guerra non scoppi. Ma ho visto tanti ragazzi, futuri soldati, durante i miei anni di insegnamento, e so con sicurezza che saranno in grado di cavarsela. Abbiamo molti giovani uomini addestrati al meglio, perciò non dobbiamo temere la guerra. Le guerre scoppiano, svolgono il loro corso, poi terminano. È il ciclo naturale delle cose. Perciò, se è la guerra che temi, sappi che non devi averne paura.››
‹‹Ma ti stai ascoltando? Ti rendi conto di quello che stai dicendo? Questi ragazzi, questi giovani uomini ben addestrati come tu li chiami, probabilmente verranno massacrati in guerra dopo una settimana, e a te non importa? Questo non sei tu! Non è così che pensa il Dottore. Il Dottore avrebbe compassione di loro e detesterebbe anche solo il pensiero di una guerra. Non sei tu quello che mi ha mentito, quando ci siamo conosciuti, raccontandomi della tua patria che non esiste più perché non avevi la forza di raccontarmi della guerra che l’ha distrutta? E ora parli della guerra come se fosse un male necessario, qualcosa a cui dobbiamo arrenderci? No, io non ti credo. Tu non sei questo.››
‹‹Ma di cosa stai parlando, Martha? La mia patria è l’Inghilterra, e l’Inghilterra è integra e unita e vincerà questa guerra. La guerra non mi piace, ma riconosco che sia inevitabile e ho grande fiducia nei nostri ragazzi.››
 Martha scosse la testa energicamente, facendo ballare il pizzo che ornava il suo grembiule.
‹‹No, no. Non è così che funziona, non è così che deve essere. Tu non sei così. È tutto sbagliato, tutto così sbagliato›› esclamò, la voce che si alzava di frase in frase. Più frustrata che arrabbiata corse verso la porta come una furia, facendo frusciare le balze della sua gonna nera. Mentre si precipitava lungo il corridoio, Martha passò accanto a Joan, quasi travolgendola.
‹‹Martha…?›› la chiamò Joan, sorpresa.
‹‹Oh, non cominci anche lei›› esclamò Martha, scendendo le scale di corsa e scomparendo dietro ad una porta.
Joan esitò per qualche istante, prima di percorrere i pochi metri che la separavano dalla soglia della camera di John.
‹‹E’ permesso?›› domandò con dolcezza, accarezzando con la punta delle dita lo stipite liscio della porta.
‹‹Joan!›› esclamò John, voltandosi. ‹‹Per un istante ho pensato che fossi Martha…›› sospirò, passandosi una mano fra i capelli già scompigliati. ‹‹Quella ragazza è impazzita. Non so che cosa le sia accaduto, ma non ragiona più. Ha ricominciato con la faccenda del Dottore. Pensavo che dopo tutto questo tempo le fosse passata. Voglio dire, ormai sono passati più di due anni, e sembrava essersi calmata.››
‹‹Ha saputo del nostro matrimonio, suppongo.››
‹‹Supponi bene›› replicò John, posando la tazza di tè sul tavolino.
 
2007, Torchwood Institute, Londra, Inghilterra.
‹‹Generatori in posizione!››
‹‹Sto aprendo il circuito!››
‹‹Rose, fai un passo alla tua sinistra.››
‹‹Abbiamo l’aggancio?››
‹‹Affermativo.››
Decine di impiegati del Torchwood correvano verso le loro postazioni, passandosi al volo cartellette imbottite di documenti e coprendo con la propria voce quelle degli altri.
‹‹Sei pronta, Rose?››
‹‹Affermativo. 1915, Inghilterra, pianeta Terra. Sto arrivando. Sto tornando da te, Dottore.››
   
 
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