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Autore: lourryisbravery    11/02/2013    4 recensioni
volevo scappare dalla realtà, perchè il pensiero di averla ferita mi lacerava l'anima, mi consumava dentro. come la fiamma di una candela, come il fuoco contro dei giornali, come le ginocchia sbucciate a tre anni. solo che chi non è innamorato, al punto di desiderare di morire, queste cose non le può capire.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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-forget me.

 

-Mi odi vero?- disse. Morendo, quasi. Si era reso conto che non avrebbe mai sistemato quel casino, ma ci avrebbe provato, avrebbe fallito e tentato ancora. Perché era fatto così, per ciò a cui teneva non era disposto a perdere.

-No, Justin. Mi fai solamente schifo e ribrezzo. Come hai potuto spezzare il nostro legame? Io ti amavo, lo capisci? Credevo almeno di amarti. Per me non era una "cottarella" passeggera, lo sapevi benissimo ma nonostante tutto sei andato via, lasciandomi sola. Ti reputi uomo? Hai fatto esplodere il mio cuore consapevolmente. Quando hai chiuso quella maledetta porta non pensavo fosse finita davvero; pensavo stessi scherzando, come sempre. Invece no, io non ti ho visto aprire mai più quella porta, venire da me, sorridermi ed abbracciarmi come facevi sempre. Non dimenticherò mai nulla di noi purtroppo. Non dimenticherò mai tutto il dolore che mi hai procurato per tanti lunghi mesi. Non dimenticherò neanche le nostre lunghe chiacchierate al telefono, i nostri pomeriggi, le serate ricche di risate. Io non ti dimenticherò mai, ti sto soltanto depositando in un angolo della mia memoria dove non uscirai.- sputò, quasi. Era disgustata da lui, si sentiva usata. Ma, più di tutti, capiva di avercela con se stessa per essersi innamorata.

 

-Mi dispiace, te l’ho detto. Sono pronto a far di tutto, pur di rimediare. Potrei chiedere a Dio di regalarti il mondo, potrei spezzare un pezzo di cielo solo per te. Lo farei, se solo servisse a qualcosa. Se solo servisse a convincerti che son qui per rimediare. Dai cucciola, ricominciamo da qui. Ricominciamo dalla nostra prima volta, da quando ti ho caricato sulle spalle e portato in centro. Tutti si giravano, volevano sapere com’era, esser felici. Te lo sei dimenticata, forse? Dai, su. Torna, che il mondo ha bisogno di noi.-

 

-Queste parole non mi toccano, c’ho fatto la crosta al dolore.-

 

-E’ che non avevo altra scelta…-

 

-Non dirmi che tra tutte le cose che potevi fare l’unica era quella di lasciarmi marcire sul ciglio della strada, non ci credo. Avresti potuto raccogliere i pochi cocci che erano rimasti di me, avresti potuto che ne so, rincollarli insieme con un po’ del tuo amore, se amore è mai stato.-

 

-Non lo era.- sussurrò lentamente, spostando lo sguardo verso il basso. Non lo era, è vero. Ma quello era il passato. Ora la amava più di ogni altra cosa al mondo.

 

-Con che coraggio hai di venirmelo a dire adesso, dopo mesi?-

 

-Non potevo, non avresti retto.- in realtà si era ripromesso di dimenticare quello sbaglio, ricominciare da capo, come se non fosse successo. Era lui a non reggere il peso di un errore troppo grande.

 

-Mi fai schifo. E chissà quante te ne sei fatte, dopo di me. Per te non è mai stato amore, ti ringrazio per avermelo detto adesso.  Posso anche morire. Mi sento già morire.-

 

-No amore, non morire. Se proprio devi, facciamolo insieme. Non voglio mollarti più, voglio appiccicarmi a te come un chewingum sotto una scarpa, come la vinavil nei lavoretti dei bambini.-

 

-E non chiamarmi amore, stammi lontano, non mi meriti.-

 

-Ti amo…-

 

-Vattene, esci dalla mia vita, hai detto anche troppo.- concluse, mentre l’ennesima lacrima le rigava il viso.

 

Il fatto è che quello che lui provava per lei non era definibile amore, era qualcosa di più, un qualcosa di completamente diverso. Così estraneo alle normali emozioni umane che lui non aveva trovato un modo, per dirgli ciò che provava. Nessun dizionario ne parlava, a nessuna dicitura corrispondeva quel vortice di emozioni che percepiva dentro. L’aveva lasciata non perché non l’amasse, è che i suoi l’avevano costretto ad andare in una clinica per tossicodipendenti, quando lui aveva detto loro di soffrire di dipendenza. E’ che i suoi non avevano capito, e pensavano avesse problemi grossi. Non sapevano che era dipendenza ciò che lui sentiva verso la sua ragazza, perché lui tendeva a lei come un girasole al Sole. Lei lo era, la sua luce. Tanto che appena lei se ne andava, lui appassiva dentro, e il suo cuore si afflosciava come,al mancare del brillio dei suoi occhi. Lei non era amore, lei era vita. Solo che, chi non è innamorato al punto da desiderare di morire, queste cose non le può capire. Tutto questo lui non riuscì mai a dirglielo, forse perché, tenendo a lei più che al suo stesso Dio, solo il pensiero di ferirla l’avrebbe tormentato per sempre. Se lo tenne dentro, come un pugnale infilzato nelle carni, che ogni giorno che si separava dall’ultimo passato insieme, ogni centimetro di spazio che li separava, scavava sempre più a fondo, e più a fondo, fino a trapassargli i sogni. E il giorno in cui glielo disse il suo cuore era lacerato, frantumato in tanti piccoli pezzettini fatti di desideri infranti. Non voleva dirglielo perché sapeva che sarebbe morto dal dolore, ma doveva, perché la amava. E lei? Che fine avrebbe fatto il suo cuore? Era per questo che non glielo aveva mai detto.

 

Stava marcendo dentro per tutto il dolore che provava. Quello non era banale amore. Era vita, era felicità, era speranza, era rinascita.

 

Ma lui se n’era andato, andato per sempre. Lei, invece, se ne stava andando, lei stava morendo dentro senza di lui.

 

Scivolò sul muro bianco e freddo della scuola, prima di lasciar uscire tutte le lacrime che aveva in corpo. Era rimasta rannicchiata a piangere appoggiata a quella parete per tanto, troppo tempo probabilmente. ‘ti amo…’aveva sussurrato lui, prima di fuggire. Era scappato, come  avevano fatto tutti gli altri. Ma lei era troppo impegnata a morire che non ci aveva nemmeno pensato e aveva detto ‘non importa, vattene’. E invece importava. Importava eccome. Perché anche lei lo amava. Forse non era pronta a perdonarlo, ma lo amava come nessun’altro aveva mai fatto. Lo amava come i gatti amano dormire. Lo amava come quel girasole amava la luce. Lo amava, come lui amava lei. Eppure quel dannato giorno, quando Justin le disse di quella stupida scommessa, tutto il mondo per lei non ebbe più senso.

 

La stessa notte apparve in sogno a Justin una ragazza bellissima. Era bionda, gli occhi verdi e le labbra rosse fuoco. Aveva il fisico perfetto, e l’abbigliamento giusto. sembrava una bambola, ma c’era qualcosa in lei di diverso. Forse perché mormorava alcune frasi e vagava sola nel buio. Aveva anche qualche lacrima che scorreva solitaria sul viso, ma non ebbe il tempo di badarci molto.

D’un tratto ricordò perfettamente tutte quelle parole, ‘Mi fai solamente schifo e ribrezzo.’ ‘c’ho fatto la crosta al dolore.’ ‘posso anche morire. Mi sento già morire.’, e non le dimenticò mai. Come non dimenticò le notti successive passate a piangere. Era un errore, un errore stupido, costatogli la felicità.

 

-justin's.


Bussando alla porta, sentii il cuore accelerare, mentre gli occhi pizzicavano e le lacrime cominciavano a scendere.
Perdevo un battito ogni secondo che passavo davanti quella fottuta porta chiusa.
Quando finalmente aprì, la strinsi tra le mie braccia mormorando qualcosa tipo scusa, sottovoce.
Le presi la testa tra le mani, la guardai negli occhi come per chiederle il permesso, e quando fui sicuro di quello che stavo facendo, la baciai.
Sorrideva. Era felice.
Spostando una ciocca di capelli dietro il suo orecchio, capii che era quello il momento per parlare.

 

-io… io… non voglio andare.-

 

-devi Justin, devi farlo. E per favore, non tornare indietro ancora una volta, perché odio illudermi ed già è successo troppe volte.- mormorò, staccandosi da quell’abraccio e voltandosi per tornare dentro.

 

-ti prego, ti prego, non andartene. Sono qui, sono reale, proprio come quello che ho detto. Sono qui per rimanere e non andrò da nessuna parte, non importa cosa accadrà.- finsi un sorriso, afferrandola per un braccio e trascinandola di nuovo verso di me. –ti amo Marie, ti amo e sono pronto a qualsiasi cosa pur di riaverti accanto. - chinai il capo ancora una volta sul suo petto, assaporando e ricordando esattamente ogni aroma del suo profumo, mentre la stringevo a me. Non poteva scappare, perché non avrei retto il fatto di non poterla più avere. Era frustrante e doloroso e non volevo sentirmi di nuovo uno schifo. Una lacrima scivolò lentamente sulla sua guancia, finendo per inumidire la mia maglietta nera. – No, no ti prego, non piangere, non farlo. Sorridi, sii felice. Non piangere amore mio. – sussurrai.

 

- perché? Perché non dovrei farlo Justin? a chi importerebbe se piangessi anche per tutto il giorno? O… o se morissi, per esempio? A chi?-

 

- a me. a me importerebbe. E ora andiamo dentro, fa freddo qua fuori.-

 

-no, Justin. a te non importa, invece. Come non ti è importato il fatto di avermi spezzato il cuore, di averlo lacerato, consumato, ma più di tutti, non ti sei preoccupato di ripararlo.-

 

-non puoi perdonarmi, vero?-

 

-no.- e la sua voce era diventata quasi impercettibile.

 

-ricominciamo, perché tu mi ami, no? Ti prego, ne ho bisogno.- replicai con un filo di voce. Gli occhi si facevano sempre più lucidi e l’enorme nodo in gola minacciava di non farmi respirare: stavo piangendo.

 

-per favore.- sussurrai, prima di cadere a terra, con la faccia tra le mani tremolanti. Con un ultimo bacio sulla guancia, se ne andò. Ora era lei ad avermi lasciato marcire sul ciglio della strada.

 

Lentamente tutti i ricordi più remoti, tutti gli sbagli compiuti e tutte le bugie dette a Marie, riaffiorarono nella mia mente. 

 

-ti amerò per sempre, Marie.- e così dicendo, tornai a casa. 
   
 
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