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Autore: Para_muse    12/02/2013    3 recensioni
Una storia che è nata leggendo un libro, guardando un film, una serie tv e amando due attori.
Sybil è una ragazza indifesa e sofferente. Cosa le succederà dopo l'incidente accaduto per sbaglio? E come la prenderà quando, a causa dell'incidente, scoprirà di aver perso la memoria? E come riuscirà a ricordare se non avrà nessuno al suo fianco ad aiutarla? La fortuna sarà dalla sua parte quel giorno...Jensen la guiderà nel lungo tragitto dei suoi ricordi, insieme alla sua anima perduta.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Jensen Ackles, Misha Collins, Nuovo personaggio
Note: Movieverse, Otherverse | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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*spazio autrice*
Per chi mi conosce, sapeva che avrei prima o poi pubblicato una nuova storia su Jensen Ackles. Per chi non mi conosce, bhè sto finendo di pubblicare una storia su Jensen e un Nuovo Personaggio. Se a qualcuno interessa leggerla dopo questa piccola presentazione, posterò i link :3
Per il resto, spero che questa storia sia di vostro gradimento. Mi sto lanciando in un baratro…perché questa storia diciamo che non è ben definita come trama, e dico la verità se non sono quando e come finirà. Ma so di chi sto scrivendo, so chi sono i personaggi, e posso assicurarvi, che li farò miei come mai prima d’ora :)
Buona lettura,
 
1° FanFiction con Jensen Ackles/Nuovo Personaggio:
"The Second Chance" - Racchiusi in un... bookstory.
Della serie fanno parte:
FanFiction: Racchiusi in un... click.
Missing Moment dal Cap 8: The Real Vacancy of Year
Missing Moment Rossa dal Cap 21: Fire in the Water
 
 
 
1° Capitolo
Momenti d’impatto
 
La pioggia iniziò a bagnarmi tutta.
Grande.
Afferrai la borsa verde, e la strinsi al mio petto, raccogliendo anche quello che era caduto fuori.
Poi mi voltai intorno, cercando dove avessi parcheggiato la mia auto.
La mia vecchia auto.
Mi girai intorno all’isolato, e quando vidi una Ford vecchio tipo, rossa, mi avvicinai speranzosa.
Tirai fuori da una delle tante tasche dello zaino, la chiave, e infilandola, aprii la portiera mezza ammaccata.
Me la richiusi dietro, e l’odore di lavanda mi invase le narici. Il deodorante a forma di albero pendeva ancora dallo specchietto retrovisore, e mi fece così tenerezza vederlo ancora li appeso e odoroso, che mi fece quasi dimenticare le lacrime che scendevano giù.
- Forza piccola, portami fuori da qui…- mormorai, infilando la chiave nel quadro di accensione.
Un po’ di tosse dopo, il motore si accese e notai che il serbatoio era più o meno pieno, dopo il mio arrivo da Delta, una città confinante con Vancouver. La mia città natale.
Vancouver invece la città ospitante.
- Andiamo a farci un giro prima di tornare in quella topaia… - sussurrai all’auto, azionando i tergicristalli. Scivolando un poco sulla strada per via delle ruote vecchie e consumate, ingranai la prima e mi avviai per le vie della città.
Dopo un quasi un chilometro e un paio di semafori, riuscii ad accendere il riscaldamento, facendo si che l’aria uscisse almeno calda.
Le mie dita era incollate per il freddo al manubrio, e il mio fiato faceva la condensa sul freddo vetro del parabrezza. Non riuscivo a vedere bene fuori, ma mi sforzavo di andare a venti all’ora, per non fermare il traffico dietro. Cercai uno dei tanti fazzoletti usati dentro la tasca, e li passai sopra le mie palpebre per togliere via il velo di acqua salata.
Arrivata ad un ennesimo semaforo, frenai, lentamente, e aspettai che diventasse verde. Staccai le dita dal manubrio e le riscaldai davanti ai canali d’aria mezzi aperti, perché fredde e bagnate.
In teoria sarebbero dovuti essere stati aggiustati da mio padre, che adesso chissà in quale ricovero per alcolisti era rinchiuso. O mia madre, drogata e indifesa forse morta di overdose.
Forse la cosa più scontata sarebbe stata se li avessi aggiustati da sola, o meglio se avessi portato l’auto dal meccanico per fargli dare una controllatina. Cosa che non potevo permettermi visto che dovevo pagare l’affitto (che ormai era andato a farsi benedire), i corsi online ormai conclusi (ma ormai laureata) dell’Università di Vancouver, per non parlare del cibo in scatola, un giorno si e uno no, per sopravvivere.
Con la miseria di appena 350 dollari al mese, in teoria avrei potuto pagarli.
Bhè in teoria perché, come sarei riuscita a pagare i canali d’aria mezzi rotti con quella miseria?
Le mie teorie erano poche, anzi era una sola. Su quei momenti d’impatto, quei momenti di alta intensità che capovolgono dei momenti nella nostra vita, segnandoci per sempre. Ma quei momenti non eravamo noi a segnarli. Essi venivano disegnati dai ricordi della vita vissuta, con altre persone, con diverse esperienze: brutte o belle che siano, rivissute giorno dopo giorno. Come una playlists della tua musica preferita. Che la suoni e la risuoni nella tua mente, sempre.
Come il mio trasferimento nella grande città di Vancouver.
 
~ Tre anni fa, lo stesso giorno…
 
- Mio Dio, è bellissimo qui! – sussurrai, fissando la stanza in affitto insieme ad Anna, mia migliore amica fin dalle prime scuole.
- Già, meno male che mio padre ci ha trovato questo posto…chissà dove saremmo andati a finire se i tuoi ci avessero aiutato! – borbottò maldestramente, facendo una smorfia.
Il mio sguardo cadde sul pavimento e voltandomi, lasciai la mia valigia sul letto che avrei occupato.
- Già, chissà quale posto… - gli feci eco.
Sentii i passi di Anna farsi più vicini e stringendosi a me in un affettuoso abbraccio, mi fece quasi piangere.
- Non pensarci. Sei qui con me, il tuo sogno si è avverato. Andremo all’Università, e diventeremo attrici, qual è il problema Syb? – domandò, facendomi sedere sul letto, accanto alla valigiai aperta.
Il mio sguardo rincorse il suo e sorridendo timidamente, la strinsi a me.
- Nessuno, ma… mi sento in colpa per averli lasciati soli… - borbottai, cercando di trattenere le lacrime agli occhi.
- Non devi esserlo, loro non ti hanno mai amato, quanto almeno ti amo io! Siamo sorelle noi due, puoi fidarti di me! Supererai questo momento, e staremo benissimo qui! -, mi mostrò un sorriso rassicuratore e poi mi lasciò un bacio sulla guancia.
Mi fidai delle sue parole.
 
~ Tre anni dopo, oggi…
 
Ma non mi fidai delle sue non azioni.
Chiusi gli occhi cercando di schiacciare le lacrime, e togliendo dalla guancia, quelle che erano già cadute giù, non notai il luccichio di qualcosa che colpiva assiduamente lo specchietto retrovisore.
Tutto sembrò andare così a rallentatore.
Qualcuno mi stava aspettando a braccia aperte.
Era l’incoscienza.
 
 
Jensen’s POV
Se ieri mi avessero detto: “l’amore esiste anche a prima vista”; non ci avrei creduto.
Se oggi me l’avessero ribadito, allora ci avrei creduto. E mi sarei fidato…ad occhi chiusi.
 
Sybil’s POV
 
Aprii gli occhi e iniziai a sentire diversi suoni attorno a me. Suoni che prima non avevo mai sentito.
Cadenti, ritmici e il mio respiro pesante e faticoso. I miei occhi erano pesanti. Provai ad aprirli un paio di volte prima che riuscissi a mettere a fuoco qualcuno davanti a me.
Una donna e un uomo. Non li riconobbi subito. Bhè in realtà non li conoscevo proprio. Ma erano i miei dottori. Erano loro.
- E’ ancora stordita, non dovremmo opprimerla così… - dichiarò la voce femminile.
- Dovremmo iniziare a farle qualche domanda, magari chiedendo se questi documenti sono veri – borbottò la voce maschile.
- Lasci almeno che si svegli completamente, ha subbito…- sussurrò qualcuno in lontananza. Poi iniziare a vedere chiaro.
Ero in ospedale? Avevo dei dottori ovviamente, era logico.
- Ma cosa…? – la mia voce si udì così fievole che credetti non mi avessero sentito.
- Sybil…? – domandò l’infermiera, afferrando la cartella poggiata alla ringhiera di metallo ai miei piedi.
Mi chiamavo Sybil. Certo che era il mio nome.
- Si, dove sono? – sussurrai, guardandomi in torno.
- Sybil, stai tranquilla. Sei in ospedale, hai avuto un’incidente, hai sbattuto la testa ma stai bene, ti abbiamo tenuto addormentata per un po’ – mi schierii le idee con un discorso fluido e netto.
- Come ti senti? – domandò cortese il dottore, lasciandomi un sorriso pieno di appresione.
Volevo rispondere con verità a quella domanda, e mi presi un paio di secondi per capire cosa mi ero successo.
Smossi le gambe e capii che riuscivo a muoverle. Smossi le braccia che tenevo appoggiate sopra lo stomaco e potevo smuovere anche quelle. Quando arrivai alla testa, notai quando quella pulsasse forsennatamente.
Dum. Dum. Dum. Una rockband continuava a lasciarsi andare con strimpelli di chitarra, basso e batteria.
- Mi fa male la testa – sussurrai, chiudendo gli occhi, stanca del dolore insopportabile.
- Bhè, è normale, ti do’ subito un anelgesico per calmare il dolore… - costatò l’infermiera allontandosi di qualche passo.
Incidente. Com’era successo? Perché non ricordavo niente?
- Si è fatto male qualcun’altro dottore? – domandai flebile, fissando l’uomo che ai piedi del mio letto, stringeva a pugni chiusi il tubo in ferro ospedaliero.
Il suo sguardò si allarmò appena. Il mio invece non si smorzò. L’infermiera tornò indietro.
- Ma? – si voltò a domandare all’infermiera. Quest’ultima si avvicinò preoccupata e sussurrò qualcosa di strano al dottore: - E’ normale che non l’abbia riconosciuta, è un estraneo per lei… -.
Il dottore si voltò verso l’infermiera dandomi le spalle: - Ma abbiamo parlato, abbiamo pure litigato, e quando l’ho trovato in mezza alla strada, lei si è svegliata e mi ha…mi ha….- sibilò senza finire presa dalla rabbia, dolore? Cosa?
- Può essere stato solo qualcosa di momentaneo. Sono passati tre giorni dall’incidente, è possibile che abbia rimosso quel ricordo… - sottolineò l’infermiera, toccando uno spalla al dottore.
Cercai di richiamare l’attenzione per avere una risposta alla mia domanda.
- Sybil,  - mi richiamò il dottore, voltandosi. – Lo sai chi sono vero? – domandò corrugando la fronte.
A quella domanda alzai appena le spalla, piene di dolore e pesanti.
- Si, è il mio dottore… - borbottai, sospirando stanca.
- Cosa? – domandò più a se stesso che al resto delle persone nella stanza. Cioè me e l’infermiera.
Il suo sguardo si spostò da una parte all’altra del mio viso, cercando di cogliere qualcosa nel mio sguardo che gli avrebbe riacceso quella speranza che avevo perso dopo la mia risposta.
- Sybil, io sono Jensen, Jensen Ackles, la persona che ti ha trovato dopo l’incidente…e che… - sussurrò, avvicinandosi, e sedendosi su una parte del letto, allungò una mano per cercare la mia.
Jensen Ackles?
Chi era Jensen Ackles?
Tirai indietro la mano, e fissando con sguardo spaventato, mi rivoltai verso l’infermiera.
- Io non lo conosco… - sussurrai.
- E’ normale Sybil, non ricordi molte cose…magari iniziamo dalle più basilari…sai il tuo cognome? – domandò l’infermiera cercando di cambiare argomento.
Ma il mio pensiero era fisso su quell’uomo, e su quello sguardo, che ostinato, continuava a guardarmi.
- Sybil Quest – risposi.
- Quanti anni hai? –.
- Ventinove anni -.
- Quando sei nata? -.
- 14 aprile 1982 -.
- In che anno siamo? -.
- Gennaio 2011 -.
- In quale città ti trovi adesso? -.
- Delta -, risposi.
L’infermieri stava per fare l’altra domanda, quando si fermò. Mi fissò stranita.
- Sybil, non siamo a Delta. Siamo a Vancouver – dichiarò l’infermiera con espressione preoccupata, ma con sguardo abbastanza sicuro di quello che stesse dicendo.
- No, è impossibile…siamo a Delta. Dov’è mia madre? – domandai, fissandomi intorno agitata.
- E’ tutto okay, Sybil. Tua madre non sappiamo dove sia. Tu sei da sola a Vancouver, hai detto così a Mister Singer quando hai fatto il colloquio per il lavoro di assistente! – dichiarò l’uomo al mio fianco, stringendomi una mano.
Sgusciai dalla presa, e mi tirai indietro, cercando di non star accanto alle fandonie che quell’uomo ancora sputava fuori a casaccio.
- Quale colloquio? Quale lavoro? Io vado all’Università…devo prendere il treno! Chi è Mister Singer? – domandai agitandomi a dir poco in una maniera esagerata.
Chi erano queste persone?
- Non sei ancora laureata? Avevi detto… - borbotto Jensen, voltandosi a fissare il vuoto.
- Cosa? Io non lavoro, sto insieme ad un’amica… Anna si chiama… - borbottai, ricordando un volto paffuto e capelli neri e corti.
Flash si precipitarono a quel volto. Liti, parole, gesti. La mia testa iniziò ad esplodere.
- Ha bisogno di riposare, lasciamo stare, riproviamo più tardi. Mister Ackles vorrebbe seguirmi? – domandò l’infermiera, indicando la porta della camera.
Mister Ackles mi lanciò uno sguardo e prima che potesse uscire, mi fece una promessa.
- Ricorderai… tempo a tempo. Io sono qui – sussurrò, lasciando la stanza con passo svelto.
Fu l’ultima volta che lo vidi per quel giorno. Dormii l’intera notte, tra sogni ed incubi.
Iniziai a ricordare.
E poi a dimenticare.
- Ho litigato con la mia migliore amica. L’ho ricordato stanotte. Abbiamo pure alzato le mani, me lo ricordo…come se fosse successo ieri… - sussurrai all’infermiera, quasi con vergogna.
- E’ già un buon passo! Ricordare è un buon passo, ed è solo l’inizio. Sarebbe meglio mettere sotto sorveglianza i ricordi… prenderai quasi ce ne sarà bisogno alcune pillole che ti prescriverò. Non farne abuso mi raccomando – sottolineò lasciandomi nella stanza sola, in balia del buio più totale.
Dove abitavo?
Cosa facevo nella vita?
Lavoravo per davvero come assistente in uno studio? E di cosa poi?
E l’università? Andavo a quella di Vancouver. Il corso di teatro. Ci andavo ancora? O meglio ci andavo. Ero a Vancouver. Perché non a Delta?
Quante domande senza risposta.
Avevo bisogno di qualcuno che sapesse darmele. La mia famiglia. Dov’era?
Alcol. Droga. Già, vero. Io non abitavo più con loro.
Perché? Erano i miei genitori in fondo.
- Vi lasciò un po’ da soli – sussurrò l’infermiera, risvegliandomi dal vortice dei pensieri. Alzai lo sguardo e vidi di nuovo quell’uomo di nome Jensen, avvicinarsi a letto in una vesta diversa da ieri. Sembrava più…lui.
- Ciao Sybil, come stai? – domandò con voce cortese, sedendosi ai piedi del letto.
 
Jensen’s POV
 
Lo sguardo di Sybil restò a fissarmi per un po’ di tempo prima che iniziasse a parlarmi.
- Bene e…tu? – domandò tentennando, come a decidere quale tono usare, quale tipo di persona usare.
- Bene. E tu va bene, tranquilla… - sussurrai, avvicinandomi un poco, per togliergli una ciocca di capello castano scuro dal viso.
Appena vide la mia mano allungarsi verso il suo viso, si tirò indietro come una tartaruga. Lascia che la mia mano cadesse sul materasso. Corrugai la fronte e cercai di capire cosa non andava in lei.
- E’ tutto okay, cosa c’è che non va? Sono Jensen, un tuo amico… - sussurrai, cercando di tirarla su di morale…
I suoi occhi si sgranarono e restarono a squadrami per un po’, prima di scuotere la testa quasi mortificata.
- Sul serio… hai detto di chiamarti? – domandò non ricordando il mio nome. Più che logico.
- Jensen…Jensen – borbottai appena.
- Ricordavo Justin. Bhè Jensen, non che non ti voglia a male, o che non ti voglia conoscere, ma sul serio, io non mi ricordo di te, non so chi tu sia, cosa faccia… ma nella mia mente, non ricordo nessuno che possa associare a te – concluse, triste, cercando di sforzarsi per essere gentile.
Le sue parole non mi ferirono per niente. Anzi, mi fecero più battere il martello sul ferro ancora caldo.
Avevo deciso, l’avrei aiutata, costi quel che costi, l’avrei fatto. In tutti i modi possibili e immaginabili. Nessun trauma cranico mi avrebbe ostacolato e aiutato a far ritornare la memoria ad una ragazza così sensibile.
- Lo so, ma sono l’unica persona a parte Misha che possa aiutarti. Jared è troppo impegnato con sua moglie. Sarebbe troppo inutile. – dichiarai, ridendo divertito.
Il suo sguardo si fece più vacuo, e pensai che forse di quello che avevo appena detto, lei non ci avesse capito nulla.
- Scusami, hai ragione, tu non sai di cosa sto parlando, o meglio di chi…forse magari quando usciremo da qui, te li farò conoscere – sussurrai, sorridendo calorosamente.
Il suo sguardo si fece timido e sorrise appena: - Io quindi…verrò con te? Non mi riporti a casa? A Delta? – domandò quasi curiosa.
Quella domanda mi lasciò un po’ di stucco, e riportai quello che Robert mi aveva consigliato.
- Avevi detto che la tua residenza è ormai a Vancouver. Hai una casa qui, ma non sappiamo dove si trova. Magari possiamo informarci… - sussurrai, ripensando alle parole di Misha, che mi aveva pregato di non parlare sulla situazione “casa”.
Lei non doveva sapere. Avrebbe dovuto rinascere…
- Forse abito vicino all’università. Dovrò fare un certificato medico per le assenze… - mormorò tra se, risvegliandomi dai miei pensieri.
- Cosa? Università? No, tu sei già laureata. Sei un attrice a tutti gli effetti adesso… -. – Cosa? – squittì quasi scioccata.
- Si, l’hai presentato per il colloquio… - le ricordai nuovamente.
Scosse la testa, e strinse le mani a pugni. Le vene sulla fronte le si ingrossarono.
- Come faccio a non ricordarlo? Cosa mi è successo? – borbottò con rabbia, fissandomi con gli occhi pieni di liquido trasparente. Lacrime. Stava per piangere dal nervoso.
- Ehi, Sybil. È tutto okay, può capitare… hai avuto un incidente d’altronde anche più tosto scontroso – borbottai ricordato il camion in mezzo alla strada, mentre la sua auto rossa, era schiantata sul palo del semaforo di fronte, dove il suo corpo era steso sul cofano anteriore.
- Cosa è successo? – domandò ancora una volta. Ormai era scontato rispondere a tutte quelle sue domande. Una tira un’altra. Come i baci.
- Non avevi la cintura di sicurezza, non avevi le catene alla macchina, non ti sei accorta che il semaforo era verde. Il camionista non si è accorto di te, ti ha preso in pieno da dietro e… - espirai tristemente, e alzai le mani in aria come a voler evidenziare che fosse ovvia la cosa.
- Ti ho ritrovata distesa sul cofano anteriore, con il parabrezza completamente rotto in mille pezzi. Hai la testa dura eh? – ridemmo insieme, e il suo sorriso provocò il mio, prima che il suo muso triste, facesse di nuovo lo stesso effetto.
- Mi fa male tanto però… - sussurrò, toccandosi la tempia.
- La dottoressa aveva detto che può succedere, e molto volte anche quando sarai fuori dall’ospedale. Ti prescriverà riposo e medicina, poi passerà…tranquilla – le strinse una mano nelle mie, senza che me ne potessi rendere conto, questa volta, strinse anche lei la mia.
- Jensen? – mi chiamò, invitando il mio sguardo a rialzarsi dalle nostre mani strette. Le sorrisi sapendo quando fosse strano per lei, dire il mio nome.
- Si? -.
Tirò un sospiro di sollievo, e ricambiando il sorriso esclamò: - Non ti ho ancora detto grazie -.
Il mio sguardo si fece serio e le mie spalle si alzarono involontariamente, prima ancora di sorridere di nuovo contento.
- Bhè l’hai appena fatto -.
E lei rise divertita, contenta e sincera, per la prima volta, nella sua nuova vita.
 
 
*spazio autrice*
 
Allora, se qualcuno mi ha già letto, sa che alla fine di ogni capitolo, troverò lo spazio autrice, dove mi spiego e dove parlo del capitolo.
In questo non c’è molto da dire. Avete ben capito la storia come si baserà. Tra diversi POV’s e Flashbacks, andremo avanti e indietro nel tempo.
Spero che questo capitolo sia stato di vostro gradimento, e se c’è qualcosa che non avete capito su trauma cranici e altro, basta dirlo, mi sono documentata, e di certo posso rispondere a qualsiasi vostra domanda. :) per chi mi conosce, sa che amo fare ricerche prima di scrivere qualcosa del tutto sbagliata; se quest’ultima dovrebbe per forza essere scritta in quel modo, bhè sappiate che amo immischiare molto la fantasia alla scienza xD
Un grosso bacio, e al prossimo capitolo, che non so bene quando arriverà…
 
Para_muse
   
 
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