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Autore: SerMisty    12/02/2013    7 recensioni
"La figura ridacchiò, una risata un po’ maniacale che invase tutta la cella.
-Allora sai parlare, dearie!-
Cora non rispose, interdetta. Lui si inchinò, quasi da gentiluomo – ma non poteva esserlo, perché non era un uomo.
-Rumpelstilskin.- si presentò, calcando particolarmente sulla R iniziale –Al tuo servizio.-
E la ragazza davvero si ritrovò svuotata da ogni possibile replica o pensiero razionale. Tutto ciò che riuscì a venirle a galla nella pozza dei suoi pensieri fu che, come minimo, avrebbe dovuto presentarsi anche lei.
Si alzò dallo sgabello dell’arcolaio, sul quale era rimasta seduta per tutto il tempo.
-Io sono Cora.- si inchinò leggermente.
-Bellissimo nome.-"
Dopo la 2x12, abbiamo scoperto che qualcosa è successo fra Cora e Rumpelstilskin. Ma cosa esattamente? Questa storia prova a immaginare il passato di due grandi cattivi di OUAT prima che lo show la renda priva di credibilità XD
E' la mia prima fanfiction in questo fandom, spero che vi piaccia!
Genere: Avventura, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cora, Signor Gold/Tremotino
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note: Emm.... Salve *^* 
Sono SerMisty e questa è la prima storia che pubblico su questo fandom, e ho un pò paura vista la qualità degli scritti che ci sono qui, ma... Bhe, tentar non nuoce, no? E inoltre il mio animo da fangirl doveva sfogarsi scrivendo qualcosa dopo gli ultimi episodi. 
Dopo il bacio fra Rumple e Cora nella 2x12 ( a proposito, SPOILER. Se non l'avete vista, la puntata, mi sa che è meglio che girate al largo. La storia vede il passato, ma se non sapevate nemmeno che questi due si erano incontrati, togliete subito e vi rovinerete la sorpresa) il mio cervello già di per sè bacato è andato in tilt e ha cominciato a farsi ottomila film mentali. E bhe, ho pensato: e se fosse Cora la "figlia del mugnaio" che vedremo nell'episodio 2x16, "The miller's daughter"? E da qui, "E se Rumple fosse il padre di Regina?" 
E mi sono detta di no. Che no, non mi dovevo far piacere questa idea perchè sicuramente non la faranno. Che non incasineranno l'albero genealogico più di quanto già non abbiano fatto. Ma non mi sono ascoltata e quindi eccomi qui a scrivere questa cosa indegna dell'attenzione del fandom. Ma se qualche anima pia volesse leggere questo mattone (perchè io non sono capace di fare le cose brevi, chi mi conosce lo sa) e magari recensire, anche scrivendomi insulti, mi farebbe molto piacere e mi darebbe la spinta a scrivere qualcos'altro (magari Rumbelle <3).
Ah, e so che alcune parti di questa storia sono simili ad alcune storie su fanfiction.net, ma... Mi credereste se vi dicessi che l'ho scoperto dopo averla scritta? ^^'''''' A quanto pare molti hanno avuto idee simili al mio inizio e alla mia fine...
Comunque, dopo questa inutile introduzione, vi lascio alla storia. 




Sugelliamolo come facevamo un tempo.
--- Cora, 2x12
 

THE MILLER’S DAUGHTER

 

-Mia figlia sa filare la paglia in oro! Mia figlia sa filare la paglia in oro!-
Gli avventori della locanda ridevano sguaiatamente, agitando i loro boccali pieni fino all’orlo, facendosi beffe del povero ubriaco che, in piedi sul bancone, continuava a ripetere quella frase senza senso sventolando nella mano sinistra la bottiglia vuota di whisky.
-Ve lo ripeto, mia figlia fila la paglia in oro!-
-Certamente, mugnaio, e mia moglie trasforma la polvere in birra!-
-L’avessi io una moglie così, amico…!-
L’ubriaco non li sentì nemmeno, mentre gli uomini sghignazzavano e fantasticavano su incredibili e improbabili poteri delle donne della loro famiglia. Lui continuava a barcollare sul tavolo, ridacchiando senza contegno.
-La paglia in oro…- ripeté –La paglia in oro!-
E lanciò all’indietro la bottiglia, che ricadde sul pavimento vicino ad un tavolo frantumandosi in mille pezzi.
-Hey!- il padrone della locanda si avvicinò all’ubriaco, scocciato –Guarda che qui chi rompe paga! E devi anche sganciare per tutto l’alcool che ti sei scolato!-
L’altro rise in maniera ancora più incontrollata, seguito a ruota dagli avventori, che si stavano divertendo un mondo.
-Va bene, va bene, non arrabbiarti…- biascicò. Frugò nelle tasche dei suoi pantaloni logori, per poi estrarre le mani – palesemente vuote – e gettare una manciata d’aria sulla faccia dell’uomo –Ecco qua, tutti i soldi che vuoi! Tanto che mi frega, mia figlia…!-
-Tua figlia, tua figlia! Non me ne importa un fico secco di tua figlia e della tua stupida paglia, come pensi di pagarmi, con le tue ridicole storielle!?-
In un impeto di rabbia, il padrone afferrò il mugnaio per le gambe e lo strattonò: l’uomo precipitò dalla cima del banco, quasi travolgendo uno dei clienti, e terminò il suo volo sul pavimento, dal quale continuò a ridere come se non si fosse fatto assolutamente nulla.
Questo portò il padrone della locanda ad infuriarsi anche di più. Oltrepassò il bancone, mentre gli altri uomini ridevano a crepapelle, e pareva avere intenzione di far rinsavire l’uomo a furia di calci quando la porta della taverna si aprì di botto.
-Padre!-
Seguì un istante, uno solo, di silenzio, quanto bastava perché gli sguardi dei presenti si rivolgessero tutti alla giovane donna che, ignorandoli completamente, si era inginocchiata preoccupata accanto all’uomo disteso a terra. Mormorò qualcosa, scostandosi una ciocca dei lunghi capelli bruni che nella foga le erano finiti davanti agli occhi, ma le risatine isteriche di lui coprirono le sue parole.
Gli uomini attorno al bancone ripresero, se possibile, a ridere ancora più forte di prima.
-Ah, eccola qua, la figlia del mugnaio!-
-Però, niente male…-
-Secondo me sa filare dell’altro, oltre alla paglia!-
La ragazza fece finta di non sentirli: non era il caso di mettersi a discutere con degli ubriaconi, specie mentre tentava di bilanciare il suo peso con quello del padre per aiutarlo a rimettersi in piedi.
-Padre…!- era un bambolotto nelle sue mani. Ondeggiava a destra e a sinistra, completamente perso nei suoi risolini. Forse non l’aveva nemmeno riconosciuta.
-Signorina, vostro padre si è scolato mezza locanda e non ha un soldo bucato per ripagarmi.- il padrone della taverna la fissò malissimo, per niente impietosito –Come ha intenzione di risolvere la situazione?-
Lei ci mise qualche secondo per recepire esattamente le sue parole. Scosse la testa per riprendersi.
-Io…-farfugliò, rovistando nella piccola tasca della mantella blu che portava sulle spalle –Io non ho molto, ecco… E’ tutto ciò che ho…-
Rovesciò nelle mani aperte dell’uomo un sacchettino di monete d’argento.
I suoi risparmi di quattro mesi, più ciò che aveva guadagnato quella settimana vendendo il pane al mercato.
Sembrava che più nessuno avesse bisogno di pane in quel regno. O forse non avevano bisogno del suo, che da quando suo padre aveva preso questo vizio del bere doveva cucinare lei e veniva sempre un po’ troppo bruciato, o troppo lievitato, o con il grano non macinato a dovere. O semplicemente nessuno voleva il pane della figlia del mugnaio, della figlia dell’ubriacone del regno.
Suo padre si era girato più o meno tutte le taverne della contrada, venendone sempre buttato fuori a calci. Ogni volta che lo veniva a recuperare le dicevano che guai a loro se avesse rimesso piede lì dentro. E la ragazza sarebbe stata ben felice se almeno una delle locande avesse tenuto fede a questa minaccia, perché in un modo o nell’altro il mugnaio riusciva sempre ad intrufolarsi, e loro lo lasciavano fare, perché ai clienti brilli piace ascoltare i deliri di quelli ubriachi più di loro.
L’uomo rigirò le monete fra le dita, soppesandole. Poi si lasciò scivolare il sacchetto nella tasca e la giovane tirò un sospiro di sollievo.
-Lo porti via.- non sembrava soddisfatto, non del tutto, ma probabilmente il desiderio di togliersi quell’ubriaco dalla vista era talmente forte che qualche soldo in meno non gli avrebbe fatto cambiare idea –E che non metta più piede qui dentro, sono stato chiaro?-
Lei annuì – così come aveva annuito la settimana passata, e quella prima ancora, ad un discorso pressoché simile in una locanda alla fin fine uguale in una situazione decisamente identica.
Prima era una volta ogni tanto. Ogni due o tre mesi, suo padre si arrendeva ad una pesante sbornia. Ma ormai il ritmo delle bevute stava aumentando mentre quello dei guadagni era in continua discesa.
Se non fossero stati gli unici ricordi di sua madre, la ragazza si sarebbe già arresa e avrebbe certamente già impegnato la collana e l’anello che, scalfiti entrambi in una pietra piuttosto rara – blu, come il vestito che indossava – avrebbe potuto aiutarli a tornare a galla, almeno per un po’.  Se non fossero stati gli unici ricordi di sua madre.  
La giovane donna si mosse allora in avanti, in fretta poiché altrimenti sarebbe bruciata sotto lo sguardo del padrone e degli avventori della locanda, in fretta quanto suo padre le permetteva, visto che mettere un piede avanti all’altro si rivelò per lui un’impresa molto più difficile del previsto.
Pesava. La ragazza rischiò di perdere l’equilibrio due volte, e non era ancora arrivata alla porta.
-Coraggio, padre. Dobbiamo andare a casa.-
Utilizzò il suo stesso peso morto per spalancare l’uscio della taverna ed uscire, ignorando per l’ennesima volta le risate e i commenti offensivi provenienti dall’interno.
-Oh, hey, lo sapete?- il mugnaio rideva ancora, regalando a tutti un ultimo spettacolo prima di allontanarsi –Mia figlia Cora fila la paglia in oro!-

-Padre, per favore, cerca di riprenderti.-
Il mugnaio sembrava essersi leggermente ripreso dalla sbornia durante il tragitto verso casa – diciamo che perlomeno era capace di camminare da solo lungo una linea più o meno retta – ma continuava a blaterare cose senza senso e Cora non riusciva proprio a tranquillizzarsi.
-Padre, sai che Re George non apprezza gli ubriachi…-
-E chi ti dice che sono ubriaco?- ridacchiò lui, mangiandosi tanto le parole che la figlia dovette concentrarsi per bene per capire quello che stava dicendo.
Quando comprese, preferì non rispondere.
Suo padre non era mai stato un ubriacone. Mai, prima della morte di sua madre. Poi… Bhe… All’inizio pensava che sarebbe finita presto, che era solo una fase passeggera dovuta al dolore ancora giovane, ma ormai, dopo due anni, il dolore non c’entrava proprio più niente.
E almeno suo padre non era un ubriaco pericoloso. Non era né violento né aggressivo, semplicemente parlava a vanvera sghignazzando come un idiota, e Cora non si sarebbe preoccupata tanto come invece faceva se non fosse stato per l’editto che Re George aveva proclamato poco meno di un mese prima.
Il trentenne che sedeva al trono sembrava non apprezzare i piaceri del vino, perché aveva dichiarato che chiunque fosse stato ritrovato ebbro in un certo orario definito – e, dannazione, era proprio quello – sarebbe stato punito con il carcere di tre settimane. E suo padre dietro le sbarre era davvero l’ultima cosa che mancava per rovinare definitivamente la loro più che precaria condizione finanziaria.
Si voltò di scatto. Le sembrava di essere osservata.
Non era tranquilla.
Accelerò il passo, tenendo ben saldo il padre con un braccio.
-Facciamo presto.- mormorò. Lui rispose con una risatina.
Fu solo per miracolo che Cora notò una pianta amara in mezzo ai cespugli. Si affrettò a raccoglierla e quasi la spinse a forza nella bocca del padre.
-Cora!- lui si lamentò, ingoiando l’erba così com’era, per poi riprendere a ridacchiare –Per che cos’era quello?-
-Per l’alito.- rispose la ragazza, serissima –Quella pianta lo coprirà un po’…-
-Aveva un sapore orribile… He he! Meglio il vino!-
-Padre, ti prego.-
Continuarono a camminare un altro po’. L’ansia di Cora prese a dissiparsi pian piano, poiché la loro capanna distava ormai sempre meno…
…E poi si sentirono gli scalpitii dei cavalli.
Cora non fece nemmeno in tempo a pensare di fare qualcosa. Riuscì semplicemente a girarsi, i capelli bruni si mossero rapidamente al suo movimento, prima di vedere due cavalieri cavalcare verso di loro.
Notò fin da lontano lo stemma reale marchiato sui loro elmi.
No, la ragazza non ebbe davvero il tempo per pensare a qualcosa. Anche solo gettare il padre in mezzo ai cespugli. Non ebbe il tempo di fare niente perché in un istante i due cavalli li avevano già raggiunti, bloccando loro la strada. I cavalieri scesero a terra con un salto, e Cora fece di tutto per non rabbrividire.
Dannazione.
-Pattuglia reale!- si presentò uno dei due. Come se non fosse stato già abbastanza chiaro.
Cora annuì piano con un cenno della testa. Rimase rigida e impettita, sperando che suo padre la imitasse. In effetti il mugnaio stava zitto, fermo, e la ragazza sperò che avesse avuto una paralisi totale proprio in quell’istante.
-Cosa ci fate per la strada a quest’ora?- il cavaliere più basso, quello che prima non aveva parlato, le si avvicinò, girandole attorno. Portava l’elmo con la visiera, ma Cora sentiva perfettamente i suoi occhi addosso.
-Noi… Noi stavamo tornando a casa.- rispose, sicura e tranquilla come meglio riusciva ad apparire –Abbiamo fatto visita ad  alcuni nostri parenti e non ci siamo accorti del tempo che passava.-
Lui non smise di camminarle di lato, lentamente.
La ragazza si prese una ciocca di capelli e cominciò a tormentarsela nervosamente fra le dita.
Credimi credimi credimi…
-E’ la verità?- il primo cavaliere si rivolse al mugnaio, ma non ottenne risposta.
Gli si avvicinò.
-Certo che è la verità!- Cora fece un passo avanti, ma l’altra guardia la fermò, educatamente ma con decisione.
Il soldato raggiunse il l’uomo, squadrandolo attraverso la visiera dell’elmo. Anche lui lo fissò, poi prese a ridere.
-Che buffo abito indossate!- ridacchiò.
Cora sentì una goccia di sudore freddo scivolarle lungo il collo.
Le cose si mettevano decisamente male.
Il soldato voltò la testa verso di lei, poi di nuovo al mugnaio e viceversa.
-E’ tuo padre?- domandò. La ragazza si ritrovò ad annuire.
Sospettoso, il cavaliere si chinò sull’uomo, che continuava imperterrito nei suoi ebbri risolini, ed annusò.
-Erbe amare.- commentò, un po’ deluso. Era convinto di trovare tracce di alcool nel suo alito.
Cora si compiacque della sua propria idea. Per un istante, uno solo, pensò di averla scampata, poiché – anche se molto lentamente – i due cavalieri stavano tornando verso i cavalli. Del resto, non c’erano prove che suo padre…
-Hey, signori, lo sapete?- esclamò, troppo improvvisamente perché la ragazza avesse il tempo di tappargli la bocca –Mia figlia sa filare la paglia in oro!-
L’istante di speranza era finito.
I due soldati si bloccarono a metà di un passo, voltandosi.
Cora poteva solo immaginare i pensieri che stavano agitandosi nella loro mente, protetti dal metallo dell’elmo.
Nessuna erba amara avrebbe potuto tradire le apparenze, questa volta.
Il cavaliere più basso si sporse verso l’altro, sussurrandogli qualcosa nell’orecchio, a bassa voce ma abbastanza forte perché Cora sentisse.
-E’ ubriaco.-
-No!-
Si portò una mano alla bocca, ma era troppo tardi. Il padre ridacchiava dietro di lei, divertito dagli sguardi fantasma che i due soldati le stavano rivolgendo in quel momento.
-No… Vi sbagliate.- la ragazza decise che era giunto il momento di giocarsi il tutto per tutto, e fece un passo avanti verso di loro –Non è ubriaco.-
Vide distintamente, anche se non direttamente con gli occhi, le loro sopracciglia sollevarsi in aria ironica.
-A me pare che vaneggi proprio come un ubriaco.- commentò il primo cavaliere. Quasi a dargli ragione, il mugnaio ripeté per l’ennesima volta di come sua figlia filasse la paglia in oro, barcollando e rischiando di perdere l’equilibrio.
-Giusto, e se non è ubriaco, poi, perché ride così?- confermò l’altro.
Cora si torse la mani in grembo. Per fortuna era una che pensava in fretta.
-Lui… Lui è… Malato.- rispose. Poi, più sicura –E’ malato. Una febbre, qualche anno fa, lo ha quasi ucciso. Si è salvato, ma è rimasto così.-
Bhe, niente male come storia inventata lì per lì.
-Così… Come?- il soldato più basso aveva un tono dubbioso.
Cora pensò solo un istante.
-Stupido.- spiegò –Non è colpa sua, non fa male a nessuno. Però è evidentemente minorato. Ride incondizionatamente e non c’è modo di fermarlo, signori, ma vi posso assicurare che non è ubriaco.-
Il cavaliere basso annuì pianissimo con il capo, forse convintosi. Il primo, al contrario, non si mosse affatto.
-Gli stupidi dicono cose senza senso, e poi dopo ne dicono un’altra con ancora meno senso della precedente.- affermò –Mentre tuo padre continua a ripetere una sola sciocchezza, è cioè la tua capacità di filare la paglia in oro. Questo è un atteggiamento da ubriaco. E ti conviene ammetterlo, se non vuoi finire nei guai anche tu.-
Cora rabbrividì alla palese minaccia, ma non si tirò indietro.
-Mio padre non è ubriaco, signore.- ripeté, ferma.
-E allora sai spiegarmi perché racconta imperterrito questa tua dubbia dote della paglia filata in oro?-
-La paglia in oro!- esclamò in quel momento lui, come risvegliatosi alla citazione –La paglia in oro!-
Ci vollero solo una manciata di istanti prima che la ragazza rispondesse.
-Semplice.-  disse –Perché è la verità.-
E così come i due cavalieri sobbalzarono impercettibilmente, sorpresi, lei stessa sgranò gli occhi, chiedendosi da dove diavolo avesse tirato fuori quella scemenza bella e buona.
-La… verità?- il cavaliere più basso la stava certamente fissando, scioccato.
-Non può essere.- l’altro, per quanto scosso, si mostrò più deciso –Ci stai prendendo in giro.-
-Esiste o no la magia in questo mondo?- replicò Cora, secca come non si aspettava sarebbe mai stata in una situazione del genere.
Il soldato continuò a squadrarla attraverso l’elmo, sospettoso.
-E allora spiegami- ghignò poi, certo di averla colta in fragrante –Perché sei vestita con questi stracci e non con degli abiti che ti si confanno? Perché non sei la più ricca del regno, se davvero hai questo dono? Anzi, perché non ci inviti a casa tua e ci mostri dal vivo questo fenomeno?-
A parte l’offesa per sentirsi dire che indossava “questi stracci”, Cora si ritrovò a rispondere senza che in realtà avesse prima pensato a cosa dire: semplicemente, la risposta era uscita da sola.
-Perché ci hanno derubato.-
Silenzio.
-Derubato…?-
-Sì. Sa, noi non volevamo far sapere a tutti il nostro segreto, così fingevamo di essere poveri, ma qualcuno deve averlo scoperto… Ci hanno sorpreso in casa e ci hanno derubato di tutto l’oro, e dell’arcolaio. Non abbiamo più niente.-
Più della metà delle parole che aveva detto non erano state pronunciate da Cora stessa, ma da una specie di voce che gliele suggeriva, in silenzio.
Chiunque fosse, aveva davvero una fervida fantasia.
Fervida e incredibilmente convincente, oltretutto. Il cavaliere annuì piano con la testa, poi fece qualche passo indietro.
-Capisco.- disse –Bhe, allora ci dispiace avervi importunato, signorina. Fareste bene a tornare a casa in fretta.-
-Lo faremo, grazie.-
Non sembrava sicuro al cento per cento, ma di sicuro quella storia lo aveva colpito, perché salì rapidamente a cavallo e dopo aver fatto un cenno al compagno riprese al galoppo la strada dalla quale erano arrivati. L’altro lo seguì.
Cora trattenne il respiro finché non li vide sparire attraverso il bosco, certa di ritrovarseli di fronte da un momento all’altro. Quando non accadde, sorrise sollevata, ignorando il padre che continuava a sghignazzare.
Forse se l’erano cavata.

Quando il giorno dopo il mugnaio, da sobrio, si fece raccontare tutta la storia, non la smetteva più di scusarsi con la figlia e di prometterle che non avrebbe più corso un rischio simile. Cora non ne era proprio sicura, ma annuì lo stesso.
Il padre si complimentò inoltre per il sangue freddo e la sicurezza con cui aveva salvato la situazione. Affermò di essere davvero orgoglioso di lei – e che anche sua madre lo sarebbe stata – e che certamente ora non avrebbero più dovuto temere nulla.
In effetti, la disavventura della notte precedente sembrava ormai essersi risolta nel nulla. Ma quando, verso metà mattina, Cora fece per aprire la porta, quasi le si fermò il cuore nel petto nel trovare tre guardie reali di fronte a lei, la prima con il pugno sollevato come se fosse stata in procinto di bussare.
Ghignò.
-Ma guarda un po’. Io non busso e lei apre la porta. È davvero magica, la ragazza.-
I due soldati dietro ridacchiarono al suo dubbio umorismo. Cora non ci mise che due secondi per identificarli nei cavalieri della notte precedente.
-D-Desiderate?- si odiò per balbettare. Suo padre, raggiuntala, si fermò in mezzo alla stanza, bianco come un lenzuolo.
-Oh, guardate un po’!- uno dei due uomini dietro lo intravide, ghignò –Lo scemo dei ieri sera!-
E il mugnaio scosse la testa, ricordandosi quello che gli aveva raccontato la figlia, e si esibì nel più buffo sorriso sciocco che gli venisse fuori, ma i suoi occhi tradivano troppa preoccupazione – preoccupazione che uno sciocco non può provare abbastanza.
E se Cora non fosse stata internamente convinta che quella visita inaspettata fosse stata per tutt’altri motivi, probabilmente si sarebbe già messa a pregare di risparmiare suo padre.
Ma dal modo in cui il cavaliere di fronte a lei la squadrava – come un oggetto curioso, un fenomeno da baraccone – le faceva pensare che l’ebbrezza o meno di suo padre la notte precedente non contasse più nulla.
-Desiderate?- ripeté, mostrandosi più ferma.
-Lei è la giovane Cora?- domandò la guardia reale.
-Sono io.-
-Abbiamo un mandato da parte di Re George. Deve venire con noi.-
Lei non mostrò espressioni. Ci provò, almeno – sua madre glielo aveva insegnato molto bene – anche se non le riuscì perfettamente.
-Per quale motivo?-
E il sogghigno che si dipinse sui volti dei tre soldati non prometteva nulla di buono.
-Gira voce che la figlia del mugnaio sappia filare la paglia in oro.-

Invano il padre aveva pregato, supplicato la clemenza del re, implorato che prendessero lui perché lui era quello ubriaco quella notte, quello che farneticava una marea di sciocchezze, e non era affatto vero che sua figlia era capace di filare la paglia in oro. Si era messo in ginocchio al cospetto di Re George scongiurandolo di lasciarla andare, di graziarla, ma era stato cacciato via fra le risate dei cavalieri – e del sovrano stesso.
Perché non importava sapere che il mugnaio fosse ubriaco, quella notte. Non più. Quello che importava era che la figlia aveva osato prendere in giro delle guardie reali, aveva osato prendere in giro il regnante.
Tutto ciò doveva essere punito.
Ed ecco come fu che la figlia del mugnaio si era ritrovata chiusa in una torre del castello, con solo un arcolaio e un mucchio enorme di paglia, con l’ordine di filarla in oro entro il giorno dopo, pena la morte.
E non importava che Re George fosse già ricco, così schifosamente ricco che c’era da domandarsi fra quarant’anni che fine avrebbero fatto tutte quelle ricchezze; non importava che Mida, il suo amico più intimo ancora principe di un regno vicino continuasse a ripetere che lui sarebbe morto di fame pur di possedere tanto oro quanto lui; e non importava neppure che fosse palesemente chiaro a tutti che quella storia della paglia fosse una sciocchezza bella e buona, non contava perché era semplicemente un diversivo del sovrano per rendere una giornata diversa dalle altre.
Cora sospirò: era finita dalla padella alla brace.
Scostando con la mano una ciocca di capelli dal suo viso, la ragazza fissò ancora una volta, rassegnata, l’enorme montagna di paglia che la circondava.
Dalla finestra della cella la luce cominciava a diminuire: era in procinto di calare la sera, e lei non aveva nemmeno provato a toccare un solo filo di paglia.
In realtà a un certo punto, colta dalla disperazione – o più che altro dalla sensazione che a rimanere seduta davanti all’arcolaio senza muovere muscolo  l’avrebbe uccisa di noia e solitudine, altro che crivellate di frecce – aveva provato, solo un filo, ma quello che era uscito fuori era tutto tranne che oro.
Ridacchiò, a pensarci. Chissà perché, non aveva nessuna paura della morte che sembrava avvicinarsi di un passettino ogni minuto. Anzi, quella situazione le sembrava più che mai buffa e inverosimile.
Forse credeva ancora che Re George le sarebbe venuto ad aprire con un sorriso dicendo che lo aveva fatto divertire abbastanza con quella storia e che poteva pure tornarsene a casa.
-E’ ridicolo.- commentò ad alta voce, rivolta a se stessa o forse a nessuno –Sono davvero finita in una situazione simile?-
Osservò nuovamente il mucchio di paglia che dell’oro aveva solo la sfumatura, e anche un po’ più opaca.
-Nessuno può filare la paglia in oro. E anche potendo, il tempo è troppo poco. Ah, lasciamo perdere.-
-La rassegnazione è uno dei peggiori difetti dell’uomo, non trovi anche tu, dearie?-
Cora cacciò un urlo di sorpresa, voltandosi di scatto verso il lato più buio della stanza.
Inizialmente non vide nessuno. Cosa che non la sorprese più di tanto, stare così a lungo da sola in una stanza silenziosa con il presupposto di dover compiere una simile impresa avrebbe fatto impazzire chiunque.
Per la verità si stupì di più quando, strizzando gli occhi, si accorse che effettivamente c’era una figura, nascosta nel buio.
Se ne accorse solo perché parlò di nuovo.
-C’è sempre qualcuno capace di fare quello che gli altri non possono. In questo caso, io sono il tuo qualcuno.-
L’ombra si avvicinò, lentamente ma senza esitazione. Man mano che usciva alla luce, Cora poteva distinguerlo meglio.
Era un uomo. O meglio, sembrava. Ecco, forse aveva cominciato con la definizione più complicata. Tutto in lui faceva supporre che fosse un uomo – insomma, era un essere umano, ecco. Però la pelle era squamosa, verdastra, brillava sotto la luce di quella che ormai era la luna; le mani, che teneva unite davanti a sé a sfiorare il mento, erano dotate di unghie nere più simili ad artigli; gli occhi erano diversi da qualsiasi cosa che la ragazza avesse mai visto prima, e il sorriso… Quello non era un sorriso. No. Assolutamente. Era un ghigno, un ghigno nemmeno tanto malvagio, ma più divertito, folle, sornione.
Dovette sbattere le palpebre un paio di volte per assicurarsi che non fosse frutto della sua mente decisamente malata.
Lui, dal canto suo, non proferì altra parola. Rimase lì a fissarla per quelle che sembrarono ore, ed era forse proprio questo che la inquietava maggiormente.
-Chi… Siete?- trovò alla fine il coraggio di domandare, e non era certa che se lui avesse risposto lei si sarebbe sentita sollevata.
La figura ridacchiò, una risata un po’ maniacale che invase tutta la cella.
-Allora sai parlare, dearie!-
Cora non rispose, interdetta. Lui si inchinò, quasi da gentiluomo – ma non poteva esserlo, perché non era un uomo.
-Rumpelstilskin.- si presentò, calcando particolarmente sullaR iniziale –Al tuo servizio.-
E la ragazza davvero si ritrovò svuotata da ogni possibile replica o pensiero razionale. Tutto ciò che riuscì a venirle a galla nella pozza dei suoi pensieri fu che, come minimo, avrebbe dovuto presentarsi anche lei.
Si alzò dallo sgabello dell’arcolaio, sul quale era rimasta seduta per tutto il tempo.
-Io sono Cora.- si inchinò leggermente.
-Bellissimo nome.-
Rumpelstilskin prese a camminare lentamente lungo la stanza, in silenzio. I suoi movimenti erano circolari e pian piano le si stava avvicinando, ma era quasi impercettibile.
-Dearie dearie dear…- esclamò a un certo punto, la voce così acuta nella risatina che lo accompagnava che la fece sobbalzare –Ho come l’impressione che tu sia con l’acqua alla gola… Mi sbaglio?-
Cora scosse sommessamente la testa. Sentì improvvisamente un gran bisogno di parlare con qualcuno.
-No, in effetti.- ammise –I fatti stanno così…-
-Vino, guardie, bugie, paglia, oro, morte.- la interruppe lui. Sogghignò alla sua espressione sorpresa –Mi documento sempre prima di fare una visita, dearie.-
Ora, quello che Cora avrebbe davvero voluto chiedergli era ma chi accidenti sei e da che razza di mondo sei venuto, ma tutto quello che le uscì quando aprì la bocca fu un semplice:
-Cosa siete venuto a fare qui?-
Rumpelstilskin scosse le spalle con noncuranza.
-Volevo aiutarti. Posso aiutarti.-
Gli occhi della ragazza si spalancarono.
-Davvero potete!?-
-Bhe, le cose stanno così, dearie: tu hai bisogno di qualcuno che fili la paglia in oro e, guarda caso, io filo la paglia in oro.- sogghignò –Sono certo che troveremo un accordo.-
Cora non poté impedirsi di sorridere raggiante.
-Voi filate la paglia in oro!?- esclamò, entusiasta. Subito dopo, il ragionevole dubbio la portò ad incupirsi –Ma com’è possibile?-
-Come?- l’altro agitò le mani in un gesto teatrale –Che domande, dearie! Con la magia!-
Ecco, già questo gli dava maggiori credenziali. In effetti, a un tipo così bizzarro si addicevano un paio di incantesimi da chiromante…
-E…- la speranza cominciò a battere nel petto della ragazza –E voi saresti disposto a filare la paglia in oro… Per me?-
Rumpelstilskin schioccò la lingua contro il palato, fingendo di pensare.
-Dipende.- borbottò –Ogni cosa ha un suo prezzo, spero che tu te ne renda conto. Tu cosa puoi darmi in cambio?-
Ecco, la speranza faticosamente tornata stava già facendo le valigie per andarsene. Cora abbassò lo sguardo, mordendosi un labbro.
-Io non ho niente…-
Sobbalzò quando rialzò gli occhi: quello strano figuro era proprio lì di fronte a lei, comparso – magicamente – senza rumore.
Sentì un brivido freddo correrle lungo la schiena quando si specchiò nelle sue iridi marroni, grandi, troppo grandi per qualsiasi uomo, ma che a lui stranamente si addicevano alla perfezione.
Lui non distolse lo sguardo mentre la sua mano puntava verso il basso.
-Hai un bell’anello.-
Cora seguì la direzione del dito, posando infine gli occhi sulla sua piccola fede blu.
Sobbalzò per la terza volta in pochi minuti, nascondendo la mano dietro la schiena.
-No.- disse, ferma, per quanto ferma non sembrasse affatto –E’ un ricordo di mia madre. Non posso darvelo.-
Lui sogghignò – era solo una sua impressione o era ancora più vicino? -  e poi fece qualche passo indietro, sollevando le mani in resa.
-Ma certo.- annuì, comprensivo –E’ naturale, non mi sognerei mai di toglierti una cosa che tanto ti lega a una persona cara. Ma tu capisci, dearie, questa paglia è tanta. Non posso filarla gratuitamente. Temo proprio di aver fatto un viaggio a vuoto…-
Detto questo si voltò, tornando indietro – forse un po’ troppo lentamente – verso il buio da cui era apparso.
Cora continuava a stringersi l’anello al dito, ma la presa diventava ad ogni suo passo meno salda, poiché anche la speranza si stava allontanando insieme a lui.
Si morse un labbro, cercando di impedirsi di parlare.
L’oscurità stava per inghiottirlo di nuovo.
-Aspetti!-
Si fermò.
Cora non poteva vederlo in volto, poiché le dava le spalle, ma sentiva che stava sogghignando.
-Siete davvero capace di filare tutta questa paglia in oro prima dell’alba?-
Rumpelstilskin si voltò, piano. Quel ghigno soddisfatto era sempre lì.
-Naturalmente, o non sarei qui a far perdere tempo a entrambi.-
La ragazza tirò un lungo sospiro. Poi si sfilò l’anello dal dito e glielo porse.
-Affare fatto.-
Rumpelstilskin si lasciò andare ad una buffa risata folle, battendo le mani e facendo urtare le unghie fra loro così che produssero quasi un rumore metallico.
La raggiunse, questa volta in fretta, e prese l’anello che la ragazza gli lasciò cadere in mano.
Gli diede giusto un’occhiata, poi strinse il pugno e il gioiellino sparì in una nuvoletta di fumo viola.
-Molto bene.- sogghignò –Un patto è un patto. A me l’anello, a te l’oro.-
Si sedette all’arcolaio, raccogliendo da terra il filo di paglia che Cora aveva provato a filare prima.
-Guarda e impara.-
Prima che la ragazza potesse rispondere, la ruota dell’arcolaio aveva già preso a girare, rapida, armeggiata da quello strano figuro con una tale abilità che sembrava non avesse fatto altro in vita sua. Cora rimase stupefatta nell’accertarsi che la paglia filata nel cestello, alla fine, era davvero diventata un lungo e sottile filo d’oro.
-Dearie, così rischi di slogarti la mascella.-
Lei si accorse solo allora di avere la bocca spalancata dallo stupore, e la richiuse di scatto, lievemente imbarazzata.
-E’… E’ incredibile!- commentò –Diventa davvero oro, non posso crederci!-
Rumpelstilskin sogghignò, l’innocenza di quella ragazza lo divertiva non poco.
-Vai a dormire, dearie, qui non c’è nulla che richieda la tua presenza.-
Lei indietreggiò, un po’ esitante. A pensarci bene, l’idea di potersi addormentare beatamente mentre un simile figuro filava la paglia in oro per lei nella stanza non era granché plausibile o allettante… Ma sentiva le palpebre chiudersi, appesantite dalla stanchezza di quella giornata e della notte precedente.
Si rannicchiò alla parete opposta a Rumpelstilskin e chiuse gli occhi.

La mattina dopo, Cora fu svegliata da una serie di esclamazioni di puro entusiasmo provenienti da voci che non distingueva perfettamente. Sbadigliò, stiracchiandosi in maniera molto poco elegante, e sbatté le palpebre un paio di volte, cercando di mettere a fuoco le immagini davanti a lei.
Cielo, il muro di pietra di quella cella era molto più scomodo di quanto si sarebbe mai aspettata!
Intravide una corona ed un lungo mantello rosso e aprì gli occhi di scatto, saltando in piedi come una molla.
-Vostra Maestà…!- salutò, inchinandosi.
Re George e le sue guardie non ricambiarono né l’inchino né il saluto: erano troppo impegnati a fissare sbalorditi la parete opposta alla ragazza.
Lei stessa – si rese conto di essersi addormentata così profondamente da non aver sentito nemmeno quello strano personaggio, Rumpelstilskin, andare via – allungò un po’ il collo per guardare oltre le loro spalle.
Lì, nello stesso luogo dove la sera prima era accatastata una montagna di paglia, c’era adesso un monte altrettanto grande di fili d’oro puro. Splendevano alla luce del sole come degli specchi e sembravano essere stati lì da sempre.
Cora dovette davvero far ricorso a tutto il suo autocontrollo per non esclamare di sorpresa e tradirsi: Rumpelstilskin era stato decisamente di parola.
-Tu… Tu lo hai fatto davvero.- la voce di Re George si fece finalmente sentire, scioccata e perfino un po’ timida.
Lei annuì semplicemente , incrociando le dita dietro la schiena.
-Sei davvero capace di filare la paglia in oro!-
Cora non rispose, nuovamente. Si morse un labbro.
-Adesso posso tornare da mio padre?-
Era abbastanza sicura che la risposta sarebbe stata affermativa. Del resto adesso il re aveva l’oro, – che certo non gli dispiaceva – si era probabilmente dimenticato della faccenda di due sere prima e non avrebbe dovuto convocare gli arcieri per l’esecuzione. Tutto era a suo favore.
O no?
Quando Re George si voltò, e Cora lesse distintamente nei suoi occhi l’indignazione per essere stato privato del suo piccolo divertimento, – anche da vecchio si sarebbe divertito a patteggiare e ingannare e vendicare? – capì immediatamente che era stata troppo ottimista.

Era così tanta la paglia da filare per la mattina dopo, che Re George l’aveva fatta trasferire in una nuova stanza, più grande della precedente. Cora si chiese da dove la prendesse, tutta quella paglia.
Era stata un’ora a far girare l’arcolaio, sperando che il benefattore della sera precedente le avesse lasciato una specie di pozione magica o qualcosa di simile, ma senza successo. Era un normalissimo arcolaio e quella che veniva filata era normalissima paglia.
In pratica, aveva sprecato un giorno della sua vita. Avrebbe anche potuto farsi condannare a morte, non sarebbe cambiato assolutamente nulla…
Si disse che sarebbe stato meglio addormentarsi e lasciar vagare la mente fino al mattino, fino all’esecuzione, eppure una minuscola parte di lei la spronava a rimanere sveglia: il sole era quasi del tutto calato e Cora sentiva che a notte fatta sarebbe accaduto qualcosa.
Nel momento in cui il cielo divenne buio, la ragazza trattenne il fiato ed attese.
Un minuto.
Niente.
Due minuti.
Niente.
Al terzo minuto Cora sospirò, rassegnata. Fu in quell’istante che sentì la voce.
-Mi pare di intuire che sia questa la ricompensa per il lavoro ben fatto di ieri notte.-
La ragazza si voltò di scatto – no, le apparizioni a sorpresa non le erano affatto gradite – mentre Rumpelstilskin le si avvicinava apparendo dal buio della stanza.
-Siete voi.- un minuscolo sorriso le comparve sulle labbra per un istante –Siete tornato.-
-Acuta osservatrice.-
-Siete qui per aiutarmi di nuovo?-
Lui scrollò le spalle con aria indifferente.
-A me non costa nulla.- affermò –Ma costerà qualcos’altro a te, dearie.-
Questa volta Cora era leggermente più preparata. Forse si sarebbe pentita di quello che stava per fare, ma in fondo sua madre avrebbe voluto che lei vivesse, no?
-Posso darvi la mia collana.-
Rumpelstilskin sogghignò. Cora rimase ferma, in piedi in mezzo alla stanza, mentre l’essere, raggiuntala, prese a girarle lentamente attorno, squadrandola come può fare un avvoltoio con la vittima.
Era molto vicino. Sentiva il suo respiro.
Era troppo vicino.
In un momento, due dita gelide avevano sfiorato il gancio del gioiello, lasciandolo cadere. L’altra mano di lui lo afferrò al volo.
-Si può fare.-
Rimirò la collana per qualche secondo – dando tempo anche a lei di guardarla un’ultima volta – e poi essa si dissolse in una nube violacea, come aveva fatto anche l’anello.
-Molto bene, dearie. Ora lasciami lavorare.-
La scostò non troppo garbatamente, sedendosi davanti all’arcolaio. Come anche la notte precedente, la paglia che veniva filata da lui si trasformava in un istante in fili d’oro purissimo.
Cora rimase in silenzio, tormentandosi una ciocca di capelli bruni. Poi parlò:
-Cosa ve ne fate del mio anello e della mia collana?-
Rumpelstilskin non rispose. Sembrava concentratissimo a fissare la ruota girare.
Lei aspettò un paio di minuti. Poi, convinta che fosse meglio non insistere, fece per spostarsi verso la parete per dormire un po’.
-Ne faccio collezione.-
Cora si voltò di nuovo verso di lui: era sempre chino sull’arcolaio,  e sembrava quasi che non avesse aperto bocca.
Rincuorata, tuttavia, dal fatto che lui l’avesse presa abbastanza in considerazione da risponderle, sul volto della ragazza si dipinse un fugace sorriso.
-Oh.- fece qualche passo in avanti verso di lui –Non vi avrei creduto un collezionista.-
-In effetti non lo sono propriamente.- Rumpelstilskin non la guardava nemmeno mentre parlava –Mi diverto a raccogliere gli affetti più cari delle persone. Sono ricchi di magia. Se vengono presi con la forza, lo diventano anche di più.-
Ecco. La lieve tranquillità a cui Cora era andata incontro per pochi secondi era già sparita.
-Ah.- mormorò –E’ un po’ più tetro di come mi ero immaginata…-
-La vita è spesso così, dearie. Pensavo lo avessi capito quando il re ti ha messo a filare la paglia.-
Lei dovette annuire, suo malgrado.
-A proposito, siete davvero molto abile in questa attività.- indicò il mucchietto d’oro che si faceva man mano più consistente nel accanto all’arcolaio –E’… Magia, giusto?-
-Naturalmente.- ghignò, guardandola finalmente –Per caso ti spaventa, dearie?-
Cora sorrise, scuotendo la testa.
-No. Ad essere sinceri, mi ha sempre affascinato.-
Per un attimo parve che il volto di Rumpelstilskin si illuminasse, soddisfatto. Ma fu troppo rapido per poterne essere certi.
-Buon per te.-
Riprese a fissare la ruota.
-E voi… Voi siete un mago, un chiromante…?-
-Scusa?-
-Intendo… La magia. L’avete perché siete un mago, o magari un folletto?-
-Un folletto?- smise di filare. Cora osservò il suo gesto e fu attraversata dal timore di averlo offeso  -Un folletto…!-
Scoppiò in una risata. Quella risatina da pazzo che lei aveva da subito cominciato a conoscere riempì tutta la cella.
Si calmò, scuotendo la testa come se quell’affermazione fosse stata la più buffa che avesse mai sentito.
-Un folletto…- ripeté, incredulo –Hai una spiccata fantasia, dearie, non c’è che dire.-
-Mi dispiace, pensavo solo…-
-Credimi, non ti farebbe piacere sapere chi sono davvero.-
Cora si morse un labbro.
-Voi mi state salvando la vita.- obiettò –Chiunque voi siate, non potrei mai biasimarvi.-
La ruota si fermò di nuovo.
Rumpelstilskin si voltò verso di lei, uno sguardo quasi severo sul suo volto.
-Io non ti sto affatto salvando la vita.- precisò, duro –Abbiamo fatto un accordo: la filatura della paglia per il tuo anello e la tua collana. Il fatto che questo ti porti a sopravvivere è un dettaglio che non ha niente a che fare con me.-
Lei indietreggiò di un passo, colpita da quel tono così secco.
-Non prendermi per un benefattore, dearie. Non lo sono. C’è gente che lo ha imparato troppo tardi, vedi di non dovertene pentire anche tu.-
E dopo questo, Cora si affrettò a rannicchiarsi in un angolino per dormire, mentre lui riprendeva a filare.
Dannazione a lei e alla sua linguaccia! Dieci a uno che quelle parole le avrebbero fatto venire gli incubi quella notte.

La mattina seguente, Cora si era svegliata con in sé solo una misera speranza che quella seconda carrellata d’oro avrebbe soddisfatto l’avidità di Re George.
Infatti, eccola lì: rinchiusa in una terza cella, nella torre del castello, completamente circondata da così tanta paglia da uccidere a forza di starnuti chiunque soffrisse di febbre da fieno.
Unica nota positiva, quella stanza non aveva le inferriate alle finestre,  – del resto nemmeno Raperonzolo, una ragazza dai lunghi capelli di cui si parlava molto a quell’epoca nella Foresta Incantata, avrebbe potuto uscire indenne da lì – così che Cora almeno poteva godersi il sole affacciata all’apertura nella pietra.
Questa volta, però, non era assolutamente preoccupata. Sapeva che al calar della notte Rumpelstilskin sarebbe tornato. Lo sentiva.
Anche se…
Non prendermi per un benefattore, dearie. Non lo sono. C’è gente che lo ha imparato troppo tardi, vedi di non dovertene pentire anche tu.
Un anello e una collana non erano niente in confronto a quello che stava facendo per lei. E se davvero costui era capace di filare la paglia in oro, non avrebbe voluto quei gioielli nemmeno per rivenderli. Ma allora perché la stava aiutando? Un motivo doveva pur esserci…
Cora scosse la testa: pensare la faceva solo confondere di più.
Lo avrebbe chiesto direttamente a lui quella notte.

E in effetti quella notte lui venne. Ancora una volta. Però non comparve dal buio della cella, – non avrebbe potuto: quasi ogni singolo spazio vuoto della stanza era occupato dalla paglia, e il suo effetto sorpresa sarebbe stato rovinato – bensì Cora lo vide spuntare improvvisamente dal giardino sul quale si affacciava la finestra, comminando allegramente come se nulla fosse.
-Ciao, dearie. Ti godi la vista?-
Lei sorrise. Perché sorrise?
-Avevo ormai assunto come verità che voi appariste solo alle spalle della gente.-
-Quelle guardie reali fuori al giardino sarebbero state certamente d’accordo con te.-
La ragazza sussultò. Un brivido freddo le attraversò la schiena mentre il ghigno di Rumpelstilskin rispondeva a tutte le sue domande.
-Li avete…?-
-Detesto avere fretta nel fare le cose. E le guardie mettono fretta.- scosse le spalle –Avevano bisogno di essere rallentati.-
Ora, Cora si aspettava di sentirsi come cadere, scioccata al solo pensiero che quell’uomo – uomo? – avesse appena ucciso due persone come se niente fosse.
Invece non sentì proprio niente.
Certo, lei non era proprio la sensibilità fatta persona e questo lo sapeva, ma si sarebbe creduta capace almeno di dispiacersi per la morte di qualcuno.
E invece non riuscì nemmeno a fingere. Cosa di cui Rumpelstilskin si accorse immediatamente.
-Non piangere troppo, dearie.-
Lei, malgrado tutto, trattenne a stento una risatina per il suo macabro umorismo.
Un istante dopo, Rumpelstilskin scomparve dal giardino in una nube di fumo viola, solo per ricomparire dietro di lei nella stanza.
-Allora…- si guardò attorno –Vedo che c’è altro lavoro per me.-
-Re George non mi ha lasciato andare…-
-E cosa puoi darmi in cambio?-
Cora si morse un labbro, abbassando lo sguardo.
-Vi siete già preso tutto.- ammise –Di mio avevo solo la collana e l’anello. Non ho più nulla.-
Rumpelstilskin incrociò le braccia, facendo schioccare rumorosamente la lingua contro il palato ed emettendo un suono di disappunto.
-Dearie, dearie, dearie…- borbottò, deluso –Qui la faccenda si fa seria… Come già ti ho detto, io non sono un benefattore: non faccio niente per niente.-
-M-Ma se mi aiutaste quest’ultima volta…-
-Ultima?- l’essere sghignazzò  -Ho come la vaga impressione che Re George ti terrà rinchiusa nel suo castello a filare la paglia finché non ve ne sarà più nemmeno un filo nel regno.-
Cora rabbrividì al pensiero.
-Ogni magia ha il suo prezzo, dearie: se tu non puoi pagarlo… Ti conviene non giocarci. Non ti piacerebbe fare accordi con me senza nulla in mano.-
Si voltò, pronto ad andare via.
-No, fermatevi!-
Lui obbedì.
-Vi prego… Ci sarà qualcosa che possa darvi. Magari non subito… Ma che potrò darvi in un futuro. Qualsiasi cosa.-
Rumpelstilskin ghignò.
Era il ghigno di chi ha raggiunto lo scopo prestabilitosi.
-Qualsiasi cosa?-
-Sì.-
Ridacchiò.
Tornò sui suoi passi, indietro, fermandosi proprio di fronte alla ragazza, forse anzi decisamente un po’ troppo vicino.
-Ti propongo un patto, dearie.- dichiarò –Io non filerò la tua paglia in oro, oggi… Bensì, ti porterò via da qua. Via da questa prigione, via da tuo padre, via da Re George, via da tutti. Verrai con me a casa mia. Ti insegnerò la magia. Tutti gli incantesimi che conosco diverranno anche tuoi. Sarò il tuo maestro.- si chinò, soffiando il continuo del discorso nel suo orecchio –In cambio, però, un giorno ti chiederò qualcosa e tu non potrai rifiutarti. Abbiamo un accordo?-
Cora non rispose.
Un dito di Rumpelstilskin aveva preso a giocare con i suoi capelli e lei non riusciva a pensare, non bene, non più.
Non doveva accettare. Sarebbe stata una follia. Questo era letteralmente consegnarsi ad uomo di cui non sapeva nulla – se non l’abilità nella filatura – e di cui evidentemente non poteva fidarsi.
Però…
Lui l’aveva aiutata. Due volte. Questo era innegabile. Re George l’avrebbe trattenuta nel castello per l’eternità, come Rumpelstilskin stesso aveva predetto? E suo padre? Sarebbe riuscito a salvarla? Erano tutti interrogativi mentre il fatto che Rumpelstilskin fosse giunto in suo soccorso era una certezza assoluta.
E poi c’era il particolare della magia.
Come gli aveva detto (perché, poi?), la magia l’aveva sempre affascinata. Lei era la figlia di un mugnaio, povera e senza alcuna speranza di entrare nell’alta società, ma con la magia… La magia rendeva tutto diverso. Avrebbe potuto ribaltare la sua situazione.
Certo avrebbe avuto bisogno di poteri molto maggiori di quelli che ostentava quello strano folletto (in mancanza di altri nomignoli, Cora lo chiamò così mentalmente, anche se si appuntò di non usare mai una tale espressione in sua presenza): ma sarebbe stato di sicuro un buon trampolino di lancio.
Lui intanto si era allontanato giusto di un passo, abbastanza per guardarla dritta negli occhi – anche se le dita esitarono un istante prima di abbandonarle i capelli.
Cora non rispondeva ancora.
Non voleva abbandonare suo padre. Era l’unico membro della famiglia rimastole, e si sarebbe sicuramente disperato non vedendola tornare… Ma, d’altra parte, con la magia avrebbe finalmente potuto assicurargli una vecchiaia agiata.
Era la magia la soluzione a tutti i suoi problemi. La magia era potere. Era libertà.
Sorrise. Poi prese un respiro e si avvicinò a Rumpelstilskin, le labbra vicinissime alle sue, pronta a sugellare l’accordo come di dovere.
-Affare fatto, maestro.-

Quando raggiunsero la sua residenza, all’improvviso tutto divenne chiaro agli occhi di Cora.
Guardò stupefatta l’immensità delle sale, la munificenza del castello, e osservò che egli avrebbe potuto avere la reggia più lussuosa dell’intera Foresta Incantata se solo lo avesse voluto. Eppure quella pochezza di arredamenti se non essenziali si addiceva perfettamente a un posto come quello e a un personaggio come lui, e lei stessa si convinse ben presto che si sarebbe trovata perfettamente a suo agio.
Era così che avrebbe voluto vivere. In un meraviglioso castello tutto per lei.
Rumpelstilskin continuava a guardarla, ghignando, mentre lei girava attorno nella sala da pranzo, sfiorando il tavolo polveroso, posando gli occhi curiosa su quelle due bambole di legno dall’espressione terrorizzata che gli fecero improvvisamente ricordare di chiudere le finestre la sera per non sentire il seccante frinire dei grilli.
Rumpelstilskin continuava a fissarla, sì, chiedendosi se avesse capito.
Poi Cora si voltò. Ghignava, anche lei, entusiasta senza darlo a vedere.
-La vostra dimora è affascinante, Signore Oscuro.-
Come aveva fatto a non rendersene conto prima? Lui non era un folletto o un mago da quattro soldi. Lui era il più potente stregone della foresta incantata, l’immortale e invincibile Signore Oscuro, capace di sottomettere l’intero mondo conosciuto al suo volere solo con uno schiocco delle sue dita magiche. E improvvisamente non gli sembrava più un buffo ometto un po’ inquietante, ma sembrava avere acquistato ai suoi occhi una luce nuova, migliore, più potente e – non si rese nemmeno conto di pensarlo – attraente.
Rumpelstilskin non era un trampolino di lancio. Lei il traguardo lo aveva già raggiunto.
Da quella sera cominciò il soggiorno di Cora al Castello Oscuro.

-Bravissima, dearie! Eccellente!-
Cora si pulì la mano destra, senza degnare neanche di uno sguardo l’unicorno che giaceva a terra accanto a lei, morto.
-Grazie, maestro.-
Lui batté le mani com’era solito fare nei momenti di enfasi, raggiungendola: la squadrò dall’alto in basso, senza perdere mai quel suo ghigno folle.
-Facciamo una prova!- esclamò, sollevando il dito così di scatto che Cora quasi fece un salto –Come ti senti adesso?-
Lei lo guardò confusa.
-Come ti senti all’idea di aver strappato il cuore dal petto ad una creatura vivente e ad averlo stritolato nella tua mano?-
Cora scrollò le spalle con noncuranza.
-Era solo un unicorno.-
Rumpelstilskin batté nuovamente le mani, ridendo eccitato. I suoi enormi occhi da predatore scintillavano.
-Meraviglioso, dearie, davvero meraviglioso! Se continui a pensare in questo modo, la mia magia non avrà segreti per te!-
La ragazza sorrise orgogliosa, riportandosi i capelli dietro la schiena con un gesto della mano.
-Non ci vuole molto.- rispose, quasi a sminuire la sua opera –E’ un animale, ce ne sono tanti.-
-E di farlo alle persone che ne pensi?-
La domanda fu posta con una tale nonchalance che Cora rimase scioccata.
Rumpelstilskin sollevò la mani con aria innocente.
-Anche loro sono tante.-
Lei scosse la testa per riprendersi. Incrociò le braccia, sogghignando.
-Se permetti, questa roba dei ricatti e del strappare i cuori alle persone la lascio a te.-
-Sei sicura, dearie? Strappare un cuore umano dà molte più soddisfazioni che prenderlo ad un unicorno. Ti rimane un formicolio sulla mano assolutamente inebriante… Quando cominci, non puoi più farne a meno.-
Si fissavano negli occhi, ghignando sotto i baffi che entrambi non avevano, e nessuno dei due sembrava essere intenzionato ad abbassare lo sguardo.
-Per quello che voglio fare non avrò bisogno di uccidere le persone.- la ragazza alzò gli occhi al cielo, con fare innocente –Solo di tendere subdoli tranelli.-
-E cosa vuoi fare tu esattamente?-
-Arrampicarmi su per la scala sociale ed arrivare ad essere regina, o almeno a far parte della famiglia reale.-
-Però.- Rumpelstilskin ridacchiò –Un desiderio da nulla.-
-Lo dici sempre anche tu: la magia è potere, e il potere è libertà.-
-Io dico un sacco di cose, dearie. Comunque, pensaci: se mai ti andasse di strappare un cuore umano, ti posso trovare molto facilmente una cavia.-
-Se mi andasse davvero di rubare un cuore, Rumple, prenderei il tuo.-
E per un istante, un solo, entrambi pensarono e temettero che forse quell’ultima frase non fosse completamente una battuta. Il momento dopo, Rumpelstilskin stava già incrociando le braccia come se nulla fosse successo.
-Sei qui con me al Castello Oscuro da due settimane, dearie, ed è da due settimane che ti ripeto che detesto essere chiamato Rumple.-
Lo odiava davvero. Anche Milah, la sua prima moglie, lo chiamava così… E lui non voleva pensare a Milah. Non voleva pensare a quei tempi in cui non era altro che il codardo del villaggio.
Lei però questo non lo sapeva. E pretendeva di chiamarlo in quel modo solo per perseverare nel loro giochetto del tira e molla.
-Io smetterò di chiamartiRumple quando tu la pianterai di chiamarmi dearie.-
A quelle condizioni, Rumpelstilskin sbuffò, rassegnato.
-Allora credo che dovremo portare pazienza entrambi, dearie.-
-Non avevo dubbi, Rumple.-

-Rumpelstilskin, devo parlarti.-
-Sono impegnato, dearie.-
-Filare all’arcolaio non è essere impegnati.-
Il Signore Oscuro continuò a far girare la ruota, mentre Cora si avvicinava.
-Oltre… Oltre allo strappare cuori, sai…- mormorò, mordendosi un labbro –Cos’altro si può fare ad una persona?-
La ruota si arrestò.
Cora si sentì quasi arrossire – odiava fare la parte di quella che cambiava idea – mentre Rumpelstilskin si voltava verso di lei, follemente raggiante in volto.
-Qualcuno ti ostacola la strada alla famiglia reale, dearie?-
-No, è che… Oggi sono scesa in città e ho sentito due guardie parlare di come Re George stia cercando la figlia del mugnaio, e allora…-
-Il re non è stato felice della tua improvvisa dipartita, eh?- Rumpelstilskin ridacchiò –Bhe, se può consolarti, dearie, il Castello Oscuro è capace di resistere a secoli di assedi.-
-Questo non mi preoccupa.- rispose subito lei –Non sanno che sono qui e probabilmente questo sarà l’ultimo posto in cui verranno a cercare, ma… Sai, solo per autodifesa.-
-Capisco. Bhe, strappare il cuore è certo la difesa più sicura e offre anche altri vantaggi, ma se continui ad essere contraria, c’è sempre la trasformazione in animale.-
Cora sorrise. Ancora una volta, quel sorriso era tremendamente simile al ghigno del suo maestro.
-Sembra divertente.- commentò –Che tipo di animali?-
-Quelli che ti fanno più comodo. Maiali, topi, lumache, pesci… Da quale preferisci cominciare?-
-Nella reggia di Re George c’è un laghetto abbastanza ampio.-
-Allora vada per i pesci.- il Signore Oscuro si alzò –Seguimi, dearie. È un incantesimo facile, lo imparerai in fretta.-
-Non eri impegnato?-
-Questo e altro per la mia allieva prediletta.-

Quando lui si materializzò d’improvviso nella stanza, Cora trattenne a stento un grido di sorpresa.
-Rumpelstilskin!- esclamò –Sei impazzito ad apparire così!? Non è educazione, avrei potuto anche essere nuda, che so.-
-Era quello a cui puntavo.-
-Molto spiritoso.-
Stranamente, il Signore Oscuro sembrava particolarmente serio. O forse fingeva molto bene.
-C’è qualcosa che non va?-
-Quando tre mesi fa ti spiegai la funzionalità di questo specchio magico, dearie, mi aspettavo che di tanto in tanto tu avresti finito con l’usarlo.-
Uno specchio col manico di alabastro apparve nelle mani dell’essere in una nube di fumo viola.
-Oh… Già.- Cora sollevò un sopracciglio, chiedendosi se fosse davvero solo quello il motivo che sembrava tanto turbare il suo maestro –Ti ringrazio per il pensiero, ma non c’è nessuno a cui voglia dare un’occhiata particolare.-
Si voltò, raccattando dalla spalliera di legno del letto i suoi guanti blu.
-Ne sei certa? Proprio nessuno?- che stesse alludendo  qualcuno era chiaro  dal suo tono un po’ grave –Perché mentre tu non te ne curavi, qualcun altro ha pensato di fargli una visita a posto tuo… Ti darò un indizio: inizia con papà.-
Cora lasciò cadere il guanto che non aveva ancora infilato, voltandosi di scatto.
Con il volto bloccato in una espressione di puro terrore, strappò con violenza lo specchio dalle mani di Rumpelstilskin, portandoselo davanti al viso.
-Fammi vedere mio padre.- ordinò.
Pochi secondi dopo la ragazza cacciò un urlo acuto, lasciando cadere lo specchio. Indietreggiò di un passo, urtando contro il letto e cadendo seduta sulle lenzuola, l’immagine scioccante di quanto aveva visto ancora davanti agli occhi.
Rumpelstilskin annuì piano, con l’aria di chi comprende.
-Io l’ho visto pochi minuti fa.- disse –Ho l’impressione di averti avvertito troppo tardi…-
Cora non si muoveva. Aveva smesso di pensare e di respirare.
Lo specchio era caduto con il vetro magico rivolto verso l’alto. Rumpelstilskin allungò il collo, sbirciando l’immagine.
-Sono ancora lì.- osservò –Forse potremmo raggiungerli…-
Rapida come il fulmine, come risvegliatasi da un improvviso sonno, Cora scattò in piedi e si avvinghiò al braccio del suo maestro: il gesto equivaleva ad un sì.
Il Signore Oscuro, appuntandosi mentalmente di insegnarle al più presto l’incantesimo del teletrasporto, sollevò in aria il braccio libero ed entrambi scomparvero in una nube violacea. L’incantesimo li fece riapparire dopo pochi istanti a miglia e miglia dal Castello, in un campo coltivato che Cora conosceva troppo bene: un campo seminato, giallo di terra, con qualche chiazza di verde qua è la…
Proprio nel mezzo, un lago di rosso.
E perfino Rumpelstilskin provò per qualche momento qualcosa di molto simile alla pietà mentre Cora urlava, disperata, e correva verso il corpo riverso in mezzo alle spighe di grano.
La guardò piangere, piangere come non gli pareva avesse visto qualcuno fare da secoli, e lui, proprio lui, il Signore Oscuro, per un momento si perse nei pensieri e tornò indietro nel tempo, a quando era un uomo, a quando aveva una moglie e un figlio, e per un momento non era più un mostro ma un essere umano, con tutte le emozioni allegate.
Poi il momento passò e lui era di nuovo lì, a fissare la ragazza disperarsi su un corpo senza vita, e si tranquillizzò quando si accorse di non provare più niente davanti a quella scena.
E infine, eccoli là. Tre guardie reali sbucarono improvvisamente da dentro casa, ognuno con in spalla un sacco di pelle, pieno probabilmente della roba “sequestrata” al mugnaio che ormai non ne aveva certo più bisogno.
Sobbalzarono uno dopo l’altro nell’intravedere Rumpelstilskin in mezzo al campo: tutti i soldati di tutti i regni avevano ben impressa la sua descrizione nella mente. Il Signore Oscuro non poteva proprio negare di essere famoso.
Poi Cora alzò lo sguardo. Rumpelstilskin si accorse solo allora che portava del trucco sugli occhi, poiché la riga nera della matita si era sciolta per le lacrime lasciando un solco scuro giù lungo le guance.
-Voi!-
E le tre guardie la notarono soltanto in quel momento, mentre si alzava, distrutta e furibonda. Non fecero in tempo né a replicare né ad estrarre le spade che Cora aveva già sollevato la mano, utilizzando uno degli incantesimi da poco imparati per sollevarli e lanciarli contro tre alberi alla sua destra. Obbedienti al movimento delle sue dita, i rami degli arbusti si piegarono per bloccare i soldati e non farli fuggire.
Rumpelstilskin ghignava, compiaciuto.
-Che cosa avete fatto!?- strillò Cora, avvicinandosi ai tre sventurati –Cosa avete fatto a mio padre!? Perché!?-
Nessuno di loro rispose, troppo increduli e terrorizzati.
Quando Cora strinse il pugno, i rami a loro volta strinsero la presa sugli uomini, portandoli ad emettere un gemito.
-Re George…- disse uno di loro, quello più a sinistra –Lui stava cercando la figlia del mugnaio da mesi e… Ci ha detto che doveva essere per forza nascosta qui e anche se avevamo già controllato siamo venuti lo stesso, e lui ha opposto resistenza e allora…-
Il ramo si strinse intorno alla sua gola, zittendolo.
Cora piangeva.
-Chi è stato!?- urlò –Chi di voi lo ha attaccato?-
-Era armato di una vanga.- raccontò il soldato di destra –Ci siamo difesi un po’ tutti quanti…-
-E allora chi lo ha ucciso? Chi gli ha inferto il colpo mortale!?-
Nessuna risposta.
-Parlate, maledetti!!-
L’uomo nel mezzo tossì un paio di volte.
-Temo…- mormorò, a bassissima voce, sentendo che in ogni caso sarebbero morti tutti e tre comunque –Temo di essere stato io. Volevo solo allontanarlo, ma devo avergli tagliato lo stomaco.-
I pugni di Cora si strinsero tanto da lasciare il segno nei palmi. Le tre guardie boccheggiarono, l’aria fuggiva via dai loro polmoni.
Rumpelstilskin continuava a sogghignare, soddisfatto: quello che leggeva negli occhi della sua allieva non era più solo dolore, o solo rabbia.
Quella che bruciava nei suoi occhi era la pura incandescente vendetta.
Cora sollevò in aria entrambe le mani e per qualche secondo tutt’intorno ci fu silenzio.
Poi schioccò le dita.
In un istante, i due soldati agli estremi scomparvero in una nube violacea: al loro posto, guardando a terra, si trovavano due lucci che scalpitavano agonizzanti, in impellente bisogno di acqua che certo Cora non gli avrebbe offerto.
L’uomo in mezzo tremava, e faceva bene. La ragazza era furiosa, desiderosa di punirlo in maniera esemplare, di punire lui, che le aveva tolto l’unica persona che ancora teneva a lei. Ma come? Trasformarlo in un animale non sarebbe stato abbastanza crudele, non lo avrebbe fatto soffrire come invece si meritava.
Ci voleva qualcosa di più crudele, più brutale…
Rumpelstilskin attendeva, in disparte, che la sua allieva si arrendesse a se stessa.
Poi Cora si decise. Si mosse in avanti, sicura, avvicinandosi a passi rapidi verso il soldato.
Egli aprì la bocca per dire qualcosa quando lei gli fu davanti, ma non fece in tempo.
Cora gli aveva già infilato la mano nel petto.
Un piacevole brivido le attraversò il braccio per diramarsi fino ad ogni nervo sensibile. C’era qualcosa di diverso all’interno di un corpo umano rispetto a quello degli unicorni… Qualcosa di eccitante e inebriante, proprio come il Signore Oscuro aveva detto.
Cora cercò il cuore, lo trovò. Senza pensarci molto – in quel momento non pensava affatto – ritirò la mano portandolo con sé.
L’organo emise un sonoro risucchio nel fuoriuscire dal petto dell’uomo. Questi non fece né disse nulla, rimase semplicemente a bocca spalancata, gli occhi vitrei, appoggiato senza forza o volontà alla corteccia dell’albero e tenuto in piedi solo dai rami.
Non morto, ma vuoto.
Il suo cuore pulsava nella mano della ragazza, a ritmo lento e regolare. Brillava di una luce intensa, sembrava quasi un giocattolo di plastica con una lampadina rossa all’interno.
Il silenzio tutt’attorno era rotto solo dai suoi battiti.
Tum. Tum. Tum.
Forse anche il cuore di lei stava pulsando, incerto sul da farsi.
Cora spostò lo sguardo dal soldato alla sua mano e viceversa.
Tum. Tum. Tum.
Infine strinse la presa.
Il cuore si gonfiò, prese a battere più in fretta, più disperatamente. La luce che emanava cominciò a spegnersi pian piano mentre Cora quasi conficcava le unghie dentro di esso.
L’uomo non mugugnò, né gemette. Non era come l’unicorno, che nitriva in cerca di aria, pregando misericordia. No, l’essere umano rimane in silenzio, perché non ha il tempo di rendersi conto di quello che sta succedendo, non riesce a comprendere che qualcuno abbia davvero e letteralmente in mano la sua vita. L’essere umano non lo concepisce e non lo concepirà mai, pensava Rumpelstilskin, vantandosi in cuor suo della sua natura ormai demoniaca, mentre osservava la scena.
Nella mano di Cora dopo poco non c’era più il cuore del soldato: c’era solo polvere, polvere come quella che si ottiene segando il legno, piccoli residui di un individuo che era ormai sparito.
La ragazza si pulì con disprezzo la mano guantata sul corpo senza vita dell’uomo, poi indietreggiò di un passo. Ai piedi dei due alberi laterali, i soldati tramutati in pesci giacevano anch’essi, morti.
Cora non si mosse, attendendo che la realizzazione si facesse spazio in lei.
Lo aveva fatto.
Lo aveva fatto davvero. Aveva strappato il cuore dal petto di un essere umano come aveva dichiarato non sarebbe mai successo. Lo aveva schiacciato nella sua mano riducendolo in polvere.
Aveva fatto una cosa orribile. Era scesa ai loro livelli. Avrebbe solo dovuto vergognarsi e pentirsi, ma…
…Non provava né vergogna né senso di colpa. Era completamente in pace con se stessa.
Tutti i suoi sensi sembravano aver trovato l’armonia. Loro avevano ucciso suo padre, l’unica persona che tenesse ancora a lei. Meritavano di morire. Perché avrebbe dovuto provare pena per loro o pentimento per la pena inflittagli? Avevano ricevuto quello che gli spettava: una morte dolorosa.
E allora perché stava piangendo così disperatamente? Era ancora il dolore di prima, la vista del genitore, che ricompariva dopo qualche minuto di scomparsa? Era la frustrazione? O forse il sapere inconsciamente di essere cambiata, del tutto, di aver raggiunto livelli terribilmente simili a quelli del suo maestro?
Il Signore Oscuro la raggiunse in quel momento, come chiamato dai suoi pensieri. Le apparve di colpo accanto – o forse aveva solo camminato fin lì – e le mise una mano sulla spalla, con una dolcezza che nessuno avrebbe mai potuto credere di poter trovare in lui.
-Coraggio, dearie…-
E Cora si arrese alle lacrime. Forse perché era l’unica persona lì attorno, o perché era colui che le era stato più vicino in quegli ultimi mesi, o magari perché in fondo lo desiderava davvero, fatto sta che si strinse al suo petto, singhiozzando e affondando il viso nella sua giacca di pelle.
Lui la lasciò fare. Anzi, le circondò il corpo con le braccia, cullandola dolcemente e giocherellando con i suoi capelli.
Sarebbe stata una scena molto toccante se per qualche istante sul volto di Rumpelstilskin non si fosse dipinto il suo solito sorriso da folle ipocrita.
-Shh, shh…- mormorò quando quegli istanti furono ormai passati, piano –Va tutto bene, dearie. Va tutto bene.-
-No…-
-Sono molto orgoglioso di te. Sei riuscita a superare le tue stesse emozioni. Bravissima.-
-Ma… Mio padre…-
-Non pensare a lui. Lo so che è difficile, quando perdi una persona che ami…- e per un istante sembrava sincero, mentre si perdeva in ricordi che somigliavano ad un ragazzino dai capelli bruni sbarazzini –Ma devi reagire. Ricordati, dearie, sempre e comunque: l’amore è debolezza.-

Cora era rimasta seduta vicino allo steccato per tutto il tempo, con le braccia intorno alle ginocchia, gli occhi ormai senza più lacrime fissi nel vuoto. Rumpelstilskin invece si era occupato con inaspettata dedizione di dare un’adeguata sepoltura al corpo del mugnaio. Una volta finito aveva raggiunto la ragazza, l’aveva fatta alzare e in una nube violacea aveva ritrasportato entrambi al Castello Oscuro.
Per tre giorni i due si dissero sì e no dieci parole. Cora passava il tempo nella sua stanza, sola, o fuori il cortile, mentre Rumpelstilskin filava all’arcolaio, con molta più calma di come aveva fatto nella cella del castello di Re George qualche mese prima.
Infine, il quarto giorno, quando Cora lo raggiunse durante la filatura, il Signore Oscuro capì che finalmente tutto sarebbe cambiato.
-Strappamelo.-
E avrebbe mentito se avesse cercato di far credere perfino a se stesso che non si aspettava il suo arrivo o una affermazione simile.
Ghignò, smettendo di filare, e si voltò.
-Strapparti… Cosa?-
-Il cuore. Voglio che tu me lo tolga. Non ce la faccio più.-
Lui fece finta di non capire.
-Sai, se vuoi ucciderti ci sono vie più rapide e indolori… Ho un paio di veleni in cantina che…-
-Non prendermi in giro.- Cora non si fece ingannare –Non voglio uccidermi. Voglio solo smettere stare male. Ho bisogno di smettere di stare male. Devi strapparmi il cuore, adesso.-
Il Signore Oscuro non sembrava avere fretta.
-Sai, vero, che cosa comporta questa tua decisione?- le ricordò –Forse non proverai più dolore, ma sarai priva di ogni altra emozione positiva. Niente sensibilità, niente tatto, niente dolcezza, niente amore…-
-Non hai detto tu che l’amore è debolezza? – lo rimbeccò la ragazza.
Rumpelstilskin ridacchiò.
-Non fraintendermi: io vorrei estinguere tutte le emozioni, tutte, e l’amore per prima. L’amore ti fa fare cose ridicole, ti fa perdere il controllo…-
Abbassò lo sguardo. Cora inclinò la testa, notando come in quell’istante non sembrava più il Signore Oscuro, ma un essere umano come gli altri.
-Alludi a qualcosa?-
Lui si riprese.
-A te, naturalmente.- ghignò, sperando che lei se la bevesse –L’altro giorno non sembravi più la ragazza a cui ho insegnato per questi tre mesi. Eri diventata una pappamolla come tutti gli altri.-
-Allora strappami il cuore e facciamola finita. Non mi interessa delle emozioni. Le emozioni mi bloccano. Voglio non avere limiti, diventare potente come sei tu, che non ti importi di niente e di nessuno.-
Rumpelstilskin balzò in piedi, battendo le mani soddisfatto.
-Sapevo di poter contare su di te, dearie!- ghignò –Ci vorrà giusto un attimo…-
Cora chiuse gli occhi mentre il Signore Oscuro allungava una mano verso il suo petto, pronta a sentire un dolore che però, appena passato, avrebbe portato alla sua più grande liberazione.
Passarono due secondi. Tre.
La ragazza aprì gli occhi, disorientata.
La mano di Rumpelstilskin era proprio lì, a pochi centimetri dal suo petto. Ma era ferma, immobile, non sembrava avere nessuna intenzione di andare oltre.
-E allora?- domandò, seccata –Che aspetti?-
-Stavo pensando…- il Signore Oscuro ritrasse la mano, lentamente, riportandosela fino alla pelle squamosa del viso per grattarsi il mento con aria pensierosa –Cosa puoi darmi in cambio?-
Lei fu colta alla sprovvista. Tutto si sarebbe aspettata, meno che lui volesse fare un accordo!
-In… Cambio?- ripeté.
-Certo. È da un po’ troppo tempo che faccio cose gratuitamente, dearie.-
-Ma… Non ti costa niente! Devi solo prendermi il cuore, tutto qui!-
-Tuttavia, se ricordi, io non faccio mai niente per niente. E… Oh!- sollevò un dito di scatto, come se se ne fosse ricordato solo in quel momento –A proposito: qualcuno in questa stanza deve ancora pagarmi il prezzo per averla portata via da Re George.-
Cora incrociò le braccia, sbuffando: non aveva modo di raggirare tutto questo, e Rumpelstilskin lo sapeva, perché il suo ghigno sornione non accennava a sparire.
-Ho capito, va bene.- si arrese –Che cosa vuoi?-
-Fammi pensare…- fece lui, alzando gli occhi al cielo, benché di pensare non ne avesse bisogno affatto. Poi ridacchiò, come colpito da un’improvvisa idea –Ecco, trovato!-
Cora sbuffò di nuovo.
-Dunque?-
Rumpelstilskin sogghignò, ironico e maligno. Fece un passo avanti, le era terribilmente vicino.
-Per ripagarmi di averti portato via da Re George- soffiò, Cora sentiva sul suo viso il suo fiato caldo –voglio il tuo primo figlio.-
La ragazza sobbalzò, scioccata.
Ma che diavolo…!?
-Il mio… Primo figlio?-
Lui annuì. Cora si portò le mani ai fianchi.
-E se io decidessi di non avere figli?-
-Ho pensato anche a questo.- Rumpelstilskin ridacchiò. Si chinò ancora di più sul suo viso, riusciva a vedere i suoi occhi riflessi in quelli di lei –In cambio del tuo cuore, dearie, voglio assicurarmi di conoscere il padre.-
Ci vollero una manciata di secondi perché Cora afferrasse il vero significato di quelle parole. Il Signore Oscuro si illuminò di orgoglio quando vide le sue guance colorarsi di un rosso intenso, la realizzazione facendosi strada nei suoi occhi.
Si chinò, le labbra a un passo dalle sue.
-Sugelliamo l’accordo?-

Cora si guardava nello specchio della stanza da bagno, strizzando i capelli nella tinozza per eliminare l’acqua in eccesso. Indossava solo una semplice vestaglia di seta che le si stava anche appiccicando al corpo ancora bagnato dopo essere uscita dalla vasca.
Di tanto in tanto non poteva evitare di portarsi una mano al ventre, e restare immobile. Non aveva molta esperienza in quel campo, credeva di poter sentire chiaramente il bambino dentro di lei…
-Abbiamo appena finito, dearie, ci vuole tempo.-
La ragazza sobbalzò, voltandosi di scatto. Afferrò l’abito blu che aveva riposto poco distante e se lo mise davanti come asciugamano, per coprirsi.
Rumpelstilskin ridacchiò.
-Cosa c’è, ti vergogni? Eppure stanotte non sembravi così imbarazzata…-
Lei lo fulminò con lo sguardo.
-Penso che tu lo faccia di proposito a non insegnarmi gli incantesimi più semplici.- constatò –Il prossimo che devo imparare è come indossare i vestiti in un colpo solo.-
-O magari come chiudere la porta a chiave.-
-Quello lo saprei fare, se qualcuno non avesse incantato la maniglia!-
Rumpelstilskin rise e Cora stessa, trascinata, ridacchiò.
Poi il Signore Oscuro tornò serio. Si avvicinò alla ragazza, che represse a stento l’istinto di indietreggiare.
-A questo punto è giunto il momento di tener fede alla mia parte del patto.-
Senza alcun preavviso, la mano di Rumpelstilskin era dentro il suo petto.
Cora si sentì sopraffatta da qualcosa che non avrebbe saputo descrivere. Il mondo prese a girare, a sparire, mentre sembrava che un vento artico le soffiasse all’interno del corpo, facendola rabbrividire nelle ossa. Un turbinio di puntini bianchi cominciò a lampeggiarle davanti agli occhi e per qualche istante lei fu davvero, davvero sicura di essere morta.
Poi finì tutto. Cora si ritrovò appoggiata alla parete, – il vestito era caduto a terra ed era certa di sentirsi gli occhi del Signore Oscuro addosso – ansante, con la vista che tornava naturale pian piano e i muscoli che riprendevano a funzionare, uno alla volta.
Quando finalmente riuscì a mettere a fuoco, vide un cuore incantato e pulsante nelle mani di Rumpelstilskin.
Lui ghignò.
-Allora, dearie,- disse –come ti senti?-
Ed era proprio una buona domanda. Come si sentiva? Provava un enorme senso di… Vuoto, sì, ma non nel senso più metaforico e triste del termine. Letteralmente di vuoto, come se lo fosse mancata qualche parte del corpo e infatti era proprio così.
E tuttavia quel vuoto non la disturbava. Improvvisamente pensare al padre morto non la faceva più scoppiare in lacrime e anzi si chiese perché avesse perso tre giorni di allenamento dopo i primi momenti di comprensibile shock. E tantomeno provava più vergogna per la notte passata insieme a Rumpelstilskin: di colpo tutte le emozioni che provava e che l’avevano sempre frenata erano sparite, e Cora si sentiva libera, potente, capace di fare qualunque cosa.
-Sto bene.- sorrise, anzi sogghignò –Sto davvero bene, Rumple.-
Il Signore Oscuro annuì con aria di comprende.
-Non avevo dubbi.- ammise. Poi le lanciò il cuore quasi con noncuranza, la ragazza lo prese al volo –Questo è tuo. Nascondilo in un posto sicuro e sarai praticamente invulnerabile.-
-Mi sembra esagerato.- obiettò lei –Possono ancora uccidermi.-
-Certo, ma io non intendevo in quel senso. Sarai invulnerabile alle debolezze che provocano le emozioni: la gioia, il divertimento, queste fanno ancora parte di te, ma il dolore, la gentilezza, il dispiacere e l’altruismo sono ormai sparite. Potrai fare tutto quello che vuoi senza preoccuparti degli altri, e questo significa essere invincibili, dearie, proprio come me.-
Si avviò verso la porta del bagno.
-Oh, ti aspetto fra quindici minuti fuori, voglio insegnarti l’incantesimo della barriera difensiva.-
-Oggi?- lei lo guardò leggermente sorpresa –Anche nelle mie condizioni?-
-Finché non comincerai a vomitare per me sei ancora un’allieva che deve andare a scuola. E fai in fretta! Non ti giustificherò il ritardo.-
Cora scosse la testa: anche senza cuore, il suo macabro umorismo continuava a divertirla.

-Allora, Rumple, hai fatto?-
-Un po’ di pazienza, dearie.-
-Per me mi stai solo prendendo in giro, non ci credo che puoi intuire il sesso del bambino solo poggiando l’orecchio sulla pancia! Al massimo sentirai se scalcia.-
-Tu sottovaluti le mie potenzialità, dearie, ed è una cosa che non mi piace affatto.-
Cora sbuffò divertita, incrociando le braccia. Finalmente Rumpelstilskin si sollevò, staccandosi dal pancione della ragazza che dopo tre mesi aveva cominciato a crescere.
Sogghignava, come sempre. Cora non riuscì a tradire la propria impazienza.
-Allora?-
-Femmina.-
La ragazza sorrise – ma era un sorriso spento, come tutti quelli che faceva da quando il Signore Oscuro le aveva strappato il cuore – e si portò una mano sul ventre.
-Femmina…- ripeté, adorante –Femmina.-
-Hai ancora dubbi sulle mie capacità?-
Cora preferì non rispondere. Continuò ad accarezzarsi la pancia.
-Sarà una bambina bellissima.-
-Senza dubbio la più bella del reame.- Rumpelstilskin ghignò –E la più potente.-
Per un istante, Cora sentì un brivido scenderle lungo la schiena. Era forse un brivido di timore, ma la ragazza non ci fece caso, almeno non allora.
-Tu resta pure qui, dearie. Se hai bisogno di qualcosa, invocami.-
-Conosco abbastanza incantesimi per provvedere alle mie necessità, grazie.-
-A proposito! Ho un regalo per te…-
Fece scattare la mano in avanti: in una nube di fumo viola comparve un libro.
-Cos’è?- Cora sollevò le braccia per prenderlo. Il suo volto si illuminò –Rumple! È il tuo libro degli incantesimi!-
-Sapevo ti sarebbe piaciuto, dearie.- ridacchiò il Signore Oscuro.
-Ma perché?-
-Leggilo ad alta voce alla bambina. I suoi poteri si trasmetteranno a lei.-
Nuovamente, un brivido le percorsa la schiena. Questa volta ci fece leggermente più caso, ma non abbastanza per rendersi conto di cosa significasse.

-La sai l’ultima novità?-
-Certo, perché una ragazza al settimo mese che non può muoversi di casa è sempre al corrente sui pettegolezzi di paese!-
Il Signore Oscuro sollevò gli occhi al cielo.
-Ecco il prezzo della magia.- sospirò –Insegno a una donna a far apparire magicamente chili e chili di fragole per farsi passare le voglie, e quella mi diventa subito scorbutica!-
Cora fece finta di non sentirlo, ingoiando un altro frutto rosso.
-Allora? Qual è questa incredibile notizia?-
-Pare che Re George voglia sposarsi.-
La ragazza si voltò di scatto, dimenticandosi delle fragole.
-Sposarsi!?- ripeté, indignata –Lui!? Non ci credo, nessuno vorrebbe mai sposare quell’essere.-
-Credici, dearie.-
-Ma è un mammifero?-
-Di più, è un’umana.-
Lei scosse la testa, sospirando.
-Non ho parole per questa completa mancanza di intelligenza da parte del genere femminile.- commentò –Ma com’è? Come si chiama?-
-Non ho afferrato il nome.- ammise Rumpelstilskin –Ma pare che sia molto bella e che siano innamoratissimi.-
-Conoscendolo è una che trasforma la farina in diamanti.-
-Perché così seccata, dearie?-
-Mi chiedi perché?- scattò Cora –Non posso credere che un uomo spregevole come Re George abbia trovato la sua felicità! E non potrei mai sopportare una mandria di suoi discendenti a scorrazzare per il regno!-
Il Signore Oscuro ghignò.
-Se è questo che ti dà fastidio, dearie, possiamo rimediare.-
Anche Cora sogghignò, complice.
Re George, in quel momento, si rallegrava in previsione del suo matrimonio: mai avrebbe sospettato che con quel ghigno gli era stata preclusa ogni possibilità di un erede.

-Un altro regalo, Rumple? Così mi vizi.-
-Non è un regalo, dearie… È più una restituzione.-
Il Signore Oscuro batté le proprie mani su quelle chiuse della ragazza: quando lei le riaprì, si ritrovò davanti due piccoli gioielli blu.
-Il mio anello e la mia collana!- esclamò –Ma guarda, me li era completamente dimenticati.-
Rumpelstilskin ghignò (a quanto pare il fatto che fossero ricordi di sua madre ormai non la tangeva più, e lui non poteva che esserne soddisfatto), poi si prodigò per agganciarle la collana e infilarle l’anello al dito.
-Ecco qua.- concluse, facendo apparire uno specchio.
Lei si guardò, sorrise nel suo solito sorriso spento.
-Grazie mille, Rumple.-
-Quando vuoi, dearie.-
La ragazza si portò improvvisamente le mani al ventre, ridacchiò.
-Anche Regina è contenta.-
-Regina?-
-E’ il nome che ho pensato per lei. Non ti piace?-
-No, anzi: è semplicemente perfetto.-

-Posso farti una domanda, Rumple?-
-Sempre mentre filo all’arcolaio, eh?-
-Perché volevi questa bambina?-
La ruota smise di girare.
Il Signore Oscuro si voltò, piano. Ma non rispose.
-Sai, è che più ti guardo e più dubito che il tuo unico desiderio fosse quello di essere padre. E ho come la vaga impressione che tu abbia un piano in mente.-
Rumpelstilskin rimase in silenzio.
-Alle volte sento che tutto ciò che fai faccia parte di un enorme piano di cui ancora non riesco a comprendere la forma. Mi sbaglio?-
Lui scrollò le spalle.
-Non sono affari che ti riguardano, dearie.-
Lei si punse nel vivo.
-Scusa, porto in grembo tua figlia, sono affari che mi riguardano.- 
-Non devi preoccuparti. Comprendere i piani dell’Oscuro è troppo difficile anche per te… Un giorno lo capirai anche tu.-
Si voltò per riprendere a filare.
-Ascoltami bene, Rumple…-
Si bloccò a metà frase, con un gemito.
Lui si girò nuovamente, per vedere la ragazza che si stringeva il ventre.
-Dearie?-

Cora respirava regolarmente,  sotto le coperte del letto del Signore Oscuro. Attendeva.
Finalmente, Rumpelstilskin entrò nella stanza, stringendo fra le braccia un fagottino di stracci.
-Cos’è questa novità del passare dalle porte?- ridacchiò la ragazza.
-Ho paura che il teletrasporto la scombussoli troppo.- rispose lui, stranamente premuroso. Agitava le braccia piano piano, cullando la neonata che riposava dolcemente sul suo petto.
-Sta bene?- chiese Cora.
-Benone. Ha urlato per tutto il tempo mentre la lavavo, poi si è addormentata.-
Cora inclinò il capo, sorpresa.
-Ci sai fare.-
-Come?-
-Con i bambini. Non me l’aspettavo.-
Rumpelstilskin sorrise. Per la prima volta da quando Cora lo aveva conosciuto, il suo sembrava un sorriso sincero, mentre cullava la piccola.
-Sono tante le cose che ancora non sai di me, dearie.-
-Vieni qua, fammela tenere.-
Il Signore Oscuro obbedì. Si avvicinò al letto e passò il fagottino nelle braccia della ragazza.
Quel movimento disturbò il sonno della bambina, che aprì gli occhietti lentamente. Mugugnò qualcosa di incomprensibile, poi strinse la manina intorno al dito di Cora e tornò a dormire.
Lei si intenerì. Ma poco, molto poco, molto meno di quanto lei stessa si sarebbe aspettata – perché non c’era niente nel suo petto, niente che potesse davvero intenerirsi – e le accarezzò la piccola testa, dalla quale già spuntava una lieve peluria di capelli neri.
-Regina…- sussurrò.
Se avesse avuto ancora un cuore, forse si sarebbe messo a battere, animato dall’istinto materno. Ma lei non lo aveva più, e quindi l’amore per la figlia vagava senza meta nel suo corpo, e non si sarebbe mai fermato in un luogo preciso, per cui sarebbe sempre rimasto imperfetto.
Rumpelstilskin in quel momento sghignazzò, riprendendo il suo atteggiamento da folle.
-Sai, l’ho sentito.-
-Che cosa?-
-Il suo potere. Mentre la tenevo fra le braccia… Glielo sentivo scorrere nelle vene. Lei è potente, forse molto più di te e di me.-
Cora sentì ancora quel brivido di timore scorrerle lungo la schiena, e questa volta, finalmente, ci diede ascolto.
-Rumple…-
-Sì?-
-Che cosa ne sarà adesso di me e di lei?-
Lui la fissò stranito.
-Che intendi dire?- domandò –Rimarrete qua, è ovvio. Questa ormai è casa vostra. Vivrete qui, lei crescerà ed adempierà al suo destino.-
-Destino? Che destino?-
Il Signore Oscuro non le rispose. Fingendo di non averla sentita, e farfugliando qualcosa riguardo all’arcolaio, scomparve in una nuvola di fumo viola.
Cora rimase da sola con la figlia, pensierosa.
C’era qualcosa che non andava. Quale destino era destinata a compiere sua figlia? Cosa c’entrava Rumpelstilskin in tutto questo? Qual era il suo piano?
Cullò la piccola Regina fra le braccia.
Era decisa a scoprirlo.

L’occasione arrivò molto più in fretta di quanto si sarebbe aspettata. Un paio di settimane dopo, Rumpelstilskin la avvisò che sarebbe stato fuori per tutta la giornata – pareva infatti che il vecchio amico di Re George, Mida, fosse diventato re e che lui avesse un bizzarro accordo da proporgli – e che sarebbe tornato quella sera tardi. Era un’opportunità che Cora non poteva assolutamente lasciarsi sfuggire.
Quando il Signore Oscuro fu partito, la ragazza si mise all’opera: per prima cosa circondò il castello con una barriera difensiva per prevenire un suo ritorno improvviso, poi prese con sé il libro di incantesimi e si mise a girare per la villa.
Rumpelstilskin aveva un piano. Questo era chiaro. E sicuramente nel Castello Oscuro c’era nascosto un indizio su cosa esso fosse.
Doveva trovarlo.
Si mise ad ispezionare le varie stanze: la cucina, il bagno, l’ingresso, le camere da letto… Le conosceva come il palmo della propria mano, ma cercava in esse una porta segreta, una botola o una parete invisibile – utilizzava gli incantesimi del libro per esplorare – che avrebbe potuto contenere l’incredibile segreto.
Ma dopo due ore di ricerca minuziosa,  Cora cominciò a scoraggiarsi: non c’era assolutamente niente.  
Forse, pensò, l’incantesimo di protezione certamente usato da lui era troppo potente per essere spezzato; o magari portava con sé il misterioso indizio; o forse era lei che aveva preso un granchio.
Fu interrotta nei suoi pensieri da un tonfo proveniente dalla stanza della bambina.
-Regina!- esclamò. Senza pensare, si avvolse in una nuvola violacea e si teletrasportò nella camera.
La piccola  rideva nella sua culla, agitando manine e gambette. Dall’altro lato della stanza, il sonaglino era stato lanciato contro il muro, e giaceva a terra rotto.
-Regina.- borbottò Cora, severa, chinandosi per raccogliere il giocattolo –Questo non si fa! Non si lanciano le cose! Devi…-
Si bloccò. Sbatté le palpebre, incredula, cercando di convincersi che era solo un’illusione per il troppo tempo passato a cercarla.
C’era un’intercapedine nel muro.
Urtando contro la parete, il sonaglio colpito un mattone che si era dissestato. Cora lo toccò, in tribolazione, ed esso cadde a terra.
Dietro il muro c’era tavola di legno.
La ragazza ghignò, un luccichio malvagio nei suoi occhi. Si alzò di scatto, mentre la figlia ancora rideva, aprì il libro ad una certa pagina e soffiò sulle parole scritte in inchiostro magico.
L’inchiostro si sollevò dalle righe, svolazzando nella stanza: quando toccò la parete, i mattoni cominciarono a crepitare finché non sparirono.
Non era una tavola di legno quella dietro il muro. Era una porta.
Il ghigno di Cora si allargò. Si voltò verso la piccola, la sollevò dalla culla e le diede un rapido bacio sulla fronte.
-Brava, Regina.- disse –Lancia pure tutto quello che vuoi.-
Ritornò verso la porta e la rimirò.
Rumpelstilskin era stato davvero furbo. Nascondere un passaggio proprio nella stanza della bambina, dove sapeva che certamente non sarebbe andata a guardare.
L’aveva sottovalutata. A lei e a Regina.
La maniglia, constatò Cora, era naturalmente chiusa con la magia. Ma le bastò un altro degli incantesimi presenti su quel libro perché la serratura scattasse.
La porta si aprì cigolando lentamente: davanti agli occhi della ragazza si aprì un lungo corridoio buio.
Senza esitare, Cora accese un fuocherello sulla sua mano – la magia le impediva di scottarsi – e varcò la soglia, cominciando a camminare, un passo avanti all’altro.
Il corridoio era in pietra, spoglio e interminabile. Continuò a camminare verso l’ignoto per quelle che le parvero ore.
Poi finalmente raggiunse la fine del percorso, una piccola stanza circolare illuminata da cinque candele. La ragazza spense il fuoco nella sua mano, fissando ciò che vi era lì.
Al centro della stanza si trovava una teca di vetro. Cora si avvicinò lentamente.
Nella teca c’erano un cappottino e un pugnale.
Sorpresa da quell’abbinamento di oggetti, sollevò con cautela il vetro e lo ripose a terra, per guardare meglio.
Prese prima in mano il cappottino: era una specie di scialle, ora che guardava meglio, di un beige scolorito. Piccolo, troppo piccolo perché appartenesse al Signore Oscuro.
Poi, il pugnale. Quello era affascinante: aveva una lama ondulata e tagliente, e vi era inciso sopra un nome.
Cora strizzò gli occhi per leggere la scritta al buio.
Rumpelstilskin.
La ragazza sogghignò. Era tempo di fare alcune ricerche.
Aveva l’impressione di aver trovato ciò che cercava.

Quando Rumpelstilskin riapparve nell’ingresso del castello, Cora era lì seduta al tavolo ad aspettarlo. Innocente, molto innocente, mentre faceva scomparire il libro degli incantesimi appena usato per eliminare la barriera difensiva.
-Dearie.- lui non nascose la sua sorpresa nel vederla –Cosa ci fai qui? Ti avevo detto di non aspettarmi sveglia.-  
Lei non rispose, alzandosi e mascherando i suoi piani dietro un sorriso privo di emozioni.
-Com’è andato l’incontro con Mida?-
-Benissimo. Ha avuto ciò che desiderava. Tempo due giorni e vedrai che mi invocherà di nuovo per aiutarlo, ci scommetto.-
-E cosa otterrai in cambio?-
-Mi assicurerò i suoi rapporti con la famiglia di Re George.-
Cora annuì, in realtà per niente interessata – e se ne sarebbe pentita, un giorno. Continuò ad avvicinarsi, lentamente.
-Allora… È successo qualcosa di rilievo mentre ero via?-
Il Signore Oscuro si fingeva allegro come sempre, ma lo sguardo che la ragazza aveva sul volto lo turbava non poco.
-Di rilievo? Fammi pensare…- Cora prese a girargli attorno, e Rumpelstilskin si accorse di come i ruoli dal giorno in cui si erano incontrati si fossero spaventosamente invertiti –Ho dato una spolverata al castello, Regina ha pianto due volte e oh! Sì, ho trovato una stanza segreta.-
Lui si irrigidì di colpo.
-Una… Stanza segreta?-
-Eh già, era nascosta nella cameretta di Regina… Buffo, no?-
Il Signore Oscuro cominciò ad allontanarsi, con calma, un passo dopo l’altro.
-Bhe, ci sono tante stanze in questo castello, dearie. Di alcune non ricordo nemmeno l’esistenza.-
-Oh, ho la vaga impressione che ti ricordi di questa, Rumple.-
Lui si voltò per guardarla ed intravide il manico del pugnale fra le pieghe del suo vestito.
Se avesse potuto impallidire, lo avrebbe fatto.
Rapido come il fulmine, provò a sparire in una nube di fumo viola, – fuga inutile, naturalmente, ma almeno avrebbe avuto due secondi di tempo in più per pensare – ma Cora fu anche più svelta nell’estrarre il pugnale dal vestito e a puntarlo verso di lui.
-Non ci pensare neanche, Signore Oscuro.-
Il fumo viola scomparve di colpo, e Rumpelstilskin fu sul punto di perdere l’equilibrio, bloccato a metà nel teletrasporto.
Dannazione.
Cora sogghignava soddisfatta.
-Bene bene bene…- cantilenò allegramente –Allora le voci che trasportava la brezza erano vere. Grazie per avermi insegnato ad ascoltare il vento, Rumple.-
Lui non si mosse. Non poteva, del resto.
-“Il Signore Oscuro è onnipotente e invulnerabile… Ma ha una debolezza… Un pugnale con su scritto il suo nome che lo costringe ad obbedire…”- recitò Cora –Sono scoperte interessanti.-
-Dearie, non metterti a giocare con armi di cui non conosci il potere.- Rumpelstilskin tentò di perder tempo. Per la prima volta, temeva per la sua vita –Perché non metti giù quel pugnale e…-
-E’ vero o no che devi obbedire agli ordini di quest’arma?- domandò la ragazza, puntandogliela contro con foga.
Lui si ritrovò costretto ad annuire.
-E’ vero.-
-Bene.- Cora ghignò di nuovo –Allora, io ho qualche domanda da farti, e tu risponderai sinceramente. Sono stata chiara?-
Annuì.
La ragazza afferrò una sedia dal tavolo e vi ci sedette sopra.
Rimase qualche secondo in silenzio, a fissarlo, godendo della sua figura immobile e completamente sottomessa.
-Cosa provi per Regina?-
Lui si morse un labbro raggrinzito.
-Che significa?- ridacchiò, nervoso –E’ mia figlia…-
-Non è quello che ti ho chiesto.-
-Non capisco la domanda…-
-Sarò più precisa. Le vuoi bene?- alzò la mano che non teneva il pugnale, facendo apparire qualcosa in una nuvola violacea che portò Rumpelstilskin ad impallidire anche di più –Le vuoi bene come al bambino a cui apparteneva questo?-
Il Signore Oscuro parve vacillare.
-Lascialo…-
-Rispondimi, folletto.-
-No. Non le vorrò mai bene quanto ne volevo a lui. Quello scialle apparteneva a mio figlio Bae. Non potrò mai amare Regina quanto amavo lui.-
Cora sogghignò.
-Parlami di tuo figlio.- ordinò –Cosa gli è successo?-
-Ho cercato di difenderlo diventando il Signore Oscuro.- confessò Rumpelstilskin –Ma lui non voleva la magia. Lui voleva solo riavere il suo vecchio padre. Chiese aiuto alla Fata Turchina per portarmi in un mondo senza magia, ma quando fu il momento di saltare, io fui un codardo e mi rifiutai. L’ho perso. E adesso sto cercando di tornare da lui.-
Sospirò.
-Soddisfatta?-
-Non ancora.- Cora incrociò le gambe, con fare annoiato –Torniamo a parlare di Regina… A che cosa ti serve?-  
Lui tentò di non rispondere, mordendosi un labbro fino a farlo sanguinare.
-Non puoi rifiutarti di parlare, Rumple.-
-Per tornare da mio figlio- si arrese –ho bisogno di andare in una terra senza magia. Ho l’incantesimo, ma ho bisogno di qualcuno che mi porti lì, qualcuno potente abbastanza da farlo. Regina potrà. Lei è il prodotto del potere, il mio e il tuo.-
-Continua. Svelami il tuo piano.-
-Quando sarà abbastanza grande e potente, Regina trasporterà tutta la foresta incantata in quella terra senza magia. Dopo ventotto anni arriverà una Salvatrice che spezzerà l’incantesimo, così potremo andare a cercare mio figlio.-
Cora corrugò la fronte.
-Oh, non penso proprio.-
-Ah no?-
-Regina è destinata a diventare ciò che io non sono mai stata: una temuta sovrana. Lei avrà il potere, il rispetto e la libertà, ciò che io non ho avuto. Non diventerà il tuo strumento per i tuoi folli piani.-
-Il mio strumento?- Rumpelstilskin si accigliò –Osi criticarmi, dearie? Non mi pare che i tuoi progetti per lei le diano un aspetto più umano.-
-Farò solo ciò che è meglio per lei.-
-No, farai solo ciò che è meglio per te. Con lei come sovrana, entrerai a far parte della famiglia reale, come hai sempre voluto. Non lo vedi, dearie? Se non sarà il mio strumento, sarà il tuo.-
-Almeno sarà una vita felice!-
-La sua o la tua, dearie?-
Colta dall’ira, Cora mosse il pugnale verso destra. Rumpelstilskin fu magicamente spinto contro il muro.
-Fa male la verità, vero?- sghignazzò, e solo il Signore Oscuro poteva trovare la forza di ridere in una situazione simile –Ho l’impressione che chiunque alleverà la bambina minerà la sua felicità. Quindi perché non unire le forze? Non dovresti farti scrupoli di cuore per lei.-
-Non me ne faccio, infatti.- la ragazza si avvicinò, il pugnale pericolosamente vicino alla gola del suo maestro –Ma neanche tu dovresti, Rumple. L’amore è debolezza, ricordi? Se non avessi amato tuo figlio, ora non saresti qui a morire.-
Poi sollevò il pugnale, pronta a colpirlo. Il Signore Oscuro, per la prima volta, chiuse gli occhi.
Quello che accadde dopo fu così rapido che è difficile descriverlo. Regina si mise a piangere dalla sua cameretta, le sue grida si espansero per tutto il castello fino a giungere all’ingresso.
Cora si distrasse, voltò la testa all’indietro.
Rumpelstilskin ne approfittò per spingere.
Fu svelto, sveltissimo, non poteva permettersi di sprecare nemmeno un istante: spinse Cora con tutta la forza che aveva in corpo – ed era parecchia – facendole perdere l’equilibrio e finendo sul pavimento insieme a lei.
Il pugnale le sfuggì di mano e Rumpelstilskin fu velocissimo ad afferrarlo.
-Guarda come le situazioni sono capaci di capovolgersi, dearie!- sghignazzò –Chi gioca col fuoco finirà per scottarsi.-
Un attimo dopo, il coltello era nel petto di Cora, dritto nel cuore.
Il Signore Oscuro fece per ghignare, ma si bloccò. Perché non moriva?
-Oh, Rumple! Cosa speri di colpire?-
Il cuore. Maledizione, il cuore. Se n’era totalmente dimenticato… Oh, santo cielo…
-Nessun problema.- la zittì (ma nascondere il nervosismo era davvero difficile), estraendo il coltello dal petto senza alcun graffio –Ci sono altri posti ugualmente mortali.-
Zac. Lama nello stomaco.
E Rumpelstilskin scoppiò in una risata maniacale quando vide la smorfia di dolore sul viso di Cora. Aveva vinto… Naturale, che aveva vinto! Era o non era il Signore Oscuro?
E dire che per un attimo aveva temuto… Aveva davvero avuto paura di…
Un momento.
La sua risata diminuì fino a sparire.
Perché diavolo stava ridendo anche lei!?
-Mi credi così ingenua, folletto?-
Lui fu colto dal panico. Estrasse la lama dal suo corpo per la seconda volta, scoprendola nuovamente bianca e intatta.
Gli ci vollero pochi istanti per capire.
-Incantesimo…-
-…di protezione, esattamente. Qui tu non puoi più sfiorarmi nemmeno con un dito.-
Rumpelstilskin balzò in piedi, sudato e sconvolto. Spostava rapidamente lo sguardo dal pugnale a Cora e viceversa, domandandosi se tutto questo non fosse solo un incubo.
-Mi hai ingannato.-
-Di più, Rumple: ti ho battuto.-
La ragazza si rialzò con calma, pulendosi la polvere dal vestito.
-Forse tu sei abbastanza forte e rapido da sfuggire ai miei attacchi, ma se non puoi colpirmi, questa nostra battaglia potrebbe durare in eterno.- affermò –Quindi che te ne pare di giungere ad una conclusione amichevole?-
-Ho creato un mostro.- dichiarò il Signore Oscuro –Un mostro senza scrupoli…-
-Devi prendertela solo con te, Rumple.-
-E va bene, strega, come vuoi! Prenditi quella maledetta bambina, portala via! Ma voglio che tu sappia qualcosa, Cora:- e il fatto che avesse smesso improvvisamente di chiamarla dearie ammetteva in parte la sua sconfitta –nemmeno il più potente dei sortilegi può cambiare il destino. Regina è nata per portarci tutti in un mondo senza magia… E succederà. Forse le sue motivazioni saranno diverse e ci vorrà più tempo, ma il suo destino si compirà. Non importa quello che farai per impedirlo.-
Cora scrollò le spalle, come se quell’avvertimento non la preoccupasse minimamente. Scomparve in una nuvola viola per qualche secondo, per poi ricomparire alla stessa velocità con Regina fra le braccia.
La piccola dormiva beatamente, ignara.
-Che storia.- ridacchiò –Il Signore Oscuro che si fa battere da una ragazza… Non c’è che dire, l’allievo ha superato il maestro.-
-Aspetta a gioire, Cora. Spero che tu abbia nascosto il tuo cuore in un posto davvero sicuro, perché sarò felicissimo di calpestarlo sotto il mio tacco quando lo troverò.-
La ragazza sghignazzò, vittoriosa.
-A mai più, Rumple.-
-E’ solo un arrivederci, Cora.-
Poi la ragazza scomparve in una nube violacea, definitivamente.
Rumpelstilskin rimase immobile per quelle che potevano essere ore. Solo alla fine si lasciò cadere sulla sedia, esausto.
Per la prima volta, il Signore Oscuro aveva sottovalutato qualcuno.
Ma non sarebbe successo di nuovo. Era troppo, troppo vicino al compimento del suo piano – non si sarebbe arreso così facilmente.
Parola di Rumpelstilskin.

Cora era particolarmente allegra, mentre camminava lungo il sentiero del bosco.
Non aveva un’idea precisa di dove si stesse recando. In realtà, con i poteri che adesso possedeva, avrebbe potuto andare ovunque e vivere agiatamente. Ma avrebbe preferito un villaggio isolato – meglio ancora: una casa isolata – per poter crescere Regina in santa pace e prepararla alla vita di corte che un giorno avrebbe vissuto.
La bambina riposava fra le sue braccia, succhiandosi il pollice. Quando Cora se ne accorse, delicatamente le tolse il dito da bocca – una regina non avrebbe mai dovuto avere i denti storti – e la piccola mugugnò solo un poco prima di rimettersi a dormire.
La ragazza sbuffò: com’era lungo quel sentiero…
Avrebbe potuto usare l’incantesimo di teletrasporto per raggiungere il primo villaggio a portata di mano, ma preferì rinunciare, per non spaventare anzitempo la gente del luogo.
Sogghignò: oh, Rumple era stato ingenuo, proprio ingenuo… Era dal momento in cui le aveva strappato il cuore che l’idea di sopraffarlo era salita alla sua mente. Come mai lui non ci aveva mai pensato?
Evidentemente, lui il cuore l’aveva ancora. Che spreco… Per perdita di tempo… Cora tastò il vestito per assicurarsi che il libro di incantesimi fosse ancora lì, e trovatolo, sorrise di nuovo.
Non avrebbe insegnato la magia a sua figlia. Assolutamente no. La magia sarebbe stata lasua arma – sapeva quanto gli adolescenti spesso potessero essere disobbedienti – e con quella avrebbe messo in riga Regina, trasformandola in una sovrana perfetta.
Oh, che progetti meravigliosi che aveva per lei…
In quell’istante, un rumore dietro di lei la portò a voltarsi.
Una piccola carrozza trainata da due giovani cavalli stava attraversando il suo stesso sentiero. Rallentò, fino a fermarsi accanto a lei.
Dalla finestrella si affacciò un giovanotto dallo sguardo allegro.
-Salve, milady.- salutò –Perdonate la mia intrusione, ma mi sembrate un po’ persa.-
Cora capì immediatamente che quella era un’occasione da non perdere.
-In effetti è proprio vero.- rispose –Il mio villaggio è stato attaccato dagli Orchi e non posso tornarci. Se fosse per me, troverei un rifugio qui nei boschi, ma la bambina…-
-Ma non pensateci nemmeno, milady. Coraggio, salite: non sono né un re né un principe, ma la mia famiglia è abbastanza ricca per poter aiutare voi e vostra figlia.-
Cora sogghignò: il giovane tuttavia si era ritratto per aprirle la portiera e non se ne accorse.
-Ecco, datemi la mano.-
La ragazza si fece aiutare a salire, sedendosi poi all’interno della carrozza. La partenza fece mugugnare un po’ la piccola, ma bastò una carezza della madre perché si calmasse di nuovo.
-Scusate, che maleducazione.- lei mise su un sorriso spento e senza emozioni –Voi fate tanto per me e non mi sono nemmeno presentata: sono Cora, e questa è la mia Regina.-
Il giovanotto prese la mano libera della ragazza e la baciò.
-Sono onorato di conoscervi. Il mio nome è Henry Mills.-

Passarono diciotto anni prima che Rumpelstilskin potesse rivedere sua figlia, e avrebbe mentito anche a se stesso se avesse detto di non essere leggermente emozionato.
Regina era diversa da Cora,  lo comprese dopo nemmeno un minuto di conversazione con lei. I suoi occhi erano pieni di gentilezza e di timore, completamente privi dell’avidità che era sempre stata presente in quelli della madre, perfino ai tempi in cui possedeva un cuore. No, lei era così pura e candida, come l’abito che indossava, che per un istante provò un senso di istinto paterno e quasi si dispiacque all’idea di ciò che la magia avrebbe fatto alla sua dolce bambina.
Quasi.
Non aveva tempo per essere padre. Doveva forgiare un mostro per portare a termine il suo piano - e per vendicarsi di Cora e del suo inganno. E sentiva che Regina ce l'avrebbe fatta, che forse sarebbe diventata anche sua nemica, un giorno, proprio lei che, come si accingeva a confessarle in quel momento, aveva tenuto fra le braccia.
Ma il destino non si poteva cambiare. Il cerchio era chiuso.
  
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