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Autore: Shade Owl    13/02/2013    1 recensioni
Kyle Anderson è via per lavoro da qualche giorno, e Arshan è sola a casa, in attesa di partorire. Timothy Anderson, suo malgrado, è costretto dalla moglie a portarle la spesa...
Può un compito seccante ma semplice trasformarsi in tragedia?
Genere: Commedia, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Sangue di demone'
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Questa storia (l'unica cosa che inserirò oggi, perché non sono riuscito a preparare in tempo il capitolo...) è scritta come filler per riempire un momento vuoto tra la storia Dead To The World di Ely79, appena terminata, e la continuity della mia serie, dato che ho deciso di tenere di conto in futuro di ciò che Ely79 ha scritto. Di conseguenza, chiunque non avesse letto quella breve long-fic (sono 8 capitoli, non è un grande sforzo, su!) potrebbe avere difficoltà a capire i fatti qui narrati, specie se ha seguito la serie "Sangue di Demone".
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Timmi ingranò la retromarcia con molta più forza di quanta ne avrebbe voluta mettere, finendo con lo spezzare di netto la leva del cambio. Il pick–up protestò con un suono graffiante e rabbioso, mentre il motore moriva sussultando.
- MERDA!- gridò con rabbia, colpendo il clacson con un pugno.
Quello suonò una volta e, un istante più tardi, esplose l’airbag, schiacciandolo contro il sedile, in perfetto stile cartone animato.
Ah ah ah… Pensò, cominciando a tremare di collera, la faccia ancora affondata nella stoffa.
Sventrò il cuscino salvavita con un colpo d’artigli, trasformando la mano, e riparò la macchina con un semplice incantesimo, riportando tutto com’era. Una volta finito, esitò prima di rimettere in moto, traendo respiri profondi per calmarsi: se non si fosse dato una regolata, probabilmente avrebbe finito con lo spezzare la chiave mentre la girava. Quello o schiantarsi contro una parete, a seconda della sua fortuna.
Bah… la più vicina è quella del palazzo dove vive quell’inutile imbecille… Si disse, girando la chiave nel quadro. Che si fottano, lui e quell’altra lì! E anche… no, beh… i gemelli no.
Il pensiero dei bambini in arrivo lo calmò misteriosamente. Erano l’unica cosa di quei due che trovava piacevole, la sola a fargli sbollire la rabbia quando aveva a che fare con Kyle e Arshan. Anche se, a dire il vero, era proprio colpa loro se in quel momento si trovava lì.
Infilò finalmente il pick–up nel vialetto e scese con un sospiro scocciato: l’idiota di suo fratello aveva pensato bene di andare fuori città per affari, e da almeno tre giorni Arshan era da sola in casa. Non aveva idea di come si regolassero quanto a contatti, anche se era certo che si sentissero spesso (non perché ne avesse le prove, ma tutte le volte, per quanto poche fossero, che li vedeva insieme, per staccarli serviva un piede di porco), né aveva un qualche interesse a scoprirlo. L’unica cosa che gli importava era la velocità a cui gli stavano girando le scatole.
Fortunatamente quella sera Kyle, secondo il programma, sarebbe dovuto essere di ritorno, anche se non in tempo per risparmiargli quella maledetta tiritera. Un altro ottimo motivo per odiare la sola idea di averlo intorno.
Cercando di non sbattere troppo forte le portiere, Timmi scaricò una ad una le buste della spesa che erano sistemate alla meglio sul sedile del passeggero e le raccolse tutte tra le braccia (tutte e quattro), chiudendo lo sportello con un colpo d’anca, e poi si sforzò di non usare minimamente la magia mentre saliva le scale: l’unica cosa in grado di peggiorare quello schifo di giornata sarebbe stato un vicino urlante che additava uova e carote fluttuanti.
Quando fu davanti alla porta sulle prime cercò di suonare col gomito, ma dopo aver rischiato di far cadere qualcosa per tre volte consecutive decise che tutto sommato le buone maniere potevano andare a quel paese.
Sollevò la gamba e scardinò la porta con un calcio.
 
- Potevi anche suonare.- disse Arshan, dal divano su cui era distesa.
Sentendo il legno andare in frantumi aveva fatto per alzarsi di scatto (per quanto glielo permettesse una gravidanza ormai oltre l’ottavo mese), ma si era riseduta quasi subito vedendo che a entrare era soltanto un cognato scontroso e di pessimo umore.
- E tu potevi anche farti la spesa da sola.- ringhiò, entrando in cucina senza degnarla d’uno sguardo - Comunque ci ho provato.- aggiunse brontolando, posando le buste sul tavolo - Sai che esiste una cosa che si chiama “fattorino”? È un’idea degli umani, e sembra funzionare. Non so se nel branco ne avete uno, voialtri, ma da queste parti lo usiamo spesso, se non ci possiamo muovere di casa.-
Arshan non disse niente, più che abituata ai modi bruschi e per nulla amichevoli dello Sceriffo. Rimase a guardarlo con le labbra lievemente incurvate mentre cominciava a mettere via la spesa finché, scocciato, il mezzodemone non sbuffò e le rivolse finalmente un’occhiata.
- Che cazzo hai da ridere?- sbottò.
- Non ti ho chiesto di mettere a posto.- osservò.
Lui lanciò un gemito frustrato.
- Non sei l’unica donna della mia vita, sai? Anzi, non ne faresti nemmeno parte, dipendesse da me…- e borbottò qualcosa di poco educato in cui si distinse chiaramente il nome di Nadine - Se non lo faccio, stasera dormo in giardino.- concluse sbrigativo.
Arshan non gli badò, sistemandosi per vederlo meglio senza doversi torcere troppo. La schiena la stava già uccidendo.
- Se davvero ti da tanto fastidio, perché sei venuto?- chiese invece - Hai una moglie e una figlia che sanno guidare, e degli amici che abitano più vicino.-
- Xander e Alis sono impegnati col marmocchio.- rispose senza voltarsi Timmi, infilando la verdura in frigorifero - E affidarsi a Jo per qualcosa vuol dire fottersene altamente. Quindi, visto che l’unico che doveva comunque stare in città ero io…-
- Ma non sei in servizio?-
- Certo che sono in servizio!- esclamò furioso, voltandosi di scatto e allargando le braccia - Ma da quando sono diventato Sceriffo, nessuno si soffia più il naso senza chiedermi il permesso e così, da mia moglie a quel rompicoglioni del sindaco, tutti pensano che io non abbia un beneamato cazzo da fare tutto il santo giorno! Per loro prendo soldi dalla contea senza fare niente!-
- Vuoi farmi credere che hai davvero tanto lavoro?- rise quietamente Arshan, giocherellando con la lunga treccia nera - Da quando sono qui, non ho mai sentito la tua sirena nemmeno una volta. C’è più rumore ad “Antiqui Mundi”. Anche di sabato.-
Timmi brontolò qualcosa di incoerente, ricominciando a sistemare la spesa, stavolta con modi persino più bruschi di prima. Era davvero infuriato.
- Kyle mi chiede continuamente di te.- disse - Credo che sia preoccupato per la tua salute. Non ti fa bene essere sempre così arrabbiato.-
- Digli di preoccuparsi della sua, di salute.- rispose scocciato lui - Perché potrebbe perderla da un momento all’altro, specie se non si decide a tornare.-
- Io penso che abbia ragione, sai?- disse - I Digahali ritengono le condizioni fisiche strettamente legate a quelle emotive. Una banale influenza, per esempio, può essere sintomo di un forte scompenso delle proprie emozioni. Ultimamente sei stato malato?-
- Sono un mezzodemone! Io non mi ammalo!- ringhiò - Ora piantala e lasciami finire, così me ne vado! Non ne posso più, non sono la tua domestica!-
- Ti da veramente tanto fastidio fare un favore a me e a tuo fratello?-
Timmi strizzò convulsamente un barattolo di piselli, con tanta forza che quello esplose e sparse acqua e palline verdi per tutto il pavimento. Si voltò verso di lei con uno sguardo talmente truce che avrebbe incenerito una pianta. L’aria prese a vibrare per un momento, e la luce calò di botto, mentre il suo corpo emanava quelli che parevano tentacoli di pura ombra.
- Sono qui perché Nadine me l’ha imposto.- disse con la sua voce peggiore, bassa e lenta ma tremante di rabbia - Ti sto facendo un favore… un grosso favore… e sono anche disposto a ripararti quella cazzo di porta. Ma se dici ancora quella parola, ti assicuro che dimenticherò di botto cosa significhi per tutti quanti e ti farò pentire di avere aperto bocca.-
Invece che spaventarsi, Arshan alzò un sopracciglio.
- Per tutti quanti?- ripeté - Non “per mia figlia e per Kyle”?-
Lui grugnì scocciato.
- Lo sai cosa intendo.-
- A dire il vero no, non lo so.- rispose lei - E credo che tu lo sappia anche meno di me. Kyle è tuo fratello, che ti piaccia o no. Davvero non puoi perdonargli qualcosa che ha fatto sotto un influsso negativo?-
- Anche io ho la mia bella dose di “influsso negativo”, ma non ammazzo la gente che mi prende a sassate!- esplose furioso - Anzi, visto che siamo in argomento… sono io quello che è stato quasi lapidato, a Sleepy Creek, non lui! Non gliel’ha chiesto nessuno di fare il matto!-
- Quindi volevi essere tu a uccidere tutta quella gente?-
A quelle parole, Timmi non sembrò capace di rispondere. Si bloccò all’improvviso, e la sua espressione divenne incerta.
- Io… non ho detto questo.- disse alla fine - Nessuno doveva uccidere nessuno, ecco. Kyle ha sbagliato.-
- Non lo metto certo in dubbio. Ma hai mai pensato al fatto che lui stesse cercando di proteggerti? Aspetta prima di esplodere ancora…- lo anticipò alzando la mano, vedendolo accigliarsi di nuovo e aprire la bocca - … lasciami finire di parlare, prima. Kyle era solo un bambino poco più grande di te, aveva solo dieci anni, e ha visto il suo fratellino che veniva ferito da un colpo alla testa. Chiunque avrebbe reagito arrabbiandosi, e un Demone della Rabbia ci va a nozze con questo.-
- Non cambia niente. Io non ho perso il controllo.-
- Ma cosa sarebbe successo se fosse stato lui a mantenerlo?- chiese Arshan, paziente - Timmi, ora tu saprai anche tante cose sui Demoni della Rabbia e su come gestirli quante ne so io sulla storia antica, magica e non, ma solo per via di quello che hai vissuto. Avresti potuto essere tu a fare quella carneficina. E visto il carattere che hai, non mi sembra una cosa poi così impossibile.-
Lui distolse lo sguardo, strizzando ancora un po’ la scatoletta nella mano. La latta gemette appena, deformandosi ulteriormente.
- Credi che non lo sappia?- brontolò - Ogni giorno della mia vita… non passa un solo minuto senza che ripensi a quella volta… a cosa sarebbe potuto succedere in altre circostanze. A quello che avrei potuto fare. È la paura a tenermi ancorato alla mia umanità. Se Gaeliath non fosse un Demone della Rabbia, ma un Demone della Paura… beh, non so quale delle due specie è più potente, ma sarebbe di certo un bello scontro.-
- E chi devi ringraziare per questo?-
Timmi non rispose, limitandosi a fissare un punto qualunque del tavolo della cucina.
- Io la vedo così.- disse Arshan, alzandosi cautamente dal divano - Kyle ha fatto qualcosa di orribile, nessuno può contestarlo… ma non puoi nemmeno negare il fatto che abbia cercato di proteggerti, tanto dagli altri quanto da te stesso. Se non fosse stato per lui, all’Inferno nella Palude Stigia ci saresti quasi sicuramente finito tu.-
Il mezzodemone chiuse gli occhi e trasse un profondo respiro, mentre lei gli si avvicinava un po’. Quando riuscì a rialzare lo sguardo fino al livello della sua faccia, ogni traccia di ostilità finalmente si dissolse dalla sua espressione, che divenne triste e al tempo stesso nostalgica.
- Lo so.- disse - Volevo bene a mio fratello. I Custodi dell’Eden di un tempo e i Demoni della Rabbia mi hanno portato via tutto, quel giorno. Forse non ce l’ho solamente con lui… magari è con me stesso che sono arrabbiato. Lui mi ha salvato, e io non sono riuscito a fare altrettanto. A dire il vero, non credo di averci nemmeno provato. Per questo ho accettato di riportarlo indietro con me, quando sono sceso nel Cocito, anche se ho protestato e mi sono lagnato.-
- Ma ancora non sei pronto a ritenerlo parte della tua famiglia?-
Timmi scosse appena la testa, distogliendo lo sguardo, e mise via le ultime cose, richiudendo lo sportello della credenza.
- Non so se potremo mai esserlo.- rispose - Non so niente. Non farmi domande a cui non posso dare risposta, Arshan. Mi fai solo stare male.-
- Non è mia intenzione.-
- Lo so.- disse Timmi, avviandosi verso la porta - Ma non cercare di appianare le cose tra me e lui. Perderesti solo del tempo, e forse anche qualcos’altro. Non è una minaccia.- chiarì subito, alzando lo sguardo - Ti sto solo mettendo in guardia.-
- In guardia da cosa?-
- Da te stessa.- rispose.
Toccò la serratura rotta della porta, rimettendola insieme in breve tempo, e ne saggiò la resistenza con attenzione. Quando fu soddisfatto annuì tra sé e si voltò di nuovo verso di lei per salutarla.
Ma quando la guardò in faccia, la vide pallida e malferma sulle gambe. Si stava tenendo alla parete più vicina, e aveva gli occhi spalancati.
- Che c’è?- le chiese, aggrottando la fronte.
Lei alzò lo sguardo fino a incrociare il suo.
- Io…- borbottò - Mi si sono… rotte le acque…-
Timmi si sentì congelare dalla punta della lingua fino ai piedi. Anche Gaeliath sembrò irrigidirsi, dentro di lui.
Oh cazzo…
 
Era la prima volta che, in tutta la sua vita, metteva la sirena. Quel dannato pick–up non era mai servito ad altro che a giri di pattuglia che perlopiù si erano trasformati in passeggiate o per scarrozzare in giro Skadi di tanto in tanto. Il suono penetrante e insistente degli altoparlanti montati sul tettuccio lo assordò quasi completamente, e se dava fastidio a lui inutile dire quanto poteva essere sgradevole per una donna–lupo in pieno travaglio.
Tuttavia, seduta sul sedile di fianco al suo, tenendosi saldamente alle maniglie di sicurezza, Arshan respirava profondamente ad occhi chiusi, e per una volta il suo sensibile udito pareva indifferente ai rumori del mondo esterno. Ogni tanto era scossa da un piccolo sussulto, e lanciava un gemito di dolore, e se l’adrenalina non lo stava traendo in inganno (Ti prego, dimmi che mi sto sbagliando…) gli intervalli di tempo tra un lamento e l’altro erano sempre più brevi. Infilò rapidamente una mano nel giubbotto d’ordinanza, cercando freneticamente in tutte le tasche, mentre l’altra stringeva ancor più saldamente il volante, gli occhi divisi tra il guardare il percorso e l’osservare lei.
- Non azzardarti a partorirmi in macchina, chiaro?- sbottò, sterzando un po’ troppo bruscamente e finendo quasi con lo sbandare sul marciapiede, mentre macchine e pedoni balzavano via dalla strada il più in fretta possibile - Cellulare, cellulare… DOVE CAZZO È?-
Finalmente riuscì a trovarlo, sepolto all’interno della giacca. Lo tirò fuori con dita tremanti per l’agitazione, e per due volte rischiò di cadergli. Usando la chiamata rapida compose il numero di Nadine, che però squillò libero. Tentò col cellulare di Skadi, e scoprì che era occupato. Xander, ovviamente, lo aveva staccato, e Jo non era il caso di cercarlo. Tentò a casa, e gli rispose l’ultima persona che avrebbe voluto sentire.
- Poooontooooo?- cantilenò Ariel, appena udibile sotto lo strepitio della sirena.
- Eh no, tu no!- esclamò, riattaccando.
Gli rimaneva un’ultima persona a cui rivolgersi, e come al solito era l’unica che non voleva chiamare. Né vedere, né sentire, né conoscere…
- Pro…-
- DOVE CAZZO SEI, INUTILE SACCO DI MERDA?- gridò - SBRIGATI A TORNARE, ARSHAN STA PER PARTORIRMI NEL PICK–UP!-
Kyle rimase in silenzio un momento, trattenendo il fiato.
- Co… cosa?- balbettò, confuso e, apparentemente, terrorizzato.
- Che c’è, sei sordo oltre che stupido? ARSHAN STA PER PARTORIRE! Quanto cazzo ti ci vuole per rientrare?-
- Io… Dio… sono… sono in aeroporto, sto per prendere l’aereo… come sta? Sta bene?-
- LEI STA BENISSIMO, MA IO STO PER AVERE UNA DANNATA CRISI ISTERICA! DATTI UNA MOSSA, DEFICIENTE!-
Riattaccò e gettò via il telefono, e dal rumore che sentì comprese di averlo sfondato contro il freno a mano. Fantastico…
 
Arshan fu portata di corsa via in barella, diretta verso la corsia, dove l’avrebbero preparata per il parto. E Timmi rimase da solo con una delle figure che odiava di più: un medico.
- Devo sapere se la signora ha qualche allergia.- disse l’uomo. Non lo aveva mai visto prima: era alto e di colore, sottile come un lampione. I capelli erano cortissimi, forse rasati con una macchinetta - E ho bisogno anche del suo stato di salute e tutto quello che può dirmi sulla sua anamnesi.-
- Non conosco la sua storia clinica.- grugnì Timmi, togliendosi il cappello spiegazzato e grattandosi la testa. Il cuoio capelluto gli prudeva in modo tremendo, come sempre quando faticava a mantenere il controllo sulla magia che impediva ai capelli di diventare color cavolfiore - Credo che sia irachena… no iraniana… insomma, è di quelle parti lì. Serve a qualcosa?-
L’uomo sospirò stancamente.
- Non può nemmeno dirmi se soffre di qualche disturbo particolare?-
- No.-
- Ma lei è il marito, vero?-
Timmi lo guardò aggrottando un sopracciglio, spiaccicandosi il cappello sulla testa.
- Dottore, tu sei nuovo di queste parti, vero?-
Lui parve sorpreso della domanda, e sbatté un paio di volte le palpebre come se non avesse capito. Forse era anche un po’ tonto, chissà…
- Beh… sì.- disse - Ma non vedo come questo…-
- Se sapessi chi sono, allora faresti come ogni altro membro del personale qui presente…- ringhiò Timmi, indicando le infermiere, i medici e persino gli inservienti presenti nella sala che, quando lo vedevano, cambiavano subito strada - … e spariresti immediatamente dai coglioni! Non sono il marito di quella donna, lui sta correndo qui, e se non lo fa allora per la prima volta questa città avrà un brutale e violento caso di omicidio di cui parlare per i prossimi anni. Io sono solo il… coso, okay?-
Il dottore sgranò gli occhi.
- Il… ehm… il cosa?-
- Il coso… il…- Timmi trasse un respiro profondo - Ti pentirai di avermelo fatto dire… il cognato…- brontolò tra i denti - ORA MUOVITI E TIRA FUORI DI LÌ I MIEI NIPOTI!- sbraitò.
Il dottore trasalì, indietreggiando di un passo, e aprì la bocca per replicare. Tuttavia, in quel momento sopraggiunse un’infermiera che lo prese per un braccio e lo trascinò via di corsa, di fatto salvandogli la vita.
- Timothy Jonathan Anderson!- esclamò qualcuno.
Timmi sussultò e prese a guardarsi intorno freneticamente, finché non individuò Nadine corrergli incontro accigliata.
- Cristo santo, ma ti costa qualcosa essere educato per più di un minuto?- ringhiò - Come sta Arshan?- chiese poi, senza attendere risposta.
- E che ne so!- sbottò lui, offeso - L’hanno portata dentro, poi più niente. Piuttosto, tu che ci fai qui?-
- Mi ha chiamata Kyle.- rispose Nadine, incrociando le braccia e guardandolo con aria critica - Mi ha detto che gli hai telefonato, ma non riesce più a richiamarti. Il cellulare è spento.-
- Veramente l’ho rotto…-
- Cosa?-
- Niente, niente…- disse in fretta - Vabè, lui sta arrivando o no?-
- Atterrerà tra un’oretta in aeroporto. Ho mandato Skadi a prenderlo, si proietteranno nel parcheggio appena sarà arrivato.-
- Perfetto.- sospirò Timmi, sollevato, passandosi una mano sulla faccia - Beh, allora io vado.-
- Cosa?- esclamò Nadine, mentre lui si avviava verso l’uscita.
- Sì, me ne vado… a che serve restare qui?- chiese, allargando le braccia - Dovevo portarle la spesa, e ho fatto più di quanto fosse richiesto, mi sembra. Ora scusa, ma ho comunque un lavoro, no?-
- Timothy Jonathan Anderson!- esclamò di nuovo Nadine, battendo il piede a terra.
Lui si bloccò con la mano sul maniglione antipanico, deglutendo: usare il suo nome completo una volta era segno di rabbia e irritazione. Due volte nel giro di due minuti…
Perché lo chiamano “antipanico”? Non ti evita il panico!
- Sì?- gemette.
- Tua cognata sta partorendo, ed è tutta sola. Noi due siamo i soli parenti che abbia a propria disposizione per adesso, e non ce ne andremo!-
- Ma io…-
- Fila!- esclamò Nadine, indicando il corridoio verso il quale era sparita Arshan - Io aspetto che arrivi Kyle.-
- Cosa?- protestò lui - Devo… andare dentro? Stai scherzando? Perché?-
- Perché qualcuno dovrà pur tranquillizzare tuo fratello. Tranquillizzarlo, non terrorizzarlo.- specificò, sottolineando la frase con un’occhiata penetrante - E poi, tu hai portato qui Arshan, tu le tieni la mano finché non arriva Kyle. Mi sono spiegata?-
- Ma ho del lavoro da…-
- Certo, la criminalità è a livelli elevatissimi, da queste parti!- esclamò Nadine - Cos’è successo, per caso i procioni hanno rubato le ghiande agli scoiattoli, stamattina?-
Timmi le lanciò uno sguardo irritato.
- Non fa ridere.- grugnì.
- Muo–vi–ti!- scandì lei, afferrandolo per un braccio e spingendolo verso il corridoio.
 
Timmi osservò la porta davanti a sé per qualche secondo, non osando attraversarla. Non sentiva un suono uscire da lì dentro, come se non ci fosse nessuno. Si guardò intorno, scoprendo di essere completamente da solo, e se avesse usato la Proiezione avrebbe potuto scappare senza essere visto da anima viva. Nessuno avrebbe mai saputo niente, forse nemmeno dopo il parto, quando tutti sarebbero stati troppo presi dai bambini per accorgersi della sua scomparsa.
Certo che sarebbe una bella vigliaccata… Pensò, girando la maniglia.
Arshan era stesa su un lettino solitario davanti alla porta. Le avevano messo addosso un lungo camice bianco, e respirava lentamente. Ogni tanto le scappava un guaito di dolore, dal timbro incredibilmente canino. Quando lo notò rimase semplicemente a fissarlo, senza smettere di inspirare.
Timmi non disse niente per circa un minuto, tenendo ancora la maniglia tra le dita. Il silenzio, rotto solo dai suoi ansiti, diventò incredibilmente opprimente.
- Ehm… ma i lupi non si tappano nella tana per queste cose?- chiese.
Lei fece un sorrisetto.
- Cerchi di essere sarcastico, Sceriffo?- gli chiese - Non sembra riuscirti molto bene. Conosco un mondo di battute sui lupi, se vuoi posso suggerirtene qualcuna.-
Timmi la ignorò, avvicinandosi al letto.
- Skadi è andata a prendere Kyle.- disse - Nadine lo aspetta nella hall, dovrebbe arrivare presto.-
- E tu… ahi!- gemette lei, sussultando - Tu sei qui per…?-
- … evitare le ire di mia moglie.- grugnì scocciato - Dice che devo stare con te finché quel cretino non si fa vivo.-
Arshan fece una smorfia che avrebbe dovuto essere comprensiva, ma che invece divenne dolorosa.
- Beh, non ti obbligo a restare.- disse - Hai fatto anche troppo, più di quanto ti avessero chiesto. Ho già assistito alla nascita di molti cuccioli nella mia comunità, i Digahali sanno come gestire queste cose. Posso farcela da sola.-
Timmi alzò un sopracciglio, scrutando il suo volto teso e pallido. Tremava leggermente, e a ogni contrazione sussultava di dolore. Diede anche un’occhiata all’ambiente asettico e freddo della stanza, in cui tutto, a parte lei, taceva. Ancora non si vedeva l’ombra di un medico, né di un’infermiera. Non c’era nessuno, a parte loro, e chissà quando si sarebbe fatto vivo un qualche membro del personale.
- No.- disse serio - Resto.-
Arshan sorrise e allungò una mano fino a toccare la sua, posata sulla sponda del letto. Gli strinse brevemente le dita, gli occhi appena un po’ lucidi.
- Grazie.-
Timmi cominciò a ringhiare.
 
Era rimasto lì per più di un’ora, limitandosi a tenere la mano di Arshan per tutto il tempo, senza dire niente. A essere sincero, non aveva nemmeno la più pallida idea di cosa avrebbe potuto dire: quando era nata Skadi aveva portato di corsa Nadine all’ospedale e, dopo aver litigato con il dottore (che in seguito aveva dichiarato espressamente di non voler più lavorare in quella città, e nel giro di pochi mesi si era fatto trasferire) era rimasto da solo con lei per quelle che erano sembrate ore. Anche in quell’occasione si era quasi limitato a tenerle la mano, ma nel frattempo aveva continuato a dire cose come “andrà tutto bene”, “respira profondamente”, “ti amo”, “sono qui con te” e altre melensaggini simili. A distanza di qualche giorno si era reso conto di quanto stupido fosse suonato, e trovandosi lì con Arshan, poi, si sentì ancora più idiota all’idea di ripetere anche solo una di quelle frasi, persino la più innocente.
Lei, tuttavia, non aveva dato segno di farci caso e, per tutto il tempo, aveva continuato a inspirare ed espirare con tutta la regolarità che era riuscita a tirar fuori, mormorando di tanto in tanto una sorta di mantra, delle parole che Timmi non aveva compreso. Il timbro era mediorientale, forse arabo, e dedusse che fosse la lingua natale dei Digahali, magari mescolata a qualche termine magico. Probabilmente era una specie di preghiera, o di augurio, per il parto imminente.
Quando finalmente Kyle si era degnato di arrivare, coperto anche lui da un lungo camice color verde acqua, Timmi era uscito senza rivolgere la parola a nessuno e, appena aveva trovato una poltroncina libera, ci si era lasciato cadere sopra, sfinito.
Adesso era ancora lì, e si era alzato solo una volta, per andare in macchina a prendere la bottiglia di vodka che conservava sotto il sedile per le emergenze. Nessuno lo aveva cercato, come se fosse diventato invisibile, e la cosa non gli dispiaceva più di tanto, ad essere sincero: in quel momento non era dell’umore per parlare con chicchessia.
Poi una persona si sedette sulla poltrona di fronte alla sua, quando ormai la bottiglia aveva quasi raggiunto il fondo e il sole era scomparso dal cielo fuori dalle finestre. Alzando appena lo sguardo, vide che non si trattava né di Nadine né di Skadi, né di uno qualsiasi dei suoi amici: era Kyle.
- Ciao.- disse lui - Prima non ho fatto in tempo a salutarti.-
Timmi si strinse nelle spalle senza guardarlo.
- Beh, non è che fossi io la cosa più interessante, in quella stanza.- borbottò, buttando giù un altro sorso di vodka.
- So che odi essere ringraziato…-
- Allora non farlo. Cuciti la bocca.- sbottò scocciato, scoccandogli un’occhiataccia - Se proprio mi sei grato per qualcosa, fammi un favore e buttati dal ponte più vicino. Anzi, no…- aggiunse, ripensandoci - Ci manca solo che Nadine mi spedisca di nuovo a farvi la spesa…- brontolò, intimidito dalla sola idea.
Kyle scoppiò a ridere quietamente, sporgendosi appena in avanti.
- Il parto è andato bene.- disse - Ora Arshan sta riposando. I bambini stanno bene.-
- Grazie. Per avermi detto qualcosa che non ti avevo neanche chiesto.- puntualizzò.
Lui lo ignorò.
- Ti va di vederli?- chiese - Prima che Skadi li soffochi di coccole, magari?-
- Perché dovrebbe importarmene qualcosa?- grugnì, tracannando in un solo sorso gli ultimi rimasugli di vodka.
- Importa a me. E se davvero non t’interessasse, non saresti rimasto in ospedale, specie considerando che tu qui non sopporti nessuno e nessuno sopporta te.-
- Bella forza, Nadine mi ha costretto…-
- Intendevo dopo, quando sei uscito dalla stanza.- lo interruppe Kyle - Potevi andartene a quel punto, invece sei rimasto. Perché?-
Timmi non rispose, guardandolo astioso. Solo in quel momento si accorse che il suo dolcevita era umido di sudore sul colletto, che da bianco era diventato marroncino, e che la stoffa era tutta stropicciata. Aveva anche due belle occhiaie in faccia.
- Al diavolo…- grugnì, alzandosi in piedi con una spinta di reni - D’accordo, ma facciamo presto, eh? Voglio andare a casa e ubriacarmi.-
- Sei un mezzodemone. Non puoi ubriacarti.-
- Kyle, sparati!-
 
Arshan era distesa sui cuscini del letto, con aria mezza addormentata. Kyle andò subito da lei, afferrandole la mano e posandole le labbra sulla fronte; per contro, la donna sorrise stancamente e si voltò appena verso di lui, quasi stesse cercando un maggior contatto con la sua bocca.
Accanto al suo letto c’erano due culle identiche. Skadi era china su entrambe, e giocherellava pigramente con le dita con i due neonati. La sirena sedeva lì accanto, cantando sommessamente una melodia dolce e rilassante, che da sola riempiva quella asettica e vuota stanza ospedaliera. Nadine era accanto alla figlia, e quando lo vide gli fece cenno di raggiungerle, sorridendo. Esitando un momento, Timmi, si avvicinò alle culle, ricordando vagamente il momento in cui aveva fatto la stessa cosa per Skadi. E la paura fottuta che lo aveva assalito quel giorno.
I bambini erano identici, assolutamente indistinguibili. Al momento, niente poteva permettergli di capire chi dei due fosse il maschio e chi la femmina, ma non c’era di che preoccuparsi: erano gemelli eterozigoti, e non ci avrebbero messo molto a sviluppare delle differenze fisiche. Già entro poche settimane sarebbe riuscito a capire quale dei due era chi senza difficoltà. Tanto meglio, perché anche i ciuffetti neri di lanuggine che avevano sulla testa erano uguali tra loro.
Sembravano avere ereditato la carnagione della madre, solo vagamente più chiara, e il carattere posato del padre: nessuno dei due si stava lamentando, e dormivano in silenzio, succhiandosi i minuscoli pollici. D’altra parte, poteva dipendere dal canto di Ariel, più potente di quanto una persona nuova a quel suono potesse immaginare: già una volta aveva provato, sulla sua stessa pelle, il potere della voce di sua sorella.
- Carini, vero?- ridacchiò Skadi - Perché non indovini come si chiamano?-
- Tesoro… non farmi essere volgare davanti a loro.- brontolò scocciato.
- Non ti fai problemi con me, mi sembra.-
- Ho aspettato almeno sei anni prima di dire la primissima parolaccia in tua presenza. E l’ho fatto a bassa voce.-
- Ne hai aspettati due, e hai gridato così forte che Xander cadde dalla sedia.- sospirò Nadine.
Lui la ignorò.
- Allora, come si chiamano?- sbuffò invece.
- Victor. Victor Fareed Anderson.- disse Kyle, avvicinandosi a lui e guardando i bambini con un’espressione a metà tra il felice e il nostalgico - Lui.- spiegò, passando due dita sulla fronte del piccolo, quello più vicino al letto materno - Lei, invece, è Robin Edelen Anderson.- disse poi, carezzando anche la figlia - Ti dicono niente questi nomi?-
- Che forse è colpa tua se io mi chiamo “Timmi”.- grugnì lui - Fai schifo. Che razza di nomi sono “Victor Fareed” e “Robin Edelen”?-
- Fareed e Edelen sono i genitori di Arshan. Robin e Victor erano mamma e papà.-
Timmi si scoprì a trattenere il fiato per un momento, ma Kyle non lo considerò, troppo impegnato a guardare i propri figli. Aveva gli occhiali appannati, forse per il sudore.
- Meno male che non somigliano all’unico altro neonato che ho visto in vita mia.- disse dopo qualche minuto - Strillava, si agitava e finì con lo spaccare la culla come se fosse fatta di grissini.- ridacchiò - Papà si mise le mani nei capelli.-
Timmi tornò quasi a ringhiare, scocciato.
- Kyle, tornatene all’Inferno, e porta anche un pacco di paste a Lucifero, che magari stavolta ti tiene lì!- sbottò, avviandosi verso la porta.
Aveva già la mano sulla maniglia quando sentì Skadi dire qualcosa.
- Ehi… perché i loro capelli stanno diventando verdi?-
   
 
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