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Autore: Gaber_Ricci    13/02/2013    3 recensioni
Una malattia misteriosa di zio Paperone, un viaggio dei nipotini lontano da casa, un incontro, ed una serie di misteriosi e spesso sfortunati eventi. E' questo, quanto cercherò di narrare.
Genere: Avventura, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: OOC | Avvertimenti: Incompiuta
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“Sono eoni, che non vediamo lo zio Paperone” disse Qui, tamburellando con le dita sul davanzale della finestra, da cui stava osservando la collina Ammazzamotori. Gli rispose solo un grugnito: lo zio Paperino, scomparso dietro un “Guerin Giulivo” che gli nascondeva tutta la faccia, sostituendola con quella del nuovo acquisto del Paperopoli, un giovane trequartista che aveva deciso di acconciare le piume della sua testa in una variopinta cresta.
“Perché non gli telefoni?” chiese Qui. Poté sentire chiaramente un singolo sopracciglio sollevarsi, ed il crestato pareva essere rimasto perfettamente immobile. Non ottenne però nessuna risposta, ed insistette: era sinceramente preoccupato. Ed infatti, disse proprio questo: “Sono sinceramente preoccupato”.

Finalmente, Paperino appoggiò il giornale sul basso tavolinetto che aveva davanti, e fissò il nipote, col solito volto di sempre: reticolo di rughe attorno agli occhi, resi piccoli da una miopia che si ostinava a non voler correggere, e basette che gli incorniciavano il becco, sempre più simili ad enormi, disordinati batuffoli di cotone, nonostante lo zio le pettinasse ed anche tagliasse con notevole e sospetta frequenza, compresi. Ciò nonostante, Qui si ritrovò a dirsi, senza sapere perché, che qualcuno che non lo vedeva da qualche tempo (tipo: da prima che cominciasse a lavorare in pianta stabile per la Pdp Association), incrociandolo, avrebbe risposto con dubbiosa sorpresa ad un suo saluto, e sentiva ci fosse qualcosa che non andava, in quello. Ma perché, poi? Erano solo gli anni che passavano. Se si escludeva che il tempo (né nient'altro, se era per quello) gli aveva mai fatto quell'effetto.

“Sei preoccupato?” domandava ora lo zio “Per i tuoi fratelli?”. Proprio in quel momento, al piano di sopra, il misterioso rumorio che aveva accompagnato la vigorosa, ritardataria preparazione dei bagagli di Quo e Qua per l'ennesimo campeggio delle Giovani Marmotte (Qui si rabbuiò ulteriormente), si trasformò nel suono inconfondibile di un cimelio della famiglia Coot che andava in frantumi. Per un attimo, i lineamenti di Paperino parvero distorti da una furia feroce ed anche un poco grottesca. Subito dopo, però, si ridistesero, ed assunsero i tratti della rassegnazione, mentre diceva: “Sì, anch'io”.

“No, non per loro. Cioè” precisò, quando lo scetticismo comparve negli occhi dello zio “anche per loro, ma mi stavo riferendo allo zio Paperone”.
Paperino si strinse nelle spalle: “Pfui. Starà perorando la sua causa davanti a qualche regnante, balivo o mangravio, perché gli lasci perforare qualche ricca vena di biondo metalluccio. O qualcosa del genere”.

Qui parve dispiaciuto: “Senza di noi?”.
“Di che utilità potremmo essergli? Ha Camillino”.
“Quell'ammasso di ferraglia malsaldato?”.
Paperino incurvò gli angoli del becco, qualcosa di simile ad un sorriso: “No, qualche altro ammasso di ferraglia. Saldato meglio”.

Mancò poco che accanto a qui spuntasse un punto interrogativo color porpora. “Non crederai che la logora, tarlata tuba si sia servito per tanti lustri sempre dello stesso Camillino” gli fece lo zio. “Beata, ingenua gioventù!”. Stava per alzare gli occhi al cielo, ma poi cambiò idea e concluse, in tono piatto: “Ha fabbriche che non producono in serie, di quegli alambicchi”.
“Davvero?”.
“Già. Ci sono più cose in cielo e in terra col marchio PdP...”.

Qui si azzittì per un poco, poi, testardo, proseguì: “Non sono ugualmente tranquillo. Non lo sentiamo da troppo”.
“Nessuna nuova, buonissima nuova, quando si parla del parente”.
“L'ultima volta che lo zio si è ecclissato per tanto tempo finì per sprofondare nelle viscere della Terra con tutto il deposito”.(1)

Se avesse avuto i denti, Paperino avrebbe espresso il proprio pensiero in proposito mordendosi la lingua; in loro assenza, glissò sul commento, sperando che Qui comprendesse. Per buon conto, aggiunse anche: “Ti stai angustiando senza motivo. Vedrai che prima o poi le sue voraci ganasce piomberanno qui per scroccare qualche pasto. E se così non dovesse essere” afferrò di nuovo il giornale “bah, in fin dei conti il Paperopoli è primo in classifica, dopo tanti anni”. Stava per risprofondare nelle polemiche moviolistiche della passata domenica, quando lo interruppe un suono lacerante ed acuto, simile ad una sirena antiaerea: solo dopo essersi alzato di scatto, Paperino lo riconobbe come la voce di Quo, che stava precipitandosi giù per le scale incespicando ed urlando: “Sciagura! Cataclisma! Sventura e tragedia euripidea!”. Di tanto in tanto, Qui si chiedeva da dove tirasse fuori quei termini, essendo le sue letture piuttosto esigue (giusto qualche fumetto, e nemmeno graphic novel).

Sul momento, tuttavia, la questione non gli premette più di tanto: primo, perché alla fine della scalinata suo fratello aveva perso definitivamente l'equilibrio, andando a dare di capa contro il muro di solido cemento; secondo perché, appurato che, miracolosamente, la botta gli aveva provocato soltanto un momentaneo mutismo (certo conseguente allo shock), restava da scoprire cosa potesse aver provocato un terrore tale da fargli tirar fuori i più altisonanti lemmi del suo vocabolario. Farlo fu semplice, bastò seguire la direzione indicata dal suo dito per vedere, inquadrato dalla finestra, il cavalier Hirudinì che procedeva a ritmo di marcia di Radetzky verso il deposito, trascinandosi dietro un trolley che recava su di se una ferale etichetta: tasse e gabelle. Dietro di lui venivano due portatori nubiani, ciascuno caricato di una quintalata di carte bollate afferenti ai settori dazi, imposte e balzelli. Ciò poteva significare solo una cosa.

Chiudete i boccaporti! Serrate gli ingressi! Isolate il focolare!” gridò Paperino. “Tra poco queste mura saranno squassate da urla di dolore del nono grado della scala Richter!”. Ma ormai era troppo tardi: il cavaliere aveva già imboccato la via che saliva sul fianco della collina, ed ascendeva di buon passo; presto, il vetusto cilindro l'avrebbe individuato con un cannocchiale, residuo di chissà quale epoca antidiluviana, ed allora vetri e timpani sarebbero stati in pericolo nel raggio di diverse miglia, giù giù fino alle periferie che lo ziastro aveva riempito di ciminiere eruttanti fumo nero: figurarsi i loro, che erano a poche decine di metri in linea d'aria.

Vistosi ormai perduto, Paperino lanciò a ciascuno dei suoi nipoti (frattanto anche Qua aveva raggiunto il parentado) un paio di tappi di cera, che teneva a portata di mano per ogni evenienza, e ne usò un altro paio per i propri meati uditivi. Poi, certo che quelle protezioni acustiche si sarebbero rivelate ridicolmente insufficienti, attese che un'eco, forse appena attenuata, della disperazione fiscale altrui lo colpisse.

Non accadde nulla. Adesso sì, che anche Paperino, nel segreto del suo cuore, era sinceramente preoccupato.

*

Lacchè di rara piaggeria, sottospecie di crumiro zerbino, realista più realista del re meno illuminato dai tempi di Eliogabalo!” urlò Paperino, sbattendo il telefono sulla forcella con un'ira tale da sollevarsi quasi da terra. Seduto in poltrona, Qua sghignazzò. C'erano parecchie cose che trovava divertenti, ultimamente.

Ti diverti?” lo fulminò lo zio. “Io molto poco”. La pregiudiziale non fermò Qua, che però, in un ascesso di sensibilità, domandò: “Problemi?”.
Bah. Solo un maggiordomo asservito ai poteri forti. Ha aperto i rubinetti appena alzato il telefono”.
Vuoi dire che si è messo a piangere?” domandò Qui. La cosa lo stupiva: certo Battista era eccessivamente legato al suo principale, ma era del pari professionale fino all'eccesso.

Già. Signorino, signorino, un dolore! Ci mancava solo il cavalier Hirudinì!”. Paperino affettò una vocetta stridula che non era quella di Battista, ma che suscitò comunque l'ilarità di Qua. Stavolta, lo zio non ritenne necessario rimproverarlo. “Pare non saperlo, che lo ziastro ha le piume più dure della pelle di un serpente a sonagli laccato in granito”.

Forse che lo zio è indisposto?” domandò Quo, che trovava il momento propizio per sfogliare le pagine di un ridicolo albo a fumetti riguardante le avventure di un qualche bipede della classe linneiana dei mammiferi.
Già. Giace malato a letto e pare che deliri. Signorino, signorino, sono sinceramente preoccupato!”. Di nuovo la vocetta, e che pronunciava una frase non casuale: Qui si sentì chiamato in causa. “Dimmi una cosa, zio” gli disse, dopo essersi accarezzato un poco sotto il becco. “Da quand'è che conosci lo zio?”.

Svariati decenni. Ed il primo minuto era già uno di troppo”.
Di quante malattie lo hai visto ammalarsi, in tanto tempo?”.
Una diversa ogni volta che qualcuno attentava al suo pecunio”. Le ultime parole erano state pronunciate borbottando, in un'imitazione, stavolta fedele, del papero più ricco del mondo. “Tosse stizzosa da sanguisuga, porpora da prelievo forzoso, teleangectasia denaro priva, granulomatosi da postulante, anche nella sua variante da questuante per festa paesana, glomerulonefrite associata a bollette varie” fece, contando sulle dita “senza dimenticare artriti, spleniti, congiuntiviti e disarticoliti(2) assortite, e non di rado factitie. Il che”

Hai mai visto qualcuna di queste”. Lo sguardo di Qui si fece penetrante, mentre lo interrompeva “ridurlo in uno strato di prostazione tale da impedirgli di rispondere con un corredo di urla e starnazzate ad una visita del cavalier Hirudinì, per altro con portatori nubiani al seguito?”.

Paperino, solo per un attimo, rimase sorpreso e senza parole; poi, con un gesto di non curanza, disse con semplicità: “Qui, il parente ha i suoi anni. Presto imparerà che l'immortalità non si può comprare. E la finirà, pure, di imbambolarci con le sue avventure nel Klondike”. Il suo sguardo si stava facendo cupo, tanto che Qui esitò, prima di dirgli: “Stai parlando comunque di tuo zio. Come ti sentiresti se noi usassimo questo tono per parlare di te?”.

Ne sarei senza dubbio dispiaciuto, nipote”.
Ed allora, perché con lo zio”
Per il semplice fatto” fece Paperino, categorico “che lo zio Paperino non è un”. Fu costretto a sigillarsi il becco.
Via, non essere così crudele. Certo, è un poco avido, ma in fin dei conti non è così male”.

Il volto di Paperino assunse una sfumatura sarcastica ma, con uno sforzo, gli riuscì di non dir nulla. Se non: “Forse hai ragione. Ma, ad ogni modo, non ho intenzione di sprecare le mie lacrime per uno che, in cambio di, quanto? Dieci anni di fatiche? Quindici?, ha avuto cinquant'anni... ma che dico, di più, di benessere”. Stese in avanti le braccia per prevenire un'obiezione che non aveva voglia di ascoltare. “Anche perché, ve l'ho detto: è inutile. Ha la pellaccia dura, e questo sarà il solito malanno stagionale che si beccano i vegliardi come lui”.

Fu smentito più o meno subito: appena fuori dal suo giardino, sfrecciarono prima un'automobile che portava scritto su un fianco: “Dottor von Endoscop, diagnosi, prognosi e terapia di affezioni, malanni, disfunzioni e disgrazie varie”, seguita a breve distanza da un'altra, un poco più sgangherata, che portava il blasone di Canale 00.

Note del curatore:
(1) come mirabilmente raccontanto per immagini da Rodolfo Cimino e Tiberio Colantuoni in "Zio Paperone e l'implosione monetaria", in Topolino 2494.
(2) già descritta dal dottor Giorgio Pezzin, con le illustrazioni di Giorgio Cavazzano, in "Zio Paperone ed il tetracarbossidone", in Almanacco di Topolino 252.

  
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