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Autore: mavi    02/09/2007    0 recensioni
NO Spoiler 7° libro
Era da molto che nessuno non gli rivolgeva più un sorriso. Forse quell’assurdo autobus e quel suo altrettanto assurdo bigliettaio lo allettavano ancora di più di quanto non volesse ammettere.
Forse lo allettava l’idea di avere qualcuno con cui parlare, un posto dove ripararsi, sebbene si muovesse su ruote e fosse di un poco rispettabile color prugna.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Draco Malfoy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sentì l’inconfondibile fischio dei freni e poi l’immancabile trambusto di materassi e sedie che, puntualmente, si ribaltavano a causa della brusca frenata

Storia scritta per la Sfida Viaggi Magici su Acciofanfiction. Buona lettura :D^^




Sentì l’inconfondibile fischio dei freni e poi l’immancabile trambusto di materassi e sedie che, puntualmente, si ribaltavano a causa della brusca frenata.

Quell’assurdo autobus era di nuovo tra i piedi.

Sospirò e rassegnato decise di voltarsi, pronto ad osservare ancora una volta la lamiera viola e malconcia

“Stan Picchetto, buon pomeriggio. Benvenuti sul Nottetemp-”

Un giovane bigliettaio dall’aspetto alquanto bizzarro si affacciò dal mezzo, scese i primi scalini di metallo scuro e si bloccò a guardarlo.

“Ehi ma tu sei quello di ieri notte!”

Draco gli scoccò un’occhiata scocciata e poi riprese a camminare, ignorandolo.

“Nemmeno oggi sali?”

“No.”

“Sicuro?”

“Sì.”

“Non lo vuoi un passaggio?”

All’ennesima domanda arrestò il passo, ma non si voltò. Sperava così di evitare il fiume di parole poco carine che gli avrebbe dedicato ma allo stesso tempo di comunicare il messaggio.

“Okay, come vuoi amico. Alla prossima.”

Alla prossima?

Alzò un sopracciglio e si voltò verso l’autobus, giusto in tempo per vedere lo sportello richiudersi e sentire poche parole prima che il mezzo ripartisse a tutta velocità, per andar a raccogliere qualche altro mago bisognoso di passaggio.

“Dai Ern, riparti! Niente qui!”

“Va bene!” le voce squillante dell’autista fu seguita da una risatina e da un ululato che accompagnò la partenza del bus.

Una manciata di secondi dopo la strada era nuovamente avvolta dal silenzio del caldo e deserto primo pomeriggio.

Era la seconda volta che il Nottetempo appariva dal nulla per “offrirgli un passaggio” ed era la seconda volta che lui rifiutava. Le esperienze raccontategli da alcuni dei suoi compagni che l’avevano preso, di tanto in tanto, erano disastrose. E per quel poco che l’aveva potuto osservare, capiva bene anche il perché.

Quello non era un mezzo che si addiceva ad una persona come lui.

Era per i poveracci, così gli avevano sempre detto. Era per chi non possedeva scope, Polvere Volante, per chi non sapeva incantare una Passaporta, per chi non era in grado di Smaterializzarsi, per chi non possedeva nulla, o quasi. Per chi insomma, a conti fatti, era proprio come lui in quel momento…

Il Nottetempo era infine un mezzo d’emergenza, e lui era eccome in una situazione d’emergenza! ma mai si sarebbe affidato alla guida folle di Ernie Urto o avrebbe posato dito su quei materassi sudici. E poi, anche se fosse salito, che avrebbe detto?

“Un passaggio per non so dove?” “Inizia a camminare e non fermarti più?”

Entrò nel pub dall’aria dimessa che aveva di fronte, il Paiolo Magico, e grazie alla penombra caratteristica del posto passò inosservato tra fiumi di Burrobirra, fumo e tavoli dove la gente sedeva e chiacchierava. Eppure, c’era troppo trambusto per poter ascoltare qualcosa di comprensibile.

Giunse presso il passaggio per accedere a Diagon Alley, spostò qualche pietra e un varco si aprì autonomamente davanti ai suoi occhi.

Quando finalmente fu nella grande strada tanto famigliare sospirò nuovamente e, per quanto non gli piacesse l’idea di indossare il mantello anche a giugno, dovette coprire il capo e parte del viso con il cappuccio quando vide in lontananza un gruppo di persone arrivare.

La prudenza non era mai troppa e sebbene fosse cosciente che così avrebbe solo attirato qualche sguardo in più del dovuto, non poteva rischiare di essere eventualmente riconosciuto. Non che fosse stata posta una taglia sulla sua testa con foto stampate su cartelloni e annunci, per strade e giornali, ma la notizia della morte di Albus Silente si era diffusa rapidamente e, se il suo nome era venuto fuori, con tutte le probabilità del caso, allora non doveva trascurare nulla. Nemmeno il più piccolo dettaglio.

“E’ incredibile, non può essere vero! Albus Silente era tra i più grandi maghi di tutti i tempi, l’unico capace di tener testa a Colui Che Non Deve Essere Nominato!”

“E’ vero, ma è così. Oggi ad Hogwarts si terranno i funerali.”

“E’ ora? Ora come si regolerà il Ministero?”

“Il Ministero e Albus Silente non erano in buoni rapporti già da tempo…”

“Io non mi sento sicuro, la situazione è sfuggita di mano. E’ ovvio che nemmeno il Ministero sa più come gestire la cosa! Chi è stato ad ucciderlo? almeno questo si sa? Come ci son riusciti?”

Le voci dei quattro uomini erano basse, agitate. Avvertì i loro occhi su di lui, riuscì a sentire le loro parole ma non udì risposta alla domanda che più gli interessava. Con la coda dell’occhio vide uno degli uomini scuotere la testa e dire una sola parola, poco importante, troppo generica.

“Mangiamorte”.

Draco continuò a camminare assorto nei suoi pensieri per una Diagon Alley deserta e tuttavia pericolosa per lui, perché (sebbene non fosse la loro prima preoccupazione) era certo che lo stessero cercando.

Gli uni e gli altri. Il Signore Oscuro e l’Ordine della Fenice.

Aveva fatto torto ad entrambe le parti e ora era nel mezzo senza saper cosa fare. Solo, senza la protezione e l’appoggio di nessuno.

La missione era stata portata a termine, ma non era stato lui a farlo.

Silente gli aveva offerto la possibilità di salvarsi, di essere protetto, di passare dalla loro parte, ma aveva fatto in modo che venisse ucciso.

Così era fuggito, fuggito da tutti. Quella notte che sembrava già così lontana, ma che in realtà aveva avuto luogo solo qualche ora prima, con i Mangiamorte che si smaterializzavano una volta sorpassati i cancelli di Hogwarts, con Piton che ancora combatteva con Potter.

Quella notte lui era fuggito.

Aveva semplicemente continuato a correre. Non aveva eseguito gli ordini, ancora una volta, e non era rientrato alla base.

Non voleva incontrare il Signore Oscuro perché nel migliore dei casi l’avrebbe torturato e nel peggiore, dopo averlo fatto, l’avrebbe ucciso.

Era arrivato sino alle porte del villaggio di Hogsmeade senza fare una pausa e lì, solo lì, si era Smaterializzato apparendo poi nella città di Londra.

Il primo posto, il più lontano possibile, che gli era venuto in mente.

Aveva bisogno di fuggire. Era stato questo il suo pensiero, tra mille sensazioni, e gli era balzato letteralmente il cuore in gola quando una grande luce lo aveva illuminato, mentre veniva travolto da un rumore fracassante accompagnato ad un fastidioso fischio.

Aveva pensato al peggio. Ai Mangiamorte, al Signore Oscuro, a Potter… e invece, era solo quel patetico autobus.

“Stan Picchetto, buon sera. Benvenuti sul Nottetempo.”

Storse il naso ripensando all’assurdità di quella situazione, alla paura provata e a quello che l’aveva scatenata.

In realtà aveva un motivo molto più serio delle varie critiche alla guida, alla pulizia e a quant’altro per non salire sul Nottetempo. Stan Picchetto era stato accusato di collaborazione con i Mangiamorte e, benché lui non avesse mai saputo nulla del genere e fosse stato il primo a ridere della cosa, niente era da dare per scontato.

Assorto in tali pensieri non seppe quanto camminò, ma si fermò quando vide ciò per cui effettivamente aveva fatto ritorno nel Mondo Magico.

Benché l’edicola fosse ormai chiusa le prime pagine dei vari giornali, con le rispettive notizie e titoli, erano ancora affisse ai grandi pannelli in legno.

Era importante capire cosa la gente sapesse, in modo da proteggersi e architettare una quanto più sicura copertura.

“Marchio Nero sulla torre di Hogwarts.”

“I Mangiamorte penetrano nella scuola inespugnabile, Albus Silente muore nel tentativo di proteggere la scuola.”

Più o meno i titoli dei giornali erano tutti gli stessi e le notizie erano molto generiche. Parlavano di Mangiamorte penetrati della scuola, eludendo il sistema di sicurezza preparato dallo stesso Silente, di complici all’interno della scuola ( nel corpo insegnanti), della battaglia, dei feriti ecc… ma i nomi non erano ancora noti. O per lo meno non lo erano alla maggior parte della popolazione magica, ma temeva purtroppo che il Ministero sapesse, oltre all’Ordine ovviamente.

Il vento di quel pomeriggio smuoveva i fogli debolmente fissati e uno di essi si staccò definitivamente dal legno di un pannello andando a rotolare sulla strada.

Arrivò ai suoi piedi, Draco si piegò a raccoglierlo e dopo avergli dato un ultimo sguardo lo accartocciò in una mano.

C’era silenzio, solo il rumore del vento si udiva, ma il silenzio era ingannevole e se ne era accorto troppo tardi.

Restò immobile, mentre l’agitazione cresceva in lui portando con sé il panico, e se prima le sue potevano essere solo sensazioni, si rese conto di non essere davvero più al sicuro quando udì un chiaro rumore di passi.

Meglio, solo uno. Un passo, volutamente forte e udibile.

Serrò inconsapevolmente la mascella, strinse la mano attorno al legno della bacchetta che aveva ancora sotto il mantello e guardò con la coda dell’occhio prima a destra e poi a sinistra.

Vuota, la strada era incontestabilmente svuotata da ogni forma di vita, ma la sua non era immaginazione, e sapeva che era lì. Qualcuno era lì per lui.

Mosse qualche passo con calma ostentata ed inesistente e al primo vero segnale che qualcuno gli era dietro, si concentrò solo su tre cose. Destinazione, Determinazione, Decisione.

Fu spiacevole, forse perchè ancora non aveva l’abitudine, la disinvoltura nell’essere schiacciato e risucchiato da tubi invisibili, ma quando riaprì gli occhi era in uno dei tanti luoghi della Londra Babbana.

Si guardò attorno, timoroso di ricevere accoglienza non tanto dai Mangiamorte ma quanto dai funzionari del Ministero. Non era un ingenuo ed era consapevole che le vie di Materializzazione erano tenute sottocontrollo e soprattutto era consapevole che, per poter usare questo tipo di spostamento, bisognava aver sostenuto l’esame. Esame che lui, per forza di cose, pur avendo compiuto diciassette anni da qualche giorno, non aveva mai fatto.

Si allontanò rapidamente dal luogo in cui si era materializzato e ricominciò a camminare a caso tra le tante vie. Non aveva mai fatto tanta strada a piedi in vita sua.

Volteggiando la bacchetta in aria fece apparire una mela, che subito dopo addentò con una certa foga, e ringraziò Merlino di non aver avuto grane anche con il Ministero.

Passò il resto della giornata ad evitare figure sospette, a cambiare strada, a tenersi lontano dai pericoli e a trovare di tanto in tanto dei posti dove potersi sedere e riposare, finché non arrivò sera.

Non aveva con sé soldi Babbani per poter pagare una camera e passare la notte al Paiolo Magico era da escludersi.

Si guardò attorno, guardò il marciapiede e l’asfalto e si chiese se era quella la vita che avrebbe fatto da quel momento in poi. Vagare tra le periferie e nascondersi tra le fogne.

In quelle lunghe ore, di quella giornata che sembrava interminabile, più volte si era sorpreso a pensare se non fosse meglio che qualcuno lo trovasse.

Più che altro, in verità, desiderava che qualcuno lo aiutasse.

Facendo tali pensieri provava quel pizzico di vergogna che gli coloriva le guance, che gli portava agli occhi la figura di suo padre da sempre presa come modello.

Austero, indifferente da rasentare l’apatia, forte. O almeno così sembrava…

Davvero non riusciva nemmeno a passare una giornata fuori dalla sua casa, dal suo mondo ovattato dove per tutti quegli anni era vissuto?

In realtà il suo mondo aveva iniziato a mostrare piccole ma significative crepe al quinto anno di scuola, dopo l’arresto di suo padre. Poi, in quell’anno che si era appena lasciato alle spalle, era definitivamente crollato.

Appoggiandosi al muro ripensò a quello che era successo, ormai, esattamente ventiquattro ore prima. Ripensò a sua madre, a suo padre; alla fine che avrebbero fatto, a dove in quel momento potessero essere e a cosa stessero facendo.

Ormai era tutto perduto, la prima volta che aveva lottato per qualcosa aveva perso.

Pensò anche a Piton, davvero aveva fatto tutto quello per rubargli la gloria?

Aveva ucciso Silente. Per tutti quegli anni aveva ingannato il vecchio e si era dimostrato un fedele seguace del Signore Oscuro, ma era davvero così?

Non sapeva perché, ma sentiva che qualcosa non andava.

“Severus… ti prego…”

Il comportamento di Albus Silente, uno tra i più grandi maghi di tutti tempi, l’unico a far temere persino al Signore Oscuro, non andava.

Non seppe come, pensando e ripensando, vedendo e rivivendo scene e situazioni, scivolò sempre più in giù, finendo per accovacciarsi ai piedi del muro sporco e spoglio, chiudendo gli occhi.

Si svegliò qualche ora più tardi, alzandosi dolorante per la posizione scomoda in cui si era addormentato e prendendo piano piano coscienza del luogo e delle situazione in cui si trovava.

Si passò un paio di volte le mani sugli occhi e sul viso e quando poi, sbadigliando, portò queste nelle tasche strinse qualcosa di inaspettato.

Portò fuori dalla tasca del suo mantello una pallottola di carta e si ricordò di averla presa a Diagon Alley il pomeriggio precedente e che, probabilmente, non pensandoci l’aveva messa in tasca.

Aprì la pagina di giornale e si ritrovò a leggere ancora una volta le stesse, monotone parole. Tuttavia successe qualcosa che non si aspettava, perché queste dopo qualche secondo cambiarono. Le lettere si ribaltarono, girarono, si confusero tra di loro e ne uscì così una nuova scritta, un nuovo avviso.

Le nuove Passaporte collaudate dal Ministero della Magia posizionate nella Londra Babbana.

Discarica comunale zona Nord: scatolette in alluminio Tonno BuonGusto attive dalle 10 alle 12 e dalle 15 alle 17. Destinazione Diagon Alley.

Il “Bazar di Louis”, via delle Termopili zona Sud: teiere in ottone ( scaffale sul retro) attive dalle 8:30 alle 13 e dalle 16:30 alle 20. Destinazione Ministero della Magia.

Il Parco Comunale, centro della città: Salice Piangente (foglie), attiva sempre. Destinazione a caso.

Non proseguì la lettura e si soffermò invece su quell’ultima Passaporta.

Si accigliò per qualche istante. Ma in fondo per lui non ci sarebbe stato nulla di più adatto.

Arrivare al parco fu facile, individuare il secolare Salice Piangente altrettanto. All’ombra di un albero osservò i maghi che, come lui, si avvicinavano con circospezione alla Passaporta.

Nuovamente si coprì il viso col mantello e, solo dopo aver iniziato a camminare, si accorse di uno sguardo insistente su di lui. Era una donna, una strega lì come altre. Non la conosceva, tuttavia aveva la sensazione di averla già vista da qualche parte.

Con indifferenza si apprestò alla Passaporta; la donna si posizionò esattamente di fronte a lui cercando di scrutare bene il suo viso, di vedere i suoi occhi sfuggenti.

Quando entrambi sfiorarono le foglie sottili e allungate dell’albero, assieme ad altre tre quattro persone, un strappo violentissimo al livello dell’ombellico li trascinò via come in un vortice indomabile. Infine tutto terminò in una piccola villetta fatta di aiuole e panchine in un luogo sconosciuto.

Il trambusto del viaggio fece sì che il suo cappuccio cadesse all’indietro, barcollò leggermente quando fu cosciente di avere nuovamente i piedi sul terreno e fece appena in tempo a schivare una mano lanciata in avanti.

Era quella donna. La guardò di nuovo e in un attimo si ricordò di lei e del suo cognome.

Tonks. Figlia di una traditrice del suo sangue e di un Babbano, era ad Hogwarts quella notte.

Velocemente si voltò e iniziò a correre, mentre la donna ancora si faceva strada tra la piccola folla di persone che con loro erano appena giunti in quel luogo.

“Aspetta!”

Quando fu sicuro di aver fatto perdere le proprie tracce e di essere nuovamente solo si fermò e, leggermente piegato in avanti, riprese fiato.

Un membro dell’Ordine.

Era stato fortunato a poter scappare, ma aveva corso un grande rischio. Nemmeno in quel posto sconosciuto era dunque al sicuro.

Eppure, come un piccolo spillo che premeva leggermente sul suo cuore, così una sensazione: quella di essere fuggito ancora una volta da, non proprio una mano tesa, ma almeno dalla sicurezza di un appiglio di salvezza, lo infastidiva languidamente. Si muoveva sinuosa come un serpente nella sua mente facendogli fare strani e inconcepibili pensieri.

Già una volta aveva quasi ceduto e, forse, se lo avesse fatto per davvero, e per tempo, a quell’ora non sarebbe stato affaticato da un’altra forsennata fuga.

Una volta che il respiro fu tornato regolare si guardò attorno.

Si trovava in un posto collinare, il verde scuro delle pinete e delle vaste distese dei boschi spuntava un po’ dappertutto in quel paesaggio che aveva qualcosa di mistico. Le case sembravano quasi ammassate le une sulle altre e formavano lunghi serpentoni che seguivano la morbide curve dei rilievi, giungendo poi sino al mare.

Era rilassante osservare il tutto in silenzio. La visione del mare calmo nelle prime ore del mattino gli donava un senso di pace e si concesse di restare lì fermo ancora qualche minuto, soprattutto perché non aveva la minima idea di cosa avrebbe fatto dopo.

Mosse qualche passo inoltrandosi ulteriormente in quello che senza dubbio era il porto della città e potè notare che la vita, in quel piccolo centro marittimo, era già iniziata, probabilmente qualche ora prima assieme al sorgere del sole.

Si sedette su di un muretto, accanto ad una costruzione Babbana che riprendeva molto le sembianze di una capanna e di cui ignorava l’utilizzo (sebbene più di una volta ultimamente avesse incontrato un fabbricato simile).

Non era molto vicino al mare, avrebbe dovuto attraversare la strada asfaltata e deserta che era di fronte a lui e tutta la piazza portuale per arrivarci, ma da lì poteva respirarne lo stesso a pieni polmoni l’odore e averne una visuale completa.

Peccato che quell’incanto durò poco perché d’improvviso si materializzò davanti ai suoi occhi un monumentale, viola splendente, conosciutissimo autobus.

Sgranò leggermente gli occhi e sbuffò sonoramente, chiedendosi se non fosse una persecuzione quel continuo incontrarsi.

La porta del bus si aprì e da essa si affacciò un leggermente assonnato Stan Picchetto che, appena aperta bocca per recitare la consueta formula di benvenuto, dovette richiuderla palesando la sua perplessità.

Restarono per qualche secondo a fissarsi, poi Draco sbuffando ancora una volta saltò giù dal muretto sul quale era seduto.

“Ciao! Ci si rivede, eh?”

“Già. Sapessi come fare per evitarlo, lo farei.”

“Be’… Magari intanto potresti tenerti alla larga dalle fermate degli autobus!” rispose il bigliettaio con un tono d’ilarità, finendo poi per scoppiargli a ridere sguainatamente in faccia quando vide la sua espressione stupita nel fissare la pensilina da lui stesso indicatagli.

Draco distolse lo sguardo dalla costruzione sconosciuta, o quella che per lo meno lo era stata sino a quel momento, e roteò gli occhi al cielo.

“Che faccia scura! E poi perché te ne vai in giro sempre con quel mantello nero? Qualcuno potrebbe scambiarti per un Mangiamorte!” continuò il ragazzo di fronte a lui, ridendo alle proprie parole.

“Ah no!” disse poi agitando una mano in avanti e assumendo un tono serio.

“Se sei uno di loro stammi alla larga, ho già avuto abbastanza grane! No, no. Io non ho nulla a che fare con i Mangiamorte! Sono passato ad altro…” concluse con un sorriso d’orgoglio.

Draco non rispose, ma squadrando il suo interlocutore ancora una volta dalla testa ai piedi, si rese conto che era davvero un’idea assurda pensare che Stan Picchietto avesse mai avuto a che fare con l’Oscuro Signore e i suoi seguaci.

“Più che altro diciamo che ho fatto un buon barattaggio… Mi chiedono favori, io che vedo tanta gente, e se…”

Stan Picchetto continuava a farfugliare parole che apparvero a Draco sconnesse e perse in ragionamenti tutti privati tra Stan e la sua coscienza. A un tratto il ragazzo sembrò risvegliarsi e ammutolirsi.

Occhieggiò verso di lui, probabilmente per capire se avesse ascoltato il suo discorso, se avesse udito qualcosa di troppo, ma Draco, avendo fatto qualche passo in avanti, era ritornato ad ammirare il paesaggio.

“Come si chiama questo posto?”

“Hastings!”

Hastings, non era andato poi molto lontano.

“ Allora, sali?”

Alzò impercettibilmente il viso e lanciò uno sguardo veloce al mezzo.

“Dove va?” chiese incerto.

“Oh dove vuoi!”

“Andiamo bene…” sussurrò.

“O se non vuoi… anche dove non vuoi!”

Rimase leggermente perplesso da tale risposta ma, decidendo che non aveva nulla da perdere, salì il primo scalino del Nottetempo, mentre Stan Picchetto si ritirava all’interno del veicolo con un gran sorriso.

Era da molto che nessuno non gli rivolgeva più un sorriso. Forse quell’assurdo autobus e quel suo altrettanto assurdo bigliettaio lo allettavano ancora di più di quanto non volesse ammettere.

Forse lo allettava l’idea di avere qualcuno con cui parlare, un posto dove ripararsi, sebbene si muovesse su ruote e fosse di un poco rispettabile color prugna.

Appoggiò la mano sulla lamina viola per sostenersi nella salita, e quella fu una cosa che non avrebbe decisamente dovuto fare.

“Attento!”

Ma l’avviso del bigliettaio arrivò tardi.

“E’ stato appena riverniciato…”

Guardò con rabbia e poi con rassegnazione il palmo della sua mano ormai interamente viola, mentre un intenso odore di vernice fresca gli invase le narici.

“Guarda qua!”

Si voltò verso Stan Picchetto che indicava rammaricato e al contempo divertito lo stampo di una mano, della sua mano, sulla carrozzeria esterna del Nottetempo.

“Hai lasciato il segno, amico!”

Gli diede una pacca sulla spalla e poi, una volta che lo sportello si fu richiuso, diede ordine ad Ernie Urto di ripartire per una destinazione ancora da definire.

“Il segno”.

Lo stampo di una mano sulla carrozzeria di un autobus, quello era tutto ciò che era riuscito a far rimanere di sé nella sua vita?

Se qualcuno avesse osservato quell’impronta avrebbe pensato ad un’altra bislaccheria del Nottetempo.

Chissà se mai qualcuno avrebbe capito che era molto di più.

L’appoggio di un fuggitivo, di una persona stanca, di una richiesta d’aiuto.

“Non hai proprio idea di dove vorresti andare?”

Draco si abbandonò su di un simpatico divanetto per metà rivestito a fiori e per metà a quadri, mentre Stan gli si parò di fronte.

“In un posto in cui essere al sicuro…” borbottò più a se stesso che con l’intenzione di dare una risposta.

“Be’ io un’idea ce l'avrei…”

Anche Stan Picchetto parlò piano, sussurrando quelle parole a cui Draco non diede importanza, mentre con una certa felicità mal trattenuta si dirigeva a gran passo verso Ernie Urto, per dare poi qualche vaga indicazione che faceva riferimento ad un numero dodici.

Quando, dopo qualche minuto, l’autobus si fermò, Draco alzò lo sguardo e rimase esterrefatto a guardare un’imponente casa sgomitare per apparire tra altre, un cancello aprirsi con un leggero cigolio e la porta socchiudersi appena.

“Ecco a te.”

Picchetto si appoggiò con la schiena ad una sedia, incrociò la braccia, piegò con fare spavaldo una gamba davanti all’altra e sorrise scocchiando la lingua. Guardò prima lui, che restava immobile e a bocca leggermente aperta, e poi la casa appena emersa.

“Il Nottetempo spera di aver soddisfatto le vostre richieste e di aver reso un buon servizio alla comunità magica. Fiduciosi che per i prossimi viaggi sceglierete il nostro mezzo, vi salutiamo.”

  
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