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Autore: Beapot    14/02/2013    5 recensioni
Dal testo: "A mia figlia poi avrei spiegato la storia sui matrimoni combinati, su come fosse più bello e più facile, su come fosse giusto e affatto pericoloso sposarsi con qualcuno che ti conosce da sempre e rispetta te e la tua famiglia, qualcuno che beve Whisky con tuo padre e regala fiori profumatissimi a tua madre. Avrei raccontato tutto questo a mia figlia, perché questo è quello che era stato raccontato a me e quello a cui avevo imparato a credere, e forse si sarebbe convinta anche lei come mi ero convinta io, e allora la storia si sarebbe ripetuta sempre uguale, nell'orrenda monotonia che l'ha accompagnata in tutti questi anni, ancora e ancora; avrei raccontato tutto questo a mia figlia, e le avrei sorriso aiutandola a pettinare la sua bambola.
Sì, le probabilità dicevano che lo avrei fatto al novantanove percento, eppure un giorno, a dispetto di tutto, quel minuscolo e insignificante uno è stato più forte"
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Pansy Parkinson | Coppie: Draco/Pansy
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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Promessi


Eravamo Promessi, io e Draco.
Un giorno i nostri padri hanno scambiato qualche parola davanti a un bicchiere di Ogden Stravecchio e si sono stretti la mano, decidendo del nostro futuro come si decide cosa mettere sulla lista della spesa prima di uscire - ma in fondo in che altro modo avrebbero potuto farlo, loro che la differenza con la lista della spesa non potevano vederla, perché non ne avevano mai compilata una?
Gli accordi prematrimoniali erano una cosa normale tra gente come noi, tra maghi che avevano un sacchetto di Galeoni in tasca sempre e comunque, da lasciar scivolare tra le mani di qualcuno che conta di più o da poter gettare con sdegno a un poveraccio qualunque, che ad anni dalla fine della Guerra Magica ancora non è riuscito ad alzarsi dall'angolo della strada in cui, sempre gente come noi, l'ha fatto finire.
Gli accordi prematrimoniali erano un modo per duplicare, triplicare, quadruplicare il patrimonio di quelle che erano le famiglie più ricche e potenti, un modo per preservare la purezza del sangue e un modo per i padri di evitare che i figli commettessero qualche terribile idiozia e decidessero di lasciare l'ovile, portando con sé baracca e burattini e cancellando il nome della famiglia dalla lista di quelli a cui il rispetto deve essere dato per abitudine, invece che per merito.
Gli accordi prematrimoniali erano un sacco di cose subdole e meschine, a dirla tutta, ma quando a dieci anni mia mamma era entrata nella mia cameretta e mi aveva spiegato come funzionavano era stata talmente convincente che mi era sembrata la cosa più normale del mondo; così avevo sorriso ed ero tornata ad acconciare i capelli della mia bambola preferita, fantasticando sul giorno in cui avrei acconciato allo stesso modo quelli di mia figlia. A lei poi avrei spiegato la storia sui matrimoni combinati, su come fosse più bello e più facile, su come fosse giusto e affatto pericoloso sposarsi con qualcuno che ti conosce da sempre e rispetta te e la tua famiglia, qualcuno che beve Whisky con tuo padre e regala fiori profumatissimi a tua madre. Avrei raccontato tutto questo a mia figlia, perché questo è quello che era stato raccontato a me e quello a cui avevo imparato a credere, e forse si sarebbe convinta anche lei come mi ero convinta io, e allora la storia si sarebbe ripetuta sempre uguale, nell'orrenda monotonia che l'ha accompagnata in tutti questi anni, ancora e ancora; avrei raccontato tutto questo a mia figlia, e le avrei sorriso aiutandola a pettinare la sua bambola.
Sì, le probabilità dicevano che lo avrei fatto al novantanove percento, eppure un giorno, a dispetto di tutto, quel minuscolo e insignificante uno è stato più forte: si è fatto strada tra le mie certezze e si è trasformato prima in curiosità, poi in dubbio, e infine in diffidenza, e mi ha fatto capire che io non avrei raccontato proprio nessuna di quelle cose a mia figlia, e che anzi avrei immediatamente smesso di credere alle parole di mia mamma se lei non fosse stata sincera con me.

Ovviamente lei sincera non lo è stata, e quando le ho chiesto cosa le assicurasse ancora che papà non stesse solamente sfruttando le sue tenute in Galles e il suo buon nome per riportare in alto quello dei Parkinson - che era stato più volte sul punto di finire in fondo alla famosa lista del rispetto dei Grandi - ha forzato un sorriso privo di felicità prima di voltarmi le spalle e invitarmi, nemmeno troppo garbatamente, a tornare in camera mia e a giocare con le dannatissime bambole che io avevo messo nel baule dei ricordi già da qualche anno, ormai.
È stato in quel momento, nell'estate dei miei quattordici anni, che quell'uno percento mi ha messo davanti all'infelicità e all'ipocrisia di mia madre, ed è stato sempre allora che per una grottesca coincidenza sono passata davanti alla porta socchiusa dello studio di mio padre e ho visto lui e Lucius Malfoy mettere la firma in fondo alla pergamena che compilavano da anni. Sono stati sufficienti quei pochi minuti - quelli trascorsi con mia madre e gli altri passati a trattenere il fiato fuori dalla stanza in cui si decideva ogni dettaglio della mia futura vita coniugale - a farmi capire che avrei dovuto fare di tutto per mantenermi in equilibrio tra l'esistenza facile e falsa che mi proponeva la mia famiglia, e la vita vera che avevo immaginato da piccola, con un uomo affascinante al mio fianco che mi permettesse di inseguire i miei sogni.

Sarebbe stato difficile, lo sapevo fin da subito, perché ribellarmi al volere dei miei genitori avrebbe significato farmi cacciare di casa - e a quattordici anni una ragazzina diseredata non sopravvive da sola lontano da casa - ma allo stesso tempo assecondarli mi avrebbe portato ogni giorno più lontano dalla persona che sarei voluta essere, facendomi diventare solo un'altra donna dal cognome importante e con una manciata di proprietà da mettere in mano al miglior offerente.

Sarebbe stato difficile, e un po' avevo paura davvero di avere le mani legate, ma ero una Serpeverde e le mie labbra si erano stirate in un sorriso beffardo mentre ricordavo a me stessa che se c'era qualcosa che avevo imparato in quegli anni di scuola, era che sarei sempre riuscita a ottenere ciò che desideravo.

 

*

 

Quarto anno, 1994

Eravamo Promessi, io e Draco.
Per questo, per quanto io avessi cercato di non pensarci per tutto il resto dell'estate e per i primi mesi di scuola, quando il 19 dicembre del 1994 mi ha invitato al Ballo del Ceppo non sono comunque riuscita a meravigliarmene.
Ho accettato il suo invito perché sapevo che era quello che dovevo fare, perché sapevo che non potevo ancora commettere passi falsi e che fare buon viso a cattivo gioco era tutto ciò che mi era concesso. Ho accettato il suo invito e sapevo che sarebbe arrivato, così non ho nemmeno avuto il tempo e la voglia di fantasticare con le mie amiche sul bel ragazzo di turno con cui avremmo voluto ballare quella sera, non mi sono lisciata il vestito sui fianchi osservando il mio riflesso allo specchio con occhio critico chiedendomi se sarebbe piaciuto al mio cavaliere - perché era il mio cavaliere a non piacere a me, e ogni emozione che avrei dovuto provare in quel momento era semplicemente svanita, nascosta sotto il rumore delle piume che mesi prima avevano grattato la pergamena, e io non ero altro che un corpo vuoto mosso da fili invisibili e ancora troppo spessi perché potessi riuscire a tagliarli da sola.
Non avevo provato nessuna emozione, quindi, eppure incredibilmente mi ricordo quasi ogni dettaglio di quella serata. Ero entrata nella Sala Comune con quel portamento fiero che era tanto caro a mia madre, con lo sguardo vuoto e il volto contratto nella migliore espressione di indifferenza che riuscissi a mantenere, e avevo posato la mano sul suo braccio aspettando che mi guidasse verso l'uscita.
Draco mi aveva guardato per un attimo con un'espressione stupita, nei suoi occhi era passato un lampo di qualcosa che non ero riuscita a definire - forse semplice sorpresa, forse qualche strano orgoglio o soddisfazione - poi aveva continuato a camminare come se niente fosse.
Abbiamo ballato diverse canzoni - più di quanto abbiano fatto i nostri compagni, comunque - e ogni tanto rivedevo il suo sguardo cambiare per un istante mentre mi posava una mano alla base della schiena e stringeva la mia con l'altra. Sapeva ballare bene, Draco, ma la cosa non mi aveva minimamente sorpreso: l'eleganza dei suoi gesti era il risultato delle stesse lezioni che erano state impartite a me fin da bambina, e poco importava se il nostro primo ballo era stato quello organizzato dalla scuola, perché entrambi volevamo dare il meglio di noi - io per essere impeccabile nella mia finzione, lui per motivi che non mi interessava conoscere, ma che forse si avvicinavano ai miei.

 

È stato solo qualche settimana più tardi, quando la neve continuava a resistere solo in piccoli mucchietti vicino alla Foresta e sulle sponde più ombrose del Lago, che l'ho sentito parlare con Blaise e ho scoperto che non sapeva niente dell'accordo preso dai nostri padri. All'inizio non ho saputo spiegarmi perché quella rivelazione mi avesse fatto mancare il fiato, ma dopo, nascosta dalle tende del baldacchino del letto del dormitorio, persino i commenti delle mie compagne hanno assunto un altro significato. Mi sono tornate in mente le parole invidiose di Millicent e Daphne, che dalla sera del Ballo del Ceppo avevano continuato a ripetermi quanto fossi fortunata ad aver ricevuto le attenzioni di uno come Draco.
Non è certo il più bello del nostro anno, ma devi ammettere che è affascinante.” avevano detto una volta, osservandolo di nascosto mentre si lisciava la divisa da Quidditch prima di una partita. Io avevo annuito distrattamente, inibendo come sempre ogni tipo di emozione e stringendo i denti per non urlare a tutti che sì, Draco poteva essere anche un ragazzo affascinante - per quanto affascinanti si potesse essere a quattordici anni, con i lineamenti ancora indecisi se assumere un profilo adulto o mantenere quello infantile - ma quando già sai che ti è preclusa ogni possibilità di scelta il fascino non ha più alcun valore, e il corteggiamento e gli sguardi lanciati oltre i libri perdono ogni significato. Non potevo dir loro che Draco mi aveva scelto perché era stato obbligato a farlo, così ero stata costretta ad assecondare i loro commenti e a sprofondare da sola con la mia zavorra personale.
Eppure, dopo la rivelazione di quel pomeriggio, mi ero resa conto che forse potevo essere come qualsiasi altra ragazza e lusingarmi un po' per quelle che, allora, erano state attenzioni sincere e libere da ogni vincolo burocratico.

 

Così avevo iniziato ad arrossire e a sorridere un po' di più, avevo lasciato che un suo invito a Hogsmeade - per quanto distaccato volesse farlo apparire - mi emozionasse, e avevo risposto al suo bacio in una giornata di primavera.
I commenti delle mie amiche si erano fatti più rari, col passare del tempo, e ormai consideravano normale e inevitabile che le dita di Draco sfiorassero le mie, di tanto in tanto; lo stupore e la meraviglia per la novità si erano dissolti, il pettegolezzo si era fatto sempre meno interessante, e con quello si era spenta anche l'ultima punta di invidia che non erano riuscite a non provare nei miei confronti. Sembrava essere tornato tutto alla normalità nella Sala Comune, e tutti gli studenti erano impegnati a discutere e scommettere sulla terza e ultima prova del Torneo Tremaghi, mentre io mi chiedevo se fosse giusto continuare a nascondere a Draco la verità. Lo guardavo mentre continuava a commentare malignamente su Potter, rigirandosi tra le mani una di quelle spillette che aveva incantato per deriderlo, e provavo quasi un senso di protezione nei confronti di quel ragazzino a cui avevo imparato ad affezionarmi in quei mesi. Non avrei potuto dirgli la verità, non avrei voluto trascinarlo con me sotto il peso del futuro già scritto che ci attendeva.
Era stato difficile per me avvicinarmi a lui, ma poi la sua ingenuità e sincerità mi avevano convinto a lasciarmi andare, e io avevo commesso il terribile errore di innamorarmi di Draco Malfoy, il mio futuro marito, che si sarebbe abituato alla mia presenza fino al punto di non vedermi più, come accade coi vecchi e brutti soprammobili di famiglia che restano a prendere polvere in una delle troppe stanze sempre chiuse del Manor.

Cosa sarebbe successo se fosse venuto a sapere cosa ci aspettava una volta finita la scuola? Avrebbe smesso di preoccuparsi di potermi perdere e si sarebbe guardato intorno a cercare distrazioni da afferrare prima che il matrimonio lo legasse per sempre a me? Mi avrebbe dato per scontata, smettendo con le premure che mi riservava quando i suoi amici non guardavano? Oppure, semplicemente, si sarebbe sentito in trappola e mi avrebbe voltato le spalle, lasciandomi da sola ad aspettare che il tempo lo riportasse da me, prima o poi?
Erano queste le paure egoistiche che mi impedivano di affrontarlo perché, anche se continuavo a negarlo a me stessa, tenevo a lui e a quello che stavamo diventando, e lo sforzo che avevo fatto per non pensare al resto mi aveva quasi distrutto. Sapevo che, probabilmente, una volta tornati a casa suo padre lo avrebbe messo al corrente di tutto, spiegandogli ogni vantaggio che sarebbe derivato dalla nostra unione, e che lui si sarebbe convinto che sì, era la cosa giusta, allo stesso modo in cui me ne ero convinta io pochi anni prima. Alla luce di quello, la stessa parte egoistica di me che mi aveva spinto a tacere fino a quel momento insisteva nel convincermi che non potevo essere l'artefice della mia disfatta, così ho continuato a rimandare e a rimandare, in attesa del giorno in cui il mondo mi sarebbe crollato addosso.

 

Nel giugno del 1994 la conclusione dell'ultima prova del Torneo sconvolse tutti; uno studente - Diggory, il campione di Hogwarts appartenente a Tassorosso - era stato ucciso, e l'intera scuola era in lutto.
Nella nostra Sala Comune c'era qualche fanatico, tra gli studenti più grandi, che per la prima volta gongolava al pensiero che Potter avesse ragione, perché avrebbe significato che il Signore Oscuro stava sorgendo di nuovo, ma anche se nessuno sembrava averlo notato, tra i ghigni e le risate cupe che riempivano i sotterranei, alla luce verdastra delle lanterne quella notte Draco si era fatto più pallido del solito.
Una volta rimasti soli mi aveva confidato che aveva paura, che anche se continuava a mostrarsi spavaldo davanti agli altri temeva il ritorno del Signore Oscuro.
Quell'estate, alla Coppa del Mondo di Quidditch, si era spaventato come tutti a osservare quello che i Mangiamorte avevano fatto; il terrore sui volti della gente, le madri che urlavano in cerca dei propri figli, e il volto di suo padre nascosto sotto un cappuccio nero gli avevano mostrato quello che si era sempre rifiutato di immaginare quando ascoltava vecchi racconti sulla guerra e non riusciva a non pensare all'avambraccio marchiato di Lucius. Avevo sempre saputo che i Malfoy non erano innocenti come avevano sempre fatto credere - in fondo nessuna delle nostre famiglie poteva tirarsene davvero fuori - ma come gli altri cercavo di non pensarci quando stringevo la sua mano e lo guardavo negli occhi.
Cosa importava quello che avevano fatto le nostre famiglie, quello in cui avevano creduto o in cui continuavano a credere? Io non ero forse la prova vivente che la visione del mondo dei figli poteva distaccarsi da quella dei genitori? Avevo cercato di farglielo capire in ogni modo, avevo tentato di convincerlo che, per quanto potesse sembrare strano rispetto al modo in cui ci avevano educati, un cognome importante non è un'etichetta che definisce chi siamo, ma dicendo le cose per metà non ero riuscita a fargli aprire davvero gli occhi. Allora lui mi aveva rivolto un sorriso triste e mi aveva lasciato un bacio leggero sulle labbra, facendomi intendere che apprezzava i miei sforzi ma che non poteva permettersi di credere alle mie parole.
Quella sera, vedendolo andare via, ho capito per la prima volta perché la sincerità fosse tanto importante in un rapporto. Se fossi stata sincera con lui, se non fossi stata la ragazzina egoista che aveva paura di essere ferita, gli avrei raccontato ogni cosa e gli avrei promesso che avremmo affrontato insieme tutto quello che sarebbe venuto dopo.

Forse, se quella sera avessi messo da parte i miei timori, sarei anche riuscita a proteggerlo.

 

*

 

Quinto anno, 1995

 

Eravamo Promessi, io e Draco.
E anche se ancora non ce lo eravamo mai detti ero sicura che ormai lo sapesse anche lui.

L'inizio del nostro quinto anno era stato movimentato; durante l'estate non ci eravamo scritti quasi per niente, e il ritorno a scuola era stato contornato da chiacchiere e voci che tiravano a indovinare come si sarebbero sviluppati gli eventi. Entrambi eravamo stati nominati Prefetti, e se all'inizio avevo accolto la notizia con gioia, pensando che in quel modo avremmo avuto più tempo per noi, quando l'ho incontrato sull'Espresso per Hogwarts ho capito che c'era qualcosa che non andava. Per gli altri era il solito Draco, quello che guardava gli studenti delle altre Case con espressione schifata e ostentando superiorità; aveva cambiato atteggiamento solo nei miei confronti, evitando il mio sguardo e facendo come se non esistessi. Sapevo che sarebbe arrivato quel momento, quello del confronto con la verità, ma non mi ero immaginata che potesse accadere così, con l'indifferenza e il silenzio; Draco era sempre stato plateale in ogni cosa, amava le attenzioni in pubblico e amava giocare a fare la vittima per ottenerne di più, eppure improvvisamente era come se si fosse spento. Ricordo di essermi chiesta come fosse possibile per giorni, forse settimane, cercando la risposta nel suo sguardo sfuggente e in ogni dettaglio che avevo imparato a conoscere di lui. Cercavo di leggere i segni quelle rare volte che si rivolgeva a me con quel tono di indifferenza mal celata che però avvertivo solo io, e lui continuava a sfuggirmi.
Sarebbe stato perfetto per lui, un po' di dramma portato dalla precoce mancanza di onestà della sua futura sposa, un indice puntato contro di me con espressione addolorata e poi il solito ghigno che spuntava quando nessuno guardava più, per la soddisfazione di aver portato tutti dalla sua parte e aver guadagnato la loro compassione - quella stessa che avrebbe poi trasformato in reverenza con uno schiocco di dita al momento più opportuno, come solo lui sapeva fare.
Mi ero preparata a questa e altre mille umiliazioni, mi ero preparata a soffrire in silenzio cercando di evitare il suo sguardo sprezzante e a scappare dai commenti maligni dei compagni di Casa; mi ero preparata persino a vederlo rifugiarsi tra le braccia di Daphne, la mia ipocrita migliore amica che non vedeva l'ora di potergli dimostrare di essere migliore di me.

Avevo avuto mesi per prepararmi ad affrontare ogni cosa, ero sicura di aver calcolato ogni possibile variabile della sua reazione, ma non mi ero immaginata che il suo silenzio e la sua indifferenza potessero fare così male.
Tra i corridoi del Castello era sempre il solito, arrogante Draco; si prendeva gioco dei più piccoli e ostentava prepotentemente il distintivo che portava sul petto, facendolo presto affiancare da un altro altrettanto scintillante che rimarcava il suo appoggio al Ministero. Entrare nella Squadra di Inquisizione di Dolores Umbridge era stato l'ennesimo diversivo per impegnare le serate importunando Potter e i suoi amichetti, e come era prevedibile in pochi giorni aveva coinvolto nelle sue attività gran parte del nostro dormitorio. Non era cambiato per niente, Draco, ma senza poterlo guardare negli occhi non riuscivo a riconoscerlo.
Una sera, tornando dall'ennesima ronda silenziosa, presi coraggio e lo affrontai appena fuori dalla Sala Comune. Mi disse che aveva saputo tutto del matrimonio e che si era chiesto come sarebbero state le cose tra di noi, da quel momento in poi. Si era chiesto come avrebbe dovuto comportarsi con me e lo aveva chiesto a suo padre per paura di sbagliare e deluderlo, e Lucius gli aveva detto di mantenere la facciata e di non parlarmi di niente, ché le donne sono perfide e calcolatrici ed era troppo presto per tirare fuori questioni scomode.
Aveva atteso qualche istante in silenzio, nel buio dei sotterranei, e senza guardarmi negli occhi mi aveva detto che suo padre era tornato a militare in prima linea nei Mangiamorte e che lui aveva paura come non ne aveva mai avuta prima. Quando gli ho chiesto perché non me ne avesse parlato prima - se per vergogna o perché dopo quello che aveva saputo non si fidava più di me - aveva trovato il coraggio di alzare lo sguardo e di afferrarmi la mano, dicendo delle parole che ancora adesso ricordo con una stretta allo stomaco: “Avevo paura di perderti.”
Ecco, non è che sia proprio una frase unica e speciale, sicuramente mille altre persone l'hanno sentita e la sentiranno prima o poi, ma ascoltarla pronunciata dalla voce insicura di Draco è qualcosa che per il momento è capitato solo a me. In quelle parole c'era tutta la sua paura, la paura del mio giudizio e del fatto che potessi abbandonarlo, e non mi è mai sembrato tanto indifeso come in quel momento. Avrei voluto stringerlo e dirgli che non l'avrei lasciato mai, ripetergli che potevamo essere diversi dai nostri genitori e finalmente dirgli anche come io ci stessi provando da anni ormai, ma il silenzio che mi aveva riservato nell'ultimo periodo faceva ancora male e io avevo paura di espormi di nuovo.
“Siamo Promessi, Draco, pensavo che ormai fosse chiaro che anche volendo non potresti più perdermi.” avevo risposto con tutto il distacco che ero riuscita a trovare in quel momento. Le mie parole erano state fredde e indifferenti, un'accusa all'inutilità del suo timore, e lui non era riuscito a dire altro; il suo sguardo era triste e ferito, quasi rassegnato, e per un attimo pensai che anche lui volesse stare con me per qualcosa di più di un semplice contratto matrimoniale, ma non potevo averne la certezza. Mi ero sentita in colpa, però, così avevo azzardato un sorriso e gli avevo detto che se avesse avuto voglia di parlare con qualcuno io sarei stata felice di ascoltarlo, senza sputare sentenze sulla sua famiglia o giudicarlo un codardo per la paura che aveva del Signore Oscuro.

Nei giorni successivi non riprendemmo più il discorso, quasi ci fosse un tacito accordo tra noi, ma i sorrisi e gli sguardi che ci scambiavamo erano sinceri come i primi giorni dopo il Ballo del Ceppo; poche settimane dopo quella chiacchierata, finiti gli esami e le chiacchiere su quello che era successo alla McGranitt dopo l'aggressione di alcuni impiegati del Ministero, Draco venne a cercarmi nella Sala Comune e mi chiese di seguirlo fuori, in un luogo più appartato.
“Hanno arrestato mio padre.” aveva detto senza girarci intorno, e la paura che cercava di dissimulare in ogni momento della giornata davanti agli altri era tornata a scurirgli il volto.
“Non posso prometterti che andrà tutto bene, lo sai.” avevo detto, sfiorandogli il viso in una carezza. “Ma mi fido di te e so che riuscirai a fare la cosa giusta.”
E forse quello era davvero tutto ciò di cui aveva bisogno, perché aveva posato le labbra sulle mie e mi aveva baciata come mai aveva fatto prima, con un misto di speranza e gratitudine a cui io avevo paura di dare un significato.

 

*


Sesto anno, 1996


Eravamo Promessi, io e Draco.
E anche se prima dell'estate ci eravamo lasciati con la promessa di restare insieme nonostante la lontananza, le sue lettere non erano mai arrivate a casa mia.
All'inizio le avevo aspettate con pazienza, dicendomi che in fondo con tutti i problemi che aveva in famiglia il tempo per scrivermi doveva essere davvero poco; poi, dopo aver saputo che Villa Malfoy era diventata sede di ritrovo dei Mangiamorte, avevo iniziato a temere per lui. Avevo passato notti insonni pensando a lui e a quanto stesse soffrendo, ma quando lo rividi sull'Espresso per Hogwarts sembrava che non fosse cambiato niente. Mi aveva salutata come se fossero passati pochi giorni dal nostro ultimo incontro, e mi aveva seguito nel solito scompartimento con Blaise e gli altri. Durante il viaggio aveva fatto strani discorsi su Hogwarts e su quando la ritenesse solo una pallida imitazione di scuola in confronto a Durmstrang; aveva iniziato a parlare delle Arti Oscure con un interesse che mi aveva fatto rabbrividire, ma in mezzo agli altri avevo dovuto tacere e fingermi ammaliata dai suoi discorsi, continuando ad accarezzargli i capelli come se andasse tutto bene, in attesa di poterlo affrontare faccia a faccia.
“Si può sapere che ti è successo? Sei sparito per tutta l'estate.” lo avevo affrontato qualche giorno dopo, vedendo che non accennava ad alcun cambio di comportamento.
“Sono stato impegnato.” aveva svicolato. “Mi dispiace non aver risposto alle tue lettere.”
Quello era tutto ciò che riuscii a tirargli fuori in quell'occasione: una risposta vaga che non significava assolutamente niente e un dispiacere più o meno sincero che mi riguardava in modo diretto. Avevo capito che c'era dell'altro, forse questioni più serie e importanti di cui non era libero di parlare, ma non ho insistito oltre; ripetergli di contare su di me era superfluo, e non avevo alcuna intenzione di apparire come una ragazzina che pendeva dalle sue labbra, così avevo lasciato correre, sicura che prima o poi sarebbe stato lui a tornare da me.

 

E Draco tornò, qualche mese dopo nel cuore della notte, con le occhiaie a scurirgli il volto e la pelle ingrigita di chi ha perso il controllo della propria vita.
Mi aveva chiesto di salire con lui nel suo dormitorio, “Solo stavolta, per favore.” e io lo avevo seguito in punta di piedi senza pensarci nemmeno per un istante.
Avevo lasciato che si raggomitolasse addosso a me e lo avevo abbracciato, posando le labbra sui suoi capelli in un gesto quasi materno, e lo avevo sentito tremare per tutta la notte.
“Parlami.” lo avevo implorato la mattina successiva, dopo aver atteso che gli altri ragazzi lasciassero la stanza, ma lui aveva scosso la testa ed era uscito in fretta, senza darmi il tempo di trattenerlo.
Volevo aiutarlo, sapevo che tra tutti ero l'unica che potesse farlo, e non certo perché avessi un qualche istinto da crocerossina. Le nostre vite si erano intrecciate più velocemente di quello che avremmo potuto prevedere, e forse sarebbero rimaste così per sempre, ma entrambi volevamo qualcosa di più. Io desideravo inseguire la vita che avrei costruito da sola, liberandomi dalle imposizioni della mia famiglia, e lui voleva uscire dall'ombra con cui il suo cognome lo ricopriva fin da bambino; eravamo simili, e lo sapevamo da un pezzo. Aiutare lui sarebbe stato come aiutare me stessa, in un certo senso: liberare lui dal fardello del suo nome avrebbe significato dimostrare che smettere di percorrere una strada già tracciata era possibile, anche se contro le aspettative del mondo intero.
Con il tempo capii che quello da cui stava cercando di fuggire Draco era molto più del semplice dovere verso la famiglia, ma ormai era troppo tardi anche solo per riuscire a pensare a qualcosa che potesse farlo stare meglio. I suoi occhi gonfi di sonno e paura non mi erano sfuggiti in quei mesi, ma non avrei immaginato che potessero voler dire tanto. Draco sarebbe diventato un assassino contro la sua volontà, avrebbe dato inizio a una guerra solo per cercare di proteggere la sua famiglia, e lo avrebbe fatto senza dirmi niente. Arrivati a quel punto del nostro rapporto non credevo che lo stesse facendo per paura di un mio giudizio ma piuttosto, come mi confermò lui in seguito, mi aveva tenuto all'oscuro di tutto per mettermi al sicuro.

Stanne fuori, ti prego.” mi aveva implorato, quando dopo l'ennesimo 'incidente' a uno studente avevo cercato di capirlo un po' di più. Non era facile stare vicino a qualcuno che faceva di tutto per tenermi a distanza, ma ormai io non ero più in grado di fare altro: avevo bisogno di Draco, e avevo bisogno che lui avesse bisogno di me. Dovevo sentirmi importante, dovevo sentirmi qualcuno, e lui era l'unico per cui significassi davvero qualcosa.

Quella sera stessa Draco tornò da me e facemmo l'amore per la prima volta, impacciati e spaventati di tutto, senza sapere niente; quella sera, prima dell'attacco dei Mangiamorte al Castello, fu l'ultima volta che lo vidi prima che il mio mondo cadesse davvero a pezzi.

 

*

 

Settimo anno, 1997

 

Eravamo Promessi, io e Draco.
E una pergamena stracciata è stato tutto ciò che ho ricevuto da lui dopo la sera in cui ha lasciato la scuola. “Sto bene.” era stato il suo messaggio, e dopo di quello c'era stato il silenzio.

Mi ero rigirata quel bigliettino tra le dita per tutta l'estate, convinta di stringere la sua mano, o almeno un pezzo di lui, l'unico che mi restava. Ero convinta che non l'avrei più rivisto, con lo scoppio della guerra e il momento delle scelte che non avremmo saputo affrontare, e invece me lo ritrovai davanti il primo settembre, come era sempre stato. Sembrava che non fosse cambiato niente, l'anno era ricominciato come i precedenti, col suo silenzio e uno sguardo d'intesa al binario che sembrava volermi ripetere quelle due parole scritte di fretta su una vecchia pergamena. “Sto bene.” continuavano a dire i suoi occhi quando incrociavano i miei, “Sto bene ma mi sei mancata.” avevano poi detto le sue mani sul mio corpo, e io non sapevo più se credere a lui o a quello a cui avrei voluto credere. Volevo che le sue parole fossero sincere, volevo che avesse sentito la mia mancanza come io avevo sentito la sua, ma c'era una parte di me che continuava a urlarmi di andarmene, di fuggire dalle sue carezze perché dopo mi avrebbero fatto male come ogni volta. Una parte di me era già stanca di Draco e del modo in cui tornava sempre da sempre da me, all'ultimo, impedendomi di lasciarlo andare e voltare pagina. Lo avevo amato, in quegli anni, lo avevo amato come ama una ragazzina e come ama una donna, avevo amato il fatto che fosse come me e che avesse bisogno di me più di chiunque altro, ma faticavo a rendermi conto quanto la sua incostanza mi stesse distruggendo.  A volte avrei voluto reagire, alzarmi in piedi e voltargli le spalle mentre mi evitava, sbattergli la porta in faccia e lasciarlo fuori ogni volta che tornava, ma ci mettevo sempre un po' di più per arrivare al limite, e lui arrivava un millesimo di secondo prima che riuscissi a trovare la forza di fare tutto quello, e mi trovava.
È stato così anche quel settimo anno a scuola, il più strano di sempre, con Piton al posto di Silente e la paura che con il tempo si era insinuata anche nei nostri sotterranei.
È colpa mia.” aveva mormorato una volta Draco, nel buio della Sala Comune deserta. Un ragazzino del primo anno era appena tornato in lacrime da una punizione con i Carrow perché, piccolo Serpeverde per sbaglio, aveva detto qualcosa di sbagliato nell'ingenuità dei suoi undici anni.
Poteva essere più furbo. Non ci vuole un genio per capire quanto si può tirare la corda con i Carrow.” avevo ribattuto io, seccamente. Doveva smetterla di accollarsi la colpa di tutto, non faceva bene a nessuno che continuasse a piangersi addosso.
Mi aveva lanciato uno sguardo ferito, perché dalla mia risposta erano emerse tutte le cose non dette che pensavo, e se ne era andato. Forse avrei fatto in tempo a costruire il mio muro e a lasciarlo fuori, quella sera, ma poi la sua espressione non smetteva di tormentarmi, così ero stata io ad andare da lui.
Mi dispiace, ok?” gli avevo detto, prendendogli la mano. Lui aveva intrecciato le sue dita alle mie e aveva annuito impercettibilmente. Il perdono era una cosa facile, necessaria, in tempi come quelli, quando le persone di cui puoi fidarti puoi contarle solo sulle punte delle dita, e lui non aveva esitato un istante a farlo, così come avevo già fatto migliaia di altre volte.

Forse non era un rapporto sano, forse non faceva bene a nessuno, ma era sincero e l'unico senza bugie, e noi potevamo aggrapparci solo a quello.
“Ti amo.” mi aveva detto un giorno, mentre gli incantesimi intorno a noi si preparavano ad esplodere nella battaglia più grande di sempre. “Ti amo.” e un secondo dopo non c'era più, corso chissà dove a scagliare maledizioni per chissà quale fazione. Quella fu l'unica volta in cui lo lasciai da solo, scappando per salvarmi la pelle e sperando con tutta me stessa che presto mi avrebbe raggiunto anche lui.
Quella fu l'unica volta in cui lo lasciai da solo, ma lui tornò lo stesso.

 

*

 

Dopoguerra, 1999

 

La fine della guerra aveva portato confusione ovunque, tra la gente come noi, quella dei cognomi importanti e dei matrimoni combinati, e io ero stanca di scappare e nascondermi e avere paura. Avevo fatto tutto da sola fino ad allora, ero cresciuta per conto mio, lontano dagli affari torbidi della mia famiglia, e forse ero diventata davvero la persona che avrei voluto essere a dieci anni. Forse non ero stata coraggiosa, non avevo fatto niente di straordinario, ma ero riuscita a staccarmi dalle regole dei miei genitori come avevo desiderato fare, perciò trovai la forza di voltar loro le spalle una volta per tutte, liberandomi delle colpe che erano loro e che io non avevo commesso.

Draco era tutto ciò che volevo, tutto ciò per cui avevo resistito fino ad allora, proteggendolo e proteggendomi a modo mio, e non mi importava del matrimonio e della dote e del nome, volevo lui perché era lui l'unica cosa che mi importava e che, in qualche modo, senza che me ne accorgessi davvero mi aveva dato la forza di dire basta a tutto quello schifo in cui si era trasformato il mio mondo.

Mi chiusi la porta di casa alle spalle, dopo aver visto l'espressione furiosa di mio padre e quella incredula di mia madre che mi rimproveravano di essere stata un'ingrata e una sciocca, e che mi confermavano con uno sguardo che quella decisione sarebbe stata per sempre, perché loro non mi avrebbero perdonato. Erano sempre stati così, i miei genitori; per loro era o tutto bianco o tutto nero, e ovviamente doveva essere bianco o nero a seconda della loro volontà e dei loro progetti.

Li lasciai senza indugiare nemmeno un istante, Smaterializzandomi in una via nascosta di Diagon Alley dove sapevo che avrei trovato Draco ad aspettarmi.

“L'ho fatto, me ne sono andata.” gli avevo detto, cercando nel suo abbraccio quella forza che sentivo che stava per abbandonarmi, cercando in lui la conferma che avevo fatto la cosa giusta e che insieme avremmo affrontato ogni cosa.
“Mi dispiace, Pansy.” era stata la sua risposta. All'inizio avevo creduto – sperato – che stesse cercando di consolarmi e sostenermi in qualche modo, ma qualcosa nel tono della sua voce mi aveva spinto a guardarlo negli occhi e a chiedere di più.
“Mio padre è morto. Stanotte, ad Azkaban.” aveva esordito. Aveva iniziato a detestare suo padre e la sua vigliaccheria già durante la guerra, e nell'ultimo periodo si era reso conto di quanto i suoi errori avessero gravato su di lui e condizionato le scelte che aveva dovuto prendere, e aveva accolto la notizia del suo arresto quasi con sollievo. Proprio alla luce di quello, però, non riuscivo a interpretare le sue parole e il suo dolore.
Aveva stretto le mie mani tra le sue e aveva continuato a parlarmi con gli occhi lucidi di senso di colpa e disperazione, dicendomi che con la morte di Lucius non avrebbe potuto lasciare Narcissa da sola, a prendersi le accuse dell'intero mondo magico, per un motivo o per l'altro. Se dalla parte dell'alta società dei Purosangue il suo tradimento al Signore Oscuro era stato visto come un oltraggio, continuava a essere mal vista anche dalla parte dei buoni, che nonostante le dichiarazioni di Potter volte a scagionarla e a ringraziarla, continuavano a guardarla con diffidenza, convinti che il nome dei Malfoy nascondesse sempre più ombra di quella che lasciava trasparire.
Draco aveva continuato a spiegarmi, con la voce che si era abbassata fino a diventare un sussurro di vergogna e sincero dolore, che avrebbe dovuto sostenere sua madre e portarla lontano dalle accuse che avrebbe continuato a ricevere in Inghilterra.
L'avrebbe portata in Francia, mi aveva detto, da alcuni lontani parenti che non avrebbero fatto domande, e avrebbe fatto in modo che nessuno in Inghilterra lo venisse a sapere. Io avevo continuato ad annuire in silenzio, lasciandolo parlare e aspettando che la ragione della sua espressione emergesse dalle sue parole, finché questa non mi colpì dritta al centro del petto, mozzandomi il respiro.
Aveva bisogno di appoggio per realizzare il suo piano, aveva bisogno di un sostegno economico che né la sua famiglia - che aveva perso tutto in seguito ai vani tentativi di Lucius corrompere quanti più giudici possibili per evitare l'incarcerazione e comprare la libertà e l'innocenza come aveva fatto anni prima - né la mia avrebbe potuto dargli, dal momento che aveva appena voltato loro le spalle.
L'unica soluzione, tanto semplice e scontata per gente come noi, che aveva fatto della firma di contratti vantaggiosi l'unica soluzione alla sopravvivenza, era un matrimonio che avrebbe potuto dare a Draco quello che io non avevo più: dei soldi, e un buon nome rispettabile che allontanasse le malelingue dalla sua famiglia.
Draco era sempre stato un vigliacco, prima e durante la guerra, ma aveva cercato di proteggere quello a cui teneva con tutto sé stesso, anche quando questo aveva significato rischiare la vita e l'innocenza. Chi ero io per proibirgli di cercare di essere un uomo migliore prima che fosse troppo tardi?
Lo strinsi a me per l'ultima volta, sempre senza dire una parola, e lo lasciai andare.
Io ero rimasta sola; della persona felice e amata che avrei voluto essere da ragazzina non c'era nemmeno l'ombra, e i miei sogni mi avevano abbandonata come aveva fatto Draco, ma lui forse ce l'avrebbe fatta, lui forse avrebbe trovato uno scopo alla sua vita, e io davvero non potevo desiderare niente di meglio per l'uomo che avevo sempre amato.

O forse avrei potuto farlo, avrei potuto lottare con tutta me stessa per tenermi stretto ciò che era mio. Avrei potuto urlargli la mia delusione per l'ennesimo atto di vigliaccheria che stavolta però non avrebbe ferito solo lui, avrei potuto sfogare la mia frustrazione un'ultima volta, liberando le emozioni che avevo sempre cercato di tenere sotto controllo; avevo appena perso tutto quello che avevo cercato di costruire, ne avrei avuto tutto il diritto e avrei davvero voluto farlo, ma l'ammissione del dolore nei suoi occhi mi aveva colpita quanto quello che mi aveva appena confessato.
Così anche quella volta, come sempre, per non gravare sulle sue sofferenza avevo dovuto ingoiare le mie e avanti da sola, sola come non lo ero mai stata fino ad allora.

Eravamo Promessi, io e Draco.
E ci amavamo davvero, io e Draco, questo non l'avevo mai messo in dubbio.

Ma il giorno del suo matrimonio non ero io quella al suo fianco.
 


 

NdA: Ok, sono emozionata, non pubblico da Natale, praticamente, e mi sono quasi dimenticata come si fa XD
Ma adesso passo alla storia, perché a voi giustamente non ve ne può fregar di meno del resto...
Dunque, è la prima volta che scrivo così approfonditamente di Draco e Pansy, ma sono dei personaggi che mi hanno sempre ispirato molto ed era giunto il momento di provarci.
Ovviamente, la storia del matrimonio combinato è farina del mio sacco, e per restare nel Canon specifico che il matrimonio di convenienza che Draco ha scelto per riuscire ad assistere e proteggere Narcissa è quello con Astoria Greengrass. Così, tanto per giustificare quest'unione improvvisa :P
Spero davvero di non essere andata OOC con nessuno dei due, ma mi muovo in punta di piedi perché non ho grande dimestichezza con i loro caratteri, quindi rimando il giudizio a chi è più esperto, ecco!

Un grazie va sicuramente a Roxy, poi, che si è sorbita tutte le mie pippe mentali su quasi ogni virgola di questa storia e che ha anche sopportato in silenzio – strano a dirsi, lo so – tutti i miei chiari di luna. <3

Storia partecipante al 'Anche le Serpi meritano un Oscar' indetto da MedusaNoir sul forum di EFP.

   
 
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