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Autore: chi_lamed    15/02/2013    1 recensioni
Mai dire mai. Soprattutto se l'Amore è nell'aria.
Storia scritta per la Sfida FA n. 5 "San valentino!" del forum Il Calderone di Severus.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Severus Piton, Sorpresa
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
- Questa storia fa parte della serie 'Anche i cieli che lacrimano nascondono arcobaleni'
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Data: febbraio 2013
Beta-reader: nessuno
Tipologia: one-shot
Rating: per tutti
Genere: generale, introspettivo
Personaggi: Severus Piton, sorpresa
Pairing: sorpresa
Epoca: post 7 anno
Avvertimenti: what if
Riassunto: Mai dire mai
Parole/pagine: 1596/5
Note: storia scritta per la Sfida FA n. 5 "San valentino!" del forum Il Calderone di Severus (http://severus.forumcommunity.net/?t=23514949&st=225#entry372671349)

Disclaimer: I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me bensì, prevalentemente, a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti. I luoghi non inventati da J.K. Rowling e la trama di questa storia sono invece di mia proprietà ed occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.



 
Happy Valentine’s day


 
 
Ad Hogwarts anche i ritratti respiravano a pieni polmoni l’atmosfera melensa di San Valentino. Un’attempata damigella – tutta pizzi, merletti e molto poco buon gusto – si esibì in un finto svenimento davanti ad un cavaliere sgraziatamente impegnato in un baciamano. Severus passò accanto alla cornice stringendo i pugni in una morsa serrata, mentre il suo stomaco faceva le triple capriole per il disgusto.
Che fosse ben chiaro, lui non odiava San Valentino.
Aveva troppo dolore dentro di sé, troppi sensi di colpa per potersi permettere di provare odio per quella ricorrenza che giudicava comunque insulsa.
I suoi studenti nel corso degli anni gli avevano lanciato alle spalle malignità di ogni genere per spiegare il suo aspetto da pipistrello e la sua solitudine. Non sapevano, non potevano sapere, che sotto quell’armatura serrata da una lunga fila di neri bottoni c’era un cuore che ancora piangeva, implorando un perdono che non sarebbe mai giunto. Il rimorso era il miglior deterrente che esistesse al mondo per impedirsi di provare qualsiasi buonismo verso se stesso: ne soffocava ogni palpito sul nascere, prima ancora che provasse a germogliare.
Gli era molto più facile fingere che quella festa non esistesse, punto.
Niente amore per lui, mai, in nessun tempo ed in nessun luogo.
Quello che avrebbe voluto dare, che aveva sognato nelle notti della sua adolescenza, lo aveva gettato al vento, calpestato e ferito da una parola di troppo pesante come un macigno ed impossibile da cancellare.
L’amore che aveva tanto desiderato ricevere, bramandolo come il fiore di campo anela al raggio di sole ed alla goccia d’acqua, non era invece mai arrivato, se non in una qualche rara carezza materna il cui ricordo era spesso nascosto tra le pieghe della memoria.
Affrettò il passo e l’elegante svolazzo del mantello lo accompagnò fedelmente. Scese le scale quasi di corsa per arrivare il prima possibile a destinazione. Almeno nel suo studio aveva una discreta quantità di lavoro da svolgere che gli avrebbe impedito di meditare a quel che era stato e che non sarebbe mai più ritornato. O a quel che non era mai stato, in fondo era solo questione di punti di vista.
Svoltò l’angolo in preda ad un’intricata foresta di pensieri ed il ritorno alla realtà presente non poté presentarsi a lui in un modo più incredibile.
La bacchetta fu subito in mano, fulminea, pronta a lanciare uno Schiantesimo a regola d’arte se ce ne fosse stato bisogno.
Non poteva che essere un’altra delle assurde creature assunte da quel pazzo di Allock per celebrare quel giorno infausto. Si avvicinò con cautela, fino a quando la luce fioca delle torce che illuminavano le volte di pietra con sinistri bagliori non gli svelò la verità nuda e cruda.
Deglutì, cercando l’inganno che negasse l’evidenza.
L’intruso si dovette certo sentire osservato, perché si voltò nella sua direzione squadrandolo con strano cipiglio e con le mani minacciosamente sui fianchi.
Severus Piton non si sarebbe mai definito una persona impressionabile. Aveva visto troppo, di qualsiasi genere, per potersi spaventare davanti all’insolito. Nonostante ciò, il suo primo pensiero fu “guai in vista”.
L’atteso era lui.
«A-ha! Pallino Acido, ti sembra questa l’ora di arrivare?»
Un Petrificus avrebbe avuto meno effetto di quelle parole. Ma se la mano era tenacemente stretta intorno alla bacchetta e gli occhi dilatati per lo stupore, la mente invece si era già tuffata in un mare di congetture di ogni genere, sollevando spruzzi di spiegazioni una più improbabile dell’altra.
«Su su su! Cos’è quella faccia da Tritone spiaggiato?» gli venne detto tra uno svolazzo di ali candide ed uno sbatacchiare di frecce nella faretra. «Mai visto prima d’ora un Cupido?»
Qualcosa di dorato gli passò fulmineo davanti agli occhi, scintillando inquietanti riverberi.
Un Boccino, un incantesimo… qualsiasi cosa, sperò con tutte le sue forze, sentendosi improvvisamente senza saliva per deglutire.
La speranza fu vana. Quello nella mano sinistra del bambino alato era un arco. Per qualche istante di troppo Severus non seppe su cosa concentrarsi, se su Cupido, sull’arma o sulle frecce del medesimo colore che tintinnavano fastidiose. Quell’intruso non stava fermo un attimo e svolazzava attorno al Potion Master come un Billywig molesto. Altro che amorino alato dispensatore di buoni sentimenti, Severus in quel momento provò l’impulso di stenderlo con le sue stesse armi.
Non aveva bisogno di Cupido per ricordarsi che l’amore era qualcosa che non si sarebbe mai potuto permettere. Fiori, cioccolatini, parole sussurrate al chiaro di luna che stillavano di melenso… che tutto questo fosse per gli altri. La sua unica compagna di vita l’aveva già scelta da anni e si chiamava solitudine.
Dardeggiò l’occhiata più truce del suo repertorio e lanciò l’incantesimo non verbale che avrebbe sancito la fine di quell’inutile perdita di tempo e pazienza.
Il bimbo sbatté le palpebre, incredulo, fissando i suoi occhi azzurri in quelli d’ebano del mago.
Una volta.
Due volte.
La testa incorniciata da riccioli dorati si piegò lievemente di lato, in un atteggiamento di pura meraviglia.
Il cuore di Severus quasi mancò un battito. Non era mai successo che un suo incantesimo si rivelasse inefficace. E ora?
Non gli fu dato il tempo di formulare un secondo pensiero.
La dura pietra gli premette d’un tratto contro le spalle, ma mai come la freccia dorata che gli venne puntata contro, dritta al centro del petto.
«Pallino Acido, è tutto più semplice se stai fermo.»
«Io non… Aspetta, come mi hai chiamato?» la voce di Severus era poco più che un sussurro.
«Perché, non ti piace? E sì che ti si addice.» Cupido tese l’arco, chiudendo un occhio per prendere meglio la mira. «Ci arrivi da solo a capire il perché o ti devo fare un disegnino?»
Un oceano in tempesta, spumeggiante di rabbia, rimorso e dolore. Severus poteva sentire la punta acuminata del dardo attraverso la casacca e la camicia, all’altezza del cuore, là dove faceva più male, mentre all’interno di lui il mare dei sentimenti mugghiava feroce. Che ne sapeva, quell’insulso di Cupido, di lui, della sua caduta, della sua risalita che mai avrebbe meritato alcuna indulgenza? Amore, poi, meno che meno!
«Io e te non abbiamo nulla a che fare.» proclamò con apparente calma. «Non abbiamo mai avuto nulla a che fare.» soggiunse e questa volta il sussurro fu debole come un soffio.
«È proprio questo il punto!» rispose Cupido, agitando a più non posso le ali in segno d’impazienza. «Ti rendi conto di cosa ti stai perdendo? Su, da bravo, fatti colpire, tanto poi finirai per ringraziarmi.»
Per la barba di Merlino, cosa doveva usare contro quel bimbetto irriverente per riuscire a scrollarselo di dosso? Fu una mossa folle dettata dalla disperazione. Si slanciò in avanti, nel tentativo di fermare a mani nude quello svolazzante dispensatore di sospiri d’amore.
 
 
Il tonfo gli giunse alle orecchie secco come uno schioccare di frusta.
Sbarrò gli occhi, guardandosi freneticamente attorno. Dov’era Cupido?
Mise a fuoco ogni cosa. Il cuore che martellava nel petto rallentò poco alla volta i battiti, adeguandosi al respiro che lentamente si stava facendo normale.
Il fuoco nel caminetto scoppiettava allegramente ed i suoi bagliori rossastri facevano concorrenza a quelli che il tramonto del sole dipingeva nel cielo terso di metà febbraio. Severus si perdette per qualche istante nelle sfumature cangianti che riusciva ad intravedere attraverso la finestra.
Respirò a fondo, rilassando le mani ancora strette ai braccioli della poltrona, concedendosi infine un breve massaggio alla fronte per schiarirsi ancora le idee. Ecco cosa succedeva a raccontare durante il pranzo la giornata di San Valentino allestita da Allock anni prima: lui e quei suoi nani alati erano arrivati a perseguitarlo anche durante il sonno.
Beh, quello del sogno non era stato propriamente un nano… ma alato lo era senz’altro.
Oh.
Si era addormentato.
Peggio. Si era addormentato mentre stava leggendo ad alta voce, com’era potuta accadere una cosa simile? Scosse la testa, decidendosi ad alzarsi da quella poltrona, se non altro per scusarsi con la mano pietosa che aveva avuto la premura di coprirlo mentre dormiva. A quel pensiero non gli riuscì di tenere le labbra serrate in un’espressione neutra. Piegò con cura la coperta rosa, adagiandola sullo schienale. Raccolse da terra e sistemò con delicatezza le pagine del libro che giaceva per terra davanti a lui: era stato quello a svegliarlo. Nel tentativo di scagliarsi contro Cupido si era mosso nel sonno, facendolo cadere dalle gambe. Le Fiabe di Beda il Bardo fu così adagiato sul tavolino lì accanto.
Sospirò, le labbra sempre più incurvate all’insù, mentre l’ultimo spicchio di sole tramontava in un abbraccio di rosso ed arancio.
Gli rimaneva ancora una cosa da fare.
Percorse in silenzio soltanto pochi passi, appoggiandosi infine allo stipite. Per qualche istante rimase a guardare senza essere notato. Permise al sorriso di rimanergli sul volto, lasciò che gli occhi risplendessero di gioia come e più delle fiamme che ardevano danzanti nel caminetto. Portauovo e saliera ballavano il loro consueto minuetto serale sul tavolo in legno di mogano, un incantesimo regalato da Vitious quasi un anno prima, in occasione di un evento importante. Danzarono in tondo, attorno ad una torta al cioccolato a forma di cuore.
Quel San Valentino l’avrebbero condivisa in tre.
Rise, senza un motivo apparente, solamente per il gusto di farlo. Le nubi oscure se n’erano andate da tempo, così come il mare il tempesta.
«Paaaà!»
Due piccole braccia si tesero verso di lui, agitandosi dalla sedia, chiedendo di essere strette in un caldo abbraccio. Non si fece pregare nemmeno un istante di più.
 
«Ti rendi conto di cosa ti stai perdendo? Su, da bravo, fatti colpire, tanto poi finirai per ringraziarmi.»
 
Diavolo d’un Cupido, aveva proprio ragione.


***

 
Angolino autrice: sono solo discretamente soddisfatta di quanto è venuto fuori. Non tanto per la trama, quanto piuttosto per lo stile narrativo: mi riesce spesso difficile dare continuità al susseguirsi delle azioni senza finire nel classico "lista della spesa".
Sono accetti suggerimenti, compreso quello di darmi all'ippica.
Chiara
  
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