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Autore: JadesRainbows    15/02/2013    5 recensioni
Madison è una sedicenne come tante, due genitori sull'orlo del divorzio, un fidanzato perfetto con una madre comprensiva e una gran voglia di scappare dalla sua famiglia.
Una teenager "normale".
Normale fino al giorno del morso.
era scappata di casa a causa dall'ennesimo litigio dei suoi genitori ed era andata a rifugiarsi nel solito posto, ma quel giorno non era sola.
Lei non lo poteva sapre, ma con quel morso iniziò la sua condanna, una condanna che si chiamava libertà.
Genere: Fantasy, Fluff, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Liam Payne, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Correvo nel bosco senza sosta. Dovevo arrivare a casa prima che facesse infezione. Mentre scostavo di poco la mano dalla ferita mi resi conto che non sarei mari arrivata a casa mia in tempo, era troppo lontana, ma fortunatamente il mio ragazzo Liam abitava nei pressi di quel bosco. Sarei potuta andare da lui. Di sicuro aveva un po’ di disinfettante in bagno. Non mi occorreva molto, solo un po’ di cotone, del disinfettante e una garza. Dovevo medicare quel morso prima che diventasse una cosa seria.
Gli alberi iniziarono a farsi meno fitti e i muri di una casa bianca cominciarono ad apparire alla mia vista. Ero vicina.
Sentii un ululato provenire dal cuore bosco dietro di me. Mi fermai un istante e spaventata mi girai. Cominciai a sentire la corsa veloce di un quadrupede calpestare le foglie secche.
Mi voltai in avanti e con lo sguardo fisso sulla casa ricominciai a correre più veloce che mai.
La ferita pulsava. Non voleva smettere di sanguinare. Gocce rosse di zero negativo cadevano sul terreno, lasciando una traccia traditrice al mio inseguitore.
Dovevo sbrigarmi. Lui era più veloce di me.
Ora alla necessità di medicazione si aggiungeva il responsabile del morso che mi inseguiva.
Solo fino a venti minuti fa ero scappata di casa dopo l’ennesimo litigio dei miei genitori. Andavo sempre in quel bosco quando avevo bisogno di stare da sola e calmarmi. I miei genitori erano una coppia molto vicina al divorzio, in perenne disputa. E io ero una figlia che ne aveva abbastanza di quelle continue discussioni. Ormai passavo più tempo nel bosco e a casa di Liam che a casa mia.
Ero andata lì per rilassarmi e stare sola, come al solito, solo che ad un tratto un grosso lupo dal pelo sauro mi sbarrò la strada, sussurravo parole rassicuranti per cercare di toglierlo di mezzo, ma lui se ne stava lì davanti a me, con le orecchie schiacciate sul cranio, le labbra contratte che mettevano in mostra i denti bianchi e affilati e la rabbia, l’odio e la paura negli occhi. Occhi che non potevano essere animali. Era una creatura strana. Aveva le sembianze di un lupo, ma era più grosso e i suoi occhi tradivano la sua natura animale. Erano di un color cioccolato molto familiare e non sembravano per niente gli occhi di un lupo, parevano più… umani.
Ero spaventata almeno quanto lui, ma l’unica differenza era che in lui infuriava l’ira, mentre in me si faceva largo la paura e nient’altro.
Nell’attimo in cui lo guardai negli occhi mi sembrò di vederlo congelarsi sotto l’effetto dell’azzurro magnetico delle mie iridi, ma un secondo dopo il sangue ricominciò ad affluire prepotente nei suoi occhi e la rabbia lo spinse ad attaccare. Mi morse la mano.
Sentii un brivido inebriarmi l’arto nell’esatto istante in cui la creatura si ritrasse. Restò a fissarmi per secondi che mi parvero interminabili. Non ebbi nemmeno la forza e il coraggio di urlare. Mentre il suo sguardo si spostava dai miei occhi al morso sulla mia mano destra, la rabbia nei suoi occhi si dissolse e la sostituì un senso di colpa struggente. Mentre lo osservavo mi accorsi che potevo leggere i suoi sentimenti nei suoi occhi con la stessa chiarezza con cui sapevo leggere un libro.
Quando lo strano lupo cominciò a rialzare gli occhi verso il mio volto l’istinto prese il sopravvento e cominciai a correre.
Tutto ciò nell’arco di dieci minuti.
Suonai il campanello e mentre premevo la mia schiena contro il muro della casa per non essere presa alle spalle, potei vedere il muso del lupo spuntare dai cespugli, per poi tornarvi dentro in fretta all’abbassamento della maniglia della porta.
La madre di Liam mi salutò cordialmente, ma non fece in tempo a finire la frase che un urlo acuto e soffocato a metà, fu prodotto dalle sue corde vocali. Aveva visto il morso.
Senza ulteriori giri di parole mi fece entrare e mi accompagnò in bagno.
Mentre mi medicava le chiesi se Liam fosse in casa. Lei mi rispose negativamente e aggiunse che suo figlio le aveva detto che sarebbe andato a fare una passeggiata nel bosco.
In quel momento non mi feci domande. Ero concentrata sul bruciore.
La donna si rifiutò di farmi tornare a casa da sola, così mi accompagnò col suo pick-up.
Non abitavo lontano e sarei benissimo potuta tornare a casa a piedi, ma lei insistette e mi convinse dicendomi che quella bestia probabilmente era ancora nei dintorni.
Non avevo voglia di rincontrare quello strano lupo.
Cinque minuti dopo mi lasciò davanti al vialetto di casa mia e dall’interno sentii un vaso rompersi.
-Signora Payne, potrei… dormire da voi stasera?-, le chiesi supplichevole. Con un sorriso comprensivo la donna annuì.
Appena tornate alla casa al limite del bosco la madre di Liam mi preparò un letto improvvisato nella camera del mio ragazzo, con un materasso sul pavimento e alcune coperte pesanti su di esso.
Appena finito di preparare il letto mi mostrò il cassettone e l’armadio e mi disse di mettermi a mio agio. Sorrisi e lei scese in cucina a preparare il thè.
Aprii un cassetto e vi trovai all’interno parecchie magliette a maniche corte. Lo richiusi. Eravamo in novembre, una maglia a maniche corte non era proprio l’ideale.
Provai con il cassetto sottostante ed era pieno di jeans e pantaloni. Richiusi anch’esso. Non volevo sporcarglieli.
Nel terzo e quarto cassetto c’erano un sacco di felpe di tutti i tipi e colori.
Ne presi una viola, ma poi la riposi dato che era la sua preferita. Scrutai con attenzione le altre e alla fine puntai su una verde con la lampo e il cappuccio.
Riaprii il primo cassetto e presi una maglietta gialla della Coca Cola da indossare sotto alla felpa.
Iniziai a frugare nell’armadio e trovai un paio di pantaloni grigi del pigiama.
Mi spogliai dei miei abiti sporchi di sangue e fango e li lasciai cadere sul pavimento.
Rimasi qualche attimo nella mia semi-nudità, a contemplare la fasciatura fatta dalla signora Payne, a sentire l’aria fredda e pungente di novembre sul mio corpo e a pensare.
Lo sbattere della porta d’ingresso mi riportò alla realtà.
-Mamma, sono a casa!-, esclamò la voce calda e profonda del mio fidanzato.
A quell’esclamazione mi resi conto di essere in mutande e reggiseno nella camera di Liam.
Infilai in fretta i piedi nei pantaloni, senza controllare se fossero dal verso giusto e con un saltello mi ci infilai dentro meglio. Intanto sentivo i passi di Liam salire le scale. Scivolai nella maglietta e successivamente anche nella felpa.
Quei vestiti mi erano decisamente enormi.
-Liam, hai visite!-, quasi urlò la madre dal piano di sotto per farsi sentire dal figlio, ma lui ormai se n’era già accorto, dato che era già entrato.
La sua espressione cupa quasi mi spaventò.
Rimanemmo in silenzio finche non vidi un timido sorriso nascere sul suo viso. 
Il sorriso presto si trasformò in una risata trattenuta.
-Che c’è?!-, esclamai.
-Sei… sei buffa-, mi rispose lui in mezzo alle risate bloccate dai suoi addominali.
-Sono sexy-, gli dissi mettendomi in una presunta posa da modella.
Non ricevendo risposta esclamai –Non ti piaccio nei tuoi vestiti?-.
-Amore, sei sempre stupenda-, mi rispose dolcemente avvicinandosi a me.
Appoggiò delicatamente le sue mani sui miei fianchi e nello stesso modo fece combaciare le sue labbra con le mie.
Com’era mio solito fare portai la mano destra dietro al suo collo.
Appena sentì la garza al posto della mia pelle Liam si staccò bruscamente dalle mie labbra, mi prese il polso e contemplandomi la mano con paura e preoccupazione mi chiese –Ma che hai fatto?-.
-Oh, niente, ero nel bosco e mi ha morsa un lupo…-.
Lasciò andare il mio polso e si buttò a sedere sul letto con l’espressione cupa di qualche minuto fa.
Io restai in piedi in mezzo alla stanza.
Nella camera cadde il silenzio, che si impossessò di ogni centimetro cubo dell’ambiente.
La voce della madre di Liam proveniente dal piano di sotto mi fece sobbalzare. Il thè era pronto.
Restai ferma qualche secondo nell’indecisione se andare giù prima io col rischio di scendere da sola, aspettare il mio ragazzo, o parlare.
Puntai sulla prima opzione.
Appena arrivata in cucina la mamma di Liam mi porse un paio di pantofole del figlio.
I miei trentanove erano avvolti in due pantofole numero quarantaquattro. Un po’ sproporzionate…
Senza darci altro peso mi sedetti al tavolo e cominciai a inzuppare un biscotto fatto in casa nel liquido caldo al sapore di limone.
In casa Payne c’era un tavolo da quattro persone, anche se il padre di Liam era morto molti anni prima e io ero seduta proprio al suo posto.
Il mio fidanzato scese al mio quarto biscotto.
Era serio, ma non cupo come prima, questo mi sollevò appena.
Si riempì una tazza di thè e si sedette di fianco a me. Cominciò a sorseggiare la sua bevanda nell’attimo in cui io finii il mio quinto biscotto.
Finito di bere il thè ci sedemmo sul divano in soggiorno a guardare un film.
Intanto si erano fatte le sei e quarantacinque.
Dopo aver osservato buona parte dei titoli di coda senza leggerli esclamai –Liam, insegnami a giocare alla play!-.
Il mio ragazzo sorpreso sgranò gli occhi e mi fissò sbalordito.
-Stai scherzando?-, mi chiese.
-No, perchè? Che c’è di strano in una ragazza che gioca coi videogame?-, gli risposi con disinvoltura.
-Ok… a lei la scelta del gioco, signorina-, mi disse mostrandomi un cesto pieno di videogiochi per la playstation 3.
Mi avvicinai alla cesta ed esaminandone il contenuto, mi accorsi che l’idea che mi ero fatta sul genere di giochi che usasse non era sbagliata.
Ne presi uno di guerra a cui giocava spesso quando lo chiamavo: Vegas 2
Glielo porsi e lui osservandolo mi disse –Mmh, audace la ragazza-.
Sorrisi e aspettai che preparasse tutto. Mi porse un joystick, che non avrei mai saputo come impugnare se non fosse stato così ovvio. Ci risedemmo sul divano.
Ero un po’ imbranata, ma appena cominciai a prenderci la mano iniziai a divertirmi sul serio.
Bestemmiare contro  i soldati sullo schermo fu una nuova esperienza per me, ma non mi dispiacque affatto.
Alle sette e trenta la signora Payne ci chiamò per la cena.
Arrosto e patate al forno. La madre di Liam era davvero un’ottima cuoca. Non avrei mai smesso di dirglielo.
Dato che quella sera non ero a casa mia, seduta al tavolo di una coppia che non si guardava neppure negli occhi, mi gustai bene il pasto e impiegai trenta minuti per assaporare il menu completo, invece dei soliti dieci.
La sera, prima di andare a dormire, Liam ed io ritornammo a usare la play e verso le dieci salimmo in camera sua.
Iniziammo a parlare del più e del meno e alle undici mi addormentai. Essendo che non stavo proprio dormendo, ma ero in dormiveglia, riuscii a percepire le braccia di Liam raccogliermi e adagiarmi sul mio materasso, di fianco al suo letto.
Spense la luce e si mise a letto, sussurrandomi un dolce “buonanotte” e lasciandomi un bacio delicato sulle labbra.
 
Verso le due e trenta di notte mi svegliai infastidita dal prurito alla mano. Tolsi la garza e notai che la ferita stava guarendo a vista d’occhio. In meno di cinque minuti al posto dei buchi dei denti c’era una cicatrice.
Mi stavo spaventando, e non poco.
Le gambe e le braccia cominciarono a prudermi. Iniziai a grattarmi, ma il prurito non spariva.
Mi sollevai i pantaloni del pigiama e notai che sulle mia gambe erano cresciuti dei peli, e continuavano a crescere rapidamente.
Cosa? Mi ero fatta la ceretta cinque giorni fa!
Ma la cosa più inquietante era il loro colore: bianco.
Mi guardai intorno. Le ante della finestra erano aperte e nella stanza entrava la flebile luce bianca della luna.
Liam non era nel suo letto.
Mi alzai e cominciai a cercarlo all’interno della camera, non trovandolo passai a cercarlo nell’intera casa, ma niente. Non c’era. 
Iniziai a sentir prudere sulla testa. Mi grattai e sentii qualcosa di peloso.
Corsi in bagno e mi guardai allo specchio.
Mi stavano crescendo delle orecchie da lupo, bianche.
Cosa mi stava succedendo?
Corsi fuori. Non potevo stare in casa Payne in quello stato, se la madre di Liam si fosse svegliata e mi avesse vista?
Mi nascosi dietro a un cespuglio nel bosco.
Mi prudeva la schiena, nella zona dell’osso sacro.
Mi girai e avevo una coda bianca.
In quel momento, dopo pelo bianco sugli arti, orecchie pelose e coda da lupo, iniziai a prendere in considerazione l’ipotesi che i licantropi non esistessero solo nella saga di Twilight.
Se era vero che mi stavo trasformando dovevo togliermi immediatamente i vestiti, finche avevo ancora i pollici opponibili, se non volevo che venissero strappati o se non volevo andare in giro da lupo con un pigiama addosso.
Mi spogliai e lasciai i vestiti sotto al cespuglio dietro cui ero nascosta.
Il prurito si trasformò in bruciore e, ben presto, il bruciore diventò dolore.
Non potevo urlare, anche se volevo farlo. Non c’era via d’uscita da quella trasformazione. Dovevo solo sperare che fosse veloce, perché stavo soffrendo troppo.
Forse quel dolore era dovuto dal fatto che stavo assumendo una struttura ossea da lupo e quindi le mie ossa si stavano deformando.
Era stata una trasformazione lenta e dolorosa, ma era passata.
Ma adesso ero troppo curiosa, volevo vedere com’ero diventata.
Entrai in casa. Liam aveva uno specchio all’interno di un anta dell’armadio. Appena entrai in camera mi ricordai di non avere più i pollici opponibili.
Provai a formulare un “merda!” ma mi uscì solo un ringhio sottile. I lupi non potevano parlare, giusto…
Al trotto mi aggirai per la casa in cerca di uno specchio alla mia portata.
Feci molta attenzione a non far sentire lo scalpiccio delle mie unghie a contatto col parquet nel corridoio.
Era strano il mondo da quella prospettiva, vedevo tutto in bianco e nero, anche se non c’erano molti colori da vedere, dato che era notte inoltrata.
Era strano vedere le cose e gli ambienti dal basso, anche se non ero poi così bassa.
Era strano anche avere quattro zampe, una coda e un muso lungo.
Era tutto molto strano, diciamo.
Dopo dieci minuti di ricerca infruttuosa mi ritrovai a bazzicare per il garage.
Finalmente! C’era un grosso frammento di specchio sul pavimento, appoggiato al bancone degli attrezzi.
Ebbi un attimo di esitazione, prima di entrare nel raggio che copriva la superficie riflettente.
Insomma, era una nuova esperienza per me, per sedici anni ero stata abituata a vedermi su due gambe e con i capelli biondi al posto di una pelliccia bianca-grigia.
Allungai una zampa fino a vederla riflettersi nello specchio.
Mmh, nulla di strano, le zampe me le ero già viste
Feci un passo, poi un altro, e un altro ancora, fino a ritrovarmi a scrutare stranita il mio riflesso.
Ero un lupo in tutto e per tutto. Una candida pelliccia bianca mi ricopriva il corpo, ma di questo me n’ero già accorta. Mi piaceva la forma delle orecchie. Provai a sorridere, ma non vidi il risultato. L’unica cosa che cambiarono furono gli occhi. Erano talmente limpidi che si riusciva a leggerci dentro tutte le emozioni che provavo. Gli occhi erano l’unica parte di me che non era cambiata. Erano occhi umani, non da lupo, di un azzurro oceano che doveva fare un contrasto stupendo col mio pelo bianco. Non potevo dirlo con certezza perché non potevo vedere nessun colore, ma una volta avevo visto un cane bianco con gli occhi azzurri ed era davvero bellissimo.
Ero ancora un po’ stranita dal mio nuovo aspetto e dai miei nuovi istinti.
Uscii dal garage e uno dei nuovi istinti si manifestò. Annusai l’aria fredda che mi veniva incontro lentamente.
Riuscii a fiutare diversi odori: dei caprioli, una lepre, una volpe e un altro lupo.
Decisi di andare a cercarlo. Non avevo cattive intenzioni, ero soltanto curiosa.
Al trotto mi addentrai nel bosco. Dopo cento metri con un andatura sostenuta iniziai a sentire una forte voglia di correre.
L’altro lupo poteva aspettare.
Ben presto la voglia diventò bisogno. Fortunatamente dall’altra parte del bosco e del fiume c’era una distesa immensa di campi.
Al piccolo galoppo mi indirizzai verso la fine del bosco.
Dopo poco arrivai sulla sponda del fiumiciattolo.
Con timidezza immersi una zampa nell’acqua gelida, per poi guadare il torrente con velocità.
Davanti a me si estendevano ettari su ettari di campi e quella notte sarebbero stati solo miei.
Cominciai con un trotto tranquillo a esplorarli, il trotto ben presto si tramutò in ambio e dopo poco l’ambio lasciò il posto a un galoppo sfrenato.
Correvo al massimo della mia velocità. Sentivo la libertà pulsarmi nelle vene. Era una sensazione magnifica. Il mio cuore batteva al ritmo delle mie falcate, pompando felicità e libertà al posto del sangue. Il vento freddo che mi tagliava il muso mi spingeva a correre ancora di più. Volevo assaporare quel momento, sapere davvero cosa fosse la libertà.
Dopo una ventina di minuti i cuscinetti sotto le mie zampe iniziarono a farmi male, così dovetti arrestare la corsa. Ero stanca e mi sdraiai sull’erba fredda del campo.
Gli unici suoni in quella notte erano prodotti da alcuni gufi, civette o volatili notturni e dall’acqua del fiume che scorreva
Nella mia felicità interiore scandivo il ritmo dei miei respiri profondi, quando ad un tratto qualcosa catturò la mia attenzione.
Ci fu un rumore.
Girai un orecchio nella direzione da cui proveniva e ne sentii un altro.
Mi acquattai nell’erba alta guardando in quella direzione.
Al margine del bosco c’era il lupo di cui avevo sentito l’odore prima di addentrarmi nella foresta.
Sapeva che lo stavo guardando.
Nessuno dei due osava muoversi. Io non avevo cattive intenzioni. Ma lui? Lui forse pensava lo stesso.
Decisi di fare io la prima mossa. Uscii allo scoperto.
Ci guardammo in silenzio.
Abbassai la testa in segno di sottomissione per dirgli “non ho cattive intenzioni, non voglio farti del male”.
Non si mosse, non lasciò trasparire emozione.
Me la sarei andata a cercare, ma iniziai a camminare verso di lui.
Lui era sulla sponda del fiume e dietro aveva il bosco. Io ero dalla parte opposta, coi campi alle mia spalle.
Lo guardai negli occhi e in quel momento lo riconobbi. Era lui il lupo che mi aveva morsa.
Fece un passo indugiante verso di me e in quel momento iniziammo a sostenere una conversazione “muta”, basta sul linguaggio corporeo, e non solo, dei cani.
“Maddy… io…”, guaì lui, innocente.
“Come sai il mio nome?”, gli chiesi diffidante.
“Maddy, posso spiegarti prima?”.
“Come sai il mio nome?”, ringhiai.
“Maddy, sono Liam…”.
“Liam…”.
“Maddy, non ti arrabbiare, ti supplico…”, provò a scusarsi.
“No, Liam. Non devi né scusarti né fartene una colpa, anzi grazie. Sono ancora un po’ stranita, ma con quel morso mi hai regalato la libertà, grazie”.
“Come puoi ringraziarmi? È una maledizione!”.
“Se la libertà è una maledizione allora questa è la condanna che ho sempre desiderato…”.
Liam rimase in silenzio.
“Hai un branco?”, gli chiesi.
“Si, ed è stato il nostro capobranco Louis a costringermi a trasformarti…”, mi rispose.
Sorrisi interiormente.
“Liam, sono pronta ad accettare questa maledizione, anche se lo avevo già fatto”.
Buttai la testa all’indietro e ululai.
Sei voci diverse arrivarono in risposta.
“Benvenuta nel branco Madison”, mi disse Liam, con la gioia negli occhi.
 

YOOOOOOO

Eccomi qui con un’altra OS.
Invece che postare i capitoli scrivo OS inutili *voce di sottofondo incazzata: BRAVA, BRAVA, BRAVA!* scusatemi, ma avevo l’ispirazione e l’idea mi è parsa stupenda **
Non so perché ho scelto Liam, ma lui mi dava tanto l’idea del licantropo zeczi mlmlmlml come Jacob di Twilight mlmlmlml they’re zeczi and I know it mlmlmlml
Lo so che Madison è un nome di merda, ma io lo amo ** vorrei chiamare così mia figlia (infatti la protagonista è praticamente come me). Come rovinare l’infanzia a una bambina c’:
questa volta la storia mi è piaciuta molto e secondo me l’ho scritta bene, ci ho messo tanta passione c:
e guys, 14 e ripeto 14 pagine word. No, cioè, ho superato “Non posso amarti perchè devo ucciderti” ** proud of me **
ora me ne vò e vi lascio ezprimere pareri e riflezzioni in una recenzione c:
kisses,
Lady Blue

  
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