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Autore: OurNamesRhymeWithForever    15/02/2013    4 recensioni
"Avevo perso troppo tempo ad aspettare, a credere che fosse mia, a dare per scontato il suo amore per me. Non avevo mai dubitato una singola volta che sarebbe tornata da me. E mentre stavo tranquillo ad attendere il suo “ti amo ancora” lei si era allontanata da me, mi era sfuggita dalle braccia. Forse non era nemmeno mai stata veramente mia".
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nick Jonas
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi tolsi la maglietta e la gettai sul letto. Un’altra partita vinta, ed era stato quasi tutto merito mio. Sorrisi soddisfatto e presi la chitarra, sperando di riuscire a comporre qualche verso. Era da troppo tempo che non scrivevo una canzone che mi soddisfacesse. Più provavo accordi e mettevo insieme rime più mi rendevo conto che mancava qualcosa. Mi mancava qualcuno al quale scrivere una canzone d’amore, qualcuno da odiare in poche rime e qualcuno al quale dover chiedere perdono con una canzone. E mi mancava lei, per la quale avevo scritto canzoni d’amore, di odio profondo, di perdono, di rimpianto, di nostalgia. Tentai di immaginarmi il suo viso nella mente, ma non era la stessa cosa. Avevo bisogno che fosse di fronte a me, concentrata sul Nintendo, che si stesse truccando per salire sul palco, che mi stesse battendo a scacchi, che mi stesse sorridendo e chiedendomi di fare silenzio, perché sua mamma non sapeva che fossi in casa con lei. Quando era stata l’ultima volta che c’eravamo parlati? Quasi dieci mesi prima. E la nostra telefonata si era conclusa con lei che piangendo mi supplicava di lasciarla stare, di rimanere con Delta e permettere che lei si costruisse una nuova vita, della quale non avrei fatto parte. Ricordo di non aver pianto. Perché avrei dovuto? Avevo Delta con me. Poi era finita, come tutte le cose belle finiscono, anche quella storia con una donna più grande e fuori dalla mia portata era terminata. Ricordo di aver aspettato invano che lei e Liam dessero l’annuncio della loro separazione, che lei mi chiamasse nel mezzo della notte per parlare di qualsiasi cosa ci passasse per la testa, e il giorno dopo saremmo stati nuovamente migliori amici; tempo una settimana e l’avrei avuta nuovamente fra le mie braccia. Invece non era accaduto niente di tutto ciò. Aveva continuato a vedersi con Liam e ad ignorarmi. Un giorno le avevo scritto un semplice messaggio, dicendole che stavo ascoltando You could be happy e che mi ricordava lei. Mi ricordava noi. Aveva copiato il verso finale su twitter. Mi ero aspettato che mi chiamasse, che cercasse di mettersi in contatto con me. Non l’aveva fatto, e non me l’ero saputo spiegare. Ogni volta che ero uscito con una ragazza era stato per cercare di riavere lei indietro, ed ogni volta che lei aveva baciato Liam di fronte ad una telecamera sapevo fin troppo bene che lo stava facendo solo per farmi soffrire. Eravamo sempre funzionati così. Litigavamo, uscivamo con qualcun altro, non ci parlavamo per mesi, ma alla fine sapevamo che saremmo sempre tornati uno nelle braccia dell’altro. Come poteva essere diverso questa volta? Poteva essersi davvero innamorata di Liam? Scossi la testa e mi alzai, abbandonando la chitarra sul divano. Dovevo andare a letto e dormire, quei pensieri stavano scavando nella mia anima, portandomi via quel poco di felicità che mi rimaneva. Mi cambiai e rimasi a lungo di fronte allo specchio, osservando la barba che mi era cresciuta da poco e il nuovo taglio di capelli. Ero divenuto un uomo. Forse tardi, forse senza nemmeno meritarlo, ma ero uomo. Mi preparai una tazza di tè, ma la gettai nel lavandino senza nemmeno assaggiarla. Cosa mi stava succedendo? La casa era silenziosa, Joe non era con me. Eppure continuavo a sentire sospiri, sussurri e il battito fortissimo del mio cuore. Appoggiai le mani sul lavandino e mi piegai fino ad appoggiare la fronte sulla superficie fredda di alluminio. Respirai un paio di volte profondamente, ma la sensazione di panico non accennava a volersene andare. Controllai il livello di zucchero e sbuffai. Perfetto, completamente sballato.
M’iniettai una dose d’insulina e mi misi a letto, pregando di addormentarmi il più in fretta possibile. Non so per quanto dormii, non so nemmeno se dormii. So solo che avrei desiderato non svegliarmi mai più nel momento esatto in cui il mio cellulare squillò, alle due di notte. Lo lasciai suonare, non volevo aprire gli occhi. Era tutto buio e silenzioso. In strada una donna urlò, la voce subito soffocata dall’abbaiare insistente di un cane. Il cellulare smise di squillare, solo per ricominciare pochi attimi dopo. Rimasi immobile, ascoltai gli squilli acuti per quasi dieci minuti, infine presi il telefono in mano. Forse lessi il numero delle chiamate perse: ventiquattro. Forse controllai anche l’ora: due e un quarto. Magari mi soffermai anche un secondo ad apprezzare lo sfondo, con Elvis sdraiato sul prato. Di una cosa sola sono sicuro: il nome che campeggiava al centro dello schermo mi bloccò il cuore come avrebbe potuto farlo uno scherzo di cattivo gusto: Miles. Non l’avevo più cambiato, era rimasta la s invece della y. Mi ricordavo ancora di come si fosse arrabbiata scoprendo che l’avevo salvata sotto “Miley Cyrus”. Io e la mia stupida mania di perfezionismo. Fissai il telefono. Era uno scherzo, non poteva essere altrimenti. Il cellulare squillò di nuovo, e il bagliore mi costrinse a chiudere gli occhi. Uno squillo. Non avrei risposto. Due squilli. La testa mi girava. Tre squilli. Non poteva voler sentire la mia voce a quest’ora della notte. Quattro squilli. Cinque squilli. Sei squilli. Sempre più insistentemente e ossessivamente. Premetti il tasto verde e mi portai l’apparecchio al viso. Non sentii niente. Non la sua voce, non quella di Liam, non l’abbaiare di un cane: stavo sognando. Il suo respiro mi giunse insicuro dall’altro capo dell’America. Era là, ne ero sicuro. Anche solo sentire il suo respiro mi riempì il cuore di gioia. Non stava piangendo, non stava urlando: stava respirando. Non dissi niente, sarei andato avanti per sempre semplicemente godendo di quel dolce suono. Chiusi gli occhi e respirai a mia volta, tentando di far combaciare i nostri respiri. Ecco. Stavamo respirando insieme.
“Nick?”.
Sobbalzai impercettibilmente. C’era qualcosa di strano nella sua voce. C’era paura, preoccupazione e una punta, un minuscolo cenno di… felicità. Non dissi niente, forse avrebbe ripetuto il mio nome. Era tanto che non sentivo le sue labbra pronunciare quelle quattro lettere.
“Nick?”.
Sorrisi fuori e m’incendiai di gioia dentro.
“Nick?”.
Socchiusi le labbra e appoggiai la testa al cuscino, contento.
“Miley…”.
Un sospiro di sollievo m’invase le orecchie.
“Mi hai fatto spaventare: perché non mi hai risposto?”
“Perché mi hai chiamato?” ribattei.
Me la immaginai pensierosa. Forse si stava anche mordendo un labbro.
“So di averti svegliato, ma ho veramente bisogno di parlarti”
“Perché mi hai chiamato?”
“Ti prometto che non ci metterò tanto. Come va?”
“Voglio sapere perché mi hai chiamato, Miley”
“Il diabete è sotto controllo?”
“Ti ho fatto una domanda”
“Anche io” mi ricordò fredda.
Scossi la testa e mi portai una mano alla fronte.
“Prima di andare a letto avevo i livelli leggermente…”
“Hai preso…”
“Ho fatto tutto”.
Ci fu una lunga pausa, troppo lunga. Mia mancava la sua voce.
“Non so cosa farei se ti succedesse qualcosa. Non scordarti mai l’insulina, ti supplico”
“Non lo farò”.
Sembrò calmarsi.
“Perché mi hai chiamato?”
“Forse non dovrei…”
“Rispondimi, cazzo!”.
Avevo urlato. Le avevo urlato addosso dopo essermi ripromesso che non l’avrei mai più fatta soffrire. Imprecai sottovoce e rimasi in silenzio.
“è successa una cosa”.
E il mio mondo crollò.
Mi aveva detto qualcosa di simile solo in due altre occasioni. Quella volta in cui avevamo litigato e ci eravamo lasciati e quando mi aveva mandato un messaggio per informarmi del fatto che fosse andata a letto con Liam per la prima volta.
Non dissi niente. Se avessi aperto la bocca in quel momento sarei riuscito solo a balbettare frasi disconnesse su come fossimo nati per stare insieme e su come mi mancasse da morire, ogni giorno, ogni ora, ogni ricordo tornato alla mente di più.
Non volevo sentire. Volevo spegnere il telefono, gettarlo contro il muro e urlare al mondo che non era giusto. Non era giusto che la ragazza che amavo, la donna che volevo fosse con qualcun altro. Non era giusto che un altro uomo la rendesse felice, la facesse sorridere e piangere, la sostenesse nelle sue notti più buie e le sussurrasse ‘ti amo’ nei suoi giorni più gioiosi. Non era giusto che io fossi solo. Non lo era.
“Cosa è successo?”.
Mi costò un enorme sforzo aprire la bocca. Pronunciare quelle tre parole prese le ultime poche forze che mi erano rimaste.
“Mi prometti che non ti arrabbierai?”
“Promesso”
“Sai mantenere un segreto?”.
Deglutii a fatica e annuii, ben sapendo che non avrebbe potuto vedermi.
“Liam mi ha chiesto… di sposarlo. È stata una cosa inaspettata, non lo sapeva nessuno. La cerimonia sarà a giugno. Lo so che è molto affrettato, ma lo amo così tanto, non potresti mai capire. Spero davvero che tu possa incontrarlo presto”.
Non sentii niente. Era tutto troppo surreale per essere vero. Il nostro primo bacio, quando avevo tenuto le mani nelle tasche e non avevo idea di come si usasse la lingua. Quella volta in cui eravamo andati in bici fino a fuori Los Angeles e ci eravamo addormentati nel prato, tornando a casa alle undici di sera: ero rimasto in punizione per una settimana. Ogni volta in cui aveva mangiato i biscotti senza zucchero invece dei muffin al cioccolato solo per me. Quando mi ero addormentato aspettandola, quando avevamo visto “The Notebook” stretti uno all’altra. Tutte le volte in cui mia mamma aveva urlato di tenere la porta della camera aperta mentre eravamo insieme. Tutte le volte in cui l’avevo battuta a basket e il suo viso imbronciato mentre chiedeva la rivincita. La nostra felicità nel sapere che saremmo andati in tour insieme. Quella volta in cui avevamo litigato troppo, semplicemente troppo per far finta di niente. Tutti i pianti, le notti passate insonni a scrivere canzoni mentre lei faceva lo stesso in un’altra stanza. Come ci fossimo odiati per quasi un anno prima che io capissi di volere e amare solo lei. Quando ci eravamo incontrati di nuovo, il nostro abbraccio forse impacciato ma pieno di amore. Quando avevamo iniziato a sentirci di nuovo, tutti i messaggi, le chiamate alle due di notte. Quando avevamo scritto una canzone insieme, quando aveva lasciato Justin per me, solo per me. Quando ci eravamo ritrovati nudi nello stesso letto, una tiepida notte in Georgia, e ci eravamo semplicemente rivestiti perché sapevo mia mamma non mi avrebbe mai perdonato. Come fossimo riusciti a stare insieme per quattro mesi sebbene lei dovesse far credere di essere fidanzata con Liam e fossimo in tour in continenti diversi. Come avessimo speso ogni momento libero al telefono: mezzogiorno da lei e mezzanotte da me. Quando non ce l’avevamo fatta per la seconda volta. Quanto avessi continuato ad amarla e ad aspettarla. Quando l’avevo consolata per Liam ed era venuta alla mia festa di compleanno. Il suo “regalo” per il mio compleanno nel bagno del bowling. Come ci fossimo persi nuovamente di vista per poi ritrovarci al bowling, a febbraio: sorrisi forzati e abbracci insicuri solo per nascondere ciò che provavamo l’uno per l’altro. La nostra prima volta nel mio letto, dopo il bowling: come ci fossimo sussurrati “per sempre”. E poi il tentativo di far funzionare qualcosa di sbagliato. Quando era partita per il tour, quando avevo incontrato Delta. Tutte le volte in cui avevamo litigato al telefono e il suo modo di farsi notare cambiando le parole sul palco. E poi quell’ultima chiamata, la fine veramente di tutto. Come ci fossimo quasi riavvicinati all’inizio dell’anno, come mi fossi illuso che tutto potesse sistemarsi. Il mio gettarmi a capofitto nel lavoro solo per ignorare quella sensazione di vuoto e mancanza che mi torturava. Sembrava tutto un sogno, niente di più. Quasi sei anni passati ad amarla, ad aspettarla, a sbagliare e a promettermi di non commettere più gli stessi errori. Mi era scivolata via dalle dita una volta di troppo, e questa volta si era allontanata troppo perché potessi stringerla nuovamente a me.
“Nick? Va tutto bene?”.
No cazzo, no.
“Nick? Parlami per favore”.
Non dissi niente.
“Nick, ti prego, io…”.
Chiusi la chiamata. Non era vero. Non poteva essere vero. Non avrebbe sposato Liam. Avevamo ancora quattordici anni e stava ridendo di me perché non avevo capito uno stupido doppio senso. Fra di noi non sarebbe mai finita. Me l’aveva promesso. Me l’aveva promesso…
Presi il cellulare e la chiamai nuovamente.
“Nick, io…”
“Mi dispiace, non avrei dovuto interromperti”.
Aspettai che parlasse, ma non disse niente.
“Perché giugno?”
“Cosa c’è di spec…”
“Lo sai meglio di me, Miley. Il nostro anniversario. Non puoi farmi questo”.
Non rispose. La odiavo.
“Quando te l’ha chiesto?” chiesi, insicuro se volessi sapere la risposta.
“Oggi pomeriggio”.
La sua voce era ridotta ad un sussurro.
“Non lo sa ancora nessuno: volevo che tu fossi il primo a saperlo”.
“Perché?”
“Perché tengo troppo a te: non mi sarei mai perdonata se lo avessi saputo da qualcun altro”.
“Sei felice?”.
Non so perché lo chiesi. Forse avevo bisogno che mi dicesse che non era felice, così avrei ricominciato a lottare per averla. O forse avevo bisogno che mi dicesse che era felice, così avrei smesso per sempre di costruire castelli di sabbia troppo vicini al mare.
“Sì”.
Non un’ombra di dubbio, non una nota di insicurezza, un profilo di amarezza e rimorso. Niente che potesse farmi sperare in un futuro diverso.
“Tu?”.
Chiusi gli occhi. Probabilmente avevo capito male.
“Co… cosa?”
“Ti ho chiesto se tu sei felice per me”
“Se sei felice sono felice anch’io”
“Non è una risposta”
“Non mi dai altra scelta”.
Sembrava indecisa. Pregai che non si arrendesse, che non mi credesse, che capisse ciò che provavo veramente. Volevo essere beccato.
“Nick, ho bisogno di andare avanti, di scordare il passato e costruirmi una nuova vita. Ho ricominciato troppe volte per te e con te. Adesso ho solo bisogno di ricominciare senza di te”.
“Possiamo rimanere amici” proposi. L’ultima volta che le avevo proposto qualcosa di simile era tornata ad amarmi dopo poche settimane.
Rise, una risata fredda e cattiva.
“Non sono più così ingenua. Ho bisogno che tu stia lontano da me, non voglio vederti né parlarti mai più”.
“Perché?”.
Lo sapevo il motivo, fin troppo bene. Ma se davvero non l’avrei mai più sentita volevo godere del suono della sua voce il più a lungo possibile. Volevo che l’alba ci sorprendesse al telefono, orgogliosa della sua scoperta.
“Perché sei la parte più importante di me, forse sei l’unica parte di me; perché riesci a farmi fare cose stupide, come piangere sotto la pioggia e rendermi ridicola su un palco; perché ti vedo sempre nei miei sogni e il tuo solo pensiero mi fa sorridere come una scema. Ti voglio fuori dalla mia vita, Nicholas, solo così potrò crearmene una nuova con Liam. Voglio lui, solo lui”.
Ero solo. Aveva scelto lui e a me non rimaneva nessuno per cui combattere.
“Ed io?”.
Sorrise. Ne ero sicuro, anche se non potevo vederla: la mia domanda fu seguita da un suo sorriso intenerito.
“Ci sono così tante ragazze qua fuori che sarebbero perfette per te. Sposerai qualcun altro, avrai dei figli con qualcun altro, invecchierai al fianco di…”
“Peter e Charlotte”.
Sapevo di aver colpito nel segno. Si fermò, insicura.
“Ti ricordi ancora” mormorò. Era un’affermazione, una pura e semplice constatazione, ma sapevo che conteneva una domanda a se stessa, un’esclamazione verso di me e un’imprecazione contro il destino che ci aveva separati.
“Lo spero ancora. Spero ancora che ci sposeremo e avremo due figli. Peter…”
“Perché ami Peter Pan, e Charlotte…”
“Perché suona bene di fianco a Peter”.
Sorrisi fra me e me.
“Siamo stati così stupidi a programmare il nostro futuro a quattordici anni”.
Risi. Per non piangere.
“Adesso ho Liam. Mi rende felice ed è un uomo, non un ragazzino che non riesce a smettere di pensarmi e farebbe di tutto per me”.
“Anch’io sono uomo ormai” ribattei risentito.
“Non importa. Non siamo abbastanza maturi da condividere una relazione: litighiamo per decidere quale sia la canzone migliore in un album appena uscito, non pensiamo ad altro che a farci soffrire a vicenda e siamo troppo diversi. Ho bisogno di stabilità nella mia vita. Stare con te è come… come il mare. Mi riempi di felicità improvvisamente, come un’onda, e vorrei morire per quanto ti amo. Poi, prima che la medesima onda ritorni, ne devono passare altre sei dove vorrei solo strozzarti per quanto mi fai arrabbiare”.
“Non vale la pensa di combattere? Anche solo per una singola onda?”.
“Ho già lottato per te troppe volte. Con Liam non è così: è lì, è mio, tastabile e tangibile. Non devo preoccuparmi di non vederlo per tre mesi a causa di qualche stupido tour; non devo aver paura che mi spezzi il cuore con la stessa potenza con la quale prima l’aveva imbottito di gioia; non devo piangere ogni notte e nascondere il mio amore perché pensa di più alla sua carriera che alla sua fidanz…”.
Si bloccò. Silenzio. Non sentivo niente.
“Non piangere” sussurrai “ti prego, non piangere Miles”.
“Non dirlo a nessuno” disse fra le lacrime “mi ero ripromessa che non avrei mai più pianto per te”.
“Questa volta sarebbe diverso” aggiunsi “te lo prometto. Ti porterei in tour con me; non ti nasconderei a nessuno, farei sapere a tutti quanto ti amo; ti scriverei canzoni…”
“Nick, ti prego…”
“Un intero album se servisse a renderti mia; ti farei sentire amata e voluta; non mi scorderei un singolo anniversario; cucinerei ciò che ti piace di più, canterei ogni notte per farti addormentare e smetterei di essere vanitoso”.
Rise leggermente al rimando a 7 things.
“Sai qual è il problema?”
“No”
“Anche sapendo che faresti tutte queste cose sceglierei comunque Liam”.
In quel momento capii che non sarebbe valso a niente combattere. L’avevo persa per sempre. Non l’avrei mai più baciata. Avrebbe fatto progetti con un altro uomo, dormito con lui e amato solo lui.
“Devo andare, Liam è tornato a casa” sussurrò.
“No, aspetta”.
Un inverno di calore mi pervase e andai nel panico. Non volevo perderla, non potevo perderla, non avrei mai sopportato perderla.
“Io ti amo”
“Non conta più”
“Ma…”
“Devo andare. Spero tu sia felice, Nicholas, e che un giorno mi possa perdonare per quello che ho fatto”
“Sei già perdonata”.
Non attaccai. Non sarei stato io a chiudere per sempre i nostri contatti. Rimase immobile anche lei. Chiusi gli occhi e trattenni il respiro, per sentire solo il suo.
“Amore? Dove sei?”.
La voce era arrivata ovattata: Liam.
“Devo… devo andare Nick. Mi dispiace troppo per poter dire qualcosa. Non fare sciocchezze per favore, abbi riguardo e non scordarti l’insulina. E…” fece una pausa, indecisa “ho scelto lui perché so che litigheremo e gli spezzerò il cuore, e preferisco che sia lui a soffrire piuttosto che tu. Il tuo cuore rimane ciò a cui tengo di più”.
Tu tu tu tu…
Aveva attaccato.
Imprecai e gettai il cellulare sul letto. Non dovevo pensare a quanto si sarebbero divertiti questa sera, o avrei finito coll’impazzire. Non riuscivo a pensare a niente, forse perché il fatto che l’avessi persa per sempre non mi aveva ancora colpito. Non sarebbe dovuta finire così. Avrei dovuto farla soffrire, impazzire e piangere ancora a lungo; lei avrebbe dovuto continuare con i suoi stupidi giochi, avrebbe dovuto baciare ragazzi diversi ogni sera in discoteca solo per farmi del male; alla fine mi sarei inginocchiato io di fronte a lei, e saremmo stati noi per sempre, nel bene, che sarebbe stato poco, e nel male.
Avevo perso troppo tempo ad aspettare, a credere che fosse mia, a dare per scontato il suo amore per me. Non avevo mai dubitato una singola volta che sarebbe tornata da me. E mentre stavo tranquillo ad attendere il suo “ti amo ancora” lei si era allontanata da me, mi era sfuggita dalle braccia. Forse non era nemmeno mai stata veramente mia.
Infilai la testa sotto il cuscino e lasciai che le lacrime mi rigassero le guance. Odiavo essere così maledettamente vulnerabile quando si trattava di lei. Odiavo quanto la mia vita dipendesse da una sua parola. Fu in quel momento che une melodia si fece spazio timida nella mia mente. La ripetei, la assaporai e la accarezzai delicatamente. Era perfetta.
Mi alzai e presi un foglietto di carta e una penna. Lo scrissi in centro, a grandi lettere, perché tutti lo sapessero.
I don’t wanna love if it’s not you.
E la melodia sembrava nata per accompagnare quelle semplici parole.
Mi sedetti alla tastiera e portai quelle note in vita.
I don’t wanna hear the the wedding bells.
Non volevo vedere le foto di quel giorno di festa, sentire le campane suonare.
Prove that we can’t try one last time.
Non avrei mai violato un sacramento come quello del matrimonio. Se si fosse sposata non l’avrei mai più inseguita.
Mi bloccai.
Non sapevo come continuare.
Tornai a letto e mi coprii, sapendo che non sarei mai riuscito a dormire. Ricominciai a piangere. Ho perso il conto di quante volte sono andato in bagno quella notte a sciacquarmi il viso. Ho perso il conto di quante volte ho desiderato morire. Ho perso il conto di quanto abbia tentato di tenere gli occhi aperti: non appena li chiudevo riuscivo solo a vedere lei, lamia Miley, vestita di bianco.
Quando i primi sprazzi di luce entrarono dalla finestra non avevo ancora pianto tutte le mie lacrime. Il cellulare squillò di nuovo. Era un messaggio.
Aspettami. Non è un addio, promesso.
Forse era solo un sogno, ma ero felice… troppo felice.
Se mi fossi svegliato sarei morto di tristezza.
Se avessi continuato a sognare sarei morto di felicità.
 
 
  
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