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Autore: dreamrauhl    15/02/2013    2 recensioni
"L'unica cosa che sapevo era che volevo solo il meglio per me. E il meglio era lei."
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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4.

Qualcuno se ne accorse. In quel poco di lucidità che ebbi sentii il panico generale, stavano tutti urlando. Vidi una ragazza corrermi incontro.

***'S POV.

Mi trovavo in stazione assieme a mia madre. Finalmente il grande giorno era arrivato: papà avrebbe fatto il suo rientro a casa.
Da mesi ormai aveva dovuto recarsi a tre ore di distanza da dove abito per problemi di salute, aveva bisogno di cure adeguate che qui non avrebbero potuto fornirgli.
Lo chiamavo ogni giorno, mi chiedeva sempre come stavo, cosa avevo fatto a scuola, come andavano le cose qui. Era lontano ma con il cuore non se n'era mai andato da casa, mi era sempre restato accanto.

Fissavo la gente che attendeva disinteressata seduta sulle poltrone, con in mano il giornale o ascoltando musica, provavo a immaginare chi aspettassero, se un parente o un amico, un marito o una moglie, un fidanzato.
Ogni tanto li vedevo sorridere e abbracciarsi, altri li vedevo darsi forza, leggevo “tornerà” dal labiale.

Guardai fuori dalla finestra: accanto al muro in cemento c'era un ragazzo. Era solo. Si guardava intorno, lo sguardo spento, i capelli color cenere che facevano brillare il volto buio, triste.
Avrei voluto chiedergli cos'aveva, se aveva bisogno di parlare con qualcuno.
Come al solito la mia timidezza mi fermò. Che fine aveva fatto la ragazza estroversa che salutava sorridendo persino i passanti sul marciapiede?
All'improvviso ero diventata un'altra, più schiva, responsabile.
Il ragazzo giocherellava con un qualche elastico o forse era solo il laccio del cappuccio della felpa. Se lo rigirava fra le mani, disinteressato, perso.
Chissà, chissà cosa gli passava in mente.

Mi alzai dalla sedia, avvicinandomi alla finestra e appoggiando le mani al vetro.
Sentii mia madre chiedermi “dove vai?” ma non risposi.
Rimasi incantata di fronte a quell'essere umano tanto bello quanto misterioso, tanto affascinante quanto disperato.
Mi diressi verso la porta, aspettai che si aprì e uscii.
Gli andai incontro, non se ne accorse perché era voltato di schiena, fissava le rotaie, controllava se arrivavano treni.
Camminavo sempre più veloce, il cuore palpitante che sembrava uscirmi dal petto, la gola che si era seccata, le mani che tremavano.
Era da tanto che non provavo quella sensazione, eppure mi era così familiare.
L'avevo provata tante volte, ma avevo sempre desiderato rimuoverla dai miei pensieri.

Io. Non. Devo. Innamorarmi.

Mentre mi avvicinavo a lui continuavo a ripetermelo, una, due, tre, dieci volte. Ero arrivata a contarne venticinque finché non gli ero distante solo qualche metro.
Si alzò in piedi, mi bloccai.
Da lontano sentivo il rumore di un treno in arrivo, si faceva sempre più forte e assordante.
Ebbi una paura folle quando lo vidi controllare e ricontrollare quell'arrivo.
Si sposto finché i piedi sporgessero dal pavimento cementato.
Non riuscivo a respirare, non mi rendevo conto di quanta aria non avessi aspirato a causa dello spavento.
Il rumore del treno mi assordava, le parole della gente si trasformarono in grida e divennero un frastuono.
Non so con quale forza riuscii a muovermi ma iniziai a correre. I pochi metri che ci separavano divennero in una frazione di secondo solo millimetri.
Spalancai la bocca per lo spavento quando guardandomi si lasciò cadere all'indietro.
Istintivamente mi gettai in avanti, tendendo le braccia. Riuscii ad afferrargli un piede ma le mie mani e le mie braccia non riuscirono a sorreggere quel peso, esagerato per i miei muscoli.
Iniziai ad urlare cercando di attirare l'attenzione.
Aiuto! Aiuto! Aiuto!”, le mie parole erano grida disperate.
Sentii un rumore sordo: era la testa del ragazzo che sbatteva contro il muro in cemento, trascinandomi ancora di più verso il fondo e facendomi scivolare e graffiare sul pavimento ruvido all'esterno della stazione.
Aiutatemi!
La mia voce si era fatta rauca da quanto avevo urlato solo qualche secondo prima.
Il menefreghismo delle persone in attesa mi disgustò.
Un ragazzo aveva appena tentato il suicidio e loro se ne stavano fermi, fingendo di non aver visto nulla. Feci una smorfia schifata, quando dopo svariate urla finalmente qualcuno accorse in mio aiuto.
Ormai il mio busto era quasi del tutto sporto dal bordo, mi sorpresi io stessa di non essere caduta anche io con lui.
In un momento di lucidità pensai a quello che avevo fatto, pensando e ripensando al fatto che avrei rischiato la vita per salvarlo pur non conoscendolo.
Aveva quel non so che di speciale di quelle persone un po' disastrate a cui non puoi non voler bene, vuoi bene loro per forza, quasi a proteggerle, accudirle.

Un uomo sulla trentina afferrò entrambe le gambe dove io stringevo forte le caviglie con le mani sudate, mentre fiotti di lacrime iniziarono a rigarmi il viso, presa dal nervoso e dalla paura.

Lo tirammo su, lo facemmo stendere a pancia in su. Sembrava fosse svenuto, ma almeno era vivo.
Iniziò a mancarmi il respiro, un'altra volta. Non era un mistero che soffrissi di attacchi di panico, non per i miei genitori almeno, ma tutti questi sconosciuti non lo sapevano.
Mi portai una mano al petto, strinsi la maglietta con le unghie quasi a strapparmela di dosso ed iniziai a vedere nero, puntini bianchi su uno sfondo nero.
Le ultime parole che sentii prima di svenire furono “Pronto 118, venite alla stazione, un ragazzo ha tentato il suicidio, è salvo per miracolo”.

 

  
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