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Autore: FreedomHuman    15/02/2013    0 recensioni

“Com’è innamorarsi, Wendy? Non mi sono mai innamorato. Non so cosa vuol dire provare troppo amore per qualcuno. Non riesco a capire.”
Lei chiuse gli occhi per un attimo e cercò di ripensare al ragazzo di cui portava l’iniziale sul collo. Per lei era quello l’amore. Lui, era l’amore.
“Cos’è troppo, Peter? Cos’è troppo in amore? Non credo esista un troppo. Credo che l’amore sia diverso, per ognuno di noi.”
Lui le sorrise e poi chiuse gli occhi, lasciandosi nuovamente cadere sulla schiena e osservando il soffitto.
“Insegnamelo tu.”
“Non si insegna ad amare."
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Luce non aveva voglia di andare a scuola quella mattina, come ogni mattina probabilmente. E probabilmente come chiunque. E poi era primavera, c’era il sole. Perché doveva rinchiudersi lì, buttando una giornata intera?
Si guardò allo specchio e si sorrise, pensando che un anno prima non avrebbe nemmeno avuto il coraggio di guardarsi di sfuggita.
Mise un paio di jeans semplici, scuri. Un dolcevita verde pallido, le sue solite converse bianche e il cappotto rosso, che aveva tanto voluto comprare.
Lasciò che i boccoli scuri le cadessero sulle schiena e si chiuse dietro la porta di casa, decisa a non andare a scuola.


 
Prese qualche autobus e finalmente arrivò in centro, sorridente come non ricordava di essere mai stata.
La gente le passava accanto.
Qualcuno le lanciava qualche occhiata sorridendole e lei ricambiava, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Ed in realtà lo era. Cosa c’era di innaturale nel sorridere? Eppure lei non lo faceva mai. In ogni cosa trovava qualcosa, qualche banale dettaglio che non la costringesse a sorridere.
Qualcuno andava avanti, senza notarla, magari concentrato a pensare ai fatti suoi. E a Luce piaceva immaginare a cosa pensassero, cosa facessero nella vita.
Magari l’uomo che l’aveva sorpassata poco prima, con la valigetta, stava andando di fretta, per arrivare in orario al lavoro e magari ottenere un piccolo aumento, così da poter comprare alla figlia la bambola che le piaceva tanto.
O magari quella bionda che parlava agitata al telefono.
Forse era una famosa popstar e lei non l’aveva mai vista. Magari sbraitava perché le avevano annullato il volo. O forse era una delle tante donne in che era venuta a cercar lavoro a Doncaster e ora sclerava perché le avevano annullato il volo e non poteva tornare in tempo per la partita di calcio del figlio.
C’erano così tante storie dietro. Così tante cose che lei non sapeva e che poteva solamente immaginare.
Il mondo era grande e lei avrebbe sicuramente avuto il tempo per girarlo tutto.
Aveva, quasi , diciotto anni. Una vita davanti.
Ed anche un ragazzo moro che le era finito addosso.
Che non aveva visto.
Che non aveva mai visto.
“Scusami tanto. Stavo pensando, non volevo venirti addosso.”
Il ragazzo portò una mano sulla fronte, parandosi dal sole e cercando di guardarla in faccia.
Rimase così per qualche interminabile secondo e poi le sorrise.
“Sei carina. Quindi ti potrei perdonare.. Se vieni a bere con me un caffè.”
Non sapeva cosa rispondere.
Non sapeva nemmeno il suo nome, perché avrebbe dovuto accettare?
Ma sorrise, perché con quel ragazzo davanti le era sembrata la cosa più naturale da fare. Sembrava avesse un cartello luminoso sulla fronte che urlava ‘sorridimi’.
 
 
Avevano ordinato entrambi un cappuccino e se ne stavano seduti a fissarsi mentre il sole primaverile li scaldava.
Sorrise di nuovo e si disse che doveva smettere di farlo, anche se in realtà non era ciò che voleva realmente.
“Non so il tuo nome.”
Lei gli sorrise nuovamente e scosse la testa passandosi una mano tra i capelli e cercando di coprirsi le fossette che puntualmente spuntavano e che lei puntualmente detestava.
“Nemmeno io so il tuo. Potresti essere un molestatore. Perché dovrei dirtelo?”
Il ragazzo scoppiò a ridere e per un attimo le sembrò che fosse il suono migliore del mondo.
“Un punto per te. Tu non mi dici il tuo, io non ti dico il mio. Ma in caso dovessi chiamarti, per dirti qualcosa, come ti chiamo?”
Sorseggiò il suo cappuccino e scosse la testa. Era buffo, molto più che buffo.
Il ragazzo scattò e per poco non rovesciò tutto a terra. Osservò la faccia di Luce e scoppiò a ridere. Aveva un’espressione sconvolta, come se le avesse appena detto che spacciava cocaina all’asilo.
“Wendy. Tu sarai Wendy. E io sarò Peter Pan. Che te ne pare?”
Assentì con la testa e nascose nuovamente il sorriso affondando la faccia nel cappuccino.
“Sei buffa. Non ti piace parlare?”
Lei fece cenno di no con la testa mentre continuava a bere.
“Okay, non sei brava a fare conversazione. Posso accettarlo. Ti farò qualche domanda io. Band preferita?”
“The Script.”
“Come li hai conosciuti e cosa ti piace di loro?”
Si era fatta ingannare come una stupida. Era ovvio che avrebbe trovato un pretesto per farla parlare di più.
“Cercavo qualche canzone su youtube che mi buttasse ancor più giù il morale. Così ho trovato per caso breakeven. E tu?”
Un sorriso furbo spuntò sul viso del ragazzo e si alzò in piedi, tendendole la mano.
“Non ti ho detto che ti avrei risposto.”


 
Cominciarono a passeggiare e continuarono a chiacchierare.
Argomenti leggeri, nulla che richiedesse impegno o concentrazione.
“Wendy. Ti piace vivere qui, in Inghilterra intendo. Cioè, vivi bene?”
Rimase ferma a pensare e poi con la testa fece cenno verso una panchina.
Si lasciò cadere come se un peso enorme le fosse caduto addosso.
Incrociò le gambe e puntò gli occhi scuri in quelli azzurri e brillanti del ragazzo.
“Non credo sia questa la questione. Vivere bene o no qui, in Inghilterra. Credo semplicemente sia questo mondo a non andare. Potrei andare a vivere ovunque che probabilmente sarebbe la stessa merda. Le cose non vanno bene da nessuna parte.”
Lui le sorrise e si allungò per prendere la mano di lei tra le sue, per poi sorriderle. Non fece nemmeno caso al fatto che lei non ricambiò la stretta e nemmeno che stava guardando alle sue spalle.
“Non puoi cambiare il mondo, piccola Wendy.”
Lei gli sorrise e si alzò in piedi, passandosi la mano tra i capelli e guardando la gente che passeggiava. Nessuno si era girato a fissarla e lei era contenta di questo, a nessuno importava realmente ciò che stava per fare.
Si girò verso di lui saltando sul marciapiede e tendendogli la mano, aprendosi in un sorriso molto più sincero dei precedenti.
“E chi te lo dice?” Luce gli fece la linguaccia e con una mano spostò i capelli sul lato sinistro, lasciando scoperto un orecchio e una piccola linea nera che sembrava la fine di un tatuaggio.
Il ragazzo avvicinò la mano al collo e le scostò un po’ di più i capelli, cercando di osservare il tatuaggio.
“Cos’è?” Chiese curioso.
Luce alzò gli occhi al cielo e scosse la testa.
Louis la imitò subito dopo e la prese sotto braccio, facendole cambiare improvvisamente strada.
“Non puoi cambiare il mondo, comunque. Però voglio portarti sull’isola che non c’è.”


 
 
Avevano camminato per una decina di minuti e poi Louis le aveva preso la mano per aiutarla a salire su una piccola casetta sull’albero, situata in una piccola radura circondata da alberi. I brividi le percorsero la schiena e lei sorrise, pensando a quanto le mancava l’inverno. Si lasciò cadere su un piccolo materasso vecchio e logoro e sorrise al ragazzo, che aveva fatto la stessa cosa.
Chiuse gli occhi e poco dopo lo vide intento ad accendere una piccola stufetta nell’angolo. Si chiese come fosse possibile, visto che erano su un albero, ma non ci fece caso più di tanto e alla fine decise di togliersi il cappotto, abbandonandolo sul pavimento accanto a lei.
“Sai.. Peter. Ho sempre sognato una casetta sull’albero. Un posto dove poter andare, quando qualcosa non va.”
Il ragazzo che aveva finito di armeggiare con la stufa si mise accanto a lei e le sorrise, per poi guardare il soffitto.
Rimasero in silenzio per una manciata di minuti e poi Louis si girò verso di lei, scostandola una ciocca di capelli dalla guancia.
“A che pensi?”
“Sto contando i nodi nelle travi del soffitto.”
Lui rise e poi si tirò su, puntandosi sul gomito e osservandola.
“Ti devo confessare una cosa.”
Improvvisamente Luce sembrò farsi più attenta e si girò su un fianco, per guardarlo negli occhi.
“Com’è innamorarsi, Wendy? Non mi sono mai innamorato. Non so cosa vuol dire provare troppo amore per qualcuno. Non riesco a capire.”
Lei chiuse gli occhi per un attimo e cercò di ripensare al ragazzo di cui portava l’iniziale sul collo. Per lei era quello l’amore. Lui, era l’amore.
“Cos’è troppo, Peter? Cos’è troppo in amore? Non credo esista un troppo. Credo che l’amore sia diverso, per ognuno di noi.”
Louis le sorrise e poi chiuse gli occhi, lasciandosi nuovamente cadere sulla schiena e osservando il soffitto.
“Insegnamelo tu.”
“Non si insegna ad amare. Però posso aiutarti.”
Lui scosse la testa e riaprì gli occhi, cominciando a contare i nodi che trovava nel legno.
“Di chi è l’iniziale che porti tatuata sul collo?”
Luce sospirò e si disse che infondo, non aveva nulla da perdere.
“È l’iniziale di mio fratello, Liam.”
Louis non le rispose ma allungò verso la mano, cercando quella della ragazza per stringerla.
“È morto due primavere fa, circa. Lo ricordo come se fosse ieri. Stavo tornando da scuola e lui era lì, seduto sul marciapiede davanti casa, ad aspettarmi. Non ho avuto nemmeno il tempo di avvicinarmi, di abbracciarlo o di sorridergli. Due macchina sono sfrecciate a velocita stratosferica accanto a noi. Ho sentito solo uno sparo e qualcuno che urlava. Poi c’era solo Liam accasciato a terra, che mi cercava con gli occhi.”
Chiuse gli occhi, cercando di cancellare quelle immagini dalla mente sapendo che in realtà si sarebbero fatte più vivide.


 
 
 
“Liam. Liam. LIAM!”
Non riusciva a capire cosa fosse successo. Cercò di correre verso suo fratello, ma lei sembrava andare a rallentatore, mentre il resto del mondo sembrava andare a velocità doppia. Sentiva le gambe pesanti e molli, come se qualcosa le volesse impedire di arrivare in tempo da Liam.
“Zayn, non c’è tempo. Sali in macchina!”
Fece in tempo a voltarsi e a vedere un ragazzo biondo, di corporatura minuta, che spingeva un ragazzo più alto e corpulento verso la macchina. Quest’ultimo rimase immobile per qualche secondo, come se volesse andare da lei.
Ma alla fine non lo fece. Le mimò un semplice ‘mi dispiace’ con le labbra e poi salì in macchina, per allontanarsi in più possibile dalla zona.
Ma Luce non ci fece nemmeno caso. Aveva raggiunto Liam e cercava di tenergli la testa alzata mentre con l’altra mano teneva il telefono attaccato all’orecchio e con voce tremante chiamava un’ambulanza.
La mano di Liam si alzò, fino alla sua guancia, cercando di asciugarle le lacrime. Non si era nemmeno accorta di piangere, fino a quel momento.
Accarezzò il viso del fratello, lasciandogli una scia di sangue sulla guancia.
“Andrà tutto bene, Liam. Te lo prometto. Ma ti prego, rimani con me.”
Lui sorrise debolmente e cercò di osservarla nuovamente negli occhi.
“Sei stata la cosa migliore nella mia vita, Luce.”
Poi non vide nulla. Vide solamente gli occhi di Liam che continuavano a fissarla, nonostante lui non fosse più lì.

 
 
Si asciugò velocemente la lacrima che pian piano stava raggiungendo il suo collo e sospirò.
“Non  li hanno mai presi. Però.. Anche se lo facessero, non credo mi cambierebbe molto.”
Louis si girò ad osservarla corrucciando la fronte e grattandosi la testa.
“Secondo me si. Ti sentiresti meglio.”
Luce scattò a sedere e girò la testa, guardando fuori dalla piccola finestrella.
“No. Nulla potrà mai cancellare l’immagine di mio fratello che muore tra le mie braccia. Niente. Che ne sai tu? Non hai la minima idea di cosa voglia dire guardare negli occhi qualcuno che muore.”
Lui abbassò la testa e allungò la mano verso di lei, costringendola a girarsi e a guardarlo negli occhi.
“Mi dispiace, Wendy.”
Non le disse altro, avvicinò semplicemente il suo volto a quello della ragazza, fino a sfiorarle le labbra, senza mai perdere il contatto visivo con lei.
“Tu mi hai lasciato per questa puttanella? Non ti vergogni?”
Luce balzò indietro finendo contro il muro ed osservando con terrore gli occhi verdi che la stavano esaminando.
Louis si alzò in piedi e si mise davanti a lei, alzando le mani, come se volesse farle da scudo.
“Harry no, hai capito male. Parliamone.”
Il riccio scosse la testa e afferrò Louis per il colletto, spingendolo contro la parete opposta, e facendogli sbattere la testa contro una trave.
“Non c’è nulla da dire. Sei un figlio di puttana!”
Luce agì senza pensare e si fiondò davanti a Louis, prima che Harry gli si fiondasse di nuovo addosso.
Non si accorse nemmeno di ciò che era successo, finchè non vide i ragazzi guardarla con un espressione di terrore e finchè non si sentì tossire.
Come d’istinto portò la mano davanti alla bocca e ciò che vide pochi istanti dopo la lasciò sconvolta.
Un piccolo schizzo di sangue era arrivato sulla sua mano ed ora stava colando per il suo braccio.
Abbassò lo sguardo sullo stomaco e vide un enorme macchia rossa che si allargava sulla maglia.
Non capì finché non alzò lo sguardo incontrando quello di Harry, che sembrava terrorizzato. Abbassò un po’ gli occhi e poi lo vide.
Un piccolo ed insignificante coltello se ne stava lì, tra le mani tremanti del riccio.
Non si accorse nemmeno quando questo cadde e il suo gentil proprietario schizzò via, senza degnarla di uno sguardo.
Cercò di fare un passo verso Louis, ma ormai il suo corpo non la reggeva più. Precipitò in avanti e Louis prontamente l’afferrò, facendola adagiare completamente tra le sue braccia.
“Ora ti porto via da qui, okay Wendy?”
Lei scosse la testa indicando debolmente la ferita, che sembrava non voler smettere mai di sanguinare.
Ma era comprensibile.
“Peter.. Mi canti una canzone?”
Louis avvicinò le labbra al suo orecchio, cominciando a intonare una canzone che Luce conosceva molto bene. Dancing, di Elisa. Lei e Liam l’ascoltavano sempre insieme.
Sorrise a quel pensiero e cercò di farsi cullare dalla voce di Louis, mentre osservava i suoi occhi chiari.
“Ti prego, dimmi qual è il tuo nome.”
Luce sentì che le forze cominciavano ad andarsene. Non sentiva più nemmeno il dolore.
Chiuse gli occhi, sorridendo. Non voleva che lui vedesse cosa voleva realmente dire spegnersi.
“Mi chiamavo Luce.”




Se avete avuto il coraggio di arrivare fin qui, vi faccio i miei complimenti e vi ringrazio.
Lo so, è una cosa molto pietosa e triste c_c
Ma vabbè. Grazie c:

  
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