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Autore: Ahel_chan    16/02/2013    2 recensioni
Bene, una buona sera a tutti! Ebbene vi chiederete: “che razza di libro comincia così?? Mica è uno show televisivo!!”. E in effetti non tutti i libri normali cominciano così…ma chi ha detto che questa è un storia normale? Dunque, questo libro è…una specie di diario di bordo, ecco. No…forse no, direi che questa è la mia storia, anzi, la nostra storia! Va bene, va bene, taglio corto e vi lascio continuare a leggere, se vorrete, chiaro.
Chi sono io?
Un pirata, ovvio.
Genere: Avventura, Commedia, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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INTRODUZIONE!

 
Bene, una buona sera a tutti! Ebbene vi chiederete: “che razza di libro comincia così?? Mica è uno show televisivo!!”. E in effetti non tutti i libri normali cominciano così…ma, chi ha detto che questo è un libro normale? Dunque, questo libro è…ehm…una specie di diario di bordo, ecco. No…forse no, direi che questa è la mia storia, anzi, la nostra storia! Va bene, va bene, taglio corto e vi lascio continuare a leggere, se vorrete, chiaro.
Chi sono io?
Un pirata, ovvio.
 
 
 
 

CAPITOLO 1
Io, la donna e un malinteso…

 
Il sole c’era, eppure la giornata sembrava cupa lo stesso.
In oltre gli ampi nuvoloni grigi di certo non contribuivano a migliorare l’atmosfera…
Alzai lo sguardo verso l’orizzonte. Il mare era piatto e piccole ondine arrivavano mormorando alla riva, trascinandosi pigramente. La vasta distesa d’acqua, che sarebbe dovuta essere blu profondo, era grigiastra e solo quando il sole faceva capolino dalle spesse nubi, si scorgevano bagliori bluastri. Insomma, davvero deprimente.
Mi alzai dal paletto sul molo, sul quale mi ero seduto aspettando che uscisse mio padre.
Sono nato in Scozia, in un paesello non distante dalle scogliere. Amavo quel paesaggio, quell’odore di pioggia, quella casa. Tuttavia siamo dovuti andare a ovest del Regno Britannico, per motivi di lavoro nei confronti di mio padre. Avevo 8 anni, mia sorella 4. Sono il secondo figlio di tre, quello di mezzo insomma. Ho una sorella più piccola, Freya di ormai 11 anni, e un fratello di 24 anni, Nathan. La mia famiglia si è adattata bene in Inghilterra, nonostante i pregiudizi degli altri sugli scozzesi. Ora viviamo nella media borghesia. Mio padre e mia madre erano così contenti e soddisfatti.
Nathan no.
Nathan non lo era mai stato, scappò la seconda settimana. Non abbiamo notizie di lui da 7 anni.
Scacciai i pensieri scuotendo il capo. Pensare al passato serviva a ben poco.
Passarono i minuti e mio padre non era ancora uscito.
Era entrato nella cabina del Commodoro della flotta inglese, e aspettavo lì da circa un’ora, a guardare il sole e le attività portuali.
Mio padre voleva che facessi parte della flotta inglese, per garantirmi una vita ricca e agiata…anche se il mare non era esattamente la mia passione. Per non parlare del pesce.
Stavo ancora sbuffando in preda alla noia, che improvvisamente, una musica allegra e canti vivaci mi incuriosirono, allontanandomi dai miei pensieri. Era la musica di un’osteria lì vicino, la Dark Roses. Uno di quei nomi che si danno alle osterie scadenti…
Entrai, leggermente intimorito. Avevo pur sempre quindici anni, non ero abituato a luoghi del genere.
Mi diressi lì dove la gente faceva baldoria.
Pirati.
Mio padre mi aveva sempre detto di sloggiare appena vedevo un pirata. Non era brava gente, viveva di saccheggio e inganno.
Tuttavia, senza saperne il motivo, rimasi lì, a guardare quella strana e rozza gente mentre banchettava.
L’osteria brulicava di persone, tutti marinai e gente del popolo. Non era un luogo molto luminoso, anche se c’erano numerose lanterne appese alle travi o ad alcuni tavoli. Era un’osteria di dimensioni discrete, e soprattutto dal servizio scadente. L’aria era viziata e in giro si sentiva odore di birra e di rum, mischiato al puzzo rancido della gentaglia lì presente.
Mi voltai per tornarmene sul molo, temendo che mio padre mi scovasse tra quella gente.
Detto fatto, appena feci due passi andai a sbattere contro qualcosa di molto morbido.
Alzai lo sguardo.
Non l’avessi mai fatto.
Una donna, sulla ventina, mi guardava con disdegno. Con tremendo imbarazzo mi resi conto di aver sbattuto contro il suo seno.
Mi allontanai paonazzo, chiedendo scusa più volte. Improvvisamente sentii qualcosa di freddo e pungente sotto il mento: la donna aveva sfoderata una spada, dalle forgiature intricate e bellissime, e me la stava puntando contro, costringendomi ad alzare il capo.
Solo allora ebbi l’occasione di vederla bene: Era molto alta, con la tipica carnagione degli uomini di mare. Aveva capelli lunghi e mossi, color cioccolato e occhi di un verde acceso…quasi innaturale.
Era davvero molto bella, sebbene un po’ troppo grandicella per me, per cui inutile vi facciate da subito certe idee.
-Ehi, ragazzino vedi di guardare dove vai, o la prossima volta sarò costretta a mozzarti la testa.- esclamò con tono beffardo e abbastanza forte, così che sentissero anche gli altri.
Urla di incitamento provennero da alcuni clienti dell’osteria, che avevano visto la scena.
-Vi ho ripetuto mille volte che non era mia intenzione!- biascicai, arrabbiato ed imbarazzato.
-Che faccia tosta…quanti anni hai?-
-Non sono affari vostri…-
Lei sorrise divertita, come se si aspettasse quella risposta:- Bravo, fai bene a non cedere informazioni personali a un pirata, altrimenti saresti finito male un giorno o l’altro!- esclamò ridendo. Rinfoderò la spada.
-Siete…un pirata?- chiesi. Ero affascinato e intimorito da quella persona
allo stesso tempo.
-Perspicace…- disse sarcastica- ma non aspettarti di sapere il mio nome, nè quello del mio vascello, o potresti rivolamici contro in futuro.-
Alzai gli occhi al cielo. Ma che me fregava di quella lì!
La porta dell’osteria si aprì di colpo.
Erano tenenti inglesi, arrivati per portare ordine.
Appena tornai a volgere lo sguardo verso la donna di prima, lei non c’era già più.
I soldati cominciarono a frugare in giro, rovesciando tavoli o minacciando a parole. Sembrava stessero cercando qualcosa.
Un tenente si avvicinò a un piccolo appiglio al quale avevo appoggiato la mia sacca. Stavo per reclamarla, quando l’uomo tirò fuori un oggetto in oro, di cui non conoscevo la forma.
-E’ tua questa sacca?- mi chiese impassibile.
Esitai a rispondere:-..sì, è mia.-
L’uomo scambiò uno sguardo agli altri suoi uomini, che subito mi afferrarono le braccia, facendomi inginocchiare per terra.
-Sporco e lurido pirata, come hai osato rubare la corona del Re?!- mi urlò in faccia uno dei due uomini. Era grasso e sporco di sudore, e puzzava terribilmente.
Ero scioccato. Io non avevo rubato proprio un bel niente, tanto meno la corona reale!
-Non sono stato io a rubare quella cosa…e soprattutto  non sono un pirata!-
Il secondo uomo, più muscoloso del primo, mi tirò un forte pugno in faccia, che mi fece davvero vedere le stelle:- Inutile che lo neghi, pirata!- ed ecco arrivare un secondo pugno, questa volta sull’occhio destro.
-Sarai affidato alla legge, e marcirai in prigione per il resto dei tuoi giorni… non che te ne rimangano molti!- sibilò il tenente. L’uomo scoppiò in una risata, facendo segno agli altri due di portarmi fuori.
Mi ribellai, per quanto mi fu possibile, ma fui immobilizzato con un’unica corda, che mi legava le caviglie, i polsi e che passava attorno alla gola, così che ad ogni mio tentativo di ribellione, mi sarei auto-mutilato.
Maledetti…come provare la mia innocenza? E soprattutto…dov’era mio padre?
Provai a spiegare che ero figlio dell’uomo che parlò al Commodoro quella mattina, ma non mi ascoltarono.
Non mi rimaneva altro che starmene buono, aspettando il momento giusto per scappare.
 
Mi condussero in carcere.
Era un enorme edificio in pietra, con una facciata particolarmente curata, al contrario dell’interno, che si presentava buio, umido e trascurato. Mi portarono in una stanza, dove mi fecero sedere, slegandomi e ammanettandomi. Mi fecero delle domande, come avevo rubato la corona, quanti complottavano con me, la ciurma a cui appartenevo…tutte domande a cui non potevo rispondere.
Ormai era pomeriggio e dopo un interminabile interrogatorio, mi condussero in una stanza, totalmente bianca e con una sola sedia al centro circondata da vari strumenti. Mi picchiarono, costringendomi a confessare.
Ma che avevo da confessare, io che ero innocente? Purtroppo con la mia faccia da “mascalzone” era difficile che la gente mi prendesse per un ragazzo per bene e di conseguenza sicuramente innocente.
A pomeriggio inoltrato mi chiusero in una cella, fredda e umida, con un piccolo pagliericcio buttato in un angolo, che a quanto pareva, doveva trattarsi del letto. Il resto della cella era in mattoni, pieni di muffa e perdite dal soffitto.
Mi veniva da piangere.
Ero solo già da qualche ora, e il mio sguardo stanco e sofferente ricadde sulle braccia, poi sul torace e sulle gambe. Piene di sbucciature e lividi.
Lasciai cadere la testa sul muro, appoggiandomi con la schiena.
Mamma, papà…dove siete?
Ero ancora immerso nei miei pensieri, quando sentii qualcosa picchiettarmi sul capo.
Infastidito mi portai una mano tra i capelli, scovando un sassolino grigio.
Potevo capire i pidocchi…ma che una persona avesse i sassi in testa, mai sentito! Un secondo seguitò al primo e così un terzo, fino a quando mi stufai e urlai chi ci fosse.
Un bisbiglio dall’alto mi rispose:- Ehi, ragazzino, sono io!-
Una scossa di rabbia mi invase. Era ovvio, aveva infilato la corona nella sacca, per poi fuggire indisturbata. Quella voce la riconobbi subito.
-Brutta imbrogliona, è colpa tua se sono qui! Ce l’hai messa tu la corona nella mia sacca, vero?- bisbigliai, tremendamente infastidito.
La risposta si fece attendere, per poi arrivare con insicurezza:- Lo so, mi dispiace, non pensavo fosse tua…-
Questo dimostrava che di chiunque fosse stata quella sacca, i pirati non se ne facevano un baffo di quello che sarebbe stato il destino del proprietario.
-Sei una strega senza scrupoli!-
-Sta’ zitto moccioso, afferra la fune e bacia i piedi di questa donna, ti sta salvando la vita!- ad intromettersi fu una voce maschile, roca e determinata.
Rimasi interdetto. Era quindi tornata…per salvarmi?
Una ruvida e spessa fune rotolò dall’alto della finestrella. La afferrai e cominciai ad arrampicarmi.
Non ero proprio lo sportivo di turno, anzi, possiamo dire che nonostante avessi un fisico atletico e asciutto lo sport non era il mio forte. Così mi arrampicai, timoroso di cadere ma determinato a uscire da lì.
Raggiunsi la finestrella …sbarrata. Intravidi degli stivali, logori e consumati.
-Aspetta, le tolgo io.- disse la voce maschile.
I tre uncini di un rampino si infilarono tra le sbarre e per poco non mi cavarono l’occhio. Sentii un gemito di sforzo provenire da fuori. Dopo qualche istante le sbarre erano tolte, e io potei uscire. L’aria pungente e salata della notte mi investì, facendomi respirare a pieni polmoni.
Vidi il viso sorridente della donna e affianco un uomo sulla quarantina, molto muscoloso con occhi e capelli argentati. Era pieno di tatuaggi ed era armato fino ai denti.
Stavo per parlare, ma un improvviso senso di malessere mi colpì, togliendomi le forze. Caddi in ginocchio, respirando profondamente. La testa cominciò a girarmi, e poi svenni, sentendo solo la voce della donna che mi chiamava da lontano, come un basso eco nella mia testa.
  
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