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Autore: NaiStella    16/02/2013    0 recensioni
Non sono un ragazza speciale. Anzi tutt'altro. Sono una normale.
Solo che ho trovato una cosa, una libreria. In realtà è una stanza, ed è piena di libri.
Libri un po' più speciali di me, che hanno qualcosa di magico. E meraviglioso.
Genere: Comico, Generale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cercai di svegliarlo, scuotendo violentemente le sue spalle, ma rimase lì, immobile. Sotto le mie mani il suo valore stava lentamente svanendo. Mi accasciai sul suo petto, piangendo, pregando che fosse solo un brutto incubo dal quale mi sarei svegliata presto, con lui accanto. Ma non era così. L'avevo perso, per sempre, e nulla lo avrebbe riportato da me. La testa china sul suo corpo ormai freddo, mi addormentai. E lo sognai. - Noah, sei un'idiota! - Disse Francesca, ridendo, mentre io guardavo triste la pallina al cioccolato del mio cono che giaceva per terra. - Lo so! - Le risposi io, dando un morso al poco gelato che era rimasto nel biscotto. Riprendemmo a camminare lungo i viali del parco, mentre ridevamo della mia sbadataggine. Francesca leccò un po' di vaniglia. - Allora? Come va con Ruben? - Sospirai. Ruben era il mio ragazzo. Intelligente, simpatico, godeva di una certa popolarità nel nostro liceo. Ma non sapevo quanto andasse bene con lui. - Mah...credo bene... - La mia migliore amica si fermò di colpo. - Come CREDO bene?!? - Io abbassai lo sguardo. - Tesoro mio, non so se lo hai dimenticato così, da un giorno all'altro, ma ci hai messo QUATTRO anni a farti notare da lui, visto che potevi solo limitarti ad ammirarlo da lontano! - Sospirai di nuovo, perché aveva ragione. - Lo so, Franci, il fatto è che...viviamo in due mondi diversi...- - No, no, no. TU ti ostini a vivere nel tuo mondo di dipinti, libri e fotografie. LUI sta facendo di tutto per farti coinvolgere dal suo, di mondo! - Io mugugnai. - Non lo so...- Mormorai, mentre andavo a sedermi su un'altalena. - Oh, andiamo! Sei invitata ad ogni singola festa del liceo, tutti ti salutano nei corridoi, lui ti ha presentato ai suoi genitori, dimmi che non sei felice! - Io la guardai, indecisa. - NON SEI FELICE? - Strabuzzò gli occhi. - Spero tu stia scherzando. - Cominciai a dondolarmi, dando un morso al cono. - Non sto scherzando. Franci, è tutto troppo perfetto...non so...mi sembra che ci sia qualcosa che non vuole dirmi...- - Beh,- Disse lei, leccando una pallina di pistacchio. - se vuole dirti qualcosa, lo farà sicuramente stasera. In fondo, ti vuole solo presentare tutta la famiglia! - Arrivai a casa verso le cinque del pomeriggio. Mi fermai sulla soglia, tirai fuori le chiavi dalla tasca della felpa e aprii la porta. Ripensai alla discussione che avevo avuto con Francesca. La ragione era dalla sua parte, dovevo essere contenta della mia immensa fortuna. Ma fin da quando Ruben mi aveva chiesto di diventare la sua ragazza al campo estivo della scuola d'arte, dentro di me sentivo che qualcosa non quadrava. Bah...probabilmente non riuscivo ad accettare che tutto fosse così bello e perfetto, continuavo a ripetermi quando i dubbi venivano a galla. E lo feci anche stavolta. Entrai in casa, strofinando le scarpe sullo zerbino. Lessi per l'ennesima volta la scritta che aveva impressa sopra; "Benvenuti". Non sapevo se davvero mi sentissi la benvenuta in quel preciso istante. Non nella realtà. Dopo aver pulito per bene la suola, slacciai le scarpe e le tolsi. Poi camminai lungo il corridoio. - Mamma? - Un forte profumo di marmellata e miele mi investì appena arrivata in cucina. Vidi mia madre di schiena, china su qualche prelibatezza. - Stai cucinando? - La mia voce la fece sobbalzare e con un verso di dolore si girò verso di me, l'indice in bocca nel tentativo di smorzare una piccola ustione dovuta ad alcuni muffin appena usciti dal forno. - Ciao tesoro. - Disse, accorgendosi troppo tardi di aver appoggiato la mano sulla piastra bollente. Mia mamma era una donna spesso distratta e alquanto goffa. Avevo preso molto da lei. - Come stai? - Mi chiese, tentando di sedersi a tavola per riposare un poco. Purtroppo, il gatto l'aveva preceduta senza che lei lo notasse, e vedendo arrivare il suo fondoschiena sopra la sua schiena con un balzo Morris se ne andò dalla sedia, ma la spinse anche per terra, così che improvvisamente mia madre, presa alla sprovvista dalla sparizione del suo appoggio, con un sonoro tonfo sbatté il sedere sul pavimento. - Ahia! - Esclamò, scostando la chioma castana dagli occhi. La guardai, scoraggiata. Sarei diventata anche io come lei a 32 anni? Pregavo di no. Le porsi la mano e la aiutai ad alzarsi. - Grazie Noah. - Disse, mentre raccoglieva la sedia e ci si accasciava sopra, dopo aver controllato che non ci fosse già Morris. - Allora, a che ora passa a prenderti Ruben? - Speravo che non parlasse di questo. - Alle sette. - Lei sbarrò gli occhi. - E non hai ancora cominciato a prepararti? - Evitai di rispondere. - Mamma, perché cucini? - - Beh, non penserai mica di andare dagli Smither a mani vuote! - Alzai gli occhi al cielo. Mi girai e salii in camera. Mentre ero ancora sulle scale sentii mia madre gridarmi: - Metti qualcosa di sexy! - E pochi secondi più tardi, dopo che un fitto fumo nero aveva invaso la casa, il tentativo di mamma di cucinare si arrendeva alla sua incapacità di non distrarsi. - Oh no! I biscotti! - Fu l'esclamazione che confermò la mia ipotesi. Arrivai di fronte alla casa degli Smither con un pacchetto di muffin già pronti che mia madre aveva preso all'ultimo minuto nella drogheria all'angolo. Ruben suonò il campanello e si girò a guardarmi. - Sei bellissima. - Disse, e mi baciò. In effetti, era all'incirca la stessa frase che mi ero detta guardandomi allo specchio prima di uscire. Non è che avevo proprio cambiato tutto, diciamo ne aveva migliorato alcune cose; i capelli che di solito stavano ritti come spaghetti, scialbamente castani, ora avevano una parenza di mosso. Con un po' di trucco il viso non era proprio malvagio come tutti i giorni, e il corpo...beh, il vestito blu che avevo rubato dall'armadio di mia mamma era talmente meraviglioso che forse era riuscito a dipingere un po' di bellezza anche su di me. La porta si aprì, e nella cinquantenne bionda dal fisico perfetto che si stagliò davanti a me riconobbi la madre di Ruben, Sophia. Mi abbracciò subito, per poi fermarsi stringendo le mie spalle con le mani ed ammirandomi. Ero molto a disagio. Sopratutto quando da dietro la donna comparve il padre di Ruben, un omone con ormai pochi capelli castani in testa e due grandi occhi neri che sembravano scrutarti nell'anima. Mi strinse forte la mano, prendendo i muffin e sparendo nel salotto. Sophia si scostò. - Prego, cara, entra pure. - Disse, con un sorriso educato. Intimidita, entrai nella villa in cui abitava il mio ragazzo. Ogni volta che la vedevo, restavo meravigliata e spaventata dall'imponente eleganza della casa. L'entrata era più elegante che accogliente. L'intero arredamento sembrava far parte di una di quelle case che vedi nei cataloghi. Era freddo ed accuratamente caloroso allo stesso tempo. Ruben mi tolse il cappotto, scoprendo il vestito blu scuro sopra delle scarpe d'argento con un tacco troppo fine. Mi prese la mano e mi portò fino alla sala da pranzo. Il tavolo abitualmente di media grandezza aveva raggiunto dimensioni alquanto grandi per ospitare la famiglia Shmiter al completo. A capotavola era già seduto Enric, il padre di Ruben. Alla sua sinistra c'erano le due cuginette gemelle, Lora e Dora, figlie del fratello di Sophie, Roger, intento a parlare con la moglie Tara di fronte alle piccole. Accanto alle biondissime sorelline c'era Sebastian, un genio quattordicenne che parlava fitto fitto di finanza con il nonno del mio ragazzo, un austero vecchietto scorbutico di nome Hans, seduto di fronte a Enric, a capotavola. Veniva direttamente dalla Svezia con la quinta moglie, di circa vent'anni; Marta. La madre di Sophie, sua terza consorte, era in vacanza nel nord Africa con i due figli adottivi. Seduta di fianco a Marta stava seduta la madre di Enric, Elisabeth, una donnona inglese fissata con il thé e con un evidente principio di baffi che ancora piangeva il marito morto anni prima in guerra. - Scusate! - Disse Ruben ad alta voce, attirando l'attenzione di tutti che si girarono a guardarci. Probabilmente arrossii. Lui mi guardò, i grandi occhi azzurri fissi nei miei. - Volevo presentarvi una persona. - Mi strinse al suo fianco. - Lei è Noah, la mia ragazza. - Lo disse con orgoglio, e mi sentii lusingata. Partì un applauso, mentre lui mi accompagnava a tavola, per sedersi con me tra Elisabeth e Roger, suo zio. Cominciò una lunga serie di convenevoli. - Ciao cara, io sono Elisabeth Smither, ma chiamami pure nonna. - Disse, per l'appunto, mia "nonna", stringendo la mia mano sinistra tra le sue manone. Mi colpì molto l'oro brillante del suo abito senza spalline che risaltava le sue, come dire, forme. Il rossetto rosa confetto era leggermente sbavato. Forse non proprio leggermente, visto che tentavo di frenare una risatina divertita che sorgeva spontanea alla vista di quello spettacolo. Ci misi un po' per accorgermi che Sebastian mi stava scrutando attentamente, un sopracciglio alzato. - Ruben non ci aveva mai presentato nessuna delle sue..."ragazze". - Si stampò un ghigno in faccia, lanciando un'occhiata al cugino prima di tornare a guardare me. Mi sentivo a disagio. Dal suo sguardo sembrava quasi volesse mangiarmi, o peggio, mi stava letteralmente spogliando con gli occhi. - Si vede che è una ragazza importante! - Disse Roger, il naso poggiato sulla guancia della moglie e le mani strette in quelle della donna. Erano una di quelle coppie che avrei giurato potessero durare per sempre, segnate da un profondo sentimento che alcune persone chiamavano "vero amore". Sorrisi loro. - Suvvia, basta con le ciance, immagino abbiate il pancino vuoto, cari! - Annunciò Sophie, lanciando un'occhiata esaustiva alle due gemelli e che stavano divorando le poche fette di pane messe a disposizione. La padrona di casa si alzò, andando in cucina probabilmente per portare la cena. Subito dopo la breve interruzione la famiglia si riperse nelle precedenti chiacchiere. Mentre attendevamo il ritorno di Sophie, Ruben fece un gesto che mi spiazzò. Stava parlando con Sebastian a proposito dell'ultima stagione di football, ed io stavo tentando di seguire i loro discorsi senza incrociare le occhiate affamate del cugino d mio ragazzo. Improvvisamente, sentii una mano calda che si appoggiava alla mia coscia. Poggiai forse troppo violentemente il bicchiere sul tavolo, visto che tutti si voltarono a guardarmi prima di riprendere le loro attività. Presi il tovagliolo e mi pulii la bocca. - Sei davvero bella stasera. - Sussurrò Ruben al mio orecchio. - Grazie... - Gli risposi, completamente in imbarazzo, senza sapere cosa fare. Fu il tacchino a salvarmi. Infatti, quando Sophie entrò nella sala da pranzo con il grosso volatile dorato sopra un vassoio Ruben tolse velocemente la mano dalla mia coscia e la strinse attorno a quella del tacchino. - Allora, cara, dimmi di te. - Elisabeth a aveva appena finito di mangiare la sua aletta quando la sua attenzione ricadde su di me. Io inghiottii il boccone che stavo ruminando da circa dieci minuti. - Ehm...non saprei cosa dirle...- La vecchietta mi tirò una vigorosa pacca sulla schiena, rischiando che il glorioso tacchino tornasse dal mio stomaco. - Dammi del tu, cara. Insomma, hai fratelli o sorelle? - Mi chiese. - Veramente sono figlia unica. - Risposi. - Sai, in Iran dicono che i figli unici tengono in sé tutta la bellezza dei genitori!- Disse Hans, catturando la mia curiosità. - Infatti, se una coppia dà al mondo un solo figlio è a causa del destino, e già nel grembo ciò che naturalmente verrebbe spartito tra la prole viene racchiuso nella personcina. - - Ha senso. - Sibilò Sebastian, fissandomi. - Beh...grazie...- Sussurrai. - Sai, cara, sono contenta che finalmente Ruben abbia messo la testa a posto. Dimmi, come vi siete conosciuti? -Chiese la nonna. - L'ho vista per la prima volta al campo estivo della scuola d'arte, mentre dipingeva silenziosa in riva al lago. Era bellissima, ed è stato un vero colpo di fulmine. - Disse Ruben. Elisabeth sembrava rapita dal romanticismo del nostro incontro casuale. - E tu cara? Com'é stato per te? - Confessai la mia verità. - In realtà...io conoscevo Ruben dall'asilo, anche se solo di vista.- Ora il ragazzo che mi sedeva accanto stava sprofondando nella vergogna. La nonna era meno colpita ora dal romantico nipote. - Davvero? - Chiese. Io annuii. Il silenzio era sceso nella sala da pranzo. Rimanemmo per un po' così, in imbarazzo, poi arrivò il momento del dolce. Ovviamente, nella sofisticata alta società non c'era posto per una ciotola di gelato, o una grande torta deliziosamente morbida. Così, mi ritrovai ad osservare delusa il minuscolo ricciolino verdastro di mousse al carciofo che fiacco se ne stava lì, al centro del piattino, forse più disgustato di me nel mostrarsi al mio cospetto, ad un'avida amante di muffin e nutella, con unicamente un esile bastoncino di amara liquirizia conficcato nel mezzo. Il mio stomaco brontolò, esasperato. - Tutto bene, cara? - Mi chiese Elisabeth, preoccupata dal mio immobile disgusto. Un flebile sì riuscì a farsi strada attraverso la mia gola, che per protesta si era completamente seccata. Sarebbe stata una lunga, lunga cena. ~ Angolo dell'Autrice ~ Ciao, se siete arrivati fin qui significa che avere letto il primo capitolo della mia storia, e ne sono contenta :) Allora, questa storiella è abbastanza normale, sopratutto all'inizio perché deve ancora crearsi tutto...comunque, non sono molto brava a continuare quello che comincio a scrivere, quindi se magari mi lasciate qualche recensione affretto un po' i tempi .^. Grazie, T. :3
  
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