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Autore: P u f o e n t e    16/02/2013    3 recensioni
Alla fine non servo a nessuno. La verità è che se scomparissi non mancherei a nessuno. Nessuno ha bisogno di me, si preoccupa per me. Nessuno sa cosa penso e quali sono i miei sentimenti in questo momento.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Yomi Takanashi
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Saya-chan era sempre molto disponibile se avevi un problema parlarne con lei era sempre molto d’aiuto. Quel giorno volevo solo parlarle di Mato  e di come ultimamente era molto presa da Yuu, quasi che non stavamo più molto insieme, e del fatto che nonostante fosse sempre lì per me, a volte era assente, o connessa a un mondo proprio in cui c’erano lei e Yuu. Mato non ha mai capito che questo mi faceva stare male: lei era la mia migliore amica, ma non sembrava ricambiare i miei sentimenti.
“Puoi stare tranquilla, nessuno ti vuole così tanto” disse.
“Nessuno mi vuole..?”
Sì scusò, dicendo che era sovrappensiero e che non dovevo badare a lei.
Ma Saya-chan, lei crede davvero che nessuno mi voglia? Lei conosce i pensieri di tutte le persone della scuola, anche di Mato e di Kagari. Davvero a Mato e a Kagari non importava nulla di me? Ormai sapevo di non essere importante per Mato quanto lei lo era per me, aveva Yuu. Ma kagari..? Anche a lei non importava nulla di me? Dopotutto quello che avevo fatto per lei? Non ho mai voluto che rimanesse sempre legata a me, se si fosse fatta delle amiche ne sarei stata ben contenta. Ma non poteva non importarle nulla di me, dopo tutto questo tempo passato insieme, tutto quel tempo che avevo dedicato solo a lei.

 

 

Pioveva. La camera era buia, e l’angolo tra l’armadio e il letto ormai caldo. C’ero seduta da molto, in balia dei miei pensieri e aspettando una mail di Mato. Le avevo scritto un messaggio dove le dicevo che non si doveva preoccupare per me, ma ero cosciente del fatto che non aspettavo altro che lei, o un suo messaggio. Rassicuranti: tutti e due avrebbero potuto trasmettermi calma, serenità, fiducia, amore, importanza. Era tutto quello che volevo, sentirmi importante per qualcuno.
Mamma bussò alla porta: “E’ arrivata Kagari.”
Non la voglio vedere: “Mandala via.”
Dopo la scenata che avevo fatto alle sue amiche qualche ora prima non avrei mai potuto pensare di riuscire a parlarle. Avrà sicuramente pensato il contrario di ciò che intendevo. Avrà pensato che in realtà ero gelosa e che la volevo solo per me, ma non era vero. Forse era venuta a casa solo per ridermi davanti, senza ritegno.  Se l’avessi mandata via se ne sarebbe andata presto, pensavo.
Poi arrivò quel tanto atteso messaggio. Il mio cuore batté forte, e le gambe tremarono. Finalmente mi aveva risposto! Voleva vedermi? Voleva sapere come stavo? Voleva capire perché avevo questo comportamento? No, non voleva saperlo. Non voleva sapere niente di tutto questo, perché non mi aveva scritto Mato, ma Yuu. Il battito del cuore rimase costante, ma continuò a battere di rabbia. Le mani e le braccia tremarono, la testa esplose e di conseguenza tutto il corpo. Non riuscì più a controllarmi, di scatto buttai il cellulare sul letto, presi il cuscino e iniziai a sbatterlo ripetutamente e violentemente sul cellulare. Sempre più forte,  con sempre più rabbia, urlando. Alla fine il telefono si arrese e volò via sbattendo a terra. Lo fissai con gli occhi pieni di lacrime, poi mi sedetti a terra, con la testa sul letto tra le braccia conserte. In poco tempo pensai molto. Io volevo Mato, doveva cercarmi lei, non Yuu. Yuu che nemmeno sopportavo. Non poteva rimanere in disparte almeno questa volta? Perché invece non ha detto a Mato di inviarmi la mail? Perché Mato non si era più fatta sentire? Se non le avessi parlato più sarebbe stata felice? Si era finalmente tolta un peso di dosso, chiamato Yomi Takanashi?
“Yomi, Kagari sta ancora aspettando!”
Kagari!
Aprì la porta violentemente in preda all’entusiasmo e alla frenesia. Kagari mi stava ancora aspettando! Stava aspettando me! Perché a lei interessavo! A lei interessava davvero la mia amicizia! Uscendo urtai mamma, per poco con caddi. Mi appoggiai al muro dopo aver perso leggermente l’equilibrio e scesi le scale rimanendo appoggiata alla parete. In preda all’euforia uscii correndo senza scarpe e senza ombrello. La vidi, dietro la ringhiera, con ancora la divisa della scuola e i capelli raccolti in una coda. Aveva in mano un sacchettino, e si stava riparando dalla pioggia con un ombrello rosa. Uscii dal cancello e le saltai letteralmente addosso, abbracciandola stretta e facendole cadere l’ombrello. Piangevo di gioia. Lei era l’unica a cui importava di me: “Scusami, Kagari. Scusami, davvero!”
Rientrai in casa, con lei. Eravamo bagnate, zuppe. Avevo le calze che pizzicavano e si erano attaccate sulle gambe e i piedi infreddoliti, infastiditi sempre da quelle maledette calze che trattenevano così bene l’acqua. Avevo anche gli occhiali bagnati e ci vedevo molto poco. Kagari mi porse il pacchetto dicendo che erano biscotti al cioccolato fatti da lei al club di cucina. Poi iniziò un discorso  che all’inizio sembrava davvero bello:
 “Sai, Yomi, penso di doverti ringraziare. Hai sempre fatto tanto per me, e un ringraziamento non basterebbe comunque.”
Annuii.
 “Ho sempre pensato che non avrei potuto vivere senza il tuo aiuto.”
Annuii ancora.
“Ora so che posso farcela anche senza di te. Non ho più bisogno delle tue cure.”
Cosa?
“Sentivo che se non ti avessi ringraziata non mi avresti lasciata andare.”
Cosa?!
“Oggi, quando hai detto che eri felice se mi facevo delle amiche ho avuto la sensazione che stessi mentendo, che ti stavi solo atteggiando da forte. Ma io ora sono popolare e brava negli studi, perciò lasciami andare, per favore!”
COSA?!

Iniziai a tremare, a indietreggiare. Spalancai la bocca e le palpebre senza rendermene conto, come se stessi assistendo a un omicidio. In realtà l’omicidio stava avvenendo, ma era Kagari l’assassina, e io il corpo straziato da quelle parole, che mi stavano colpendo come un’ascia in pieno petto, dritte ai polmoni, impedendomi di respirare.

….

   

Sul tavolo della cucina c’erano delle forbici, accanto alla bottiglia d’acqua e al pane. Mamma le aveva appena usate per tagliare un pezzo di stoffa da ricucire. Mi prese l’istinto insano di tagliarmi i capelli. Dovevo resistere, o sarebbero diventati davvero corti e se ne sarebbero accorti tutti. Decisi di andare a fare un braccialetto per quella Yuu,” l’amica di Mato”. Non riuscivo proprio ad accettare il fatto che nel cuore di Mato e di Kagari non ci fosse più posto per me. Erano davvero importanti per me, soprattutto mato. Lei era la prima, l’unica. Era la mia migliore amica. Non potevo accettare il fatto che lei non ricambiasse completamente i miei sentimenti. Ero ancora sola, dopotutto. Mi diressi verso la camera, decisa a ignorare quella sensazione insolita e, travolta da tutti i miei pensieri, mi sentii mancare. Il cuore si fermò per un secondo. Fui costretta ad appoggiarmi al muro e sedermi sulle scale. Il naso pizzicava e gli occhi bruciavano. Guardai in alto nel tentativo inutile di non far uscire le lacrime. Guardai i miei piedi, sfocati dalle lacrime. Tolsi gli occhiali, li appoggiai su un gradino e presi dalla tasca del vestito un fazzoletto di stoffa verde. Mi asciugai gli occhi e notai, guardando in basso, che alcune lacrime erano cadute a terra e sui miei calzini e pantofole. Mi rialzai e continuai a salire le scale, ora diretta verso il bagno: volevo controllare che gli occhi non fossero gonfi.
Finii per fissare allo specchio i miei capelli neri. Diedi uno sguardo veloce ai mie polsi. Pensai che non avrei mai avuto il coraggio di tagliarmi le vene. Ma i capelli? Non avrei provato dolore. Valeva lo stesso? Improvvisamente mi ricordai delle forbici in cucina. Tornai sulle scale e le scesi dirigendomi in cucina.
Uno... due… tre…
Tre piccole ciocche di capelli neri. Ne sarebbe venuto un bel braccialetto per Yuu. Un bracciale arancione, il colore dei sorrisi, e nero, il colore delle ali alla morte del piccolo uccellino.
 

 
Quella mattina mamma non mi aveva svegliata. Fortunatamente, credo, mi svegliai da sola alle cinque del mattino, dopo solo tre ore di sonno. Lo stress era troppo per riuscire a dormire. Alla fine avevo finito il braccialetto per Yuu durante la notte, ed era venuto molto carino. Dovevo prepararmi per andare a scuola, dopo mi sarebbero venute a prendere sia Mato che Yuu. Mamma si sorprese di vedermi pronta. Le avevo detto dei miei dubbi e credeva che quel giorno non sarei andata a scuola. Ma io ero davanti a lei in divisa, pronta per uscire. Quando suonarono al citofono mamma scattò, chiese chi fosse e poi rispose con un violento “Vattene!”. Mi resi conto che avrebbe risposto male quando spalanco gli occhi dopo aver chiesto chi fosse. Avevo capito che avrebbe cacciato via Mato in quel momento. Così uscii di corsa di casa, senza badare a lei e prima che potesse dirmi di tornare a letto.
Salutai e ringraziai per essermi venute a prendere. Mato mi chiese perché mia madre le aveva risposto così male. Ma non potevo dirle che era a causa sua. Stavo male a causa sua. Avevo strappato le coperte e le tende della mia camera a causa sua. Di Mato, ma anche di Yuu. Presi a camminare dicendo di non preoccuparsi, che non era nulla, e rimasi davanti a loro per un po’ di strada, poi mi fermai, stanca di quel silenzio opprimente e mi voltai verso di loro. Avevo notato che Mato aveva il mio bracciale, così ne approfittai per parlarne. Diedi a Yuu il suo e le spiegai: “E’ per te, l’ho fatto io. E’ simile a quello di Mato”. Era simile, non uguale. Mato non aveva le mie ciocche di capelli intrecciati col bracciale.
Yuu non lo indossò, si limitò a metterlo nella borsa.
A scuola Yuu non aveva indossato ancora il bracciale. Non l’aveva apprezzato, per niente, lo sapevo. Ne ero certa. 
 

 
Dovevamo fare un collage, a scuola. Dovevamo ritagliare i soggetti che mi servivano, con delle forbici. Ahahaha, forbici! DELLE FORBICI!
Impazzii.
In quel momento non riuscì a non pensare a dover togliere di mezzo quella presenza irritante e inutile al mondo. IO.
Zac, zac, zac. Il rumore delle forbici che tagliava quelli capelli neri mi dava come un senso di soddisfazione.
Arrivò Mato a dirmi di smetterla. Ormai è tardi Mato, guarda quante parti di me stanno già morendo! Non è bellissimo? Ahahah!
Arrivò il professore e mi tolse le forbici di mano, poi mi portò a chiamare mia madre. Sarei tornata a casa, avrei abbracciato il cuscino con la fodera strappata e mi sarei messa nell’angolo tra il letto con le coperte rotte e l’armadio dal legno rigato, al buio, a sprofondare nella mia pazzia.
Ormai è tardi, Mato.   

  
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